Tevere, un generale partigiano

Sabato Martelli Castaldi – Fonte: Wikipedia

Uno dei personaggi storici di Cava de’ Tirreni è il generale Sabato Martelli Castaldi, al quale è intitolata anche una strada del centro città, e anche una via romana.
Sabato Martelli Castaldi ha i suoi natali a Cava de’ Tirreni, il 19 Agosto del 1896, in una calda giornata d’estate.
I genitori sono Sabato Castaldi, un ricco avvocato di Salerno, e Argìa Martelli, la sua governante, originaria di Bologna.
Il piccolo Martelli Castaldi cresce insieme al fratello minore Mario, respirando l’aria frizzante della vallata metelliana, mirando il mare azzurro della Costiera amalfitana e scorrazzando come un puledro nella polvere del villaggio di Santi Quaranta.
Qualche anno dopo la sua nascita, la madre si trasferisce in una casa a Raito, dove vivrà fino alla morte.
Ancora fanciullo, il padre lo manda a Roma, al collegio San Giuseppe di Piazza di Spagna.
Lì conosce Alberto e Ugo Barbiani, figli del proprietario dell’albergo Regina-Carlton di via Veneto.
La Carriera Militare di Sabato Martelli Castaldi da Cava de’ Tirreni
Partecipò da volontario alla Prima guerra mondiale dapprima come Sottotenente in Artiglieria e poi nel Corpo aeronautico militare, meritando alcune medaglie al valore.
Dal 23 aprile 1918 era Tenente pilota della 4ª Sezione SVA di San Luca di Sant’Ambrogio di Fiera e Fossalunga che dal 20 ottobre diventa 56ª Squadriglia ricevendo una Medaglia d’argento al Valor Militare ed una Medaglia di bronzo al Valor Militare.
Terminata la guerra, si laureò in ingegneria aeronautica al Politecnico di Torino.
Nel 1919 prestò servizio nella Regia Aeronautica dapprima in Libia, e dal 1921 in Italia.
Nel 1933, a soli 36 anni di età, venne nominato generale di brigata e ritenuto probabile successore di Italo Balbo a ministro dell’Aeronautica.
Venne tuttavia messo a riposo “per incapacità di giudizio” per aver denunciato alcune malversazioni a danno dell’aeronautica.
La Resistenza ai Nazisti
Dopo l’8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza romana organizzando azioni di sabotaggio nello stesso stabilimento che dirigeva e fornendo esplosivi ai partigiani.
Si impegnò anche in missioni rischiose per compiere, per gli Alleati, rilievi di zone militari.
Dopo l’arresto del titolare del Polverificio e sapendo di essere ricercato dalle SS, Martelli Castaldi decise di presentarsi spontaneamente al Comando tedesco di via Tasso.
Sperava infatti così, come gli era riuscito in altre occasioni, di depistare i nazisti.
Questi avevano però già raccolto sulla sua attività clandestina prove schiaccianti.
Arrestato e a lungo torturato, il generale riuscì a non compromettere i compagni di lotta e i tedeschi lo eliminarono.
La motivazione della Medaglia d’oro dice:
“Dedicatosi senza alcuna ambizione personale e per purissimo amor di Patria all’attività partigiana, vi profondeva, durante quattro mesi di infaticabile e rischiosissima opera, tutte le sue eccezionali doti di coraggio, di intelligenza e di capacità organizzativa, alimentando di uomini e di rifornimenti le bande armate, sottraendo armi ed esplosivi destinati ai tedeschi, fornendo utili informazioni al Comando alleato, sempre con gravissimo rischio personale. Arrestato e lungamente torturato, nulla rivelava circa i propri collaboratori e la propria attività, affrontando serenamente la morte. Esempio nobilissimo di completa e disinteressata dedizione alla causa della libertà del proprio Paese” […]
(Tratto dall’inserto del numero 7/9 – Settembre 2000 di Panorama Tirreno)
Redazione Salerno, Cava de’ Tirreni, Personaggi Storici: Chi era Sabato Martelli Castaldi, amalfinotizie, 30 dicembre 2018

Sabato Martelli Castaldi nacque, maggiore di due fratelli, il 19 agosto del 1896 a Cava de’ Tirreni, in provincia di Salerno, da Argia Martelli e dall’avvocato Sabato Castaldi, personalità molto nota nella zona del salernitano.
La sua fanciullezza fu caratterizzata da diversi spostamenti dovuti all’attività professionale del padre; la famiglia si trasferì infatti prima a Salerno e poi a Napoli. In questi anni, per attendere ai suoi studi, M. venne spedito a Roma al collegio San Giuseppe – Istituto de Merode, sito in piazza di Spagna. Fu in questi anni di formazione che decise di iscriversi all’associazione giovanile di Ac interna all’istituto capitolino. Terminati gli studi liceali e conseguito il diploma, insieme al fratello, si trasferì a Torino dove si iscrisse alla facoltà di Ingegneria del Politecnico.
Allo scoppio del primo conflitto mondiale, M. si trovava ancora impegnato a sostenere gli ultimi esami utili a terminare il suo percorso accademico. Nonostante questo, decise di arruolarsi volontario nel Regio esercito per partecipare agli eventi bellici che si andavano delineando. Il 16 dicembre del 1916 fu nominato sottotenente in servizio permanente effettivo dell’Artiglieria e del Genio e, assegnato al I Reggimento, raggiunse il fronte nello stesso anno. Successivamente, al seguito della 73ª Compagnia, si distinse particolarmente nei combattimenti che caratterizzarono lo sfondamento italiano sull’Isonzo. Proprio a seguito del suo impegno in battaglia venne insignito di una medaglia di bronzo al valor militare. A guerra ancora in corso, il 24 maggio del 1918, M. decise di transitare nell’aviazione militare, assumendo il grado di comandante della IV sezione autonoma avieri. Costante fu il suo impegno che lo indusse, nel corso del solo primo anno di servizio, a svolgere oltre cento voli di guerra. La dedizione e la capacità con le quali operò gli fecero guadagnare la stima del comando e una medaglia d’argento al valor militare. L’anno successivo, inoltre, venne nuovamente insignito di una croce di guerra e meritò due encomi al merito per l’impegno profuso in qualità di volontario nella campagna italiana in Libia, dove assunse la carica prima di aiutante maggiore del XXII gruppo aviatori e, successivamente, il grado di comandante della XC squadriglia aviatori.
Terminato il suo impiego militare, M. tornò in patria ed ebbe modo di formarsi una famiglia. Il 12 dicembre del 1922, infatti, si unì in matrimonio con Luisa Barbiani e, nel settembre dell’anno successivo, ebbe da lei la prima figlia di nome Vittoria. Solo un anno più tardi vide poi la luce un secondo bambino, che fu chiamato Giorgio. Con sua moglie e i due figli si trasferì in un appartamento della capitale, sulla via Nomentana.
Avvezzo alla pratica dello sport, si distinse particolarmente nel canottaggio, potendo peraltro vantare alcuni successi in ambito regionale e la vittoria, nel 1923, di due importanti competizioni quali la coppa Juventus e la coppa Principe. Per questo motivo il suo nome viene oggi menzionato nell’elenco dei caduti in guerra tra gli associati del club canottieri «Aniene» di Roma. L’attaccamento a questa pratica venne sottolineata dallo stesso M. al momento della sua partecipazione alla Resistenza romana allorquando dovette assumere un nome di battaglia e decise di scegliere quello di «Tevere», fiume che era stato il teatro di questi suoi successi sportivi.
Nonostante questi impegni M. non rinunciò alla carriera militare che, anzi, ebbe una rapida evoluzione dopo il 1927. Nel corso di quest’anno, infatti, venne nominato comandante del VII gruppo autonomo di caccia terrestre e venne insignito di una nuova medaglia di bronzo al valor militare. Nel 1930 venne chiamato a Roma per collaborare con Giuseppe Valle, da poco nominato capo di stato maggiore della Regia Aeronautica, alle dipendenze del ministro dell’Aeronautica Italo Balbo. Nel corso dell’autunno del 1931 M. venne promosso al grado di colonnello per «merito straordinario» e spostato al comando del XX stormo. Fu però nel corso del 1933 che toccò l’apice della carriera militare quando per iniziativa personale di Mussolini venne nominato generale di brigata aerea, divenendo il più giovane ufficiale a essere designato per quel ruolo. In questi anni M. entrò nelle grazie anche di Balbo, che decise di chiamarlo per far parte del suo Ministero in qualità di capogabinetto. Proprio in merito al sodalizio che andava creandosi il ministro gli scrisse: «Caro Martelli, la mia aspirazione è portare l’Arma sempre più in alto. Non fallirò se mi assisterà il destino e l’opera di collaboratori del suo valore, caro camerata». Dal 1° luglio 1933 al 12 agosto successivo fu impegnato, nel nuovo incarico appena assunto, nell’organizzazione e nella realizzazione della Crociera aerea del decennale, trasvolata ideata da Balbo per i dieci anni di fondazione della Regia Aeronautica. M. ebbe il delicato compito di garantire i contatti tra il ministro, che partecipava direttamente all’impresa manovrando uno dei venticinque idrovolanti, e Mussolini, che esigeva di essere aggiornato costantemente sui successi del gruppo di volo.
In questo periodo la vita di M. sembrò assumere un tracciato ben definito. Dopo la nascita di un terzo figlio, che decise di chiamare Sabatino, la sua carriera professionale parve essere destinata alla posizione di ministro dell’Aeronautica, dopo il trasferimento di Balbo in Libia in qualità di governatore della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan. Nonostante questa successione designata, M. venne presto esautorato dall’arma per aver messo in discussione le potenzialità dell’aviazione italiana. Volendo denunciare le modalità con le quali il capo di stato maggiore Valle tentava di tenere nascosto a Mussolini il reale stato della Regia Aeronautica, tra le quali vi era anche il continuo spostamento dei medesimi velivoli da un campo di aviazione all’altro per mostrarli durante le grandi manifestazioni militari organizzate dalla propaganda del regime, M. decise di stilare un lungo rapporto da far avere direttamente al duce, in cui, tra l’altro, si leggeva: «Qui c’è in gioco l’avvenire della Nazione e non è oltre tollerabile che si continui sulla strada dell’illusionismo organizzato in grande stile»; sull’appuntamento in programma per una parata di aeroplani che si sarebbe svolta a breve scrisse: «Giove Pluvio permettendo e con una certa talquale benevolenza di Eolo, avverrà tra giorni l’attesissimo “kolossal girandola” di Furbara». Ben presto M. dovette rendersi conto che non solo la sua lealtà non era stata apprezzata dal duce ma che proprio quest’ultimo, su suggerimento di Valle, lo avrebbe costretto a subire un procedimento al termine del quale venne collocato a riposo senza stipendio per «deficienza di qualità militari e di carattere». Caduto dunque in disgrazia agli occhi del fascismo, cercò di guadagnarsi da vivere fuori dall’Italia, trasferendosi in Etiopia insieme alla famiglia. Dopo un iniziale periodo di tranquillità e fortuna lavorativa, il controllo del regime lo raggiunse persino nella nuova sistemazione e, dopo aver ricevuto forti pressioni dall’Ovra, si vide costretto a lasciare ogni impegno professionale anche in Africa.
Nel corso del 1935 dovette dunque far ritorno in patria e, con la moglie e i tre figli, prese dimora a Roma. Fu in questi anni che, per permettergli di sopravvivere, il noto imprenditore Ernesto Stacchini decise di assumerlo come usciere nella sede centrale del suo polverificio, stabilimento capitolino sito in via Merulana. Viste le sue qualità morali e professionali non fu difficile per M. riuscire a scalare le gerarchie della fabbrica fino ad assumere, solo un anno dopo, la carica di direttore tecnico amministrativo.
Il 25 luglio del 1943, alla caduta del regime fascista, M. venne invitato dal nuovo capo del governo, il maresciallo Pietro Badoglio, a collaborare per il riassetto delle forze armate. Il tentativo di ricostituire il Ministero dell’Aeronautica e riorganizzare le compagnie di volo per continuare lo sforzo bellico fu ben presto arrestato dall’annuncio dell’armistizio di Cassibile, firmato l’8 settembre dello stesso anno.
Trovandosi dunque a dover decidere da che parte schierarsi, l’ex generale scelse di entrare a far parte della Resistenza che andava approntandosi nella città di Roma e di assumere il nome di battaglia di «Tevere». Fin da subito si prodigò in diverse attività di supporto ai gruppi di partigiani operanti nella zona del Lazio e dell’Abruzzo, fornendo loro armi e dinamite proveniente dal polverificio che dirigeva. Senza dubbio però il suo impegno maggiore fu rivolto a sabotare la produzione della fabbrica destinata alle truppe tedesche di stanza nella capitale. Diverse però furono anche le operazioni alle quali prese parte in prima persona. Nei primi mesi di occupazione nazista prese contatti a più riprese con il Comando delle forze alleate per effettuare dei rilievi di zone utili all’attività resistenziale e, successivamente, per permettere agli angloamericani di venire a conoscenza della precisa entità della presenza nemica nel territorio. Particolarmente rischioso fu anche il progetto e la successiva realizzazione, nella periferia romana, di un campo di fortuna per l’atterraggio di aerei alleati che potevano, in questo modo, evitare gli aeroporti presidiati dai tedeschi. A queste sue diverse operazioni affiancò un aiuto prezioso e costante a militari sbandati e civili ricercati dalle autorità tedesche ai quali, sfruttando la sua posizione dirigenziale presso il polverificio e le strette relazioni con il comando nazista, fece pervenire documenti di identità e salvacondotti che lui stesso si premurò di contraffare.
Nel corso delle prime settimane del 1944 i tedeschi, già allertati dei movimenti sospetti che avevano luogo all’interno del polverificio, vennero a conoscenza dell’attività che si svolgeva in fabbrica a favore della Resistenza mediante le informazioni fornite da un operaio. Il delatore, non conoscendo a fondo le dinamiche di quanto effettivamente accadeva, denunciò il proprietario Stacchini che, in realtà, era totalmente estraneo alla vicenda e nulla sapeva dell’operato di M. Fu proprio per questo motivo che quest’ultimo, il 17 gennaio, decise di presentarsi di sua iniziativa al comando tedesco per scagionare dalle accuse Stacchini e assumersi la responsabilità della collaborazione data alla Resistenza all’interno del polverificio. Per questo motivo venne dunque arrestato dal colonnello Herbert Kappler che si stava occupando direttamente del caso.
Condotto nel carcere di via Tasso e posto in stato di arresto, fu imprigionato, come lui stesso scrisse in un biglietto inviato clandestinamente a sua moglie, in una «camera di m. 1,30 per 2,60», in cui le condizioni si fecero sempre più difficili, anche a causa delle brutali sevizie e delle torture che dovette subire giornalmente durante gli interrogatori. Nello stesso messaggio aggiungeva che nella cella che gli fu assegnata «siamo in due, non vi è altra luce che quella riflessa di una lampadina elettrica del corridoio antistante, accesa tutto il giorno. Il fisico comincia ad andare veramente giù e questa settimana di denutrizione ha dato il colpo di grazia. Il trattamento fattomi non è stato davvero da “gentleman”. Definito “delinquente” sono stato minacciato di fucilazione e percosso, come del resto è abitudine di questa casa: botte a volontà». Forzato in ogni modo a rivelare informazioni sull’organizzazione della Resistenza romana, non rivelò mai nessun nome e nessuna notizia che potesse essere utile ai suoi aguzzini.
Durante i sessantasette giorni in cui fu rinchiuso presso via Tasso, M. riuscì a far arrivare alcune lettere a sua moglie, grazie a un espediente appreso nel corso degli studi in collegio. Dopo essersi fatto portare dei limoni e un pennino riuscì a consegnare alla moglie dei biglietti che a un primo controllo sembravano non scritti ma che, una volta scaldati con una candela, permettevano di leggere i messaggi che vi erano trascritti. Il 4 marzo del 1944, nell’ultima lettera che riuscì a consegnare a sua moglie, riportò un lucido ritratto della dura vita che i «35 ospiti» erano costretti a sopportare all’interno del carcere. Non mancando di una certa dose di ironia, scrisse: «i giorni passano e oggi 47° credevo proprio che fosse quello buono; e invece ancora non ci siamo. Per conto mio non ci faccio caso e sono molto tranquillo e sereno, tengo su gli umori di 35 ospiti di sole quattro camere, con barzellette, pernacchioni (scusa la parola che è quella che è) e buon umore. Unisco una piantina di qui per ogni evenienza, e perché per mezzo del latore, quest’altra settimana, me la rimandi completata. Penso la sera che mi dettero 24 nerbate sotto la pianta dei piedi nonché varie scudisciate in parti molli, e cazzotti di vario genere. Io non ho dato loro la soddisfazione di un lamento, solo alla 24ª nerbata risposo con un pernacchione che fece restare i 3 manigoldi come tre autentici fessi. (Quel pernacchione della 24ª frustata fu un poema! Via Tasso ne tremò e al fustigatore cadde di mano il nerbo. Che risate! Mi costò tuttavia una scarica ritardata di cazzotti). Quello che più pesa qui è la mancanza d’aria. Io mangio molto poco altrimenti farei male e perderei la lucidità di mente e di spirito che invece qui occorre avere in ogni istante».
A venti giorni da questo messaggio M. vide terminare la parabola della sua vita. Il 23 marzo del 1944 trentatré militi della forza d’occupazione tedesca appartenente alla XI Compagnia del III Battaglione Polizeiregiment Bozen vennero uccisi a Roma nel corso di un’azione condotta dal Gap locale in via Rasella. Immediata fu la reazione del comando nazista che per rappresaglia scelse di condannare a morte dieci italiani per ogni tedesco morto nell’operazione gappista. Tra i 335 nomi che vennero inseriti nella lista ci fu anche quello di M. Il 24 marzo del 1944, dopo aver scritto sul muro della sua cella un ultimo messaggio «Quando il tuo corpo non sarà più, il tuo spirito sarà ancora più vivo nel ricordo di chi resta. Fa che possa essere sempre di esempio», venne condotto alle Fosse Ardeatine e trucidato insieme ai suoi compagni di prigionia. Prima dell’esecuzione urlò due volte «Viva l’Italia!», per poi essere colpito alla nuca da una raffica di mitra […]
Andrea Pepe, Sabato Martelli Castaldi, Biografie Resistenti

Il merito di aver ridato “voce” a questo poco conosciuto protagonista della storia militare italiana del XX secolo spetta allo storico Edoardo Grassia, il quale ha saputo ricostruire con precisione e caparbietà un difficile capitolo del periodo interbellico. Parlare di Sabato Martelli non vuol dire limitarsi ai suoi anni come ufficiale dell’Aeronautica, né al suo particolare rapporto con l’«esuberante, irrequieto e amante della vita» <3 Italo Balbo – quest’ultimo nominato Ministro dell’Aeronautica proprio da Mussolini nel 1929 – ma nemmeno ridurre la sua esperienza politica agli anni della Resistenza, quando si fece conoscere con il nome di battaglia “Tevere”. Nell’introduzione al testo l’autore ci informa della particolarità del personaggio, ma soprattutto avvisa della necessità di retrocedere nel passato proprio perché il generale Martelli deve inserirsi tra i limiti imposti dalla Grande Guerra sino alla Resistenza, passando attraverso uno dei momenti decisivi della storia italiana di quell’epoca: il fascismo. Fondamentali sono stati i colloqui che l’autore ha mantenuto con gli eredi della famiglia, ma anche le frequenti visite ai numerosi archivi elencati nell’opera, fra cui si distinguono quelli militari e particolarmente l’Ufficio Storico dell’Aeronautica dove da tempo Grassia collabora nell’ambito della ricerca storica.
L’autore dà inizio alla sua opera partendo da un episodio fondamentale della vita di Sabato Martelli e cioè il primo conflitto mondiale. Durante questo periodo il giovane ufficiale sperimentò e condivise in prima persona la drammatica esperienza della guerra insieme a colui che sarà suo amico “sino alla fine”, Roberto Lordi, ma conobbe anche l’affascinante modernità dell’esperienza bellica che lo spinse – con sempre più interesse – ad avvicinarsi alla neonata Aeronautica militare. Ben presto, già nell’aprile del 1917, Martelli abbandonò le trincee dell’Isonzo per spostarsi nei cieli del Carso per poi – dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto – partecipare alla guerra aerea sopra il Tagliamento ed il Piave. Finì il conflitto nei cieli della Libia, dove continuò sino al 1919 combattendo contro la resistenza delle tribù locali.
Il seguente e “logico” passo nella vita di Sabato Martelli fu la sua adesione al Partito Nazionale Fascista, attraverso un gruppo di ex-combattenti che finalmente lo portò ad essere una figura di rilievo all’interno della Regia Aeronautica. La sua carriera fu fulminea, così come il suo allontanamento dal corpo: se nel 1931 ricoprì l’incarico di Capo Gabinetto del ministro Italo Balbo e nel 1933 venne addirittura nominato come il più giovane generale d’Italia, il suo stretto legame con i “balbisti” sarebbe poi stato considerato inopportuno dal Duce che non esitò a decretare – nel novembre del 1935 – un “riposo forzato” del giovane generale.
[…] L’autore dà inizio alla sua opera partendo da un episodio fondamentale della vita di Sabato Martelli e cioè il primo conflitto mondiale. Durante questo periodo il giovane ufficiale sperimentò e condivise in prima persona la drammatica esperienza della guerra insieme a colui che sarà suo amico “sino alla fine”, Roberto Lordi, ma conobbe anche l’affascinante modernità dell’esperienza bellica che lo spinse – con sempre più interesse – ad avvicinarsi alla neonata Aeronautica militare. Ben presto, già nell’aprile del 1917, Martelli abbandonò le trincee dell’Isonzo per spostarsi nei cieli del Carso per poi – dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto – partecipare alla guerra aerea sopra il Tagliamento ed il Piave. Finì il conflitto nei cieli della Libia, dove continuò sino al 1919 combattendo contro la resistenza delle tribù locali.
[…] Il 23 marzo del 1944 un attentato in via Rasella provocò la morte di trentasette militari, molti di essi appartenenti al SS-Polizeiregiment “Bozen” composta da sudtirolesi inquadrati nella polizia tedesca. Questo fatto segnò, il giorno dopo, la condanna a morte di oltre trecento persone fra cui vi erano ebrei della comunità romana, alcuni civili legati all’attentato, partigiani e membri della Resistenza prelevati dal carcere di via Tasso e da quello di Regina Coeli. La rappresaglia fu voluta dallo stesso Hitler come avvertimento per la popolazione civile, ma ancora oggi stupiscono la freddezza e la celerità nella pianificazione di un crimine di queste proporzioni, portato a termine nel giro di poche ore lo stesso 24 marzo. Fra i criminali di guerra che furono condannati dai tribunali militari per l’Eccidio delle Fosse Ardeatine, ricordiamo i già citati Albert Kesselring e Herbert Kappler, ma anche Kurt Mälzer, Eberhard von Mackensen e l’ufficiale Erich Priebke (aiutante di Kappler), molti dei quali però finirono per scontare pene minime nonostante la loro diretta partecipazione a questi crimini di guerra.
[…] La storia di Sabato Martelli Castaldi è una delle tante pagine dimenticate della storia italiana; una figura a lungo omessa dalla storiografia nazionale in quanto vittima – suo malgrado – di quello che l’autore chiama esser stata una parabola tragica ed allo stesso tempo eroica della sua vita <4. Eppure, l’obiettivo di quest’opera è proprio quella di riconsegnare ad ognuno di noi la memoria di una persona qualunque che, l’8 settembre del 1943, non esitò ad aderire al movimento della Resistenza. Non negò mai la sua adesione al fascismo durante gli anni della Marcia su Roma, eppure quest’esperienza gli servì per capire anche cosa fosse veramente questo movimento. Sabato Martelli fu forse uno dei primi – tra coloro che avevano appoggiato il fascismo – ad allontanarsi da esso, con la speranza di poter ricondurre il popolo italiano verso quella libertà che gli era stata sottratta. Con il senno di poi potremmo dire che il partigiano “Tevere” riuscì a portare a termine la sua missione, sebbene l’impresa gli costò la vita e un lungo silenzio […]
3 Cfr. CIANO, Galeazzo, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1980, p. 447, nota del 29 giugno 1940.
4 GRASSIA, Edoardo, Sabato Martelli Castaldi. Il generale partigiano, Milano, Mursia, 2016, pp. 12-13.
Matteo Tomasoni, «Edoardo Grassia, Sabato Martelli Castaldi. Il generale partigiano», Diacronie [Online], N° 30, 2 | 2017, documento 10, online dal 29 juillet 2017