Tra costituzione delle Fiamme Verdi e il Vai c’è un’oggettiva osmosi

Fonte: Wikipedia

Le “Fiamme Verdi” di Reggio Emilia furono una formazione partigiana di ispirazione cattolica, attiva anche nella provincia di Modena. Nella Resistenza, le Fiamme Verdi erano come gli Alpini, dai quali avevano mutuato le mostrine: operavano prevalentemente in montagna con radici popolari e con nessuna ideologia politica: «Il volontario, di qualunque fede politica esso sia, rinuncerà ad ogni propaganda che non sia contro tedeschi e fascisti … » Venne fondata da Don Domenico Orlandini, nome di battaglia “Carlo”, a causa dei dissidi con la componente comunista della Resistenza. Nelle parole del fondatore, la formazione era nata per queste ragioni: « “… Dal marasma che aveva preceduto il rastrellamento e dalla assoluta inettitudine al comando dimostrata da molti comandanti… avevo tratto le mie conclusioni pienamente condivise dai partigiani della mia zona e da tutti coloro che mi erano rimasti al fianco: o si riorganizzava il movimento su basi di disciplina, si vietavano i saccheggi e i prelevamenti indiscriminati, si bandiva la politica di parte in seno alle formazioni e si creava un comando con persone dotate di coraggio e di capacità, oppure avrei dato vita ad una brigata indipendente, sotto il mio diretto comando… ». La brigata operò in accordo con il CLN provinciale. Fra i maggiori esponenti sono da annoverare Giuseppe Dossetti, in seguito esponente di spicco della D.C. […]
Dal memoriale di don “Carlo” Orlandini …Il Russo… a raggiungere le nostre forze era giunto in marzo anche un russo, certo “Modena” con un distaccamento composto in prevalenza di russi sfuggiti ai tedeschi (agli italiani l’8 settembre). Anche lui era fuggito sin dall’autunno del ’43 e aveva trovato rifugio presso don Borghi. Aveva partecipato alle prime battaglie, compresa quella di Cerrè Sologno. Aveva poi ripiegato nel ramisetano, ove «Sintoni» lo aveva usato nel terrorizzare la popolazione e nella messa in atto di saccheggi e soppressioni. Stanco del ruolo che gli si faceva recitare si era staccato da «Sintoni» ed era venuto da noi. Disponeva di un gruppo di uomini veramente coraggiosi.
[…]
«Modena», ten. russo Victor Pigorov, fuggito dal campo di concentramento fu pure ospite della famiglia Cervi, poi di don Borghi a Tapignola, ove si trovava quando avvenne lo scontro con la pattuglia fascista andata per arrestare il prete. Riuscì a circondarsi di un gruppo di ex prigionieri russi, e seguì «Sintoni» nella zona della Val d’Enza, operando con la 32′ Brig. Garibaldi. Avuti altri 30 russi, provenienti dal parmense, il gruppo raggiunse 70 unità e fu costituito in Battaglione. Nei primi di marzo 1945 si porta a Minozzo e prende contatto con «Carlo», che lo mette a disposizione di Mc. Guinty (Cap. Farran, capo di un «Commando» inglese calato sul nostro Appennino). A fine mese assumerà la denominazione di «Compagnia Russi» nel Btg. Alleato.
Redazione, La Resistenza invisibile, lacorsainfinita

Una delle prime azioni delle bande fu quella condotta a Boves (Cuneo) dal tenente della Guardia alla frontiera Ignazio Vian. Questi riunì militari della 4a Armata, allontanatisi con le armi, fra cui anche un cannone. Il 19 settembre SS tedesche giunsero in paese e due di esse furono catturate. Intervennero reparti motocorazzati che richiesero il loro rilascio, ne nacque un combattimento e una delle prime vittime fu un marinaio cannoniere appena giunto da Mentone. Dopo trattative e altri scontri i tedeschi prigionieri furono rilasciati, ma ciò non evitò che le SS uccidessero 32 persone, compresi i mediatori, e radessero al suolo 45 abitazioni. Successivamente Vian si allontanò operando con le Fiamme Verdi. Arrestato per delazione, passò una lunga prigionia a Torino, dove successivamente fu ucciso venendo impiccato a un albero di Corso Vinzaglio. Fin dall’inizio si manifestò un insanabile contrasto fra gli interessi angloamericani e quelli italiani sullo sviluppo delle operazioni belliche in Italia. Fermo restando che le operazioni belliche contro i tedeschi potevano essere condotte solo dai primi, gli italiani intendevano prendervi parte con quanto rimaneva dell’esercito regolare (re e Badoglio) e con le formazioni irregolari di partigiani (partiti politici). Per gli Alleati, Forze Armate italiane e partigiani costituivano un peso e un pericolo politico, per cui cercarono in tutti i modi di ostacolarne l’opera, limitandosi a sfruttarne solo la parte che poteva risultare vantaggiosa ai loro fini: manodopera a basso prezzo (soldati e prigionieri di guerra), informazioni belliche (soldati e partigiani), interruzioni delle linee di comunicazione tedesche (reparti speciali e partigiani). Almeno fino alla presa di Roma, ma anche in seguito, il movimento partigiano fu visto dagli Alleati più come un problema da eliminare che come un aiuto alle operazioni belliche alleate. Nei successivi colloqui con la Commissione di Controllo Alleata, fu chiaro che gli italiani dovevano desistere dalla loro idea di contribuire alle operazioni belliche con un notevole numero di truppe[…] In ottobre [1943] si tenne a Bavaria, nel Trivignano, un convegno, cui presero parte politici di tutte le tendenze, volontari civili, ufficiali; la discussione si sviluppò attorno al tema della costituzione di un vero e proprio esercito clandestino, con gerarchia riconosciuta e rispettata, e l’idea comunista (appoggiata anche da altri) della istituzione di piccole cellule armate, dipendenti dai partiti politici, ciò che avrebbe escluso dalla lotta i così detti “apolitici”, che intendevano combattere non per un partito, ma per la libertà e la democrazia. Il Convegno nominò Comandante generale delle Forze Armate della Patria (FADP) il comandante Kulczycki. Ad esse aderirono numerosi ufficiali, specie degli alpini e di cavalleria. Dopo la nomina, Kulczycki sviluppò un progetto di organizzazione e di regolamento e prese contatto con numerosi ufficiali, fra cui il tenente di vascello Arrivabene Valenti Gonzaga. Il 20 novembre Kulczycki si trasferì a Venezia. Il suo progetto incontrò molte opposizioni e si giunse a un accordo sulla base del quale Kulczycki fu inserito nel Comitato di Liberazione Nazionale, come consulente militare. La sua opera fu però bruscamente interrotta per l’arresto, il 22 dicembre 1943, a Venezia, di alcuni suoi collaboratori e il sequestro di molto materiale relativo alle FADP. Trasferitosi a Milano, Kulczycki diede vita ai Volontari Armati Italiani (VAI), un corpo concepito e voluto come un unico blocco di tutte le forze patriottiche con caratteristiche esclusivamente militari e apolitiche; il Comando Supremo, con messaggio trasmesso dalla Stazione Radio di Bari, lo nominò capo di stato maggiore della nuova organizzazione. Nella sua azione di allargamento dell’organizzazione, Jerzy (Giorgio) SAS Kulczycki, prese contatto con il tenente di cavalleria Aldo Gamba, tenente K., appartenente alla rete informativa nota come Reseau Rex, per cercare di fare entrare nel VAI le Fiamme Verdi, le formazioni armate degli alpini organizzate e comandate dal generale degli alpini Luigi Masini, Fiori, già molto noto negli ambienti partigiani. Masini, di tendenze repubblicane, si dichiarò contrario all’iniziativa. Poiché però il VAI poteva essere una buona fonte di informazioni, Gamba si mise in contatto con Kulczycki. Il VAI ebbe diramazioni in tutta l’Italia settentrionale […] Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX 2015, Editore Ministero della Difesa

La contiguità geografica del gruppo dell’Adamello con l’Ortles non è la sola ragione dell’affinità organizzativa tra i gruppi dell’alta Valtellina e quelli dell’alta val Camonica. Autonomamente dalle reti informative del Regno del Sud e dal Vai, si organizza, dalla fine del novembre 1943, una formazione dalle caratteristiche tipicamente militari, le Fiamme Verdi, che si sviluppano nel bresciano e nelle sue valli e che trova nel gen. Luigi Masini il loro comandante.
[…] La formazione delle Fiamme Verdi trova le sue radici negli alpini e nello spirito di corpo che li accompagna, riuscendo a legare la solidarietà dei montanari con il riferimento ai parroci e ai sacerdoti, quasi fosse l’unico legame comunitario. Questa formazione trova radici nella bergamasca, nel bresciano, nel cremonese, in Emilia (reggiano), nel vicentino e in Alto Adige, sono organizzate nel Comando raggruppamento divisioni Fiamme verdi Cisalpine.
Nel bresciano «nacque e si mantenne al di fuori dei comitati di liberazione: i contatti con quello di Brescia, competente per territorio, furono saltuari e, fin da allora il comitato non ebbe alcuna ingerenza né sull’ organizzazione né nella direzione delle Fiamme Verdi» <71.
Il problema dei rapporti con il Cln è il vero snodo politico che riguarda le formazioni delle Resistenza, quando nel gennaio del 1944 Ferruccio Parri s’incontra con Jerzy Sas Kulczycki il problema dell’adesione al Cln, si pone immediatamente e su questo punto il Comandante del Vai non può dare nessuna garanzia <72. Jerzy incontra Parri senza problema, suo fratello lavora alla Edison, nel racconto che ne farà “Maurizio” a fine conflitto vengono messe in risalto le valenze politiche del progetto incarnato da Jerzy: proporsi in continuità con il Regno del Sud e, conseguentemente, come un’alternativa al Cln. Non va per il sottile Maurizio: «L’incidente più grave o almeno potenzialmente più pericoloso, per la serietà della persona, fu quello in cui fu protagonista il Kulczycki […] Le pive nel sacco non era un fine cui si adattasse il Kulczycki, autore dell’ultimo – mi pare – tentativo sciovinista monarchico <73». Sarebbe strano se il racconto avesse sorvolato su quest’aspetto: il Regno del Sud è comunque il convitato di pietra nel Cln e poi nel Cvl <74, tantè che la presenza dei militari nel Cvl diventa formalizzata con l’assunzione del ruolo di comandante dei generali: a Torino il gen. Giuseppe Perotti prima e poi Alessandro Trabucchi, a Milano il gen. Giuseppe Michele Robolotti mentre nel Comando generale c’è il maggiore di artiglieria Mario Argenton.
Questa situazione, che è un dato imposto dalla realtà, è poi spiegata come «Un sottinteso patto di reciproca lealtà permise che la collaborazione con le forze monarchiche non fosse turbata da incidenti di rilievo» <75. Il quadro generale dei movimenti si riverbera poi nelle situazioni locali trovando modo di rappresentarsi in base alle condizioni e agli uomini che vi sono. Sarebbe estremamente fuorviante considerare i confini provinciali come linee di un confine non attraversabili, c’è un’osmosi tra i territori e tra le formazioni che va al di là delle stesse appartenenze organizzative.
[NOTE]
71 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, UFFICIO STORICO, L’azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, Ufficio storico SME, Roma, 1975, p. 52.
72 F. PARRI, Due mesi con i nazisti, Carecas, Roma, 1973, pp. 16-20. Cfr. P. PAOLETTI, Volontari Armati Italiani (V.A.I.) in Liguria (1943-1945), Fratelli Frilli Editori, Genova, 2009.
73 Ivi, p. 18.
74 Solo nel dicembre del 1944 la missione composta da «Pietro Longhi (recte Longo), Maurizio (Ferruccio Parri nda), Mare (Giancarlo Pajetta nda) E. Sogno» raggiunge un accordo con gli alleati e con il Governo del Regno del Sud per il riconoscimento ufficiale «The Italian Government recognises the Committee of National Liberation for Northen Italy (C.L.N.A.I.) as the organo of the anti-fascist parties in the territory occupied by the enemy», dentro questo accordo al punto «2) Durante il periodo dell’occupazione nemica il Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà (quale comando militare del C.L.N.A.I.) seguirà, in nome del C.L.N.A.I., le istruzioni del comandante in capo A.A.I., che agirà sotto la dipendenza del comandante supremo alleato.» cfr. MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, UFFICIO STORICO, L’azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., pp. 162-166. Su questo punto anche: T. PIFFER, Gli Alleati e la Resistenza italiana, cit., pp. 187-193 e in generale tutto il cap. VII.
75 F. PARRI, Due mesi con i nazisti, cit. p. 18.
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu

Armando Di Pietro era sottufficiale di carriera, Maresciallo capo del 5° reggimento Lancieri Novara 3° Gruppo Carri leggeri “San Giorgio”. Aveva combattuto dall’aprile del 1924 al maggio 1928 nella campagna di Libia. Durante la guerra fu dal giugno 1941 al luglio 1942 sul fronte russo.
L’8 settembre prestava servizio a Verona e, dopo che la caserma fu occupata dalle truppe tedesche, riuscito a fuggire, si diede alla macchia.
Nell’ottobre del 1943 si unì alla brigata partigiana “Verona”, nel gennaio 1944 passò al Servizio informazioni alle dipendenze del “Servizio speciale interalleato” che faceva capo al tenente colonnello Victor G. Farrel a Ginevra, e più precisamente della sottorete del “Reseaux Rex” costituita dal tenente bresciano Aldo Gamba, alla quale ben presto aderì anche il fratello Antonio, sottocapo di marina, che operava in Liguria.
Rientrato a Verona da una missione nell’aprile 1944, fu informato che la Brigata Nera lo stava cercando. Rifiutò di mettersi in salvo, per non mettere in pericolo la famiglia.
Il figlio Nicola, che allora aveva otto anni, ricorda nitidamente quei giorni: la determinazione, risoluta e consapevole, del padre nel rifiutare di fuggire, il trambusto al momento dell’arresto e ancor più durante la perquisizione che mise a soqquadro la casa, ad opera dei militi alla ricerca di prove e oggetti compromettenti, senza risultato.
In realtà Armando Di Pietro aveva nascosto delle armi nel ‘segreto’ di un armadio – lo spazio vuoto che resta sotto l’ultimo cassetto, tra il piano di fondo di questo e quello dell’armadio stesso, cui si accede togliendo completamente il cassetto. I familiari lo sapevano bene, quindi vissero con grande ansia e trepidazione tutta la vicenda.
Quando i militi finalmente se ne andarono a mani vuote, Nicola e il fratello presero quelle armi e le portarono verso la campagna – allora la famiglia abitava dalle parti della chiesa di San Zeno, in periferia.
Trovarono un fosso un po’ profondo, un corso d’acqua, e ve le lasciarono cadere senza lanciarle, ma avvicinandole al pelo dell’acqua, e le videro affondare una ad una, lentamente, e sparire. Ancora oggi, nel rievocare quei momenti, Nicola Di Pietro ripete il gesto cauto, ma deciso, e rivive tutta la vicenda.
Era il 24 aprile 1944. Armando di Pietro fu incarcerato a Verona dal 24 al 30 aprile 1944, quindi trasferito a Milano, San Vittore dove subì torture ed estenuanti interrogatori. Fu trasferito a Fossoli verso il 9 giugno.
La famiglia non seppe della sua morte fino alla fine della guerra, quando ne fu informata dai comandi alleato e partigiano di Milano. Eppure nell’autunno la sorella di Armando Di Pietro aveva scritto per ben tre volte a don Venturelli, l’arciprete di Fossoli, per informarsi sulla sorte del fratello: ma ormai il campo era stato smobilitato, non c’erano più ‘politici’ ed evidentemente non esisteva nessuna lista su cui verificare nomi e destini.
C’era anche un fratello, Antonio Di Pietro, anche lui sottufficiale, ma di marina, e anche lui appartenente alla stessa rete di Servizi segreti del fratello.
Fu arrestato a Genova il 21 aprile 1944, dopo che il 6 aprile assieme a marinai francesi aveva sabotato, incendiandolo, un piroscafo tedesco carico di benzina a Ponte Caraccio, Genova. Fu trasferito anch’egli nel carcere di San Vittore, ove trovò i componenti del gruppo arrestati.
Il 9 giugno venne trasferito al campo di concentramento di Fossoli, il 21 giugno deportato nel campo di Mauthausen e quindi nelle miniere di carbone di Graz da dove il 9 novembre riuscì a fuggire, raggiungendo Verona il 24 dicembre 1944, dopo 46 giorni di marcia forzata ed inaudite sofferenze. Rifugiatosi presso amici per breve tempo, per potersi parzialmente ristabilire, si unì poi alle forze partigiane della zona sino alla fine del conflitto.
Morì in Verona il 16 aprile 1946, a seguito delle infermità e delle sofferenze.
Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004

Questa immagine l’abbiam già trovata mentre del tutto nuovo è il racconto del suo [di Lazzarini] arrivo ai piani dei Resinelli, sopra Lecco. Con lui vi è un personaggio di spicco della Resistenza bresciana, Lionello Levi destinato a essere paracadutato in val Camonica: “Giunti finalmente sul posto (zona di Lecco) ecco nel buio profondo, sotto le cime bianche di neve, sette minuscoli puntolini brillare nella notte: il campo di lancio a 1200 metri di quota, con quota di lancio quattromiladuecento. Vento di nord-ovest di 40 km. all’ora: pericoloso per la vicina presenza del Lago di Como. Dopo un giro di controllo […]La botola viene aperta ed i tre paracadutisti sono in fila: per ultimo il comandante. […] I primi due si lanciano assieme, poi tocca al comandante della missione che, fortunatamente, viene trattenuto dal direttore di lancio quando è già in bilico sulla botola: la fune di vincolo si è impigliata in una delle mitragliere laterali […] inizio della manovra di avvicinamento tirando i gruppi di fune del paracadute; manovra molto faticosa resa più difficile dal vento […] poi un tonfo sulla neve”.
La data citata in queste relazioni è il 6 febbraio 1945, nell’elenco delle operazioni effettuate con lanci paracadutati la data, è il 13 febbraio, l’incongruenza è comprensibile, la missione si chiama Dick ed è abbinata ad altre due missioni, Betty e Franconia. Gli uomini sono complessivamente dieci e la destinazione è la Valtellina, sull’aereo c’è anche Lionello Levi, importante esponente delle Fiamme Verdi bresciane, che non viene paracadutato nella zona del Mortirolo durante questa missione ma, per imprevisti meteorologici dovrà rientrare e ritentare: “Entrato in clandestinità, divenne uno degli ufficiali di collegamento di punta delle Fiamme Verdi, formazioni partigiane che operavano in Vallecamonica nelle quali giunse al grado di comandante di Divisione. In questa veste svolse una delicata missione nell’autunno del ’44 a Milano, dopo di che riuscì a superare la linea del fronte e raggiunse Roma, dove incontrò al Quirinale Umberto di Savoia e strinse rapporti con l’Oss (il servizio segreto militare americano). Fu questo a paracadutare Lionello Levi Sandri in Mortirolo il 13 febbraio 1945. Lì svolse un ruolo essenziale di raccordo fra partigiani e alleati fino alla Liberazione. Meritò la medaglia d’argento al valore per la battaglia del Mortirolo”.
Persona schiva, Lionello Levi non lascia corpose memorie soprattutto non decanta la sua missione al Sud e il conseguente ritorno in val Camonica, considera questo mandato parte integrante del suo compito nella resistenza.
Gabriele Fontana e Massimo Fumagalli, Giacinto Domenico Lazzarini, Associazione Culturale Banlieu

Una storia a sé è quella di «Il Ribelle» <25, foglio partigiano animato da cattolici che, fin dall’immediato dopoguerra, venne erroneamente identificato come un giornale democristiano, quando invece la sua identità apartitica <26 era stata inequivocabilmente dichiarata nel numero uscito il 30 settembre 1944. Il giornale, organo delle formazioni Fiamme verdi, nacque da un foglio ciclostilato diffuso dall’ottobre 1943, «Brescia libera» (che era arrivato a tirare 2.000 copie), dal quale ereditò il motto «esce come e quando può», ma venne sempre stampato – a Milano prima e a Lecco poi – fuori dalla città, divenuta ormai troppo insicura dopo la rappresaglia che aveva portato all’arresto e alla morte di due suoi importanti animatori, Astolfo Lunardi ed Ermanno Margheriti. Il giornale ebbe una tiratura iniziale, a stampa e con fotografie, di 15.000 copie e un’organizzatissima rete di distribuzione gli consentì di far arrivare i 26 numeri usciti non solo sui monti e le valli bresciane, ma anche in tutti i centri della Lombardia, del Piemonte, del Veneto, dell’Emilia, fino a Roma. Tra i tanti collaboratori, il cardine della redazione – che pur nelle notevoli difficoltà riuscì a far uscire anche gli undici Quaderni del Ribelle, dedicati ciascuno a un argomento monografico – era costituito da Enzo Petrini, Laura Bianchini e Teresio Olivelli, che nel secondo numero, programmatico, aveva indicato gli obiettivi del giornale nella ribellione integrale e nella rivolta morale. Dei Quaderni del Ribelle, testimonianza della volontà e della necessità di una riflessione più ampia, che andasse al di là della contingenza bellica, ricordiamo il n. 2, Uomo e ordine sociale [s.l., s.e.], di Laura Bianchini, il n. 4, Insipienza di una politica economica, Brescia, agosto 1944, di Giovanni Confalonieri, il n. 5, Le condizioni economiche e sociali dell’Italia nel dopoguerra, Brescia, 25 agosto 1944, di Franco Feroldi, il n. 10, La riforma della organizzazione sindacale, Val Camonica, ottobre 1944, di Lionello Levi.
Tra le iniziative editoriali maturate negli ambienti vicini alle Fiamme verdi, si deve segnalare la singolare pubblicazione, curata da un’insegnante elementare, di un giornaletto rivolto ai bambini: «Il Piccolo ribelle», pubblicato a Corteno Golgi, in valle Camonica (Brescia), dall’autunno del 1944 all’aprile del 1945.
Nell’aprile del 1945 uscirono anche quattro numeri di un giornale ciclostilato, «La Penna» – alla cui stesura lavorarono, tra gli altri, Ermanno e Giuseppe Dossetti -, settimanale della brigata reggiana Fiamme verdi, che sosteneva gli ideali di pace, giustizia, libertà e risurrezione morale per cui la brigata stessa era sorta. «La Fiamma» cominciò a uscire all’inizio del 1945 grazie all’iniziativa delle donne cattoliche.
25 V. l’appendice Breve storia di un giornale clandestino nel volume di A. CARACCIOLO, Teresio Olivelli, Brescia, La Scuola, 1947, pp. 195-205.
26 Sul foglio delle Fiamme verdi si affermava con decisione: «Noi del Ribelle non siamo liberali. – Noi del Ribelle non siamo democristiani. – Noi del Ribelle non siamo del Partito d’Azione, non siamo comunisti, non siamo socialisti, e non siamo neppure progressisti, né, Dio ce ne scampi, monarchici» («Il Ribelle», 30 set. 1944, 13, p. 3).
Daria Gabusi, La stampa della Resistenza, in Claudio Pavone (a cura di), Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, vol. II, Istituti, musei e monumenti, bibliografia e periodici, associazioni, finanziamenti per la ricerca, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma, 2006

 

Fonte: Carla Bianchi Iacono, art. cit. infra

In senso orario nel diagramma sono rappresentate, nei riquadri verdi, le organizzazioni e i gruppi in relazione agli obbiettivi che volevano raggiungere: Il VAI, Volontari Armati Italiani: organizzazione favorita dal governo Badoglio e composta da ufficiali del regio esercito, la cui anima fu il capitano di fregata Jerzy Sas Kulczycki. Reseaux Rex rete informativa con a capo il tenente di cavalleria bresciano Aldo Gamba, era costituita da militari, con l’intento di raccogliere informazioni sui movimenti dei reparti tedeschi, e, attraverso la Svizzera farle giungere ai servizi Segreti Inglesi, Francesi e Italiani. Le Fiamme Verdi, formazione Partigiana di ispirazione cattolica, che operava nelle valli delle prealpi Orobie, in prevalenza nella valle Camonica; non avendo finalità politiche al suo interno c’era una straordinaria varietà di posizioni. Le attività delle Fiamme verdi, erano per quanto possibile, pubblicate sul foglio clandestino “il Ribelle” comunicate da una rete di informatori, che si appoggiava alle tante parrocchie della zona. FUCI, la federazione degli universitari e dei laureati cattolici, che aveva come scopo di formare le nuove classi dirigenti in vista dell’ormai prossima caduta del fascismo; mentre la Carità dell’Arcivescovo, emanazione della Fuci (con altro nome esiste ancora oggi) dava aiuto alla popolazione milanese, stremata dalla guerra e dalla fame, tramite medici e avvocati in modo gratuito. OSCAR, Organizzazione Soccorso Cattolico Antifascisti Ricercati, che rese possibile l’espatrio di centinaia di persone di qualunque religione ricercate dalle numerose polizie politiche: creata da quattro insegnanti del Collegio San Carlo, Andrea Ghetti, Aurelio Giussani, Enrico Bigatti e Natale Motta, utilizzando dapprima i giovani scout delle Aquile Randagie e a cui si aggiunsero studenti universitari, laureati cattolici, e altri di differenti provenienze.
Queste strutture perseguivano gli obbiettivi indicati nei riquadri rossi, a volte collaborando fra loro, come è mostrato dalle frecce.
La suddivisione esposta non esaurisce tutta la resistenza dei cattolici milanesi; dal 1943 al 1945 hanno operato altri gruppi ma non si ha notizia che i loro appartenenti siano transitati dal campo di Fossoli.
Con il trasporto del 9 giugno arrivano a Fossoli i primi antifascisti di cui parlerò.
Il capitano di fregata Jerzy Sas Kulczycki, classe 1905 di origini polacche, nato a Roma, incaricato dal Governo Badoglio di costituire un esercito clandestino che si chiamerà Volontari Armati Italiani, senza identificazione partitica, da contrapporre alle formazioni partigiane che iniziavano a nascere.
Ai primi di gennaio del 44 si trova a Milano, per incontrarsi con alcuni rappresentanti del CLN, fra cui Ferruccio Parri e Carlo Bianchi. Ma il proposito di riunire tutte le forze militari stentò a nascere per la difficoltà di adeguare la loro complessa organizzazione all’attività clandestina di cui i militari non avevano alcuna esperienza.
Il tenente colonnello di cavalleria Luigi Ferrighi, classe 1889, arrivò al VAI attraverso il generale Luigi Masini delle Fiamme Verdi. Nonostante avesse partecipato a diverse campagne militari non aveva fatto una grande carriera perché non era “convenientemente fascistizzato”. In aggiunta, la sorella Silvia, insegnante al Liceo Parini, teneva riunioni serali ai suoi allievi ed ex allievi introducendoli ai concetti di libertà, di giustizia e di democrazia […] Carla Bianchi Iacono, Gli antifascisti cattolici a Fossoli, ANPC

Luigi Masini (Firenze, 26 ottobre 1889 – Bergamo, 15 marzo 1959). Generale dell’esercito, durante la guerra di liberazione fu comandante delle Fiamme Verdi, formazioni prevalentemente di orientamento cattolico attive nelle zone alpine del Bresciano e della Bergamasca. Collocato a riposo il 1 luglio 1945, entrò poi nel Psiup divenendo anche membro della direzione come responsabile degli uffici partigiani, reduci, combattenti. Lavorò in particolare all’Ufficio partigiani, reduci, combattenti di Milano.
Cesare Bermani, L’Ufficio difesa del Psiup e la riorganizzazione delle brigate “Matteotti” (1945-1946), Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, “l’impegno”, anno XVI, n. 2, agosto 1996

Comandanti delle Fiamme Verdi in Castello a Brescia – Fonte: Le vie della Libertà…, Brescia, 2005

Tra costituzione delle Fiamme Verdi e il Vai c’è un’oggettiva osmosi, secondo quanto racconta Marino Perversi 77.
Il comando militare del Vai doveva essere assunto dal gen. Luigi Masini, questa decisione è presa nel dicembre del 1943.
A sua volta il gen. Luigi Masini, nella scheda di smobilitazione del ten. col. Efisio Simbula (responsabile politico del Vai per la Liguria), lo dichiara Comandante Regionale della Liguria delle Fiamme Verdi.
Anche la ricostruzione fatta nella narrazione della partecipazione della Guardia di Finanza alla Resistenza non pecca di confusione tant’è che «il colonnello Malgeri prese contatti […] attraverso il tenente Cerola, con il Comando delle Divisioni Fiamme Verdi della Valtellina78».
Se diventa difficile rendere lineari le ricostruzioni post 25 aprile, quasi impossibile è dar conto della confusione degli ultimi mesi del 1943, le montagne sono luogo di ritrovo di centinaia di sbandati a cui si affiancano i prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia.
La confusione deve durare a lungo se, in un rapporto datato 28 luglio 1944 il Servizio informazioni del Comando Supremo (del Regno d’Italia), afferma: «Esistono inoltre gruppi di bande prettamente militari che si dichiarano apolitiche. Il più forte di tali gruppi è il cosiddetto Vai (Volontari Armati d’Italia) esistente nell’Italia settentrionale. Pare si tratti di un’organizzazione militare vera e propria, pur comprendendo sia militari sia civili: sarebbe inquadrato in una gerarchia dipendente da un Alto Comando, con Comandi regionali e provinciali. […] per quanto il Vai si professi apolitico è presumibile che il suo orientamento sia a carattere anticomunista79».
La linearità del racconto di Morelli lascia non definite le fasi iniziali dell’organizzazione e le loro certamente non trascurabili difficoltà, tutto è dato come semplice e organizzato centralmente 80 in linea con tutti i racconti della Resistenza: «Gli accordi presi con i responsabili dei Servizi Segreti alleati in Svizzera andarono lentamente rendendosi concreto […] La base delle Fiamme Verdi per i contatti con gli agenti alleati in Svizzera, da ora è Andrea Petitpierre (Michele Rovetta, Rovetta, Dedè)»81. A Petitpierre, che ha posto il suo recapito a Campocologno presso Tirano, fa capo una rete di collaboratori che rendono attivo quello che si chiamerà «il percorso Valtellinese» che
permette di arrivare a Tirano e da qui in Svizzera; le persone attive sono: Armida Morelli, mentre Giovanni Confalonieri è a Lecco e Teresa Fratus a Bergamo mentre a Milano ci sono Silvia Ferrighi e Maria Teresa de Angelis.
Il punto di riferimento in Italia è Enzo Petrini (Etta) «A Villa di Tirano, Petrini ha predisposto due recapiti fissi, presso Arturo Borserini (la cuoca) ed Armida Morelli. […] per sicurezza, Petrini ha previsto un solo contatto di recupero […] Bona Uccelli (Anna) di Milano»82.
Non sono indicate date precise dell’entrata in attività di questa catena di contatti, però qui si accenna a «dopo l’affannoso avvio dell’autunno del 1943» che lascia intravedere le difficoltà della messa in opera.
I suoi [di Andrea Petitpierre nda] collegamenti in Svizzera sono la Legazione di Berna del Regno del Sud, e con un certo disincanto, sia l’Oss americano che il Soe inglese.
Il 10 giugno 1944 un rapporto giudiziario del Comando Provinciale della Gnr di Brescia 83 denuncia i due fratelli Petitpierre, Andrea e Sandro, residenti a Brescia in via XXVIII ottobre n.18, che sono latitanti.
La loro imputazione, che comprende altre persone, si rifà a un episodio che risale al mese di ottobre-novembre del 1943 e comprende: l’attentato contro l’unità dello Stato, favoreggiamento bellico, incitamento alla guerra civile, associazione per delinquere.
Avuto sentore che sono controllati dalla Gnr a fine novembre 1943 i due fratelli, si rifugiano in Svizzera.
Andrè Petipierre si era dato da fare subito dopo l’otto settembre assieme a Perlasca per recuperare armi e mantenere un filo di collegamento con gli sbandati. Ospita in casa sua Eugenio Curiel che tiene i legami con Milano.
Il 29 ottobre si utilizza la sua conoscenza della Svizzera per tentare di cucire dei contatti con gli alleati, rientra il 21 novembre ma il fratello lo attende a Villa di Tirano e lo avvisa che ormai è ricercato; Andrea rientra di nuovo nella confederazione il 1° dicembre: vi resterà fino alla fine delle ostilità.
Qui curerà i contatti con gli alleati e con la Delegazione del Regno del Sud a Berna avendo come collegamento a Villa di Tirano Arturo Borserini e Armida Morelli84.
Capitolo II
L’azione dello stato maggiore dell’esercito del Sud
Non ci sono segnali di una presenza attiva d’iniziative organizzate nell’Italia occupata da parte del Regno del Sud sino alla fine di novembre, primi giorni di dicembre, 1943. Infatti, risale ai primi giorni di dicembre la definizione dei comandi regionali nella Z.O.85 e anche il distintivo che i patrioti dovevano apporre al bavero della giubba (sic!).
L’idea che dei combattenti clandestini si aggiustassero un distintivo (doppio nastro trasversale tricolore) in modo che la loro posizione fosse internazionalmente chiara e che le bande fossero gestite da un «comandante militare eventualmente appoggiato, per la parte relativa (sic!) agli elementi civili immessi […] dai comitati locali dei partiti»86 rende evidente come sia lontano non solo il concetto della guerra per bande, ma anche la conoscenza della situazione.
A questa incoscienza situazionale, si affiancano una confusione organizzativa e una mancanza di prospettive. L’iniziativa del Regno del Sud è minata all’origine non solo dalla non esaltante messa in scena della fuga da Roma, ma è il comportamento complessivo della casta militare sul campo di battaglia che ha lasciato un segno indelebile negli uomini che sono rientrati dai vari fronti: si arena in un serie di vorrei ma non posso che rendono ancor più diffidenti i comandi alleati87.
Sono i singoli uomini che prendono in mano la situazione: a un Umberto Utili nel Sud che riesce a farsi accettare dagli Alleati, corrisponde un Jerzy Sas Kulczycki che nel Nord tenta di tirare le fila di una rete dei militari.
I militari di professione però, non riescono a comprendere che si è innescato un movimento che li relega nelle retrovie.
[…] è il coinvolgimento diretto del Regno del Sud che viene a mancare.
Anche perché per arrivare in Z.O., per far pervenire materiali e risorse occorre appoggiarsi agli alleati i quali a loro volta si trovano in concorrenza tra loro: da una parte l’Oss americano e dall’altra il Soe inglese.
Alla normale differenza di vedute, ora si debbono aggiungere le simpatie repubblicane e quelle monarchiche che ci sono in entrambi i campi ma soprattutto la diffidenza nei confronti di un Governo che oltretutto ha gestito in modo misero l’armistizio. […] Ne è un espressivo esempio la sconfitta del progetto del gen. Giuseppe Pavone88 relativo ai Gruppi Combattenti Italia e le difficoltà che incontra il gen. Utili nel costruire forze combattenti che si affianchino all’esercito degli alleati che sale verso il nord.
Ha molto più buon gioco Sogno che, dopo aver attraversato il fronte verso il sud, progetta il suo ritorno al nord come collaboratore del Soe. È lui che diventa il raccordo con le bande badogliane, è presente nel Cln di Torino come rappresentante del Pli, in altre parole è la sua organizzazione, La Franchi, che è portatrice di un progetto politico ben più radicato nel quotidiano che quello propugnato dallo Stato Maggiore dell’Esercito del Sud.[…] la cattura di parecchi suoi uomini compreso il comandante, Kulczycki che è catturato a Genova il 15 aprile.
La scomparsa del Vai rende evidente la difficoltà del Regno del Sud nel costituire le strutture armate di resistenza […] la cattura di questi militari taglia le gambe ad una organizzazione che aveva i piedi di argilla e lascia aperta la strada a forme di combattimento che troveranno la loro dimensione sia nelle bande autonome, i fazzoletti azzurri e verdi, che nelle bande garibaldine o di Giustizia e Libertà.
Dell’incapacità dei militari nel muoversi, in Lombardia, sul terreno delle organizzazioni armate di montagna è sintomo il fatto che sia nel bresciano, sia nella bergamasca, è il clero che fornisce o direttamente, il comandante, don Antonio Milesi, o la direzione politica, don Carlo Comensoli; è illuminante invece l’indecisione, per non dire di peggio, del Comandante dei Carabinieri di Sondrio Edoardo Alessi.
Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fa riferimento al Regio Governo del Sud89 non è poca cosa
[…] nella zona della valle Taleggio Piero Pallini cerca di tessere una rete di collegamenti in contatto con il gruppo di Carlo Basile mentre un altro militare, Davide Paganoni di Lenna assume una posizione più distaccata.
Nella stessa zona si muove uno strano prete-combattente che abbiamo già incontrato, don Antonio Milesi che a fine guerra esibirà il suo legame con il Soe.
Nella zona della Valcamonica i vari militari che daranno poi vita alle Fiamme Verdi e che avranno nel generale Luigi Masini il loro referente90.
I militari trovano il loro terreno, quello delle armi, conteso da forme organizzative che, o disprezzano come le bande infestate dal comunismo o che fanno fatica a comprendere: i civili armati. Forse frastornati dall’apparire di questi nuovi soggetti, le ombre che raccolgono le armi che i militari abbandonano, coscienti di un loro ruolo e legati a un giuramento che sembra restare l’unica cosa certa, questi uomini che fanno parte della rete dei militari in Spe che non aderiscono alla Rsi spesso vanno incontro a un tragico destino.
Ne è un esempio il generale di brigata Giuseppe Robolotti nato a Cremona il 27 dicembre 1885. Comandante della Zona militare di Trieste nell’aprile del 1943, dopo l’armistizio ha tentato di opporre resistenza alle truppe tedesche. Sfuggito alla cattura e riparato a Milano, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia gli affidò il comando militare della Piazza nel capoluogo lombardo. Assolse l’incarico fino al 25 maggio 1944, quando fu arrestato a Milano col generale Bortolo Zambon e altri resistenti, nell’ambito di una operazione tesa alla cattura dei militari che collaboratori del Cln. Robolotti fu incarcerato a San Vittore sino al mese di giugno, quando è deportato nel campo di transito di Fossoli. All’alba del 12 luglio i nazisti lo fucilarono nel Poligono di tiro nella frazione Cibeno con altri 66 resistenti91.
La condizione di debolezza nella costruzione di una Resistenza monarchica non vuole però significare che i militari, e comunque casa Savoia e il Regno del Sud, non siano poi in grado di recuperare il terreno e presentarsi, all’ appuntamento del 25 aprile 1945 con molte cartucce nelle giberne92.
Diversa è la storia delle migliaia di militari che salgono sui monti dal Piemonte al Friuli attraversando gli Appennini e, stante una dura revisione del proprio ruolo, combatteranno nelle bande partigiane. Di questa evanescente organizzazione, il Vai, si conosce poco. A Milano è Maria Bottoni che catturata dallo Sd e incarcerata a San Vittore il 15.03.1944 (mat. 1678) viene ricondotta al Vai. Era la segretaria di Parri nella ditta Edison e, secondo quanto afferma Antonio Colognese, aveva documenti che si riferiscono alla rete dell’organizzazione93.
Tra la fine dell’aprile e il maggio 1944 si può con certezza affermare che un buon numero degli uomini del Vai si ritrova nel campo di Fossoli, compreso il comandante Kulczycki, il responsabile politico della Liguria Filippo Gramatica, il suo sostituto Renato Piccinino e Giuseppe Palmero un membro della Giovane Italia94.
Un’operazione di polizia ha portato all’arresto di diciannove persone a Milano, tra le quali gli uomini ai vertici dell’organizzazione resistenziali.
Sono incarcerati a San Vittore il 25 maggio 1944: Enrica Caserini Bassi mat. 2175, Alessandro Beltracchini mat. 2176, Giuseppe Robolotti mat. 2177, Gino Marini mat. 2178, Bortolo Zambon mat. 2179, Mario Benedetto mat. 2180, Ida Bevali mat. 2181, Agata Carletti mat. 2182, Primo Maggiori mat. 2183, Ettore Nulli mat. 2184, Decio Nulli mat. 2185, Carlo Granelli mat. 2186, Margherita Della Negri Baggini mat. 2187, Elvira Robolotti Dal Col mat. 2188, Giovanni Robolotti mat. 2189, Vittorio Castelli mat. 2190, Agnese Borgonovo Scurati mat. 2191, Leonida Bellini mat. 2192, Vittorio Gasparini mat. 2193.
Di altri militari e civili non siamo in grado di definire con certezza un’appartenenza organizzativa: il tenente Antonio Manzi che è incarcerato il 20.04.1944 a San Vittore mat. 1954, che era stato preceduto dalla ligure Annamaria Martini il 16.04.1944 mat. 1937. Manzi è catturato a Lenna in val Brembana, Martini in Liguria, altri lo sono a Torino.
Lo sguardo sugli effetti della repressione che abbraccia l’intero nord dell’Italia occupata c’è utile per comprendere l’estensione della reta e la caparbietà con cui i fascisti e i tedeschi perseguono la repressione.
Tutti i militari sono membri del Vai?
Crediamo proprio di no: essere militare in un paese in guerra diventa un elemento normale per gli uomini dai 18 ai 40 anni; è anche ovvio che conseguentemente all’armistizio dell’otto settembre ci sia stato il tentativo di organizzare i militari fuori da una rete informativa.
Sono altrettanto naturali le sovrapposizioni tra le organizzazioni: membri del Vai e nello stesso tempo legami con i Cln o con reti d’informazioni come il gruppo Otto, l’Ori95 e anche il Sim.
Chiarisce quanto si vuole qui affermare il percorso di Aminta Migliari, Giorgio, promotore e comandante del Servizio informazioni patrioti (Sip), costituito nella primavera del 1944.
Inizialmente la rete informativa è costruita localmente per il gruppo partigiano (autonomo) di Alfredo Di Dio dopo il 13 febbraio 1944.
Nel marzo 1945 diventa Servizio informazioni militari Nord Italia (Simni), che vede ampliata la rete di agenti e informatori dalla zona novarese, originaria, a quasi tutte le regioni dell’Italia settentrionale.
Migliari è stato altresì commissario di guerra del raggruppamento divisioni Alfredo Di Dio, in stretti rapporti con la missione dell’Oss Chrysler, paracadutata nella zona del Mottarone nel settembre 1944, e in stretti rapporti con la Democrazia Cristiana.
Si stabilizzano una serie di rapporti tra i militari che non sempre trovano la loro naturale conclusione in una struttura organizzativa che fa riferimento a brigate combattenti anche se la memorialistica tenderà a definire comandi e formazioni dopo il 25 aprile. Nell’inverno 1943-1944 la ricerca di una via d’uscita alle semplici rete informative trova nei militari gli uomini che hanno avuto esperienze contigue e hanno certamente sviluppato anche quello che si chiama Spirito di Corpo.[…]
77 P. PAOLETTI, Volontari Armati Italiani (V.A.I.) in Liguria (1943-1945), cit. p. 8.
78 Cfr. atti del convegno organizzato dal Museo storico della Guardia di finanza : sala Alessi, Palazzo Marino, Milano 26 aprile 2005; La Guardia di finanza nella Resistenza e nella liberazione di Milano, Accademia della Guardia di finanza, Bergamo, 2006, p. 67.
79 Situazione bande armate dell’Italia settentrionale e centrale” relazione del Servizio informazioni del Comando Supremo, citato in G. PERONA, Formazioni autonome nella Resistenza, documenti, cit., p. 71. Questa relazione, oltre ad arrivare con grande ritardo in quanto il Vai ha ormai perso ogni possibilità di organizzarsi, dimostra anche la confusione esistente in campo monarchico. Se un servizio informazioni non riesce a delineare le strutture interne al proprio campo d’azione, che è il Governo del Sud, significa che i soggetti in azione sono molteplici e scoordinati.
80 Le Fiamme Verdi nascono come un’organizzazione separata dalla spinta del Regno del Sud. L’iniziativa viene presa da Gastone Franchetti, nativo della Garfagnana, residente a Riva del Garda dove si era trasferito il padre che lavorava nella costruzione della strada Gardesana sulla sponda occidentale del lago di Garda. Volontario negli Alpini, combatte sul fronte occidentale e poi in Grecia e Albania. Nel 1942 viene nominato sottotenente e trasferito al 9° rgt. Alpini comandato dal gen. Luigi Masini. «Franchetti, dunque, iniziò ad organizzare il movimento e disse che occorreva incontrarsi con gli esponenti degli ex-alpini… specialmente degli ex-ufficiali alpini… Fu così che si tenne una adunanza a Brescia, in casa dell’Ingegner Piotti, che era – ironia del destino – console della milizia forestale… una bravissima persona. Fu in questa casa – che in un certo senso era più sicura delle altre – che si tenne questa riunione, […].
Non ricordo esattamente quante persone erano presenti, né chi potessero essere
c’era il delegato dei reduci alpini di Novara, di Lecco, di Bergamo, di Brescia, di Verona, di Desenzano, del Basso Garda, della Val Camonica, della Val Trompia, della Val Sabbia… c’erano Margheriti e Lunardi e qualche altro… Ricordo che, a un certo punto, Bettoni disse: «Ragazzi, ricordatevi che se volete fare qualcosa dovete avere un’organizzazione. Se non avete un’organizzazione che tiene in piedi il resto, cosa potete fare? Ben poco… regolatevi!». Fu così che iniziammo a tentare di mettere in piedi una organizzazione che non era politica, ma che sarebbe stata condotta con criteri paramilitari della guerriglia, con i suoi cappellani e le persone di collegamento. Stabilimmo con Franchetti di creare una base operativa a Brescia e lì nacque il primo nucleo del nostro movimento, che una volta organizzato sarebbe stato affidato al comando del generale Luigi Masini, che prese il nome convenzionale di Fiori”. In concreto, nelle settimane che seguirono, furono organizzati tre battaglioni: Battaglione della Val Sabbia, Battaglione della Val Trompia, Battaglione della Val Camonica. Allo stesso tempo, si convenne di prendere contatto con le province di Bergamo e di Cremona, dopodiché avremmo preso contatto con alcuni responsabili del CLN »; La Fiamma Verde, Testimonianza di Enzo Petrini, classe 1916, Raccolta il 14 aprile 2005 da Juri Meda in http://www.bdp.it/db/docsrv/A_grad/Testimonianza%20di%20Enzo%20Petrini.pdf. Copia in possesso dell’autore, ultimo contatto 3.12.2017.
81 D. MORELLI, La montagna non dorme, cit., p. 39.
82 Ivi, p. 40
83 Isrec BG, La Resistenza bresciana. Rassegna di studi e documenti, n.1, Istituto Storico della Resistenza bresciana, pp. 47-58.
84 Alcuni articoli di André Petitpierre con la firma Pietra Piccola sul settimanale Brescia Lunedì dal 20.10.1946 al 23.09.1946. Con la firma di cap. Michele Rovetta scrive su Il Ribelle numero unico del 25.04.1946, citati in La Resistenza bresciana. Rassegna di studi e documenti, n.1, Istituto Storico della Resistenza bresciana, p. 58. Alla rete ufficiale del Clnai per i contatti con le sedi dell’Oss e del Soe in Svizzera si affianca una moltitudine di collegamenti tra cui quella dei fratelli Petitpierre e la rete di Aldo Gamba, ten. K del Sim. Una parte della storia di quel periodo in: A. GAMBA, Documenti sulla resistenza italiana: i notiziari segreti dell’Ufficio informazioni dello Stato maggiore dell’Esercito della Repubblica sociale italiana, Brescia, 1961; anticipazioni in D. MORELLI, La montagna non dorme, cit., p. 64.
85 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, UFFICIO STORICO, L’azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15.
86 «Le direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15. (Riservate alla persona dei Comandanti militari regionali e dei loro più immediati collaboratori).» sono in data 10 dicembre 1943: Ivi, p. 149-154.
87 Sull’evoluzione dei contatti con gli alleati si rimanda a: T. PIFFER, Gli alleati e la Resistenza italiana, cit.
88 Cfr. A. ALOSCO, Il Partito d’Azione nel ‘Regno del Sud’, Alfredo Guida, Napoli, 2002, pp. 61-63.
89 Una sintesi della presenza delle formazioni militari che fanno riferimento al Regno del Sud la si trova in C. CERNIGOI, ALLA RICERCA DI NEMO una spy-story non solo italiana, dossier n. 46, Supplemento al n. 303 – 1/5/13 de La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste 2013. Per una analisi più articolata, Cfr. G. PERONA (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza, documenti , cit., p. 19-31.
90 Fondo: Morelli Dario, Serie: Forze partigiane e di liberazione, Sottoserie: Cvl – Fiamme verdi, Fascicolo: Cvl – Quartier generale del raggruppamento Fiamme verdi, Busta 31, Fasc. 276.
91 Il 12 luglio del 1944 al poligono del Cibeno presso Carpi vengono fucilati 67 prigionieri del vicino campo di Fossili, tra di essi il col. del Savoia Cavalleria Luigi Ferrighi. Cfr. A. L. CARLOTTI (a cura di) L. MELA, P. CRESPI, Dosvidania, Savoia cavalleria dal fronte russo alla Resistenza: due diari inediti, Vita e pensiero, Milano, 1995; vedi anche: Insmli, fondo Ostéria Luca, Busta 1, Fasc. 8, fasc. “Zambon e C[company]. Gnr di Brescia. 25 – 5 – 1954 [recte 1945]”.
92 Nella vicina Como, è il Ten. Col. Giovanni Sardagna ad essere ritenuto legato al Vai. Uomo di fiducia del gen. Cadorna che ricopre la carica di ispetttore generale nel Comitato militare del CLN comasco e che diventa il referente militare nei giorni insurrezionali.
93 A. COLOGNESE, Venti mesi di lotta partigiana, Stab. grafico P. Castaldi, Feltre, 1947, p. 52. Cfr. P. PAOLETTI, Volontari armati italiani (V.A.I) in Liguria (1943-1945), cit., p. 62.
94 Ivi.
95 La Otto prende il nome da Ottorino Balduzzi primario di neuropsichiatria dell’ospedale S. Martino di Genova, comunista. Cfr. Relazione sull’attività dell’Organizzazione Otto, Insmli, fondo CVL, b. 42, fasc. 4, sottofasc. 5; R. CRAVERI, La campagna d’Italia e i servizi segreti: la storia dell’ORI (1943-1945), Genova, 2009.

Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu

Obiettivo di questo libro, frutto di un’attenta ricerca, è portare un contributo storico al V.A.I., formazione anticipatrice del Corpo Volontari della Libertà, trascurata dalla storiografia partigiana resistenziale italiana.
Sorta nel 1943, per volontà del capitano di fregata Jerry Sas Kulczycki (arrestato a Genova e fucilato il 12 luglio del 1944 a Fossoli), questa organizzazione clandestina, senza condizionamenti politici esterni, aveva come scopo primario liberare la patria dall’occupante.
I Volontari Armati Italiani (che annoverano tra i membri liguri tre Medaglie d’Oro e una d’Argento) contribuirono anche alla difesa degli impianti industriali e portuali genovesi e favorirono l’operato dei Servizi Segreti alleati.
Preziose fonti d’informazione per la stesura del testo sono state l’Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, l’Istituto Nazionale Studio Movimento di Liberazione in Italia di Milano, l’Istituto Ligure per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, l’Archivio di Stato a Roma e Genova, quello della Marina Militare a Roma.
Altre testimonianze, spesso inedite, provengono da archivi privati e libri pubblicati in proprio da ex membri del V.A.I.
Un ringraziamento particolare va ad Annita Borghesi, Giovanni Battista Gramatica, Vittorio Kulczycki, Marco Merella, Sergio Spolidoro, Victor Uckmar, Paola Macelloni, nonché agli scomparsi Marco Caparra, Renato Piccinino e Albert Materazzi.
INTRODUZIONE
I Volontari Armati Italiani (V.A.I.), una delle prime organizzazioni clandestine, dedita alla raccolta delle informazioni e alla costituzione di bande armate in unità d’intenti fra tutti i partiti, anticipatrice del Corpo Volontari della Libertà, sono oggi praticamente scomparsi dalla memorialistica italiana. Solo recentemente sono stati citati in una pubblicazione’ sul salvataggio del porto di Genova. Ma la menzione è dovuta solo al fatto che a capo del controspionaggio partigiano vi era un membro del V.A.I., il cap. Salvatore (Vito) Pavano.
Un membro del V.A.I., il cap. Ettore Soldi, scriveva che all’inizio uno dei compiti dell’organizzazione fu quello di “sedare le divergenze politiche tra i diversi partiti, cui le bande appartenevano, convogliandone gli intenti verso un unico scopo: il bene della Patria comune”. Il V.A.I. incarnava l’esigenza di un coordinamento fra tutte le formazioni partigiane, fu l’organizzazione militare che per prima ebbe rapporti con i servizi segreti alleati in Svizzera e con la Legazione italiana a Berna. Fu la prima organizzazione clandestina riconosciuta dal Comando Alleato. Nacque su iniziativa del capitano di fregata Jerzy Sas Kulczycki ai primi del 1944 e visse fino al 1946 come formazione apolitica, meglio apartitica, “rispettosa di ogni personale opinione, purché rispettosa del bene della Patria”’. Se è vero che il porto di Genova “fu salvato in Svizzera”, perché furono i servizi segreti svizzeri a far incontrare il capo dei servizi segreti americani Allen Dulles e il capo delle SS, Karl Wolff, e il primo impose al secondo di rispettare gli impianti industriali e i servizi di pubblica utilità nelle città italiane, è anche vero che poi, a Genova, ci fu bisogno dell’intervento del controsabotaggio partigiano. E questo diventava proficuo se otteneva le informazioni al momento opportuno. Anche in questo caso il V.A.I. portò il suo contributo.
[..]
Paolo Paoletti, VOLONTARI ARMATI ITALIANI (V.A.I.) IN LIGURIA, editore FRILLI EDITORI, edizione 2009 da AstiLibri

Parte della relazione del colonnello Simbula su Rurik Spolidoro – Fonte: Marco Capurro

Il maggiore Enzo Stimolo (Corvo), che partecipò all’epoca delle giornate di Napoli alla rivolta, sembra, dai documenti, classificabile come un partigiano fortemente colorato politicamente. Rurik [Spolidoro] faceva parte del suo gruppo, insieme ad altri ufficiali, e , contemporaneamente, faceva parte del V.A.I. agli ordini del Tenente Colonnello Efisio Simbula. L’avviso di Rurik alla sua famiglia a non fidarsi del maggiore Stimolo (perchè pericolosamente “chiaccherone”), parrebbe far ritenere una possibile (e devo ritenere non certo casuale, perchè trattavasi di persona assai esperta) collaborazione o partecipazione, diretta o indiretta, dello Stimolo alla sua cattura o a quella di altri. Dovessi fare un’ipotesi un po’ dietrologica (assai spiacevole) direi che Rurik (che era intelligentissimo e tutt’altro che comunista) dubitasse la possibilità di essere stato “venduto” in cambio di qualcosa, la liberazione di qualcun’altro o la trascuratezza verso qualcun’altro. D’altra parte anche mio padre, Stelio Capurro, ordinario di Embriologia e Istologia all’Università di Genova, mi confermò la certezza che Rurik fosse stato tradito, e da persona insospettabile che occupava una posizione rilevante nel movimento di liberazione. Non posso pensare si trattasse del maggiore Stimolo, ma, forse, di qualcuno della sua cerchia. Erano momenti maledetti. […]
Marco Capurro

Nel 1945 prosegue l’avanzata delle truppe alleate e diversi sono gli atti che i carabinieri compiono nelle file della Resistenza contro il nemico nazista. A Ciano d’Enza (Reggio Emilia) il carabiniere Domenico Bondi appartenente al 3° Battaglione ‘Fiamme Verdi’ dopo un conflitto a fuoco con i tedeschi, sebbene opponga una strenua resistenza, viene fatto prigioniero. Torturato per due settimane non rivela niente sui compagni. L’unica sua risposta è: “Sono un carabiniere, da me non saprete altro” <81. Viene fucilato il 26 gennaio 1945.
81 Ferrara 1978: 113.
Nicola Raucci, La scelta dei Carabinieri. 1943-1945, Academia.edu

Questo non vuol dire che dovunque ci sia un riconoscimento incontrastato della funzione del Cln: le Fiamme Verdi bresciane o Bandiera Rossa a Roma sono due esempi, ma una realtà come le formazioni autonomome racconta ancor di più di un’ampia comunità in cui vivono realtà, idee, modi di vita diversi. Anche nell’alta valle tenere a freno le spinte al combattimento non deve essere stato facile: l’estromissione di Masenza non è mai stata spiegata e anche la presenza delle Fiamme Verdi valtellinesi <66 tende a raccontare una storia diversa.
66 Il termine Fiamme verdi valtellinesi, lo si trova in G. RINALDI, Ribelli in val Grosina. Alta Valtellina. Pagine di storia vissuta, ANPI comitato provinciale di Sondrio, Issrec, Grosio, 2012; P. VALMADRE, A Grosio l’eroismo al femminile in: atti del convegno: Resistenza al Femminile. Ina dei Cas e le donne nell’antifascismo, Issrec, 1993.
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu

Dopo la laurea in lettere conseguita nel 1937, Ermanno Dossetti svolge il servizio militare di leva e con lo scoppio della guerra viene richiamato nella Divisione di fanteria “Sforzesca” nella campagna di guerra in Albania-Grecia.
L’attività di organizzazione politica, iniziata dai fratelli Dossetti sin dal periodo badogliano sotto il paravento del Centro studi socialcristiano e svolta in clandestinità durante l’occupazione tedesca appoggiata dalla RSI nell’ambito del CLN, aveva reso pericolosa la loro permanenza in città sicché, nel marzo 1945, raggiungono la montagna, a Costabona, unendosi alle Fiamme Verdi di don Carlo.
Nell’azione partigiana porta la sua esperienza militare che comprende ovviamente anche l’uso delle armi. L’onorevole Marconi, con il suo ben noto gusto del paradosso, in occasione della coraggiose prese di posizione di Ermanno Dossetti come deputato DC, avverso alla guerra degli USA in Vietnam, gli indirizzerà una lettera, chiedendogli come conciliava il suo attuale deciso pacifismo con il fatto che come partigiano era sempre ben armato mentre lui, Marconi, armato non lo era mai stato. Esiste, infatti, in proposito, la ben nota foto che lo vede ritratto, ben fornito di armi, in mezzo ai partigiani delle Fiamme Verdi in Reggio liberata.
Danilo Marini, Attivo Resistente. In memoria di Ermanno Dossetti, Ricerche Storiche, Istoreco di Reggio Emilia n. 105 – aprile 2008

La 284ª Brigata Fiamme Verdi Italo, formazione indivisionata all’interno del Comando Unico Zona montagna, al 20 aprile 1945 contava un totale di 493 uomini, ripartiti in tre battaglioni, per un totale di 10 distaccamenti: del primo battaglione facevano parte i distaccamenti Folgore, Z.R e Zanichelli; del II i distaccamenti Filippi, Caluzzi, Baracca; del III, il Don Pasquino Borghi, il Manfredi, il Lanzi e il distaccamento sabotatori Santa Barbara.
Il comando di Brigata aveva don Domenico Orlandini Carlo come comandante; Casto Ferrarini Candido come suo vice; e commissario e vice commissario erano rispettivamente Giacomo Melandri Romagna e Ivo Ghinoi Piero.
La brigata, unica appartenente alle Fiamme Verdi nella provincia reggiana e dipendente solo dal Comando Unico di zona, nacque tra l’agosto e il settembre 1944 nel quadro di una riorganizzazione generale dei distaccamenti in seguito alla crisi generata dal «grande rastrellamento estivo» e si sviluppò attorno alla figura di don Domenico Orlandini Carlo, che rimase comandante di brigata dall’inizio alla fine.
Al 15 agosto 1944, la brigata, ancora in fase di costituzione, era formata da un centinaio di uomini, suddivisi in tre distaccamenti, dislocati rispettivamente a Poiano, Prade di Secchio e Deusi di Secchio, per poi essere spostati a fine settembre, su decisione del Comando Unico di zona, nei pressi di Ligonchio insieme al Battaglione della Montagna (formato dai distaccamenti Bagnoli, Montanari e Plotone Mortai): l’unione dei tre distaccamenti Fiamme Verdi con il Battaglione della Montagna (garibaldino ma dipendente dagli ordini di Carlo per esigenze strategiche), nel “Comando Fiamme Verdi e Battaglione della Montagna”, durò per il solo mese di ottobre; al termine del quale il Battaglione confluì nuovamente nelle formazioni garibaldine.
A dicembre, su decisione del Comando Unico e della Missione Inglese, la brigata – ormai forte di 300 uomini, suddivisi in tre battaglioni da tre distaccamenti ciascuno – fu dislocata nella zona compresa tra il Secchiello e il Dolo: un battaglione a Gova; uno a Costabona; e il terzo a Quara, a difesa del campo rifornimenti aviotrasportati.
Vi era, in realtà, anche un quarto battaglione, proveniente dal modenese e confluito nella brigata il 22 dicembre, dislocato tra le località di Toano Massa e Manno ma, per mancanza di armi e di coesione degli arruolati, sul piano operativo fu del tutto inefficiente (venne poi sciolto definitivamente l’11 febbraio 1945).
Il 20 gennaio 1945, con effetto dal 1 febbraio, secondo il decreto del ministro Casati, la 284ª Brigata Italo venne riconosciuta come reparto regolare dell’Esercito Italiano con la denominazione di “Battaglione Fiamme Verdi del Cusna”: unica brigata reggiana ad ottenere tale riconoscimento, prima della fine del conflitto.
(Chiara Cecchetti)
Comando Militare Nord Emilia. Dizionario della Resistenza nell’Emilia Occidentale, Progetto e coordinamento scientifico: Fabrizio Achilli, Marco Minardi, Massimo Storchi, Progetto di ricerca curato dagli Istituti storici della Resistenza di Parma, Piacenza e Reggio Emilia in Rete e realizzato grazie al contributo disposto dalla legge regionale n. 3/2016 “Memoria del Novecento. Promozione e sostegno alle attività di valorizzazione della storia del Novecento”