Trieste e Venezia Giulia tra spioni del servizio Nemo e miliziani di Tito

Trieste – Fonte: Wikipedia

Qualche anno fa, nell’ambito delle mie ricerche sui collegamenti tra Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia ed il Comitato di Liberazione Nazionale triestino, mi sono imbattuta in una struttura piuttosto misteriosa: la “rete” o “missioneNemo, per conto della quale sembrava essere giunto a Trieste il capitano di corvetta Luigi Podestà, che ebbe dei contatti piuttosto stretti con il commissario Collotti dell’Ispettorato Speciale e con i dirigenti della SS, e che definire ambigui è quantomeno riduttivo.
Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

Se vogliamo capire gli avvenimenti politici e militari nella zona del Nordest nei mesi del 1944-1945 (Trieste soprattutto) è necessario mettere a fuoco le caratteristiche e le finalità della missione “NEMO”, un servizio di informazioni militari collegato con il Regno del Sud (governo Badoglio di Brindisi dopo l’8 settembre 1943) e con l’Intelligence Britannica prima e con l’OSS (Office of Strategic Services) statunitense poi.
NEMO nasce come “gruppo speciale” dello STATO MAGGIORE REGIO ESERCITO. Dopo aver assunto una provvisoria denominazione (810° Italian Service Squadron n.1), facente parte della Special Force comandata dal maggiore Maurice Page e dal maggiore Luigi Marchesi (già capo di una sezione del SIM – Servizio Informazioni militari) trasferisce il comando a Napoli nel dicembre 1943.
NEMO si avvaleva della “Branca Operazioni Civili” (maggiore De Han) e della “Sezione sovversione” del maggiore Page. Nel giugno 1944 l’organizzazione si sposta a Roma ed è nella capitale liberata che vengono prese decisioni importanti per i territori del Nord Italia occupati dai tedeschi e dai fascisti. NEMO da Roma favorisce la nascita della formazione clandestina “Franchi”, operazione voluta dal SIM badogliano in risposta agli ostacoli frapposti dall’Intelligence del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI).
Al Nord non si voleva lasciare troppo spazio alle manovre delle forze monarchiche badogliane. C’è poi da dire che gli inglesi lavoravano per una soluzione post bellica che vedesse la monarchia sabauda alla guida dell’Italia, mentre gli americani dell’OSS erano più possibilisti e preferivano una soluzione democratica simile al panorama politico del loro Paese.
[…] Dopo i primi arresti che scompaginano il CLN triestino (i dirigenti politici vengono tutti arrestati) in città nel 1944 rimane attivo solo il PCI ed il Partito d’Azione. In primavera si ricostituisce un CLN che manca però di contatti con il Comitato di Liberazione Alta Italia di Milano. Anche se poi il collegamento informativo verrà ristabilito mediante l’invio a Trieste dell’ing. Mario Emilio Ponzo, colonnello del Genio Navale, agente della rete NEMO.
Il CLN triestino comunque cercava di consolidare una collaborazione con l’Osvobodilna Fronta (OF-Fronte di Liberazione), formato da sloveni e italiani in collegamento con il IX Korpus dell’esercito di liberazione jugoslavo.
La collaborazione con la parte slava era fin dall’inizio un problema assai delicato. Il presidente del CLNAI Alfredo PIZZONI “Longhi”, contattato da Gaeta, dal prof. Carlo Schiffrer (PSI) e da Giorgio Bacolis, ottiene un incontro con il dirigente del CLN di Udine, l’avvocato Giovanni Costantini.
Pizzoni, durante l’incontro spiega ai suoi ospiti che, prima di avvicinare i rappresentanti della resistenza slava, occorreva redigere una bozza di programma per Trieste, in cui si sarebbe chiesto (come da suggerimento inglese) che la città fosse dichiarata “città libera” e che non ritornasse all’Italia. Questa mossa era finalizzata ad impedire il passaggio (al momento del crollo tedesco e fascista) al totale controllo jugoslavo del IX Korpus.
L’idea era il frutto di colloqui tra il ministro degli esteri di Badoglio, conte Carlo SFORZA, e gli azionisti Leo VALIANI e l’avvocato triestino Emanuele Flora. Ne consegue un confuso accenno a liste di proscrizione o di eliminazione di parte jugoslava nei confronti di cittadini italiani.
Nel CLNAI le acque si agitano, i dirigenti capiscono poco la situazione giuliana e chiedono garanzie: un membro del CLNAI all’interno del CLN giuliano, per avere il quadro della situazione. Ma ormai le prese di posizione degli azionisti avevano provocato una campagna politica antislava.
Il risultato di questo fermento voluto dal partito d’azione di Trieste condiziona la discussione sulla “città libera”, gli azionisti non vogliono accettare una soluzione che veda Trieste staccata dall’Italia.
“Il nuovo delegato comunista che si presenta al CLN, Giuseppe Gustincich, formula due richieste preliminari: che si riconosca essere desiderio della maggioranza della popolazione locale, Italiani compresi, di unirsi alla Nuova Jugoslavia, e che si accolga in seno al Comitato un rappresentante sloveno. Osserva Carlo Schiffrer, membro del CLN : « Accettare queste proposte avrebbe significato per i dirigenti italiani compiere un atto di abdicazione politica nei confronti degli slavi. Naturalmente fu opposto un netto rifiuto e il delegato comunista non si fece più vedere » (da E. Maserati: L’insurrezione italiana a Trieste e l’intervento jugoslavo).
Da Milano si ordina di mobilitare al massimo le formazioni partigiane nella lotta contro i nazifascisti. Questo significa che il CLN giuliano (da ottobre 1944 composto da socialisti, democristiani e liberali, senza contatti con Milano) dovrebbe moderare le sue prese di posizione antislave. Ma nel corso degli incontri con gli slavi della OF sorgono notevoli contrasti (Leo VALIANI ribadisce la linea della difesa assoluta dell’italianità di Trieste, Fiume, ecc.). Il CLNAI alla fine mantiene rapporti regolari solo con il PCI, fino al dicembre 1944 quando arrivano a Trieste gli “agenti” della NEMO (Podestà, don Paolino, cap. Riccardo De Haag e altri due ufficiali dal Sud) che riagganciano al CLNAI il CLN giuliano.
Il 9 dicembre 1944 i rappresentanti giuliani del Partito d’Azione, del Partito Socialista, del partito democristiano e del Partito Liberale si radunano in città assieme ai delegati del CLNAI. L’incontro produce questo risultato programmatico: “principio dell’unità d’Italia, principio del reciproco rispetto delle nazionalità italiana e slava; principio dell’istituzione di un emporio a Trieste, aperto a tutte le bandiere” (A.Fonda Savio, “La Resistenza italiana nella Venezia Giulia”, Del Bianco 2006, p.61).
La NEMO ovviamente ha un suo modo di procedere e per chiarire la situazione di Trieste al governo del Sud elabora una relazione che almeno ha il pregio della chiarezza:
“..alcuni partiti (DC, PLI, Partito d’Azione) si accordarono per svolgere a Trieste una comune politica di italianità rimandando a dopo la guerra il conseguimento delle loro finalità ideologiche….Erano state tenute a Trieste….varie vie per offrire una netta collaborazione italiana alla lotta antitedesca, abbandonate però…una dopo l’altra a causa della particolare situazione locale: infatti il CLN non aveva ottenuto se non per le prime sue riunioni la partecipazione di un delegato comunista”.
Qui, come abbiamo accennato sopra, si apre un capitolo confuso e contrastato: c’è chi dice che il PCI fu tenuto fuori dal CLN, chi afferma invece che nelle fila del PCI maggioritari erano coloro che preferivano associarsi al Comitato di liberazione slavo per un progetto anticapitalista oltre che antifascista.
Insomma gli anticomunisti non volevano tra i piedi il PCI, e probabilmente nel PCI non erano del tutto chiare le vedute sul dopoguerra, non chiare le garanzie su Trieste città italiana, ecc. Insomma una buona base perché i “reazionari” del Sud armeggiassero allo scopo di isolare la componente comunista della resistenza.
Nemo continua: “I comunisti giuliani – italiani e slavi – considerano necessaria una autonomia che consenta a Trieste di sciogliere i suoi legami con l’Italia per appoggiarsi invece alla Jugoslavia. Il tentativo di costituire bande partigiane era fallito: costrette infatti ad operare in territorio abitato da popolazioni slave comunistizzanti, non avevano potuto sopravvivere che quelle comuniste, anch’esse del tutto senza appoggio da parte degli slavi fondamentalmente sospettosi di ogni iniziativa partente da elementi di razza italiana”.
Insomma una bella questione etnica, a cui si era aggiunto il ricordo della politica repressiva e stragista dei fascisti in Slovenia che aveva lasciato i suoi strascichi. E ora, Trieste aspettava le vendette, impersonificate dalle formazioni del IX Korpus jugoslavo.
[…] La NEMO prosegue la sua relazione: “Dopo l’assicurazione verbale che l’italianità di Trieste sarebbe stata difesa sia dal governo nazionale che dal CLNAI…fu proposto ..di provvedere a concentrare l’elemento italiano a difesa del Municipio di Trieste, non essendo certo possibile impedire l’ingresso in città alle formazioni dei partigiani alleati e dovendosi solo assicurare il riconoscimento del secolare carattere italiano del Comune”. I partecipanti alla riunione stabilirono che a Trieste si sarebbe costituito il CLN italiano Giuliano rappresentante i comitati di Trieste, Udine, Gorizia, Pola, Fiume, mentre Udine sarebbe divenuta la sede dell’esecutivo militare delle 5 province, visto che solo in provincia di Udine potevano vivere ed agire formazioni italiane”.
La NEMO prosegue dando un giudizio negativo su quanto richiesto dagli esponenti del CLN triveneto, perché la conseguenza sarebbe stata “…la rinuncia triestina alla integrale rivendicazione del carattere italiano della città per assumere un atteggiamento di minoranza etnica”.
[…] La storica Claudia Cernigoi è impietosa verso chi parla di “italianità”, c’è qualcosa che la disturba, infatti commenta quest’ultimo passo della relazione della NEMO in questo modo, mettendo all’indice il Partito d’Azione:
“E’ interessante questa conclusione che riprende lo spauracchio delle “foibe” (sic!) già accennato nel messaggio del luglio 1944 dal Partito d’Azione, e dimostra che tale argomento non è stato solo prerogativa dei nazifascisti, ma fu presentato ai servizi di informazione alleati, in funzione antijugoslava, dallo stesso CLN giuliano. Va detto infine che nei faldoni relativi a NEMO sono conservati diversi documenti sulla situazione etnica e politica della Venezia Giulia, ma solo del Partito d’Azione, che, come ricordiamo dalla relazione Gaeta, si era attivato in senso nazionalista: a questo scopo furono inviate alla Special Force anche le analisi di Schiffrer sulla composizione etnica della Venezia Giulia”.
Per la storica Cernigoi “il Quarto CLN non è finalizzato alla liberazione dal nazifascismo, insomma, ma creato esclusivamente in funzione antijugoslava”. Cioè per combattere il comunismo, è quello lo sfondo vero e intrigante che non si vuole dire.
[…] Al momento dell’insurrezione le forze del Comitato di Salute Pubblica (CSP) scenderanno in piazza in qualità di combattenti del Comitato di Liberazione Nazionale.
Scrive l’esponente del Partito d’Azione, Ercole Miani: «Al fine di decidere gli Alleati ad affrettare l’avanzata verso Trieste e di prevenire l’iniziativa jugoslava, il Comitato ordinò al Corpo Volontari della Libertà l’immediata insurrezione contro i Tedeschi ancora padroni della città”.
“L ’insurrezione cominciò con i primi episodi del 28 e 29 aprile e culminò il 30 aprile 1945». Al riguardo, se l’azione del CLN riesce a prevenire l’iniziativa del Fronte sloveno, il cui ordine di insurrezione doveva coordinarsi alle operazioni delle truppe jugoslave, non ottiene invece l’effetto sperato di affrettare l’avanzata della V ili Armata britannica, che indugia due giorni tra il Livenza e il Tagliamento, permettendo alle forze di Tito di scendere su Trieste ed accampare titoli di priorità. Titoli in realtà di fondamento giuridico discutibile, dato che secondo il diritto internazionale la priorità dell’occupazione di un territorio non costituisce un precedente determinante per la sua sistemazione politica”.
“Più che le azioni armate caratterizzanti l’insurrezione italiana, già illustrata da vari autori, maggior interesse può avere in questa sede un accenno sugli effetti conclusivi di tali azioni, giudicati dai portavoce dei diversi movimenti di Resistenza antifascista della regione, quello italiano e quello jugoslavo. Il CLN rivendica all’insurrezione del Corpo Volontari della Libertà l’aver salvato gli impianti portuali da distruzione, l’aver assunto nel corso della giornata del 30 aprile il controllo di due terzi della città costringendo i Tedeschi a ritirarsi in pochi capisaldi e avviando con loro trattative di resa. Si rimprovera, quindi, l’effetto negativo dell’arrivo della IV Armata jugoslava che provocava una recrudescenza della resistenza tedesca ed una ripresa dei combattimenti causando inutili distruzioni nella città e perdite alla popolazione”.(E. Maserati, op.cit.)
[…] “Tra il 29 ed il 30 aprile, reparti del IX Korpus giungono a Monrupino, nelle immediate vicinanze di Trieste. Puntano successivamente su Opicina dove avviene il congiungimento con i reparti della XX divisione provenienti da San Pietro del Carso. Ad Opicina, Basovizza, Gropada, Banne e Trebiciano, tutte località del circondario, si verificano scontri violentissimi con le truppe del generale Kubler. Ad Opicina si forma l’epicentro della resistenza tedesca; i combattimenti vi si prolungheranno fino al 3 maggio allorché, giunti sul posto i primi reparti alleati, verranno iniziate trattative di resa”.
“La mattina del 1° maggio le avanguardie della IV Armata e di alcune brigate partigiane raggiungono il centro della città. Il IX Korpus, non essendo più indispensabile, riceveva l’ordine di procedere verso occidente e di liberare quanto prima Monfalcone e Gorizia”.
Radio Londra già il 30 aprile comunicava alle ore 12,30 che Trieste era stata liberata dalle truppe del maresciallo Tito; analoga notizia veniva trasmessa lo stesso giorno da Radio Belgrado due ore dopo. In effetti tali annunci devono ritenersi prematuri. Solo il 1° maggio, come risulta anche da fonte jugoslava, i primi reparti jugoslavi entravano in Trieste.
Con le truppe che hanno raggiunto Trieste non vi sono reparti italiani: le formazioni garibaldine « Natisone », « Trieste », « Fontanot », inserite organicamente nel IX Korpus partigiano, vengono impegnate per la liberazione di Lubiana che cadrà l’11 maggio. Appena il 17 maggio i reparti garibaldini italiani saranno fatti entrare a Trieste”.
[…]
“Nelle zone periferiche della città cominciano man mano ad affluire truppe jugoslave. Il CLN, esaminata la nuova situazione politico-militare alla luce delle notizie più recenti, decide di lanciare un « radio » al Governo italiano ed al Comando della VIII Armata britannica (il giorno prima, sempre via radio, era stata smentita la notizia trasmessa da Radio Londra sulla liberazione di Trieste da parte delle truppe di Tito): “ Truppe slave entrate stamane. Trieste italiana insorta ieri per iniziativa CLN contro dominazione nazista aborre diffidente occupazione jugoslava. Ansiosa attende tempestivo arrivo forze alleate e nazionali””.
« In linea di massima, fino alle 12 del 1° maggio il comportamento delle truppe slave regolari si mantiene normale. Successivamente, per il sopravvenire di elementi faziosi, aizzati del Comitato sloveno, si profila un cambiamento radicale della situazione, contrassegnato dall’accanirsi di sentimenti ostili verso i patrioti del CVL ».
“Gli esponenti del CLN, consci della somma delicatezza della situazione, decidono di ritirare le proprie forze — ad eccezione fatta di quei nuclei che non incontrano ostilità da parte slava — dalla lotta”.
“Il pomeriggio del 2 maggio, i Tedeschi, mantenutisi sempre sulle posizioni nelle quali vennero costretti ad asserragliarsi dall’azione dei partigiani del CVL, si arrendono alle forze neozelandesi comandate dal generale Bernard Fryberg. Il Comando jugoslavo fa allora affluire nuovi ingenti reparti e riesce ad assumere di fatto il controllo della città”.
“Per il CLN di Trieste — dopo venti mesi di dura lotta contro la dominazione nazista — s’inizia un nuovo periodo di clandestinità, che avrà fine ufficialmente dopo il 12 giugno, con l’avvento, in base all’accordo di Belgrado del 9 giugno, dell’amministrazione militare anglo-americana”.
(da ENNIO MASERATI, op.cit.)
Trieste tra resistenza ai nazifascisti e il rifiuto dell’egemonismo slavo in Storia Veneta 2021

MINISTERO DELL’INTERNO
DIREZIONE GENERALE DELLA P.S. – DIVISIONE S.I.S.
RISERVATISSIMA
OGGETTO: Condizioni della sicurezza pubblica nella penisola secondo le risultanze del servizio fiduciario.
Roma, 19 novembre 1946
Dalle notizie fiduciarie, fin qui raccolte da questa Divisione, risulta che, a circa due anni dalla liberazione, agiscono attivamente nel paese varie aggregazioni nazionali e straniere, tipicamente proprie di ogni dopoguerra, costituite da elementi i quali ricercano ansiosamente possibilità di vita comoda, offrendosi come truppe di ventura, al servizio di tutte le bramosie, nazionali, internazionali, classiste, capitaliste, agrarie ecc., le quali, nell’affievolimento dei poteri dello Stato, tendono ad affermarsi violentemente, ripudiando l’uso dei congegni democratici.
La delinquenza ordinaria, moltiplicata per la distruzione di molti nuclei familiari, per i vagabondaggi internazionali e per le consuetudini dell’illegalismo bellico, si è mimetizzata nelle forme della delinquenza comune, favoreggiata da organismi politici, spesso potenti, dai quali ricava la sua forza.
[…] Di gran lunga il più importante dei gruppi stranieri che agiscono clandestinamente in Italia a fine di spionaggio politico, economico ed industriale, è certamente l’associazione dell’OZNA, che è una organizzazione militare segreta jugoslava, del tutto simile, per tipo e metodi alla G.P.U. russa, costituita da fanatici seguaci di Tito.
Obiettivo dell’organizzazione, che rappresenta in Italia le squadre d’azione rosse, è la rivoluzione, ritenuta dai predetti necessaria, dato che, attraverso una pacifica evoluzione è stato constatato da detti elementi slavi che non è possibile giungere ad una completa sovietizzazione, perché ancora agiscono ben salde le forze conservatrici, sotto l’etichetta della D.C. (Democrazia Cristiana), dell’Uomo Qualunque e delle formazioni monarchiche.
Attraverso varie ed attendibili notizie fiduciarie si è potuto accertare che, in particolare l’O.Z.N.A. si occupa in Italia di requisizioni di viveri, utensili, macchine, automobili, apparecchi scientifici da esportare nella penisola balcanica; che tende a fare infiltrare nelle organizzazioni estere e nazionali di stanza in Italia i propri elementi slavi, onde avere tempestive informazioni, che classifica gli elementi slavi, sfruttandone i loro interessi e ricattandoli attraverso la compilazione di note caratteristiche segrete; ma soprattutto che si occupa di compiere, a fine politico, opera di disgregazione e spoliazione del territorio italiano.
A Trieste funziona un centro italiano del movimento, truccato sotto il nome di “Associazione Irredentista antifascista Italo-Slovena”, così detta U.A.I.S., che è un enorme casellario dove ogni iscritto ha una specie di cartella biografica.
[…] Poiché attraverso tali notizie si accenna al contatto fra elementi, finora incontrollati, del P.C.I. e dei gruppi slavi si precisa che sull’apparato illegale del P.C.I. questa Direzione Generale possiede minori notizie, in quanto motivi di naturale considerazione per un partito che ha diritto ad esplicare la sua legale attività, hanno impedito finora un più approfondito esame della questione.
Si può comunque affermare che il P.C.I. possiede una sua rete capillare perfettissima che funziona da polizia informativa, ed ardimentosi nuclei. D’altra parte, largamente elementi della polizia ausiliaria, ed in qualche provincia anche vigili urbani e vigili del fuoco, nonché la gran maggioranza delle formazioni partigiane, costituiscono una forza considerevole a disposizione di detto partito.
Viene riferito che, con lo sviluppo e l’affermazione delle sinistre, tutti gli elementi comunisti attivi, idonei, dovrebbero essere inquadrati nell’Armata Rossa […]
O.Z.N.A.: La mano segreta di Tito in Storia Veneta 2021

da Trieste nella lotta per la democrazia, edito a settembre 1945 da Comitato cittadino dell’U.A.I.S. Trieste, pubblicato sul Web da www.diecifebbraio.info
di Trieste nella lotta per la democrazia, edito a settembre 1945 da Comitato cittadino dell’U.A.I.S. Trieste, pubblicato sul Web da www.diecifebbraio.info

Nel 1974 furono pubblicati a Lubiana, a cura della Založba BOREC, due volumi intitolati “Spomini na partizanska leta” (“Ricordi degli anni partigiani”); nel secondo di questi volumi si trova questo breve racconto di Vinko Šumrada, che descrive la sua esperienza di organizzatore della Resistenza a Trieste negli ultimi dieci mesi di guerra.
[…] Ci siamo basati soprattutto sul testo “Trieste nella lotta per la democrazia”, edito dall’Unione Antifascista Italo-slovena nel novembre del 1945.
[…] Vinko Šumrada. Nota biografica tratta dal testo originale.
Vinko Šumrada nacque il 6 luglio 1916 a Podgora nella Loška dolina. Il suo lavoro era quello di operaio forestale. Iniziò a collaborare con l’Osvobodilna Fronta (OF, Fronte di Liberazione) nel settembre del 1941 e nel luglio 1942 entrò nelle file della Resistenza. Divenne commissario del II battaglione della Brigata di Šercer e successivamente commissario della Brigata Ivan Gradnik, commissario della Brigata Janko Premrl-Vojko, capo dell’ufficio del personale del IX Corpus, ed infine fu il commissario politico del comando clandestino di Trieste fino alla fine del mese di aprile 1945 quando divenne ufficiale dell’OZNA.
[…] Quando nel luglio 1944 si iniziò a parlare dello sbarco segreto degli Alleati, Inglesi e Americani, nel settore adriatico, il comando del IX Korpus NOV e POJ , che combatteva nel litorale sloveno, decise di costituire un comando a Trieste allo scopo di organizzare clandestinamente una cooperazione tra i popoli italiano e sloveno e preparare il necessario per l’insurrezione in città nel momento in cui si fossero avvicinate le truppe alleate. In tale modo avrebbe aiutato gli alleati nella liberazione di Trieste, che era un porto importante per il loro sbarco, ed avrebbe instaurato il potere in città. In quel tempo accadeva che l’esercito germanico cercava con l’offensiva del luglio ‘44 di riprendersi il territorio liberato sul Litorale, territorio che comprendeva parte della regione a nord della valle di Vipacco, da Trnova (Tarnova) a ?epovan (Chiapovano), Bainsizza tutti questi oltre il monte Šentvišk (S. Vito) fino a Ratitovec, Železniki, Lu?e e Rovte. L’unica zona non liberata era Idrija nella quale rimaneva un forte presidio germanico.
Durante questa offensiva, quando il comando del IX Korpus doveva spostarsi da Lokev nella Selva di Tarnova a Predmeja, fui chiamato dall’allora commissario del IX Corpus, Janez Hribar. Con me fu chiamato al comando il maggiore Martin Greif – Rudi, ufficiale di collegamento con le missioni militari alleate presso il comando del IX Korpus . Qui (a Predmeja, n.d.r.) si trovava anche la rappresentante del comitato esecutivo dell’OF , Lidja Šentjur?. I due (Hribar e Šentjur?, n.d.r.) ci spiegarono il nostro incarico, che di primo acchito ci sembrò eccezionalmente disperato e rischioso, in quanto Trieste era nota per i numerosi tradimenti degli infiltrati, cosicché nella città un attivista aveva poche possibilità di operare a lungo. Un’altra difficoltà consisteva nel fatto che Greif non parlava l’italiano; conosceva però il tedesco, mentre io non conoscevo né l’una né l’altra lingua. Nonostante ciò abbiamo accettato l’incarico ed abbiamo iniziato a prepararci al viaggio verso Trieste.
Alla fine di luglio ‘44, siamo stati accompagnati dai corrieri Triglav e Franc nella regione del Vipacco
[…] “L’ultimo giorno di aprile verso sera le truppe jugoslave sono entrate a Trieste dove sono in corso combattimenti nelle strade”.
Quindi le nostre truppe sono a Trieste e non soltanto le truppe del Comando città ma anche i regolari dell’esercito jugoslavo. E davvero c’erano: allora erano già ad Opicina, Barcola e San Giovanni. Il comando della città è stato trasferito a Ruzel . Sapevamo di avere il controllo della grande parte della città, che sono state disarmate tutte le organizzazioni collaborazioniste triestine e più di 2000 soldati tedeschi. Aspettavamo soltanto il comunicato dall’uno o dall’altro settore, che le nostre truppe si erano congiunte con i combattenti della IV Armata che spingeva da ovest verso la città.
Non dimenticherò mai quando ho sentito la mattina presto in via D’Angeli gridare: “Stoj, stoj!”. Ho guardato l’orologio, erano esattamente le 4 e mezzo di mattina del 1° maggio 1945. Ho aperto la finestra e visto le scure sagome dei soldati, anche se al primo momento non sono riuscito a riconoscerle. Una donna ha urlato dalla finestra: “chi siete compagni, da dove venite?”.
Hanno risposto:
“Partigiani!”.
Non sapevo cosa fare per la gioia ed ho gridato:
“Compagno, avvicinati, chi sei?”.
Da lontano mi ha gridato:
“Siamo i combattenti del battaglione d’assalto della XXX Divisione”.
Quando mi fu vicino mi riconobbe, un tempo era stato combattente della brigata Gradnik.
“Bene, compagno”, disse, “abbiamo il compito di unirci a voi. Date la notizia che siamo giunti in città dalla vostra postazione radio. Non posso fermarmi più a lungo, devo proseguire. I tedeschi ci sparano dalle caserme”.
Alla donna che gli aveva chiesto nuovamente chi e quanti fossero, rispose: “Siamo i combattenti della XXX Divisione, dietro di noi stanno arrivando il IX Korpus e la IV Armata jugoslava, dietro di noi c’è la nuova Jugoslavia”. Vinko Šumrada – Radoš Redazione, A Trieste! (di Vinko Šumrada – Radoš), La Nuova Alabarda, 17 novembre 2011

Torniamo alla relazione della Nemo: dopo “l’assicurazione verbale che l’italianità di Trieste sarebbe stata difesa sia dal governo nazionale che dal CLNAI” (assicurazione data probabilmente dagli emissari di Nemo nel corso delle riunioni di inizio dicembre), l’ordine del giorno (si suppone l’accordo “di italianità” proposto da DC, PLI e Partito d’Azione) fu votato “entusiasticamente” anche dall’esponente socialista e fu proposto, sul terreno pratico, “di provvedere a concentrare l’elemento italiano a difesa del Municipio di Trieste, non essendo certo possibile impedire l’ingresso in città alle formazioni dei partigiani alleati e dovendosi solo assicurare il riconoscimento del secolare carattere italiano del Comune”.
[…] A questo punto la relazione esprime un giudizio negativo su quanto richiesto dai rappresentanti del CLN triveneto, perché la prima conseguenza sarebbe stata la “rinuncia italiana ad INIZIARE la sua propaganda là dove la propaganda slava può considerare ESAURITO il suo compito” [104]; e secondariamente perché si avrebbe avuto per la prima volta “dopo secoli” (sic!) la “rinuncia triestina alla integrale rivendicazione del carattere italiano della città per assumere un atteggiamento di minoranza etnica”; inoltre viene precisato che “non si conoscono le influenze che possono avere guidato il CLN triveneto nell’invio di tale sua missione”.
I rappresentanti dei quattro partiti del CLN (DC, PLI, PSI, PdA) “hanno chiaramente espresso la loro sconfortata sfiducia (…) nel silenzio ufficiale del CLNAI (…) del governo nazionale in quello Alleato (però prima si era parlato di una “assicurazione verbale” data in merito, n.d.a.) (…) nella mancanza di ogni concreto aiuto ed (…) incitamento essi vedono la condanna della città (…) si dicono pronti a tutto tentare per salvaguardare l’italianità di Trieste ma (…) di non poterlo fare nel buio assoluto in cui sono sommersi. Se non lotta il Governo (…) essi giocherebbero invano la vita – nessuno scorda le recenti foibe istriane (…)”.
Infine la conclusione: “la situazione è divenuta tale per cui già oggi si corre pericolo che le tanto attese parole giungano troppo tardi per scuotere la crescente apatia, e non siano credute da gente nel 1914 così generosa, poi delusa da venti anni di sgoverno economico di cui la città fu vittima, ed oggi terrorizzata dalle recenti foibe, dalle reiterate minacce slave, dalle preoccupazioni per il futuro, dal contrasto fra le possibilità dei comitati slavi e l’abbandono di quelli italiani”.
È interessante questa conclusione che riprende lo spauracchio delle “foibe”, già accennato nel messaggio del luglio 1944 dal Partito d’Azione, e dimostra che tale argomento non è stato solo prerogativa dei nazifascisti, ma fu presentato ai servizi di informazione alleati, in funzione antijugoslava, dallo stesso CLN giuliano.
Va detto infine che nei faldoni relativi a Nemo sono conservati diversi documenti sulla situazione etnica e politica della Venezia Giulia, ma del solo Partito d’Azione, che, come ricordiamo dalla relazione Gaeta, si era attivato in senso nazionalista: a questo scopo furono inviate alla Special Force anche le analisi di Schiffrer sulla composizione etnica della Venezia Giulia.
Tutto ciò non fa che confermare le parole di Girardelli riguardo lo scopo delle riunioni in casa di Ponzo, cioè “l’Italianità di Trieste ed il pericolo Comunista su di essa incombente”; e lo stesso Paladin, rievocando il clima delle “infervorate riunioni” del Quarto CLN scrive che “sembrava che un fuoco inesauribile di passione nazionale ardesse nel cuore di coloro che volontariamente si erano assunti la responsabilità di contendere il possesso di queste contrade alla rapacità slava”. Un Comitato non finalizzato alla liberazione dal nazifascismo, insomma, ma creato esclusivamente in funzione anti-jugoslava.
Claudia Cernigoi, Op. cit.

Anche i servizi statunitensi OSS stavano osservando quanto accadeva ai confini orientali…

La missione a Roma (febbraio 1945)
Nel febbraio del 1945, Padre Paolino riceve un incarico dal comandante in capo del Corpo Volontari della Libertà, Generale Raffaele Cadorna [29] (con il «placet» del Cardinal Schuster). Deve raggiungere Roma insieme a De Haag e consegnare a Umberto II delle relazioni, oltre a fornire a voce aggiornamenti sui tentativi in atto per arrivare a un «cessate il fuoco» tra Alleati ed esercito tedesco posizionato in Italia.
Su questa vicenda esiste oggi una discreta conoscenza. La prima relazione (datata 26 febbraio 1945) riguarda Esercito nazionale e comando unico del CVL. La seconda (del 27 febbraio 1945) fa riferimento alla questione di Trieste (rischio di perdere l’italianità). La terza (27 febbraio 1945, Polizia) comprende questioni di ordine pubblico. La quarta (27 febbraio 1945) affronta il tema dei Tribunali insurrezionali (progetto mirato a giudicare rapidamente i colpevoli di crimini evitando un loro riutilizzo nella pubblica amministrazione). Ci sono poi anche due allegati che riguardano il sistema di distribuzione dei fondi CLNAI, e la questione del Comandante unico.
Ma un punto chiave rimane l’argomento riferito a voce: le trattative con i Tedeschi per far cessare la guerra in Italia. Al riguardo è utile un cenno.
1) La situazione bellica del tempo impedisce contatti diretti tra chi opera clandestinamente al Nord (nella Repubblica Sociale Italiana) e chi agisce nei territori liberati dagli Alleati. Il Governo dell’Italia libera ha urgenza di comprendere varie situazioni, dagli orientamenti della Resistenza (divisa tra più correnti ideologiche) alle questioni dell’Italia Orientale (dissidi nel Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste tra la posizione italiana e quella slava) [30] fino alle questioni legate alla tutela degli impianti industriali.
2) Ma il problema più grave è un altro: esistono in quel momento diverse iniziative mirate a far cessare il conflitto in Italia. Per arrivare a questo necessita un accordo tra Tedeschi e Alleati. [31] Il percorso seguito si rivela problematico perché più interlocutori diventano negoziatori, perché permangono valutazioni diverse tra gli Alleati [32], perché tra i Tedeschi c’è disaccordo [33], perché le iniziali richieste tedesche – così come sono formulate – trovano dinieghi. Si vuole comunque arrivare a un risultato. La strada definitiva sarà l’accordo tra Karl Wolff  [34] (Generale Tedesco, SS) e il Comitato di Liberazione Nazionale, un’intesa mediata da Allen Welsh Dulles [35] (O.S.S. Svizzera) e dal Cardinal Schuster.
Per l’esito positivo della missione a Roma Umberto II conferisce a Padre Paolino una medaglia d’argento al valor militare.
29 Raffaele Cadorna (1889-1973).
30 Esisteva il pericolo di un’occupazione da parte dei partigiani di Tito.
31 Piano A: ritiro. Piano B: capitolazione.
32 I comandi militari alleati, ad esempio, vedono con preoccupazione un possibile rientro in Germania delle divisioni tedesche dislocate in Italia.
33 Il capo delle SS in Italia è per la trattativa, i comandi dell’esercito tedesco no.
34 Karl Wolff (1900-1984).
35 Allen Welsh Dulles (1893-1969).
Pier Luigi Guiducci, Uno 007 insospettato: Padre Paolino Beltrame O.S.B. (1909-2008), ottobre 2019 in Storico.org