In dottrina si è soliti inoltre trattare separatamente gli artt. 2 e 3, rispetto al collaborazionismo, in quanto solo le prime due disposizioni «sono caratterizzate dal tentativo di supplire al mancato funzionamento di certi congegni di garanzia costituzionale e penale durante il periodo fascista: si considerò giustamente che certi comportamenti delittuosi non poterono essere perseguiti unicamente per il sovrapporsi degli istituti fascisti all’ordinamento statale e si cercò pertanto semplicemente di punirli secondo le leggi vigenti all’epoca dei fatti» <495. Lo stesso Autore denota in questo un motivo di fallimento della persecuzione penale: «si erano volute trasferire sul piano della responsabilità penale le maggiori responsabilità politiche del fascismo, e si era voluto punirle con le formalità dei giudizi: ci si accorse troppo tardi della assurdità di questa pretesa. I veri quadri di comando dello Stato, e cioè le alte gerarchie burocratiche, erano rimaste immutate: e non potevano consentire un processo al passato che direttamente le colpiva».
L’art. 2 d.lgs.lt. 27 luglio 1944, n. 159: il delitto per i membri del governo e i gerarchi
Si è già indicata <496 l’importanza simbolica dell’art. 2 <497, che ha il compito di sancire ufficialmente la responsabilità politica del fascismo agli occhi degli italiani e degli Alleati e di trasformare la stessa in responsabilità penale <498. La disposizione presenta diverse problematicità tecniche. La causa principale della sua quasi inesistente applicazione è data dal “gigantismo” <499 delle condotte tipiche, richiedendone per di più l’integrazione cumulativa ai fini della sussistenza della responsabilità penale. Ciò la rende difficilmente applicabile ad altri se non a Mussolini stesso <500. Il fatto tipico prevede per i gerarchi e i membri del governo delle condotte (aver annullato le garanzie costituzionali, aver distrutte le libertà popolari, aver creato il regime fascista, aver compromesse e tradite le sorti del Paese, aver condotto alla attuale catastrofe) che avrebbero dovuto essere piuttosto considerate quali eventi del reato. Interpretando così la disposizione, la responsabilità sarebbe però venuta a discendere direttamente dalla carica di membri del governo e di gerarchi. Nella scelta quindi se attribuire alle condotte funzione meramente illustrativa, ovvero distintiva <501, non solo viene scelta la seconda via, ma si ritiene necessario che l’imputato abbia integrato tutte le condotte (o meglio di fatto causato tutti gli eventi) indicati. Sulla scarsa applicazione incide anche la sopravvenuta ritenuta ammissibilità del ricorso per Cassazione, come già menzionato <502; nella maggior parte dei casi ciò comporta quantomeno una degradazione dell’imputazione ex art. 2 al reato di cui al successivo art. 3 <503.
[…] Troppi italiani infatti avevano sicuramente dato un contributo generico a mantenere in vigore il regime durante il Ventennio e non si poteva pretendere di sanzionare penalmente la maggioranza della popolazione <512.
Una seconda spiegazione della scarsa applicazione del reato di atti rilevanti può essere ricercata in un’insofferenza dei giudici verso il carattere retroattivo della fattispecie <513. Inizialmente la giurisprudenza opera una distinzione fra cariche create ex novo durante il fascismo e cariche tecniche e dunque fra attività svolta a vantaggio del fascismo come regime ovvero a vantaggio dello Stato italiano, come se le due entità non fossero coincise per vent’anni. In seguito si giunge a ritenere l’impossibilità, in generale, di far discendere la responsabilità semplicemente dalla carica rivestita, seppur di rango elevato <514. Vengono dunque richiesti due requisiti: una «personale attività faziosa e settaria» <515 da un lato e una «rilevante efficienza causativa pel mantenimento in vigore del regime» <516 dall’altro. Ciò porta di fatto ad escludere la responsabilità nella maggior parte dei casi, poiché si afferma che anche le attività di natura politica vanno considerate «in relazione alle esigenze del momento e alle condizioni ambientali cui non potevano non conformarsi tutti i partecipanti della vita pubblica del Paese»517.
Infine, come si avrà modo di vedere <518, l’applicazione dell’amnistia a tale fattispecie sarà una questione particolarmente problematica e si risolverà in una «liquidazione definitiva del reato» <519.
Si giunge quindi alla paradossale conseguenza per cui, a leggere le sentenze della Cassazione, all’indomani della caduta del fascismo in Italia non si trovano più fascisti: «Il fascismo – ci insegna la Cassazione – non è stato, come ingenui avevamo creduto, il frutto amaro e inevitabile di molteplici responsabilità: esso è vissuto evidentemente di vita propria.
Forse per questo il regime ci appare illegittimo: perché nessuno gli è stato padre?» <520.
[…] <521.
Collaborazionismo: il concetto
A questo punto del ragionamento, è giunto il tempo di affrontare l’analisi, sinora rinviata, del reato che di fatto è stato pressoché l’unico strumento penale concretamente utilizzato dall’Italia per fare i conti con le responsabilità del fascismo: il c.d. collaborazionismo di cui all’art. 5.
[…] A fronte della peculiarità del caso italiano, non può che emergere l’inadeguatezza, anche simbolica, della qualificazione della violenza repubblichina come collaborazionismo. L’impatto simbolico è reso ancora più forte dal fatto che, per il concorso dei già esposti fattori, tale disposizione è stata in pratica pressoché l’unica imputazione contestata. Sarebbe infatti ipocrita negare il valore simbolico-stigmatizzante che la giustizia penale ha in generale, ma soprattutto in contesti di transizione. Anche la scelta del capo di imputazione ha perciò un impatto rilevante <525.
Il termine collaborazionismo, nel significato che qui interessa, nasce in quasi tutta Europa nel contesto della seconda guerra mondiale, in relazione all’occupazione tedesca. Esso deriva in particolare dall’esperienza francese della c.d. Repubblica di Vichy e nella fattispecie da un incontro fra Adolf Hitler e il Maresciallo Philippe Pétain, il 24 ottobre 1940.
[NOTE]
495 Cfr. P. BARILE – U. DE SIERVO, “Sanzioni contro il fascismo ed il neofascismo”, cit., 544.
496 Cfr. supra, Cap. I, § 3.1.2.
497 Tale disposizione punisce con la pena di morte ovvero con l’ergastolo «i membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver annullato le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto alla attuale catastrofe».
498 In questo senso G. VASSALLI, “Intorno all’art. 2 della legge sulle sanzioni contro il fascismo”, in Giustizia penale, 1947, II, 663 e ss., 665. Secondo BARILE e DE SIERVO, «si tratta di una norma, tecnicamente assai difettosa, volta a configurare una responsabilità penale di livello costituzionale: rientra fra quelle norme tipicamente di “giustizia politica”» (cfr. P. BARILE – U. DE SIERVO, “Sanzioni contro il fascismo ed il neofascismo, cit., 545). Il carattere prettamente politico della norma è spiegato da tali Autori raffrontandola con l’art. 3, che punisce espressamente «coloro che hanno promosso o diretto l’insurrezione del 28 ottobre 1922». Tali ultimi soggetti sono dichiarati punibili ai sensi del Codice penale allora vigente in una logica di riaffermazione dell’ordinamento costituzionale violato dal fascismo; infatti si tratta di condotte già penalmente rilevanti sulla base del suddetto Codice, «mentre non lo erano le ipotesi connesse alla scomparsa dell’ordinamento statutario ed alla sua trasformazione in senso dittatoriale» (ibidem).
499 Espressione di S. SEMINARA, “Die Aufarbeitung…”, cit., 13.
500 Ritenendo che lo Stato democratico-liberale abbia cessato di esistere il 3 gennaio 1925 (data del discorso di Mussolini alla Camera dei deputati in relazione al delitto Matteotti, ritenuto l’atto costitutivo del fascismo come regime autoritario), si richiese innanzitutto che l’imputato avesse svolto attività prima di tale data (Alta Corte di giustizia, 20 giugno 1945, Biagi). Si pretese poi che vi fosse la prova di un nesso causale fra l’attività dell’imputato e la distruzione delle libertà popolari, l’annullamento delle garanzie costituzionali, la creazione del regime fascista e l’aver compromesso le sorti del Paese (Cass., 19 luglio 1947, Orano; Cass., 30 aprile 1947, Cremigni; Corte d’Assise di Roma, 16 maggio 1947, Giuriati; Cass., 6 dicembre 1947, Bottai; Corte d’Assise di Roma, 25 novembre 1947, Bastianini; Corte d’Assise di Roma, 1 dicembre 1947, Grandi), richiedendo a tal fine che, a prescindere dall’aver ricoperto una carica, si sia concorso con fatti concreti al conseguimento dei fini proposti dal fascismo (ibidem).
501 Si veda A. BATTAGLIA, I giudici e la politica, cit., 78.
502 Cfr. supra, Cap. I, § 3.2.1.
503 Cfr. M. DONINI, “La gestione penale…”, cit., 203.
512 In questo senso M. DONINI, “La gestione penale…”, cit., 204.
513 Così A. BATTAGLIA, I giudici e la politica, cit., 81.
514 Vennero quindi assolti ministri, segretari nazionali del PNF, capi dell’OVRA; per i riferimenti giurisprudenziali, ivi, 80, nonché P. BARILE – U. DE SIERVO, “Sanzioni contro il fascismo ed il neofascismo”, cit., 547.
515 Corte d’Assise di Firenze, 26 gennaio 1946, Ricciardi.
516 Ibidem. Si veda anche Tribunale di Roma, Stracca, in Repertorio del Foro Italiano, 1943-45, 600.
517 Cass., 6 dicembre 1947, Bottai.
518 Cfr. infra, Cap. II, § 6.1.2.
519 A. BATTAGLIA, I giudici e la politica, cit., 81.
520 Cfr. C. GALANTE GARRONE, “Guerra di Liberazione (dalle galere)”, in Il Ponte, 1947, III, 1041 – 1066, 1045.
521 In questo senso P. BARILE – U. DE SIERVO, “Sanzioni contro il fascismo ed il neofascismo”, cit., 547.
525 Del resto gli studi sulla giustizia di transizione partono anche da questa consapevolezza, necessaria per poter controllare l’effetto simbolico-stigmatizzante della giustizia penale ed evitare che esso diventi il fine effettivo e principale del processo penale e trasformi quest’ultimo in un “teatro pedagogico” (espressione di M. OSIEL, Politica della punizione, memoria collettiva e diritto internazionale, in L. BALDISSARA – P. PEZZINO (a cura di), Giudicare e punire, cit., 105 – 117, 106). Sul simbolismo nei processi relativi a crimini internazionali, E. FRONZA, Diritto penale del nemico e giustizia penale internazionale, in A. GAMBERINI – R. ORLANDI (a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico, Bologna, Monduzzi 2007, 373 – 389.
Paolo Caroli, La giustizia di transizione in Italia. L’esperienza dopo la seconda guerra mondiale, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2015-2016
Relativamente ai processi per delitti fascisti celebrati nel dopoguerra, è necessaria un’ulteriore precisazione. Il presente lavoro, come detto, non ha trattato in via esclusiva tale questione e, soprattutto, non ha inteso farlo privilegiando l’aspetto quantitativo. Ad ogni modo, si può affermare che, in merito ai processi delle Corti d’assise straordinarie (Cas) – e, in seguito, delle sezioni speciali delle Corti di assise ordinarie – celebrati per i crimini fascisti e i reati di collaborazionismo <31, la storiografia disponibile sia ormai concorde nel sostenere che il numero complessivo di tali procedimenti sia quantificabile in alcune decine di migliaia, e il numero delle condanne in alcune migliaia, seppur con oscillazioni non risibili tra i diversi autori che hanno proposto tali resoconti. A metà degli anni Ottanta, Guido Neppi Modona ha sostenuto che tra 1945 e 1947 siano stati celebrati più di 20.000 processi, forse addirittura 30.000, e che siano state pronunciate circa 1000 sentenze di condanne a morte e migliaia di pene detentive <32. Più recentemente, Mimmo Franzinelli ha affermato che, rispetto ai delitti in oggetto, vi siano stati oltre
40.000 indagati o imputati; per quasi 6.000 di questi si sarebbe giunti ad una sentenza di condanna, con 259 casi di condanne a morte (soltanto 91 sarebbero state effettivamente eseguite). Dei quasi 6.000 condannati, oltre 5.300 avrebbero comunque beneficiato dei provvedimenti di clemenza <33.
Negli ultimi anni si è aperto un progetto di mappatura dell’attività delle Corti di assise straordinarie del centro-nord Italia, promosso dall’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, al quale hanno lavorato e stanno lavorando diversi ricercatori <34. Il filone di ricerca sulla giustizia di transizione italiana e sulla giustizia straordinaria postbellica ha goduto, negli ultimi anni, di una notevole fortuna. La presente trattazione tiene ben presente i lavori prodotti da questo recente e rivitalizzato filone di studi, ma si muove su un piano e con intenti diversi. Il già citato volume curato da Cecilia Nubola e Giovanni Focardi nel 2015, “Nei tribunali. Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana”, può essere individuato come pubblicazione di partenza di questa nuova fase di studio, che si segnala soprattutto per una nuova attenzione nei confronti delle dinamiche processuali e delle figure protagoniste dei procedimenti giudiziari dell’immediato dopoguerra, come i magistrati o gli avvocati <35. Nel 2019, il volume “Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia” <36 ha poi offerto una panoramica aggiornata dello stato degli studi sulle varie forme di giustizia straordinaria esplicatesi nell’Italia del dopoguerra, dunque non solo delle Cas ma anche dei tribunali militari; e ha ripreso a modello l’approccio inaugurato con il volume “Nei Tribunali”, attento cioè alla dimensione processuale e ai protagonisti della stessa, anzitutto i magistrati impegnati a presiedere le Cas: grazie alle ricerche di Giovanni Focardi, è emerso un quadro di personalità generalmente anziane e di lunga esperienza, quasi mai coinvolte nella Resistenza e frequentemente contraddistinte da atteggiamenti quantomeno ambigui nei confronti del fascismo <37. Nell’analisi dell’attività della Cas di Milano, Leonardo D’Alessandro ha colto lo scollamento tra un corpo di giudici ancorati al formalismo, autori di sentenze moderate e attente al rispetto della legalità formale e, specie nelle prime sentenze della Cas milanese, il netto giudizio di condanna politica nei confronti della Repubblica sociale <38. Nello stesso volume, il saggio di Andrea Martini <39 anticipa la sua monografia sul tema, di poco successiva <40, nella quale l’autore propone una ricostruzione di lungo periodo sulla punizione dei delitti fascisti in Italia, spingendosi fino ai primi anni Cinquanta, e prendendo come caso di studio il lavoro di oltre venti tra Corti di assise straordinarie e sezioni speciali. Una delle caratteristiche di maggior interesse – oltre alla ricca e ben sviluppata prospettiva di lungo periodo – è il confronto tra il collaborazionismo di provincia, giudicato dalle Cas dei centri minori, legato spesso a fatti di minore entità ma di grande risonanza nella comunità e, di contro e di riflesso, il collaborazionismo più grave e multiforme di città come Roma. Il saggio di Laura Bordoni ripercorre la storia del funzionamento delle Corti di assise straordinarie della Lombardia <41. Si ritiene utile segnalare che la stessa Bordoni, nel suo recente lavoro di tesi dottorale <42, parla di «giustizia in transizione»; riferendo tuttavia questa espressione alla sola dimensione della giustizia speciale antifascista, senza che dietro tale scelta terminologica vi sia l’ampio sguardo sulla transizione giudiziaria nel complesso, questione invece al centro del presente lavoro. Questa sintesi delle caratteristiche fondamentali di questa recente stagioni di studi serve qui anche per marcare l’alterità della presente trattazione. Pur presentando anche forti elementi di innovazione, risulta evidente come tutta questa stagione di ricerca sia stata comunque concentrata sulla sola giustizia di transizione e sulle forme di giustizia straordinaria: indagata a fondo e restituita sia quantitativamente (numeri e cifre di processi e sentenze) che qualitativamente (dinamiche e protagonisti di tale giustizia) ma sempre e comunque limitata alle politiche e alle pratiche di giustizia per crimini fascisti. Gli interventi di D’Alessandro e, in parte, quello di Toni Rovatti, la quale ha trattato la delicata questione del giudizio contro i giudici dei tribunali speciali fascisti <43, risultano forse, nel novero di questi lavori più recenti, quelli che maggiormente suggeriscono alcune delle direzioni su cui si muove il presente lavoro, ad esempio il conflitto tra osservanza della legalità pura e necessità della condanna politica.
[NOTE]
31 Tali istituti giudiziari saranno trattati più diffusamente nel corso del presente lavoro. Le Corti di assise straordinarie furono istituite con il Decreto legislativo luogotenenziale 22 aprile 1944 n. 142, durante il terzo governo di Ivanoe Bonomi (dicembre 1944-giugno 1945) e in ragione dell’imminente Liberazione nazionale. Le Cas sarebbero state composte da giurie in gran parte popolari, formate sulla base di elenchi scelti dalle autorità civili e dal Comitato di liberazione nazionale. Vennero ben presto ricondotte in una cornice quasi del tutto ordinaria all’inizio del 1946 (sulla base del Dll 5 ottobre 1945 n. 625 furono infatti trasformate in sezioni speciali delle Corti d’assise ordinarie) e dal 1947 la loro attività interamente ricondotta entro le Corti di assise ordinarie. Le Cas erano nate nell’aprile 1945 con la funzione di giudicare, nei territori di prossima liberazione, i cittadini italiani che dopo l’8 settembre 1943 avessero commesso delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato – previsti dall’art. 5 del Dll 27 luglio 1944 n. 159 – con «qualsiasi forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore e di aiuto o di assistenza ad esso prestata», sia sotto il profilo militare che politico, nonché dei delitti fascisti commessi durante il Ventennio di regime dagli stessi imputati chiamati a rispondere di reati di collaborazionismo.
32 Cfr. Guido Neppi Modona, I problemi della continuità dell’amministrazione della giustizia dopo la caduta del fascismo, in Giustizia penale e guerra di liberazione, a cura di G. Neppi Modona, Franco Angeli, Milano 1984, pp. 11-40, p. 27.
33 Mimmo Franzinelli, L’amnistia Togliatti, cit. p. 259.
34 Il progetto, che rientra nell’ambito del più ampio lavoro sull’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, sempre a cura dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, ha portato alla realizzazione di un portale web aperto (cioè implementabile) che raccoglie i dati sintetici delle sentenze delle Cas già mappate, cfr. sito web: http://www.straginazifasciste.it/cas/. L’autore del presente lavoro ha collaborato a tale progetto, con la sua ricerca riguardante l’attività della Corte di assise straordinaria di Lucca, cfr. Convegno «Giustizia straordinaria tra guerra e dopoguerra. Tribunali speciali e tribunali militari», Istituto Nazionale Ferruccio Parri, FBK-Istituto storico italo germanico, Fondazione Museo Storico Trentino, Trento 11-12 dicembre 2017. Cfr. anche Matteo Bennati, «I colpevoli di ogni sorta». La Corte d’assise straordinaria di Lucca: collaborazionismo, «prossimità» con il nemico, violenza, in «QualeStoria», XLVII, 2019, 2, pp. 52-69.
35 Cfr. in particolare i già citati G. Focardi, Arbitri di una giustizia politica: i magistrati tra la dittatura fascista e la Repubblica democratica, e F. Tacchi, Difendere i fascisti? Avvocati e avvocate nella giustizia di transizione, entrambi in G. Focardi e C. Nubola (a cura di), Nei Tribunali. Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana, pp. 91-132 e 51-89.
36 Cfr. il già citato C. Nubola, P. Pezzino e T. Rovatti (a cura di), Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia.
37 Cfr. Giovanni Focardi, Sotto la toga con la camicia nera? Presidenti ordinari per una giustizia straordinaria, in Ivi, pp. 1-96.
38 Cfr. Leonardo Pompeo D’Alessandro, Per uno studio delle sentenze della Corte d’assise straordinaria di Milano. Il giudizio sulla Repubblica sociale italiana e sulla sua classe dirigente, in Ivi, pp. 31-56.
39 Cfr. Andrea Martini, I processi per collaborazionismo nel Lazio (1944- 1951). Risanare le ferite e pacificare una comunità, in Ivi, pp. 145-175.
40 Cfr. Id., Dopo Mussolini. I processi ai fascisti e collaborazionisti (1944-1953), Viella, Roma 2019.
41 Cfr. Laura Bordoni, La sentenza Basile e il dibattito sul funzionamento delle Corti d’assise straordinarie lombarde, in Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia, pp. 57-70.
42 Cfr. Ead., La “giustizia in transizione” in Italia: l’esperienza delle Corti di assise straordinarie lombarde (1945-’50), Tesi di dottorato, Università di Pavia, A.a 2018/2019.
43 Cfr. Toni Rovatti, Lo specchio della giustizia fascista. Il giudizio sui membri dei tribunali straordinari, in Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia, pp. 97-124.
Matteo Bennati, Una giustizia in transizione. Trame complesse di giustizia e politica nel passaggio dal fascismo alla Repubblica, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore – Pisa, Anno accademico 2020-2021