Un diario algerino

Balbo a Setif (Algeria) nel 1933

28 dicembre 1933  “Otto, nove, dieci! Esattamente dieci mesi che vivo solo, chiuso con me e con il mio orgoglio. Gli avvenimenti accaduti in questi dieci mesi hanno deciso molto, non solo sul mio avvenire, ma anche sul mio carattere. Mi pare aver vissuto mille anni, tanto che a pena riesco a ricapitolare i fatti un poco rilevanti che hanno lasciato traccia nella mia memoria.

Vediamo: febbraio, marzo, aprile – qualche scappata al mare in compagnia di amici e poi buio. Maggio – si, il 28 maggio ho visto il mio lavoro di parecchi mesi coronato con l’inaugurazione della Casa degli Italiani di Setif. “Gente Nostra” ha cominciato a funzionare. Da quando sono all’estero, mi pare che dalla parola Italia nasca un qualcosa di complicato che non posso spiegare. Pronunciando il nome della mia Patria, sento risuonare un’armonia tutta nuova. Ma son sincero? O mi cullo in un’illusione che si aggiunge a tutte le mie illusioni di cui il mio spirito, come una spugna, assorbe e conserva l’umore essenziale?

Poi, dal 28 o prima, non so mi pare un bisticcio col mio compagno, o meglio una disputa assai seria mi cominciò a preparare la parola fine al prologo del mio viaggio. A poco a poco stavo avvinghiandomi alla Caba, come un naufrago.

Nei giorni che seguirono la disputa, respirai meglio. Forse la decisione di lasciare libero un buon amico o quella di liberarmi di un cattivo compagno, mi fecero decidere ad abbandonare Setif.

Poi, con Mario si parlò chiaro, infine, due mesi più tardi verso la metà di luglio, discesi a Bougie.

E fui solo.

Intendo per solo la completa rinuncia che mi fu giocoforza fare a tutte le mie abitudini che ero riuscito a portare con me nella Caba.”

Giuseppe Balbo al lavoro nel 1934

I primi dieci giorni che passai a Bougie furono necessariamente spesi a cercarmi un alloggio ed una pensione conveniente alle mie risorse modeste. Trovai amici che mi accolsero con una marcata simpatia e con i quali potei, a mio agio, parlare delle cose che mi sono sommamente care. Di arte, di filosofia, di religione. Aliprandi, Niccolai, Ribera, Toquazzoni, sarà breve o lunga la mia vita, non lo posso sapere, né voi: ma se è vero che il morale influisce sul fisico, la vostra eccellente compagnia mi ha raddoppiato il tempo che mi resta da vivere!”

Bougie (1934)

Di tanto in tanto Cavalla scendeva a trovarmi. Sempre affettuoso, sempre buon amico ma nihil mutatus ab illo!

Il mio soggiorno di Bougie ha iniziato un’altra fase del mio vagabondaggio. Ormai sono come tutti i pittori professionisti che o per studio o per commercio mutano di tanto in tanto residenza. I miei giorni trascorrono nello studio dell’acquarello, tecnica che mi tenta per la sua semplicità e difficoltà nello stesso tempo.

Studio a Bougie (1934)
Ancora Balbo nel 1934

Evitando il villaggio di Biskra mi incammino verso il deserto. Passando a fianco del cimitero Mozabita la guida mi spiega che gli M’zabi non vogliono restar sepolti in quel cimitero e che, da quando la legge francese ha loro impedito di andar morti nello M’zab, si fa per i defunti un simulacro di sepoltura nel cimitero comune, ma poi i parenti o gli amici si incaricano di fare a pezzi il defunto e di trasportarlo a dorso di cammello ponendone i resti in cassette che non possano per le dimensioni esagerate, destar sospetto.”

Biskra: il cimitero Mozabita nel 1934

Ho premura di giungere alle dune. Carovane di cammelli che giungono dal sud sono nel loro elemento e non esiste più quell’anacronismo che si nota scorgendo cammelli sull’asfalto pulito dal passaggio delle auto.”

La piccola carovana (1934)

Giungiamo finalmente alle prime dune. Anche là il turismo ha creato un piccolo alberghetto. Ma volgendo la schiena al progresso la piana sabbiosa e calda è maestosa. Le colline sono scese ad alture, e le alture, che hanno già il colore di sabbia, si stendono basse ed umili a lambire i piccoli grani impalpabili più piccoli che piccole gocciole di rugiada e terribili più che l’uomo grande e padrone del mondo.

Subito l’immensità che non riesco ad afferrare mi delude. Sotto il sole cocente inizio qualche nota. Una brezza leggera ed infocata mi suona i timpani sulla carta tesa e sulla tavolozza umida. Accidenti! Ho dimenticato i cerini all’albergo ed una repentina voglia di fumare mi assale. Finite le note avrei il desiderio di addentrarmi nel deserto, anche a mezzo del trenino bianco che passa con un fischio debole come pauroso della maestà che sta affrontando.”

Balbo e il deserto (1934)

Gli avvenimenti più che io stesso mutano le mie disposizioni. Mi trovo ancora a Setif. Passo così l’estate lavorando poco, facendo frequentissime gite al mare ed aspettando che un altro avvenimento mi faccia abbandonare questa città che non amo eccessivamente.

Ricevo nel frattempo una comunicazione da Bordighera, di Curti che mi prega occuparmi di un’organizzazione di commercio di fiori nell’Africa del Nord. Me ne incarico volentieri, non per disprezzo all’arte, ma per distrazione.

Alla fine del 1934 mi trovai ad Algeri.

Cominciai ad organizzare il mio commercio. Trovai clienti, trovai  il magazzino, le spedizioni iniziarono e quando tutto fu a posto fui informato che per necessità imposte non c’era più nulla da fare.

La mia amica tavolozza mi venne a soccorso con le sue suggestioni e decisi di restare per arte ad Algeri dove ero venuto per commercio. Avendo molte difficoltà ad avere tutto il mio materiale che era sempre a Setif in custodia di Mario mi trovai, se non in imbarazzi in una situazione non del tutto brillante.”

13 febbraio 1935 “Oggi che scrivo mi trovo ad Algeri con molte cose in testa, con pochi soldi in tasca, ma con una matta voglia di lavorare, molte buone speranze ed un’ottima amica a Setif. Jane.”

[Così finisce il diario della CABA]

di Giuseppe Balbo

© Archivio Balbo 2018

Tutte le foto sono di Giuseppe Balbo © Archivio Balbo

Per la biografia completa di Giuseppe Balbo: www.giuseppebalbo.it