Un leggendario allenatore di calcio morto ad Auschwitz

Negli anni venti il calcio magiaro incantava l’Europa e i nazionali ungheresi erano talenti straordinari, forse ancora più limpidi di quelli che trent’anni dopo, guidati da Ferenc Puskás, avrebbero fatto sbrilluccicare gli occhi agli appassionati del pallone. Ci sono i fratelli Károly e József Fogl, che costruirono la celebre diga difensiva, e poi György Orth, Zoltán Opata, Béla Guttmann, Ferenc Hirzer e Árpád Weisz, il protagonista della nostra storia.

Árpád è un buon giocatore ma non un fuoriclasse come altri suoi compagni. Una buona ala sinistra che compie una carriera discreta chiusa nelle file dell’Inter. Inter che lo assumerà, ancora giovanissimo, come allenatore. Diventa così uno dei tanti ungheresi a guidare le formazioni italiane in quel periodo. Però ha qualcosa in più dei connazionali. Tra i primi allenatori a scendere veramente in campo durante gli allenamenti, Árpád studia carichi di lavoro e diete specifiche per ogni giocatore, segue con attenzione i settori giovanili e cambia radicalmente disposizioni in campo e modalità di gioco.

Un lavoro ripagato da successi precoci. Ha appena 34 anni nel 1930, quando vince il suo primo scudetto, diventando l’allenatore più giovane a conquistare il campionato e stabilendo un record tutt’ora imbattuto. Nel frattempo il fascismo impone le sue regole al mondo del calcio. L’Inter deve prendere il nome di Ambrosiana e portare il fascio littorio sulla casacca, mentre lui è costretto a italianizzare il proprio cognome in Veisz.

Ma non importa: Árpád, che da giovane aveva avuto simpatie socialiste ed era stato soldato sul Carso, ama troppo l’Italia per andarsene. Continua ad allenare e dopo l’Inter, il Bari e il Novara approda al Bologna facendolo diventare “lo squadrone che tremare il mondo fa”. Vince due scudetti consecutivi e conquista la coppa Expo nel 1937, umiliando in finale per 4 a 1 il Chealsea.

È la prima volta che in una competizione internazionale una formazione italiana sconfigge una inglese.

Una carriera straordinaria, interrotta dalle leggi razziali fasciste del 5 settembre 1938, che costringono Árpád, che è di origine ebraica, ad andarsene dalla penisola. Prima a Parigi, poi nei Paesi Bassi.

L’occupazione dell’Olanda da parte della Germania nazista è il preludio alla tragedia che colpirà la famiglia Weisz. Il 2 agosto 1942 la Gestapo arresta Árpád, la moglie e i due figli. Lui viene spedito nell’Alta Slesia in un campo di lavoro mentre Elena e i bambini sono mandati ad Auschwitz dove vengono subito uccisi. Nel gennaio del ’44 anche Árpád seguirà il loro tragico destino.

Nessuno alzò la voce per proteggerlo e in pochissimi si ricordarono di lui dopo la guerra. Lui che aveva reso grande il Bologna. Dal 2009 una targa in suo onore è stata posta nello stadio Dall’Ara.

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