Un pensionato di 62 anni scriveva al generale Dalla Chiesa

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Nella DC aveva inizio un’inevitabile fase di riflessione. Piccoli, garante del preambolo, rinunciava a ricandidarsi come segretario, riconoscendo la caduta dello steccato ideologico e la funzione che il PCI ricopriva nel Paese. Al XV Congresso nazionale, il 2-6 maggio 1982, nell’equilibrio tra l’area Zac (27,7%) e quella dorotea (23,6%), l’uomo chiave diveniva Andreotti (15,8%). Il suo disegno di fungere da mediatore, regista indiscusso dell’assise e garante del nuovo segretario, veniva sostenuto da Lima nel suo breve intervento:
“Spero che questo congresso riesca a farci recuperare gli anni del preambolo, anni che sono stati privi di iniziativa e che hanno affievolito la capacità di proposta della Democrazia cristiana. Certo oggi è più difficile rispetto a due anni fa: è più difficile il rapporto con i nostri tradizionali alleati e più difficile è il rapporto con la sinistra e con il PCI, è più difficile il rapporto con lo stesso PSI che ha moltiplicato la sua competitività. Se la DC non è isolata dinanzi al Paese, lo deve alla sua storia e alla sua forza di partito popolare. Spero che il congresso faccia riacquistare alla DC la mobilità necessaria ad un partito popolare per rendere impraticabile l’alternativa a sinistra e costringere la sinistra ad un confronto e ad una intesa”. <800
A vincere era De Mita, dell’area Zac, che col 55% sconfiggeva Forlani. Decisivo, in suo favore, era l’appoggio del “PAF” (Piccoli-Andreotti-Fanfani). <801 Il suo esordio era tutt’altro che semplice, perché, proprio alla vigilia del congresso, il 30 aprile 1982, La Torre veniva assassinato a Palermo insieme al compagno e autista Rosario Di Salvo. Aveva appena raccolto un milione di firme per la campagna di pace, riuscendo a radunare 100mila persone in una nuova grande manifestazione nazionale, a Comiso, il 4 aprile. Come scriveva Mario Mineo, La Torre «non era né un magistrato né un poliziotto in grado di individuare e colpire qualche punto debole di una grossa trama mafiosa, né un uomo di governo che potesse effettivamente impedire qualche grosso ‘intrallazzo’». Era il segretario regionale del PCI, un partito che, nonostante tutte le incertezze e le timidezze che potevano essergli imputate, aveva sempre lottato contro la mafia e che, da tempo, sosteneva la necessità di condurre un’azione più incisiva che permettesse a polizia e magistratura di indagare sui patrimoni mafiosi attraverso le banche. L’avvertimento era pertanto di una «chiarezza cristallina» e si rivolgeva non solo al PCI ma anche al governo, nazionale e regionale, e alla stessa DC alla vigilia dell’arrivo in Sicilia del generale Dalla Chiesa: come a dire, se lo Stato aveva in mente un’operazione alla Mori o, peggio, voleva fare i conti in tasca alla mafia, quella era la fine che spettava ai suoi uomini. <802
Ai funerali Berlinguer si esibiva in un discorso accorato e misurato, mentre, quando iniziava a parlare, D’Acquisto non faceva in tempo a dire che La Torre era stato assassinato «per le sue idee politiche e per la sua opera» che veniva sommerso da una caterva di fischi. Vicini al presidente della Regione, impietriti, Pertini e Spadolini, mentre sotto al palco anche i membri del servizio d’ordine si toglievano il distintivo per mettersi a fischiare. Alcuni sventolavano carte da mille lire, altri gridavano: «Lima, D’Acquisto, Ciancimino, chi di voi è l’assassino?». <803 Nel suo editoriale su Il Popolo, Remigio Cavedon manifestava la sua sorpresa per quei fischi, non riuscendo a intuire le ragioni che avevano portato la folla a quelle gravi dimostrazioni di intolleranza. D’Acquisto era un uomo democraticamente eletto e «quindi degno, al di là delle posizioni politiche, di ogni rispetto e considerazione». <804
Dopo essere stato protagonista dello smantellamento delle organizzazioni terroristiche, con la promessa che gli venisse affidato il coordinamento generale della lotta alla mafia, già il 1° maggio Dalla Chiesa s’insediava come prefetto di Palermo. L’ufficiale dei carabinieri era consapevole che questa lotta era di ordine completamente diverso rispetto a quella contro le BR, se non altro per l’intreccio delle complicità politiche. Già il 2 aprile, d’altra parte, aveva scritto a Spadolini di ritenere la corrente andreottiana «la famiglia politica più inquinata del luogo». E prima di partire, di rientro da un colloquio con Andreotti, aveva annotato nel suo diario:
“Anche l’on. Andreotti mi ha chiesto di andare e naturalmente, date le sue presenze elettorali in Sicilia, si è manifestato per via indiretta interessato al problema. Sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori”. <805
Aggiungeva di essere convinto che la «mancata conoscenza del fenomeno» lo conduceva «ad errori di valutazione e circostanze», anche se la risposta pubblica dell’ex presidente del Consiglio non era di certo incoraggiante. Qualche giorno dopo, infatti, nella rubrica settimanale Bloc notes tenuta su L’Europeo, Andreotti scriveva:
“Ora il generale è nominato prefetto di Palermo con una chiara indicazione di volontà «anti-mafia». Molto bene, ma poiché l’allarme criminale viene dalla Calabria e dalla Campania, può venire il sospetto di una sfasatura di tempi e di luoghi. Comunque, buon lavoro”. <806
Lo avrebbe smentito il delitto La Torre. Significativo, a questo proposito, uno scritto anonimo arrivato al prefetto, il 16 maggio: “Siamo un gruppo di uomini anziani, da sempre onesti, che desidera da tempo un po’ di tranquillità in questa povera Palermo che da qualunque lato si gira deve assistere inerme allo scempio di altri uomini onesti, il cui ultimo (Pio La Torre) aveva gli stessi ideali: liberare la città e tutta la Sicilia dall’attività delinquenziale”.
Saputo del suo insediamento, l’autore – poi identificato in Francesco Abbatessa, un pensionato di 62 anni della provincia di Catania e simpatizzante comunista – chiedeva a Dalla Chiesa se i «signori della maggioranza relativa» gli avrebbero lasciato i poteri necessari per ridare ai cittadini la tranquillità perduta e non costringerli a rimanere tappati in casa. Augurandogli un buon lavoro, concludeva:
“Ma Lei, signor generale, sa che la tracotanza della mafia è tale per l’appoggio politico (leggi Lima, Gioia ora defunto e anche Ciancimino, che al Comune ha erogato molti appoggi per lo scempio che si è fatto del nostro panorama e di tutto il resto, coperto dal cemento. Ora come paladino della mafia c’è il sig. Lima Salvo il quale è stato ben ricompensato dalla mafia e si trova proprietario (forse per cautela con prestanome) di parecchi appartamenti nuovi, terreni, un albergo di lusso moderno, in aggiunta una villa in America dove è stato mandato l’estate un suo nipote (figlio del fratello)”. <807
Con il trascorrere delle settimane, proprio per le polemiche sulla mancata definizione del ruolo e dei poteri, Dalla Chiesa trovava una situazione sempre più difficile. <808 Si sentiva isolato, tanto da sfogare la propria frustrazione in un’intervista a Giorgio Bocca, il 10 agosto: “Ho idee chiare, ma capirà che non è il caso di parlarne in pubblico. Le dico solo che le ho già, e da tempo, convenientemente illustrate nella sede competente. Spero che si concretizzino al più presto. Altrimenti non ci si potranno attendere sviluppi positivi […] Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale: è diventato troppo pericoloso ma si può ucciderlo perché è isolato”. <809
[NOTE]
800 Lima: tutto è diventato più difficile, in «L’Ora», 30 aprile 1982.
801 Nel momento in cui Fanfani si accostava al microfono, intervenendo a favore di De Mita, nelle tribune degli invitati cominciavano scontri poi estesi tra i delegati. Per i fedeli a Forlani, era «sconcertante» l’atteggiamento del loro capo storico.
802 Mario Mineo, Scritti sulla Sicilia, Flaccovio, Palermo 1995, pp. 307-308. Protagonista dimenticato della vita politica siciliana, già nel 1970 Mineo considerava l’«esproprio della proprietà mafiosa» come la parola d’ordine della lotta alla mafia, perché la borghesia siciliana non era «economica» e imprenditoriale, ma funzionalmente intermediaria e parassitaria.
803 Enrico Deaglio, Il raccolto rosso 1982-2010. Cronaca di una guerra di mafia e delle sue tristissime conseguenze, il Saggiatore, Milano 2010, p. 24. Ai funerali, in Piazza Politeama, parteciparono 100mila persone. Cfr. Diretta dei funerali Pio La Torre e Rosario Di Salvo, andata in onda il 2 maggio 1982, http://www.regionesicilia.rai.it/dl/sicilia/video/ContentItem-9fc9c2a0-a49a-4261-9e64-89282d635114.html
804 Remigio Cavedon, I fischi di Palermo nascondono il settarismo di base del PCI, in «Il Popolo», 5 maggio 1982.
805 Nando Dalla Chiesa, Delitto imperfetto. Il generale, la mafia, la società italiana, Mondadori, Milano 1984, pp. 32-34.
806 G. Andreotti, Meridiani e paralleli, in «L’Europeo», 19 aprile 1982.
807 ACS, MI Gab. 1981-1985, Uccisione Dalla Chiesa, b. 10, Esposto anonimo concernente l’omicidio La Torre, 16 maggio 1982.
808 Non mancavano appigli istituzionali e cavilli procedurali. Si richiamavano i limiti imposti dalla riforma della Polizia; si riscopriva l’articolo 31 dello Statuto, che affida al presidente della Regione l’ordine pubblico; si sollecitava una sorta di ammutinamento degli altri prefetti, che mal digerivano la presenza di un “superprefetto” e così via.
809 G. Bocca, «Come combatto contro la mafia», in «la Repubblica», 10 agosto 1982.
Vincenzo Cassarà, Salvo Lima. L’anello di congiunzione tra mafia e politica. 1928-1992, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2019