Un’allusione sibillina che può ben far pensare all’Istituto Luce

A questo punto l’“errore” contenuto nella recensione di Alicata a “Paesi tuoi” [n.d.r.: romanzo di Cesare Pavese pubblicato nel 1941] di cui si è detto sopra, in quanto cita un passo di questo saggio pavesiano su Sinclair Lewis, non deve essere considerato un errore ma una scherzosa strizzata d’occhio, in quanto Alicata dà segno di aver colto sia la satira di Mussolini presente in “Paesi tuoi” sia la satira su Mussolini presente nel saggio su Lewis del 1930, che attraverso i sogni di gloria del rozzo e persuasivo predicatore che immagina di diventare il «dittatore del mondo», paragonandosi a «Napoleone o Alessandro», allude al dittatore Mussolini.
Tornando a “Paesi tuoi”, si è visto quindi che il personaggio Talino, il cui nome è anagramma di “latino”, anche attraverso una serie di riferimenti allusivi che rimandano al verbo ducere (colui che conduce, colui che raggira e via dicendo) e quindi al coevo “duce” Mussolini, novello Augusto nella propaganda del regime, e quindi novello Cesare: figura la cui presa del potere, come si tramanda, è stata profetizzata interpretandone in tal senso il sogno incestuoso, un dato che rimanda nuovamente al personaggio Talino.
[…] Uno dei più significativi filoni allusivi del romanzo prende le mosse dal motivo della fantomatica centrale elettrica. Talino inganna (ducit, come si è detto) Berto ripetutamente e in vari modi, e una delle sue astuzie consiste nel fargli credere che, una volta giunti in campagna, potrà lavorare come operaio in una vicina centrale elettrica. Quando il protagonista si rende conto dell’inganno – la centrale in questione non esiste – è ormai troppo tardi; ma ciò che conta è che nel romanzo ci si riferisce ad essa con l’espressione «fabbrica della luce» (PT, 10). Un’allusione sibillina che può ben far pensare all’Istituto Luce (dove peraltro il termine “luce” storicamente allude al termine “duce”), la “fabbrica degli inganni” propagandistici del regime – e soprattutto la “fabbrica” dei cinegiornali di propaganda sulla “Battaglia del grano”. Seguendo questa traccia si possono riscontrare nella trama di “Paesi tuoi” diversi riferimenti al cinegiornale propagandistico del 1925, intitolato appunto “La battaglia del grano” <794.
Un confronto tra il cinegiornale (dove appare Mussolini in posa che gira gli occhi nelle orbite, come Talino dopo il delitto) e il romanzo rivela similitudini interessanti. Alla fine del filmato innanzitutto compare un “personaggio”, come si è detto sopra, molto importante nel romanzo: la «macchina per battere il grano». Se la trebbiatrice appare solo per pochi istanti – vien da pensare dopo la lettura di “Paesi tuoi” – è perché, come nota Berto, si tratta di un vero e proprio aggeggio infernale, che nel documentario si intravede in funzione circondato da quella nube di polvere che è facile intuire, come si legge nel romanzo, «brucia più del fuoco». Il dettaglio a questo proposito più interessante si può cogliere nell’eufemistica ed elusiva didascalia virgolettata che accompagna la scena della macchina immersa nella polvere: «“… il vento turbina e suscita polvere in vortici”» (BG, 28′: 45”). Come Pavese ha chiaramente sottolineato nel romanzo – e prima di lui Šolochov nel racconto “I braccianti” – della polvere non è certo responsabile «il vento» <795 bensì la trebbiatrice, che costringe a lavorare immersi in quella «polvere che bruciava più del fuoco» (PT, 85).
Tra i vari dettagli interessanti, il cinegiornale (BG, 29′ e sgg.) mostra i contadini in festa durante la trebbiatura. Anche questa è una scena ben presente in “Paesi tuoi”, che si rivela così una riscrittura satirica e parodistica del cinegiornale “La battaglia del grano” del 1925 <796. Una didascalia che segue l’apparizione della trebbiatrice tra la polvere recita: «si alterna al lavoro la festa del desinare…» (BG, 29′), e si osservano dei contadini che si dirigono verso una tavolata all’aperto. L’ameno “dover essere” del lavoro di trebbiatura propagandato dal cinegiornale, in “Paesi tuoi” ha un riscontro preciso nella situazione che viene prospettata a Berto a proposito del suo lavoro futuro alla trebbiatrice, in un accenno nel quale viene descritta anche una tavola imbandita come quella esibita nel filmato:
“Qualcosa sul trattamento che ci avrebbero fatto le cascine lo seppi da Nando, e mi disse che ‘ogni piazza era come una fiera dove chi andava e chi veniva, si faceva la festa‘, c’era la tavola aperta, e alla sera si cantava e beveva come alla sfogliatura” (PT, 44-45, corsivo mio).
Si osservi quindi come prosegue il passo appena citato; è utile prestare attenzione a tre dettagli, ovvero la punta «pelata» del monte (che si osserva «dalla porta della tettoia»: come racchiusa in uno schermo cinematografico), il paragone tra la fatica del lavoro con la macchina e il «cuocere al forno», e, “last but not least”, Talino che, mussolinianamente, «fa finta» di spalare la paglia:
” ‘Dalla porta della tettoia‘ si vedeva la collina della Grangia ‘con quella punta pelata‘, e cominciavo a pensare che ‘accudire una motrice sotto il sole di mezzogiorno in quei cortili lassù‘ era peggio che cuocere al forno.
Proprio allora arrivava ‘Talino‘, con la solita fiacca, e ‘si mette a voltare per finta lo strame‘ dei buoi ” (PT, 45).
Nando aveva appena raccontato una scena che pare tratta direttamente dal cinegiornale (la festa che accompagna la trebbiatura, la tavola imbandita ecc.); subito dopo Berto guarda attraverso la «porta della tettoia», che evoca lo schermo cinematografico. Il pensiero di Berto, che osserva la cima della collina assolata e «pelata» (allusione satirica alla calvizie di Mussolini <797) attraverso la finestra-schermo, commenta in realtà la scena che nel cinegiornale segue la tavolata evocata da Nando: vi si vede infatti la trebbiatrice in funzione sotto il sole, avvolta come si è detto in una fitta nube di polvere. Berto (come se vedesse e commentasse la scena) pensa che «accudire una motrice sotto il sole di mezzogiorno in quei cortili lassù era peggio che cuocere al forno». Segue un’allusione parodistica (preannunciata dalla «cima pelata» di cui sopra) a quella che ad oggi è ancora una delle più note immagini della propaganda filmica mussoliniana: il dittatore che si esibisce spalando grano («Talino […] si mette a voltare per finta lo strame»).
A questo punto è utile sottolineare che un riferimento allusivo ai cinegiornali, e quindi un suggerimento relativo al contenuto satirico celato nel romanzo, si legge nell’ultima parte della lettera già citata dove Pavese parla all’amico Pinelli di “Paesi tuoi”:
“Crollano regni e imperi e ogni giorno può essere l‟ultimo e questo è totalitarismo e chi ha sete di giustizia sarà presto saziato. Ho visto al cinema Mons. Tiso, presidente della Slovacchia: somiglia tutto a Don Brizio, più in grasso,… tu m’intendi”. <798
Il riferimento al «totalitarismo» seguito dall’allusione a un capo di stato («presidente della Slovacchia») «visto al cinema», seguito dalla sibillina chiusa della lettera su “Paesi tuoi” («tu m’intendi») che segnala la necessità di una lettura tra le righe, potrebbe proprio riferirsi alla satira sul Mussolini dei cinegiornali celata nel romanzo; tanto più che il tono biblico e il riferimento all’uomo di chiesa («Don Brizio») richiama nuovamente il personaggio Elmer Gauntry, il furbo e volgare predicatore americano che sogna di diventare dittatore del succitato saggio pavesiano su Lewis, a sua volta esopicamente satirico.
Tornando a “Paesi tuoi”, si deve constatare che il procedimento pavesiano consiste nello snocciolare raffigurazioni allegoriche in forma frammentaria; nelle immagini di propaganda Mussolini spala grano a torso nudo, e la rappresentazione visiva di Talino precedente alla scena che lo raffigura nell’atto di «voltare per finta lo strame» risale alla notte precedente <799: «trovo Talino che fa finta di dormire, disteso sul materasso, con solo i calzoni indosso. Mi fermo a guardargli il torace» (PT, 42); si noti che le due immagini sono legate da un elemento mediatore, in quanto nella prima Talino «fa finta di dormire», nell’altra rivolta lo strame «per finta». Ricomponendo i due frammenti si ottiene Talino (Mussolini) a torso nudo che «fa finta» (filmato propagandistico) di spalare lo strame.
Evidentemente il gioco delle allusioni satiriche non ha ancora accontentato Pavese, e subito dopo la scena dello strame si legge: «poi [Talino] ci grida attraverso la porta: – È lì Nando? – Glielo mando nella stalla e Talino gli fa la lezione sulla pastura di quel giorno» (PT, 45). Seguendo immediatamente l’immagine di Talino che spala lo strame «per finta», la scena dove questi «fa la lezione» al piccolo Nando inchioda definitivamente la figura di Talino al dittatore e maestro di scuola Mussolini, preconizzando le staffilate sarcastiche del Carlo Levi del “Cristo si è fermato ad Eboli”: «Gagliano, come l’Italia, era a quel tempo in mano ai maestri di scuola» <800.
Non è precisato con quale arnese Talino avesse rivoltato lo strame, ma Pavese si preoccupa di informarne il lettore: qualche riga oltre infatti si legge che «Vinverra dà mano al tridente per voltare lo strame» (PT, 45). Poco prima di quest’ultima frase Pavese – sempre in trobar clous – aveva nuovamente suggerito un’allusione al cinema, riferendosi all’arte che nell’immaginario collettivo è ad esso più prossima: «Era come al teatro» (PT, 45), osserva Berto. <801 Inoltre lo stesso identico gesto di Vinverra sopraccitato («Vinverra dà mano al tridente per voltare lo strame») era stato anticipato in un passo significativo, dove parimenti Berto registra che «Vinverra voltava lo strame, con la sua cappellina sulle orecchie» (PT, 29); in questo passo Berto e Vinverra discutevano del salario, e si svolge un discorso che tratta delle «piazze», ovvero Berto scopre che dovrà «servire la battitrice, attaccarci i buoi e girare le campagne» (PT, 29) – come si narra nel cinegiornale dell’Istituto Luce – e contestualmente Berto chiede a Vinverra: «c’era bene una fabbrica della luce?» (PT, 29).
Gli eventi del romanzo ribaltano l’ottimismo propagandistico del cinegiornale del 1925. Nelle ultime sequenze del filmato compare la trebbiatrice nella polvere, seguita dalla succitata spiazzante didascalia («“… il vento turbina e suscita polvere in vortici.”»). Alcune donne trasportano del grano in mezzo a un polverone, e compare un’altra didascalia che recita: «si alterna al lavoro la festa del desinare…». A questo punto diversi contadini si dirigono verso una tavolata imbandita all’esterno di un caseggiato; seguono immagini conviviali, dove delle donne portano il cibo; alcuni contadini in piedi cantano festosi, e proprio su un brindisi rivolto verso l’obiettivo della macchina da presa si chiude il filmato. È grossomodo la scena che nel romanzo è prefigurata dal sopraccitato racconto del piccolo Nando
[…] L’insieme dei riferimenti che si è tentato fin qui di sottolineare rende “Paesi tuoi” il romanzo satirico della “battaglia del grano” fascista, un romanzo che tratta la politica agraria del regime necessariamente in forma esopica, ma che nondimeno risulta un equivalente dei “Dissodatori” (Podnjàtaja Tselinà) di Šolochov, il romanzo della collettivizzazione sovietica delle campagne (che a sua volta non disdegna qualche esopica staffilata satirica). Resta da discutere una circostanza di grande interesse: la struttura tragica del romanzo pavesiano, la sua caratteristica modalità di rappresentazione della tragedia storica sembra derivare direttamente dalla struttura tragica del romanzo di Šolochov.
[NOTE]
794 Il documentario è disponibile e visionabile on-line, all’indirizzo internet «http://www.archivioluce.com/archivio/jsp/schede/videoPlayer.jsp?tipologia=&id=&physDoc=2321&db=cinematograficoDOCUMENTARI&findIt=false&section=/»; i riferimenti al cinegiornale consisteranno nella sigla BG seguita dall’indicazione di minuti e secondi della scena o didascalia.
795 Il vento poteva certamente spargere la polvere, ma essa ovviamente è “suscitata” dal lavoro di trebbiatura.
796 Un altro cinegiornale, omonimo, è stato prodotto nel 1935; qui ci si riferirà sempre a quello del 1925.
797 Un’altra immagine, poco oltre, ribadirà l’allusione: «Quando finalmente sbuco davanti alla collina della Grangia, mi fece l’effetto di essere proprio grande e grossa. Quante vigne, quanta stoppia, quanti mucchi di piante, sotto il cocuzzolo pelato! Ce n’era sì della gente. Sembrava una carta geografica» (PT, 52-53). L’immagine di un «cocuzzolo pelato» che sormonta «una carta geografica» può far pensare, tenendo presente l’intricato insieme di citazioni e allusioni che si sta tentando di decifrare, ad un Mussolini che sormonta l’Italia, anche perché l’altra immagine è difficilmente spiegabile («ce n’era sì della gente!»): non è improbabile quindi che la carta geografica così popolata alluda all’Italia, o che si riferisca a un Mussolini che fa piani di guerra sulle carte geografiche, o che l’immagine di una folla sotto un “capo pelato” alluda alle note adunate oceaniche sotto Mussolini affacciato. D’altronde il primo significato del termine “cocuzzolo” è: «la sommità della testa o del cappello» (mentre «la vetta di un monte, il culmine di un tetto e simili» è un secondo significato; l’etimologia conduce al tardo latino «Cocutium “cuffia, cappuccio”» (GIACOMO DEVOTO, GIAN CARLO OLI, il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana 2007, a cura di Luca Serianni e Maurizio Trifone, Le Monnier, Firenze 2006, p. 569). La filiera di significati prende quindi la direttrice: cima (del monte) – «cocuzzolo» – capo (nel doppio significato di “testa” e di “colui che comanda”: il cerchio si chiude, e infatti in questa seconda accezione il termine è il titolo del succitato scritto gramsciano Capo, che tratta satiricamente di Mussolini); inoltre, la martellante definizione di Talino come animale ne fa un “capo di bestiame”.
798 Pavese a Tullio Pinelli, 4 dicembre 1939, in C. PAVESE, Lettere 1926-1950, cit., vol. I, p. 359.
799 Tra le due scene si interpone un solo riferimento fugace a Talino, dove questi non viene raffigurato, anzi forse non è neppure visto da Berto, e si trova “fuori scena”; comunque sia non viene rappresentato visivamente: «Ci svegliò Vinverra per quella maledetta capra […] Li lascio correre gridando, e andarci Talino, e sento che discutono nella stalla» (PT, 43).
800 CARLO LEVI, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino 1945; cito dall’edizione Mondadori, Milano 1976, p. 57.
801 Non si vuol dire che il riferimento al teatro abbia l’unica funzione di alludere al cinema: va sempre tenuta in conto la ricca polisemia che caratterizza l’ordito narrativo pavesiano. Il riferimento al teatro – di per sé ottimamente giustificato nel contesto della scena – allude metanarrativamente all’atmosfera teatrale che caratterizza diversi momenti del romanzo e, naturalmente, contribuisce a preannunciare la tragedia (si può anche ricordare che ‘Paesi tuoi’ rimanda alla dannunziana ‘Figlia di Iorio’, dove il “sacrificio agricolo” è legato alla mietitura ecc.)
Giovan Battista Di Malta, Modelli letterari russo-sovietici del romanzo neorealista: Pavese, Calvino e Viganò (1938-1949), Tesi di di Dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno Accademico 2010-2011