Un’attività sotterranea per sviare la ricerca degli ebrei

Angelo De Fioore – Fonte: Gazzetta del Sud Cosenza

[…] Angelo De Fiore (Rota Greca, 17 luglio 1895 – Roma, 18 febbraio 1969), vicequestore, dirigente dell’Ufficio Stranieri della questura di Roma, durante l’occupazione tedesca, tra il 1943 e il 1944.
Egli riuscì a sottrarre centinaia di ebrei alla deportazione e all’Olocausto. Affiancò attivamente le attività clandestine della Delasem, organizzazione cattolica della resistenza ebraica, promossa da monsignor Hugh O’Flaherty. Oppose il suo rifiuto alla Gestapo che gli ingiungeva di avere l’elenco degli schedati.
Si giustificò con il disordine degli archivi che egli stesso, nottetempo, con l’aiuto di un suo fido collaboratore, aveva irrimediabilmente danneggiato, facendo sparire fascicoli e falsificando documenti. Non solo. La sua azione di sabotaggio antinazista proseguì favorendo la scarcerazione di numerosi ebrei, accusati di reati comuni e di diserzione.
Adducendo lo scompiglio dell’archivio, negò la sua collaborazione al famigerato questore Pietro Caruso, che, dopo l’attentato di via Rasella, gli intimava di fornirgli elenchi di persone da consegnare ai tedeschi per la rappresaglia, quella che sarà consumata alle Fosse Ardeatine. “Non ho nomi da dare”, fu la risposta di De Fiore a Caruso, che, sostenendo la ferocia degli occupanti, si rese responsabile di una serie di crimini, e che, dopo la Liberazione, sarà processato e fucilato.
Il vicequestore subì un’indagine, che il corso degli avvenimenti successivi porterà al nulla di fatto. Gli Alleati, con i quali collaborò, lo insignirono del titolo di “Patriota”, con attestato del generale Alexander. De Fiore proseguirà la sua carriera: sarà questore di Forlì, Pisa e La Spezia, dove targhe commemorative lo celebrano come “eroe” e come “uomo integro e retto”.
Luigi Michele Perri, Angelo De Fiore, il vicequestore da Rota Greca che salvò centinaia di ebrei dall’Olocausto, Gazzetta del Sud Cosenza, 6 marzo 2020

Dante Almansi, primo prefetto fascista di Caltanissetta e vice capo della polizia.
Ebbe un ruolo fondamentale nella creazione della DELASEM (Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei), un’organizzazione nata nel 1939 (ed operante fino al 1947) il cui scopo era la distribuzione di aiuti anche economici agli ebrei internati o perseguitati. Se la DELASEM potè essere creata durante il periodo delle leggi razziali fu probabilmente per le conoscenze altolocate che Almansi poteva vantare (in passato aveva lavorato con il Generale De Bono) <198.
[NOTA]
198 Un interessante articolo su Almansi è stato pubblicato dal quotidiano “La Sicilia” il 25 gennaio 2009, in occasione della Giornata della Memoria.
Davide Spada Pianezzola, Le ragioni dei Giusti. Azioni, tecniche e motivazioni dei “Giusti” italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, 1941-1945, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2013-2014

[…] Arruolatosi come ufficiale dei granatieri nella prima guerra mondiale [Angelo De Fiore] combatté contro l’esercito austriaco riportando una ferita sul campo che gli valse la croce di guerra. Fu congedato nel 1917. Dopo la marcia su Roma aderì al fascismo e l’11 dicembre del 1922 prese la tessera del Partito. Riprese gli studi universitari in Giurisprudenza. Ritornò a vivere a Rota Greca dove rimase fino al 1924. Nel 1927 sposò Giulia Sprovieri, originaria di Montalto Uffugo, dalla quale ebbe cinque figli.
Nel marzo 1928 vinse il concorso di Funzionario di Pubblica Sicurezza. Fu assegnato come commissario aggiunto all’Ufficio stranieri della Questura di Roma dove gli furono affidati compiti di rilievo. Da una lettera d’encomio inviata dal capo della polizia di allora, Arturo Bocchini, al prefetto di Roma il 20 settembre 1938, inoltre, si deduce che fu il responsabile del servizio d’ordine durante la visita di Hitler in Italia. E ancora nel 1941 scortò il ministro degli Esteri Ciano in missione in Austria e Ungheria e l’anno dopo in Germania e a Lisbona. Fatti, questi ultimi, che potevano far pensare a una sua convinta adesione al fascismo, mentre le vicende che seguirono rivelano che, proprio per la sua reputazione riesce a nascondere la propria opposizione al regime e ad agire con fermezza contro la dura repressione fascista.
Una opposizione che diviene pubblica solo quando, all’indomani della liberazione di Roma, fu costretto a difendersi dalle accuse che gli vennero mosse da Pietro Koch, violento squadrista a capo di una banda che tra gennaio e maggio 1944 compì azioni cruente contro gli antifascisti e la resistenza romana. Koch lo tirò in ballo in maniera ambigua, prima con l’accusa di collaborazionismo con la polizia nazista a partire dall’8 settembre 1943, e poi con l’accusa opposta di negligenza nell’effettuazione di un servizio repressivo da parte della Polizia della Questura di Roma il 21 dicembre 1943. In effetti, alla guida di 21 agenti, de Fiore fu incaricato dalla Questura di collaborare con Koch nella perquisizione eseguita dai componenti la banda agli Istituti Russicum, Orientale e Lombardo cooperando all’arresto di patrioti, ufficiali e renitenti di leva. Solo che quella di de Fiore, di fatto, fu una «non collaborazione». Confermata da diversi episodi. In occasione dell’arresto di 17 israeliti con falsi passaporti ungheresi, per esempio, non solo ritardò il loro trasferimento al nord ma li liberò. E così fece in altre occasioni (liberò, ancora, un francese arrestato nell’aprile 1944), con un atteggiamento benevolo che gli valse diverse attestazioni di riconoscenza.
Le vicende del processo contro la banda Koch istruito presso la Corte di Assise straordinaria di Milano dall’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, purtuttavia, furono particolarmente gravose. De Fiore produsse documenti che attestavano la sua affidabilità e correttezza e che, nello stesso tempo, facevano emergere un’attività sotterranea per sviare la ricerca degli ebrei con l’obiettivo di proteggere la vita di coloro che sono considerati dal regime nazifascista nemici da combattere e annientare. A molti di loro trovò rifugio in conventi o in case di amici, o fece loro passare il confine.
Instancabilmente, il commissario de Fiore, che si era circondato di fidati collaboratori e strinse una rete di conoscenze tra i partigiani, ogni giorno dovette inventare stratagemmi e scappatoie che gli consentissero azioni di depistaggio, manomissioni di documenti e di prove in modo tale da celare la propria responsabilità.
Il 3 luglio 1944 rilasciò davanti alla Corte di Assise straordinaria una dichiarazione spontanea con la quale spiegò com’era arrivato a prendere le distanze dalle scelte disumane del fascismo e le modalità rischiose, di ostruzionismo e di omissioni e ritardi in cui operava per salvare le persone che avrebbero dovuto essere schedate come ebree: camuffò il nome di molti ebrei stranieri, regolarizzò decine di ebrei italiani come profughi dell’Africa settentrionale, concesse permessi di soggiorno, preparò false carte annonarie e vistò documenti falsi preparati da Luigi Charrier dell’Ufficio anagrafe del comune di Roma.
Per riuscire a nascondere persone perseguitate dalle «leggi razziali», collaborò con la Delasem, l’organizzazione ebraica di assistenza, e la rete assitenziale di mons. Hugh O’ Flaherty, ed entrò in contatto con la resistenza romana affiliandosi alla formazione del Fronte militare clandestino
[…] Nel febbraio del 1946 la Corte di Milano lo prosciolse da ogni accusa in quanto estraneo ai fatti e concluse l’istruttoria con l’archiviazione. Un mese dopo la Commissione di 1° grado per l’epurazione del personale della pubblica amministrazione che nel frattempo aveva avviato un proprio procedimento contro il commissario, riconobbe il valore del suo operato e delle sue scelte morali, confermando il verdetto milanese.
[…] Unione delle Comunità ebraiche italiane, che gli assegnò la Medaglia d’oro, e dalla Holocaust Martyrs and Heroes Remembrance Authority dello Yad Vashem che il 5 agosto 1969, poco dopo la sua morte, lo riconobbe «Giusto tra le nazioni». Nelle motivazioni che accompagnavano la consegna della Medaglia d’oro troviamo scritto: «Commissario di Pubblica Sicurezza addetto all’Ufficio stranieri della Questura di Roma, durante tutto il periodo delle leggi denominate “razziali” e dell’occupazione tedesca della capitale, col suo fermo atteggiamento riuscì a salvare centinaia di ebrei, interpretando le inique disposizioni con nobile e umana sensibilità, e collaborando con le organizzazioni ebraiche, noncurante delle conseguenze che tale atteggiamento addensava sulla sua posizione e sulla sua stessa vita».
[…]
Nota bibliografica
Fausto Nardi, De Fiore, l’eroe calabrese, «il Quotidiano della Calabria», 3 settembre 2009;
Liliana Picciotto, Angelo De Fiore, in I Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei. 1943-1945, Mondadori, Milano 2006, p. 116;
Franca Tagliacozzo, Gli ebrei romani raccontano la «propria» Shoah, Giuntina, Firenze 2010, p. 159;
Angelo de Fiore, I valori di un Ufficiale Italiano, «UNUCI», LXII, 1-2, 2011;
Andrea Riccardi L’inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Roma-Bari 2012, ad indicem;
Andrea Ventura, Agire da Giusto nella Roma Tedesca. La storia di Angelo de Fiore, commissario di polizia dal volto umano, Tesi al Master di II livello in «Didattica della Shoah», Università di Roma Tre, a. a. 2019-2020.
Nota archivistica
Archivio di Stato di Milano, Corte d’Assise straordinaria, Atti del processo contro la banda Koch, cartella 6, vol. 35, 1945.

Francesca Rennis © ICSAIC 2020

La Sinagoga di Roma
Lapide posta in Via Clitunno a Roma – Fonte: Roma h24
Fonte: Roma h24

[…] Scoppiata la Seconda Guerra Mondiale [Angelo De Fiore] fu richiamato nei granatieri con il grado di maggiore, ricoprendo contemporaneamente il ruolo di vice questore dirigente dell’Ufficio stranieri.
Ed è proprio in questa veste che collaborò segretamente con la Delasem, un’organizzazione della resistenza antinazista e con l’opera assistenziale di monsignor Hugh O’Flaherty. De Fiore manipolò così le pratiche riguardanti ebrei e sospetti di attività antifascista, ostacolando l’attività della Gestapo da cui riceverà ripetuti richiami e venendo fatto oggetto anche di un’indagine che si risolverà senza alcuna conseguenza.
Con i timbri ufficiali del suo ufficio provvide alla vidimazione di vari documenti falsi. Spesso “prelevò” cittadini ebrei dalle prigioni, dove erano stati rinchiusi dai nazisti, facendoli passare per pericolosi ricercati per reati comuni o disertori dell’Esercito, per poi liberarli. Dopo l’attentato di via Rasella gli venne richiesto dal suo superiore, il questore Pietro Caruso, di fornire dei nominatavi di ebrei sui quali effettuare la rappresaglia. La sua risposta fu di “non avere alcun nome da offrire” adducendo come causa il fatto che gli archivi si trovavano in stato di estremo disordine.
Anche se il suo comportamento era chiaramente ostruzionistico non ci furono conseguenze e De Fiore poté continuare la sua opera quasi fino all’arrivo degli Alleati, prima di sparire dalla circolazione. Ebbe però cura di distruggere anticipatamente, con l’aiuto dei suoi collaboratori, le pratiche di ebrei e militari sospetti ancora presenti negli archivi della Questura e trasferiti in segreto negli scantinati.
Prima dell’arrivo degli Alleati collaborò attivamente con il gruppo clandestino “Sprovieri” del Centro Clandestino Militare, a cui comunicava le liste dei perseguitati politici e degli ufficiali italiani “sgraditi”. Nel dopoguerra De Fiore fu poi questore di Forlì, Pisa e La Spezia. […]
Antonio Tiso, Chi è Angelo De Fiore, l’eroe di via Clitunno che falsificò liste per salvare gli ebrei, Roma h24 Trieste-Salario, 23 aprile 2019

[…] Testimonianze di questo suo [di Angelo De Fiore] operato si rinvengono sul libro “Il ghetto sul Tevere” dove si legge: “quel De Fiore si dimostrò un campione di solerzia nel mettere a disposizione degli instancabili investigatori tedeschi i suoi schedari, quelli che decideva lui, facendone sparire molti altri, quelli che per la Gestapo non dovevano esistere”.
Altre testimonianze atte ad evidenziare l’opera di Angelo De Fiore, si ricavano dai ricordi del figlio Gaspare e della figlia Enza.
Il figlio Gaspare racconta che, allora diciannovenne, si trovava a Roma in piazza Mattei, in attesa del padre. Quando questi sopraggiunge, Gaspare sta per andargli incontro, ma è sorpassato da un uomo che correndo ed urlando qualcosa in
ebraico si getta ai piedi del padre abbracciandolo alle ginocchia. Dai negozi, dai magazzini, dai portoni escono numerose persone, quasi tutte donne vestite a lutto, che si fanno attorno. Parlano a voce alta, concitati. Uno di loro dice in italiano: “È tornato il nostro Angelo Salvatore”. Ed un altro: “Gli devo la vita, gli devo la vita”. Un altro ancora, un giovane, racconta a tutti: “Ero stato preso in una retata e portato alla pensione Jaccarino di via Tasso, avevo nome e documenti falsi, ma i tedeschi insistevano. Volevano che dicessi di essere ebreo, che qualcuno aveva fatto la spia, mi interrogavano, mi davano botte. Poi entra lui, mi dà uno schiaffo e mi grida: “Ti hanno preso eh? Cos’hai rubato stavolta? Lo conosco bene questo qua, un ladruncolo da poco. Mandatemelo in Questura. I tedeschi mi fecero uscire a calci”.
La figlia Enza ricorda che, finita la guerra, si recò in un negozio dietro largo Chigi, al fine di acquistare un paio di guanti di pelle. Alla cassa, chiese quanto doveva pagare e la risposta fu: “Niente signorina De Fiore” . “Come niente? E come sa il mio nome?” esclamò sorpresa la signorina Enza. “Lei non mi conosce” rispose la signora che stava alla cassa, “ma io sono venuta tante volte a casa vostra per ringraziare suo padre. Diciamo così, questo regalo è pelle contro pelle”. Enza De Fiore quei guanti li ha conservati per tutta la vita.
Angelo De Fiore fu questore di Forlì (dal 7 settembre 1953 al 15 aprile 1955), Pisa (dal 16 aprile 1955 al 31 gennaio 1956) e La Spezia (dal 12 agosto 1957 al 9 gennaio 1960). Morì a Roma, il 18 febbraio del 1969.
Per il coraggio ed i sentimenti mostrati, nel 1954 fu insignito della “Legion d’Onore” della Repubblica Francese.
Già nel marzo del 1955, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane così gli scriveva in una lettera: “La ringraziamo perché col suo fermo atteggiamento riuscì a salvare centinaia di ebrei, interpretando le inique disposizioni razziali con nobile ed umana sensibilità, collaborando con le organizzazioni ebraiche, noncurante delle conseguenze che tale atteggiamento addensava sulla sua posizione e sulla sua stessa vita”.
Nel 1966 il suo nome è stato inserito, al pari di quello di Perlasca e Palatucci, tra i “Giusti d’Israele” ed è scolpito sulla stele della Collina dell’Olocausto in Gerusalemme.
Il 2 maggio del 2004, il comune di Rota Greca ha dedicato un monumento al suo illustre cittadino.
Polizia di Stato