Vicino alle campagne di Riparbella si trovava anche un’altra formazione partigiana

Dintorni di Riparbella (PI). Fonte: itstuscany.com

La Toscana rientrava nel nuovo assetto territoriale, faceva cioè parte della Repubblica di Salò che si presentava strutturata come una qualsiasi Nazione e quindi con un esercito proprio.
Venivano chiamati alle armi tutti i ragazzi delle classi interessate che erano nati nel territorio, compresi quelli che avevano appena lasciato il fronte. Al nuovo richiamo molti di loro preferirono darsi alla macchia sicuri che il ritorno in guerra e dalla parte che oramai consideravano sbagliata, non avrebbe portato altro che dolore. La scelta di nascondersi portò questi ragazzi ad organizzarsi e a dare vita alle prime formazioni partigiane che, vivendo nelle zone boscose e impervie, mantennero un rapporto stretto con gli abitanti dei paesi limitrofi disposti ad aiutarli. Utilizzavano la tecnica della guerriglia ovvero piccoli gruppi che assaltavano caserme, camionette di tedeschi, facevano saltare ponti, tutte azioni veloci e di modeste dimensioni visto l’esiguo numero dei partecipanti.
Nell’autunno del 1943 le varie formazioni erano composte da poche decine di ragazzi, ma con il trascorrere dei mesi si ingrossarono sempre più fino ad arrivare nell’estate del 1944 a gruppi di circa cento persone.
Nella fascia costiera tra Livorno e Follonica operò la III Brigata Garibaldi che dette vita a vari distaccamenti. Nella zona vicino a Riparbella fu costituito l’VIII distaccamento che faceva capo a Castellina Marittima e il VI che aveva come punto di riferimento Guardistallo. In entrambe le formazioni troviamo ragazzi che abitavano a Riparbella e che avevano scelto di operare nella clandestinità per combattere il regime fascista.
Nell’aprile 1944 nacque la formazione “Otello Gattoli” (VI distaccamento) nella zona fra Casaglia, Guardistallo, Montescudaio e Riparbella, dopo il distacco da un altro gruppo che aveva operato nella zona di Volterra. Ne facevano parte giovani di Guardistallo, ma anche dei paesi limitrofi come, appunto, Riparbella, Casale Marittimo, Montescudaio. Gli uomini della nuova formazione presero contatti con la III Brigata Garibaldi operante a Livorno e con gli antifascisti di Guardistallo. La base fu individuata nella zona di Casaglia e il gruppo crebbe grazie all’arrivo di ragazzi che rifiutavano di arruolarsi o comunque di persone che per motivi politici si davano alla macchia. Ai primi di maggio la formazione divenne il VI distaccamento della III Brigata Garibaldi.
Nell’estate del ’44 la formazione raggiunse le 110 unità e si presentava composta da molti ragazzi renitenti alla leva (classi 1922/23/24), oltre a questi, alcuni ricercati per motivi politici, diversi disertori dell’esercito fascista e nazista quindi una formazione poco omogenea a differenza della compattezza che aveva quando si formò. L’età media era molto bassa se consideriamo che il comandante aveva appena 22 anni. Per l’approvvigionamento di viveri si servivano dell’aiuto di alcune famiglie e della requisizione di viveri nelle fattorie della zona appartenenti a famiglie ricche. Essendo molti di loro di Guardistallo, si era instaurato un certo rapporto con il territorio. La banda non compì azioni di grande portata limitandosi soprattutto al controllo della zona circostante. Lo scopo era quello di portare avanti azioni a sorpresa nei confronti di fascisti e tedeschi, soprattutto militari, per appropriarsi delle armi, questi, una volta catturati, venivano poi liberati. Piccole azioni che non procurarono alcuna perdita alla formazione almeno fino al 29 giugno quando ci fu l’eccidio di Guardistallo.
In questa occasione i partigiani che si trovavano nella zona fra Riparbella e Montescudaio stavano tentando di raggiungere Casale nella notte fra il 28 e 29 giugno. Il gruppo si scontrò con i tedeschi che stavano battendo in ritirata per il sopraggiungere degli Alleati. Dopo uno scontro a fuoco dove persero la vita alcuni partigiani, i soldati tedeschi presero di mira gli abitanti dei poderi circostanti, per decine di loro non ci fu niente da fare, dopo essersi scavati la fossa come già era toccato ad alcuni partigiani, furono uccisi.
Già il 25 giugno si era verificato un altro massacro di civili. A Riparbella nel podere “Le Marie”  furono uccisi 2 nuclei familiari. Si trattava di un podere fuori mano che poteva essere raggiunto solo se intenzionalmente si voleva arrivare in quel punto. Qui viveva una famiglia alla quale se ne era aggiunta una di sfollati. Sappiamo che gli abitanti della casa avevano dei rapporti con i partigiani della “Formazione di Castellina”, ma ancora non ci sono notizie certe riguardo al motivo dell’arrivo dei tedeschi quella mattina.
Non possiamo far altro che riportare le varie versioni.
Secondo quanto scrive Paolo Pezzino <1 i fatti si svolsero nel seguente modo: “Secondo la cronaca del parroco, fu provocato dal furto di 70.000 lire commesso da alcuni soldati tedeschi ai danni dei coloni. Alle vibrate proteste della contadina, i tedeschi chiusero lei, il marito, la figlia e tre sfollati in una stanza, e li uccisero a colpi di bombe a mano”.
Esiste poi un’altra versione, quella che Ivo Arzilli ha rilasciato a Il Tirreno <2 nella quale si fa riferimento alla cattura di un soldato tedesco sulla strada di Miemo. I partigiani, impietositi dalle suppliche del soldato che mostrò loro le foto della famiglia, invece di ucciderlo, lo presero prigioniero e lo portarono nel podere “Le Marie”. Alcuni giorni dopo l’uomo riuscì a fuggire e nei giorni successivi arrivarono i tedeschi che compirono la strage.
Nel primo caso si tratterebbe di un evento fortuito, se la donna non avesse reagito, probabilmente non ci sarebbe stata la strage. Nel secondo caso i tedeschi, certi che gli abitanti del casale fossero in stretto rapporto con i partigiani, sarebbero venuti con il chiaro intento di uccidere.
Secondo la versione di Fabio Incatasciato <3, qui abitavano i genitori di un partigiano della “Formazione Castellina”, oltre a ciò il podere si trovava proprio nella zona battuta dai partigiani e quindi usato anche come punto di riferimento. Colpire quel casale voleva dire colpire la Resistenza. Teniamo anche conto che quelli erano giorni di ritirata per le truppe tedesche e che nei giorni precedenti avevano subito delle perdite. Vicino a Nocolino, località nei pressi di Riparbella, erano stati uccisi due tedeschi mentre a Miemo c’era stato un attentato contro il fattore fascista. Probabilmente l’intento era quello di punire chi era vicino ai partigiani. Incatasciato ci parla anche della possibilità che i tedeschi siano riusciti ad arrivare in questo luogo impervio grazie all’aiuto di un repubblichino.
La figura del fascista è riportata anche nel ricordo di Pierluigi Falca <4. Dalle testimonianze raccolte dall’autore sembra che il fascista avesse accompagnato i tedeschi sul posto perché venuto a conoscenza della presenza dei genitori di un partigiano della “Formazione Castellina”. Secondo la testimonianza di un sopravvissuto, al loro arrivo, i nazisti cominciarono ad uccidere gli animali poi chiusero gli abitanti del casale in una stanza a piano terra e qui gettarono bombe a mano. Sentito il pianto di una bimba, tornarono indietro e la finirono, non prima di aver ucciso un altro uomo che si trovava vicino al podere. Si salvò solo un uomo.
Anche Alessandra Martinelli <5 riporta più versioni: infatti parla dell’ipotesi che i tedeschi stessero cercando un capo partigiano e non avendolo trovato abbiano sfogato la loro rabbia sui civili. Spunta ancora l’ipotesi fatta da Pezzino, anche se con certi cambiamenti, infatti sembra che ci fossero state delle rimostranze al comando tedesco da parte di una donna sfollata per le requisizioni di un cavallo e di 70.000 lire avvenute la mattina. Difficile stabilire quale sia stato il motivo scatenante che ha portato alla distruzione delle due famiglie.
Molto bello è il racconto di un partigiano operante nella zona di Massa Marittima che, preso prigioniero dai tedeschi, nella sua fuga da Firenze verso casa, ricorda l’ospitalità ricevuta da una delle famiglie vittime, poi, dell’eccidio de “Le Marie”.
Michele Marrani nelle sue memorie racconta dell’incontro fortuito con Giuseppe Ciurli e la moglie, del rischio corso dai due coniugi per salvare uno sconosciuto e dei preziosi consigli forniti da “Beppe” per permettergli di scansare le postazioni nazifasciste e tornare incolume dalla sua famiglia.
[…] Vicino alle campagne di Riparbella si trovava anche un’altra formazione partigiana, l’VIII distaccamento sempre delle III Brigata Garibaldi composto in gran parte da giovani di Rosignano e dislocato nelle zone boscose che da Castellina vanno a Riparbella. Naturalmente nella formazione non mancavano uomini di questi ultimi due paesi. La zona scelta dai partigiani per i suoi boschi si prestava bene a nascondere decine di persone. Era infatti impensabile trovare luoghi sicuri nella zona costiera esposta e presidiata dai tedeschi. Gli spostamenti della “Formazione Castellina” avvenivano: “tra i monti che dalla strada Emilia portano verso Castellina e oltre a Riparbella, passando per la fattoria di Monte Vaso, per il passaggio di San Pecoraio fino quindi a dominare dall’alto la Val d’Era” <6. Anche per questa formazione, come per la “Gattoli”, gli elementi che la componevano passarono da una ventina ad un centinaio di unità nell’estate del ’44 grazie all’arrivo di soldati dell’esercito italiano e, in alcuni casi, tedesco provenienti dal fronte russo.
La differenza fra le due formazioni appaiono evidenti. Nel caso di Guardistallo ci troviamo di fronte ad un gruppo moderato che non infierisce sui prigionieri, mentre il gruppo di Castellina, soprattutto dopo l’uccisione di Fulvio Giaconi nel maggio del ’44, attua una guerriglia senza esclusioni di colpi <7. Ricordiamo che Fulvio Giaconi, fratello di un partigiano di Castellina, sospettato a ragione di avere rapporti con il gruppo, fu ucciso dai tedeschi mentre si dava alla fuga. Per rendere ancora più evidente l’importanza di quell’uccisione, il corpo fu attaccato dietro ad un carro e portato attraverso il paese.
Il periodo fra l’autunno ’43 e l’estate ’44 fu molto difficile per tutta la popolazione civile di Riparbella; quasi tutti gli abitanti del paese si rifugiarono nelle campagne insieme agli sfollati dopo che dei bombardamenti americani avevano già fatto delle vittime. Sicuramente ci furono dei lanci di bombe il 10 settembre ’43 e il 20 gennaio ’44 <8, quest’ultimo bombardamento danneggiò la scuola così le lezioni furono tenute nelle case delle insegnanti. Dalla metà di marzo molti cacciabombardieri bombardarono i ponti della ferrovia e della Salaiola, il più violento si verificò il primo maggio quando fu colpito il ponte di Rialdo. Ancora nel giugno ci furono mitragliamenti che si protrassero fino a luglio. Ad aggravare una situazione già difficile ricordiamo il piazzamento di mine nei campi che resero difficoltosa la successiva ripresa. Già dall’autunno del ’43 numerose truppe tedesche si erano stanziate nella zona di Riparbella perché questa era un punto strategico di rilievo per il controllo della valle del Cecina, della statale volterrana e della ferrovia. Il paese fu liberato i primi di luglio dagli americani, ma non mancarono altri morti tra l’eccidio delle Marie e la liberazione.
A guerra finita, i cittadini di Riparbella dovettero fare i conti con i propri morti, con le abitazioni danneggiate, i campi minati, una situazione simile a quella di molti altri paesi, ma comunque difficile da affrontare.
[NOTE]
1 Paolo Pezzino, Anatomia di un Massacro. Controversie su una strage tedesca, Bologna, Ed. Il Mulino, 2007, pag.40
2 Il Tirreno 7 settembre 2006
3 Fabio Incatasciato, La libertà è vicina al mare. Vita e storie a Rosignano durante la guerra, Napoli, Ed. Scientifiche Italiane, 1996, pag.63
4 Pierluigi Falca Le memorie di un livornese, Livorno, Ed. del Boccale, 2008 pag. 40
5 Alessandra Martinelli in Riparbella: terra della maremma pisana dalle origini ai giorni nostri, (a cura di) Giuliana Biagioli, Riparbella, Comune di Riparbella, 2004
6 Fabio Incatasciato, La Libertà è vicino al mare, op.cit., pag 47
7 Ivi, pagg. 49-50
8 Alessandra Martinelli in Riparbella terra della Maremma pisana, op. cit. pagg. 307-308
Pierluigi Falca, Le memorie di un livornese, op.cit. pag. 31
Barbara Rossi (Soc. coop. Microstoria), Testimonianze di guerra. Riparbella e i ricordi dei suoi cittadini, Comune di Riparbella (PI), 2010