Viene offerta al lettore la celeberrima interpretazione fondata sulla teoria degli opposti estremismi

Il 1972 è un anno decisivo <178 per le vicende processuali [n.d.r.: relative alla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969] ma lo è anche, necessariamente, per il racconto giornalistico che ne delinea i contorni agli occhi dell’opinione pubblica. La stampa militante di “Avanguardia Operaia” chiede a tutta la sinistra rivoluzionaria di battersi per «mettere ancora più in chiaro, agli occhi della più vasta opinione pubblica, che le bombe e i processi sono stati utilizzati dalla borghesia per colpire le forme di lotta più avanzate». <179
Fra le testate nazionali, “La Stampa”, scrive la cronaca quotidiana del processo che inizia il 23 febbraio a Roma. Sembra un romanzo a puntate quello proposto all’opinione pubblica, in un tripudio di descrizioni sulla «scenografia allucinante» <180 dell’aula e sull’aspetto stanco del «pallido» <181 anarchico che privo di manette può baciare le donne di famiglia. Ma troviamo anche il racconto della mobilitazione pro-Valpreda da parte della società civile costituita nel “Comitato di lotta contro la strage di Stato” <182 e gli insulti del principale accusato al pm: «Assassino!»; <183 sino all’articolo su quei «duri a testa bassa» che continuano a sostenere l’innocenza del loro assistito asserendo che l’«istruttoria è nata marcia» e che «si sono scelti dei colpevoli e per mesi e mesi costoro sono stati seguiti, ogni loro atto è stato pesato, ritagliato, per costruire la strage come un vestito che poi gli è stato calato addosso…» <184
“Umanità Nova” lancia nuovamente le sue accuse allo Stato italiano: è stata la questura «con i suoi confidenti, con i suoi fidati funzionari, con la complicità del giudice Amati e la connivenza di tutto l’apparato, a precostituire il castello dei falsi indizi […] consentendo ai fascisti dinamitardi di proseguire nella loro opera». <185
Anche “La Stampa” riflette sull’attacco politico promosso dai difensori all’impianto accusatorio e nel farlo sottolinea come «Giorno dopo giorno, l’indagine sulla strage di Milano è diventata un bosco solcato da troppi sentieri, percorso da piste di volta in volta sempre più numerose, contraddittorie, imprevedibili». <186
Non siamo neanche alla metà di marzo che l’organo di stampa comunista può scrivere “Il punto” sulla strategia delle bombe. L’impianto accusatorio nei confronti degli anarchici sembra venir meno e nell’opinione della redazione, di pari passo con le inchieste venete, si precisa sempre più chiaramente che alla base di tutta la serie di attentati messi in atto nel 1969 «vi sono le organizzazioni fasciste, i gruppi eversivi di estrema destra», lasciando emergere distintamente «un unico disegno criminoso». <187
Proprio in quell’inizio primavera Indro Montanelli indirizza alla collega Camilla Cederna una lettera pubblicata sulle pagine del “Corriere della Sera”. La giornalista è cinicamente definita una protagonista degli eventi laddove «dovunque in Italia scoppia una bomba, la gente non si chiede più col cuore in gola cosa dice la polizia: ma cosa dice Camilla». E la domanda è assolutamente pleonastica, secondo la nota penna del giornalismo italiano, perché la Cederna pare sempre accusare la Polizia, eppure «la risposta sembra sempre nuova e produce effetti più sconvolgenti di quelli della bomba: i questori tremano, i magistrati sussultano, i parlamentari interpellano, i giornali si dividono, i salotti si arroventano».
La lettera è un profluvio di sarcasmo ai danni di una giornalista accusata di essersi fatta trasportare dall’onda emotiva e suggestiva della causa anarchica, sino a «ritrovarsi regina della dinamite e sentirsi investita del suo alto patronato»; nondimeno è un esplicito riconoscimento del suo ruolo di opinion maker. <188
I toni di queste righe sono rappresentativi della profonda frattura che la tragedia umana e politica di Piazza Fontana segna nella coscienza italiana, creando cesure importanti nel mondo dell’informazione oltre che in quello militante e politico, animando un dibattito acceso fra i sostenitori dell’una e dell’altra pista.
Pochi giorni dopo il “Corriere della Sera” annuncia il colpo di scena nella vicenda degli attentati di Milano e Roma, informando gli italiani che Freda, Ventura e Rauti sono accusati degli attentati alla fiera dell’aprile 1969 e di quelli ai treni nell’agosto dello anno, oltre che del reato di strage.
Quello che emerge dalle pagine del quotidiano di Milano è comunque, nuovamente, il buon operato delle forze inquirenti e dello Stato, che «persegue, con pari energia, sia gli anarcoidi di una parte dello schieramento politico, sia la violenza della parte opposta.».
In questo modo, è offerta al lettore la celeberrima interpretazione fondata sulla teoria degli opposti estremismi, tenendo bene a mente che se è vero che «i fili neri e rossi si intessono, si incrociano, si sovrappongono» è altrettanto vero che «l’energia con la quale lo Stato affronta finalmente l’intricata matassa bicolore ci dice che anche questa volta, nonostante le contrapposte tentazioni, potremo scegliere il nostro avvenire». <189
Nello stesso giorno anche il quotidiano del PCI dedica spazio alla svolta nell’inchiesta di Piazza Fontana.
Rilevando come le indagini sull’eversione neofascista avessero già indicato una possibile via nel 1969 ma siano rimaste inascoltate per due anni, il foglio comunista descrive infine quello che appare un vero e proprio «complotto nero» nel quale non basta piazzare bombe e assistere alla tragedia, ma bisogna anche far ricadere sulla posizione politica opposta «i sospetti, le accuse, lo sdegno dell’opinione pubblica». <190
Il coinvolgimento di Rauti porta alla ribalta nazionale la questione dell’eversione neofascista e nella primavera del ’72 il giornalista de “L’Unità” Cesare De Simone pubblica il pamphlet “La pista nera”, <191 esempio di controinformazione democratica, <192 in cui ricorrono però molteplici errori – come sottolineato da una recensione al vetriolo sulle pagine di “Lotta Continua” del 22 luglio – .
In estate il “Corriere della Sera” pone invece l’accento sull’estremismo verbale dei dirigenti ed esponenti missini riportando le parole del neosenatore Giorgio Pisanò. Il giornalista rileva che i toni sono quelli di un’oscura minaccia e ribadisce l’immagine “debole” dello Stato italiano che permea il cuore del partito missino: «Noi non resteremo passivi per aspettare che un governo incapace di rimettere ordine si decida a prospettare o a fare qualche cosa: o lo Stato difende i cittadini, o i cittadini si difenderanno da soli» <193.
Nello stesso anno è dato alle stampe “La politica della strage”, del giornalista Marco Sassano, un testo che si inserisce in una narrazione pubblica già fortemente stimolata sul tema della strategia della tensione e delle attività dei neofascisti. Il lavoro di Sassano è specificatamente focalizzato sull’eversione nera, prendendo le mosse dalle rivelazioni di Lorenzon nel Veneto. L’autore muove i suoi passi indagando le misteriose morti di molti testimoni nelle vicende legate alla strage di Milano e giunge alla conclusione che gli attentati, la strage del 12 dicembre, la sequenza di scomparse e morti improvvise, siano da inserire nel contesto della strategia della tensione. Di tale disegno eversivo sarebbero responsabili alcuni esponenti della destra radicale (finanziati dai colonnelli greci e dalla Cia) interessati a screditare la sinistra e a creare caos e disordine cui rispondere con la stabilizzazione al centro dell’assetto politico <194.
È un’interpretazione che avrà importante eco anche in sede storiografia, ancorché gli storici si esprimeranno sulla questione con un netto ritardo rispetto al giornalismo.
Nell’anno del passaggio dalla pista anarchica alla pista nera esce per Feltrinelli il volume di Fini e Barbieri sul processo all’anarchico milanese. <195 Il testo si propone di far luce nella complessa vicenda giudiziaria partendo dalla storia di Pietro Valpreda, dalla sua militanza anarchica nell’ambiente milanese e sullo sfondo dei fermenti nazionali e internazionali. Segue poi la ricostruzione di quel 12 dicembre, dei giorni successivi, dell’arresto e del carcere, delle indagini immediatamente orientate secondo gli autori “alla caccia all’anarchico”. La lettura offre lo spaccato di un Paese in cui i fascisti (come Merlino) hanno ampio spazio d’azione e i depistaggi sono all’ordine del giorno. Alla luce dei dati acquisiti dall’inchiesta e delle ricostruzioni personali, si sostiene la costruzione ad hoc del mostro sia da parte della stampa sia delle autorità.
A destra invece, sulle pagine del “Candido”, tutte le prove dei giudici contro i neofascisti sono additate ineluttabilmente come fallaci. La testata diretta dal 1968 da Giorgio Pisanò, che nel 1972 è eletto nelle fila del Movimento Sociale Italiano, ha una vocazione spiccatamente anticomunista che predilige un linguaggio poco ricercato, l’utilizzo di vignette satiriche e slogan accattivanti per una platea di lettori dall’animo anticomunista ma anche antidemocristiano.
L’anno 1973, nel foglio di Pisanò, racconta questa verità: se è vero che ci sono contraddizioni e vizi nelle indagini, non è perché Valpreda e gli anarchici siano innocenti, ma soltanto perché la pista, in realtà, è una pista “bianca”.
Basta scorrere alcuni titoli delle prime pagine del ‘73 per accorgersi della strategia comunicativa del giornale: «La “pista bianca” di Piazza Fontana. Né Freda né Ventura acquistarono le bombe» (4 gennaio); «Le mafie al potere vogliono soffocare la verità sulla strage: Valpreda ha paura di essere ucciso» (11 gennaio); «Piazza Fontana. Un documento inedito conferma la pista bianca. La perfetta organizzazione della strage» (18 gennaio); «Piazza Fontana. “Pista nera”: è saltata la “prova” delle borse» (25 gennaio); «Pista nera, non esiste» (15 febbraio); «Piazza Fontana: abbiamo scoperto la pista rossa dei passaporti smarriti» (31 maggio).
A fine anno la verità offerta dal “Candido” è quella di uno Stato e di una Magistratura complici nel far ricadere sulla Destra le responsabilità della strage, tanto da far titolare la copertina del 29 novembre «1969-1973. Sta emergendo la verità sulla colossale provocazione contro la destra nazionale. La trama bianca delle piste nere».
Qualche giorno dopo, il 6 dicembre, il giornale annuncia: «Sensazionali rivelazioni. Dietro le fantomatiche “piste nere” nomi marxisti e democristiani».
Lo Stato si è fatto Nemico anche per la Destra. Un nemico individuabile nella Democrazia cristiana giudicata complice del partito comunista.
Le indagini della magistratura veneta sono al centro dell’attenzione di tutto il panorama editoriale italiano.
Nel mese di settembre il “Corriere della Sera” chiama in causa il giornalista Guido Giannettini <196 e l’esponente Msi di Padova, Massimiliano Fachini <197, asserendo che l’inchiesta sulla «pista nera» è ormai «vicina alle conclusioni», sotto la direzione del suo «infaticabile protagonista» <198: il giudice Gerardo D’Ambrosio.
Nel 1973 Mario Tedeschi pubblica, per le edizioni “Il Borghese”, un volume che si propone di “smontare” le falsificazioni poste in essere dalla propaganda di sinistra relativamente alla strage di Milano <199.
La tesi fondamentale del lavoro del giornalista neofascista è che in realtà la bomba di Piazza Fontana sia il risultato dell’azione dei gruppi finanziati dall’editore Feltrinelli e dal PCI, nell’ottica di destabilizzare il Paese con l’avvallo di una parte della Democrazia Cristiana e di una certa magistratura complice o comunque connivente.
È anche l’anno in cui Clemente Graziani esce alle stampe con il suo “Processo a Ordine nuovo. Processo alle idee” <200. Negli anni Cinquanta Graziani aveva costituito assieme ad altri il Centro Studi Ordine Nuovo, come laboratorio di idee incentrato sul pensiero di Julius Evola. Nel 1971 il movimento viene messo sotto accusa per ricostituzione del disciolto partito fascista e si avvia il processo che nel 1973 si conclude con una condanna a Graziani e la messa fuori legge del movimento. Il pamphlet si configura quindi come atto di accusa nei confronti dello Stato italiano e della Magistratura, autori di quello che è definito un vero e proprio processo politico alle idee, strumento di repressione del dissenso.
Nel quarto anniversario della strage, la testata del PCI commemora le vittime e ricorda al lettore che «a 48 mesi da quella tragica sera», la verità si è fatta avanti solo grazie «alla lotta tenace e all’impegno delle forze democratiche […] esempi lampanti che illustrano lo stridente contrasto tra le versioni imposte all’epoca e la verità emersa a distanza di anni».
Una verità, che in ogni caso è ancora “da conquistare”, come recita il titolo dell’articolo. <201
A chiusura dell’anno è momento di riflettere sugli ultimi criminosi episodi, dalla mancata esplosione della bomba sul diretto Torino-Roma del fascista Nico Azzi, alla bomba alla questura di Milano lanciata dal sedicente anarchico Gianfranco Bertoli, causa di quattro vite infrante e di oltre quaranta feriti.
L’analisi della stampa comunista è amara e inserisce tutto nell’«ampio contesto della strategia della tensione» volta a sovvertire lo Stato democratico.
L’inchiesta sull’organizzazione eversiva “Rosa dei venti” <202 è emersa nel novembre ’73 gettando luce su piani golpisti di esponenti fascisti e uomini delle forze armate e dei servizi; inoltre, si sottolinea, «documenti importanti che dovevano essere trasmessi ai magistrati, furono invece insabbiati».
Nuovi elementi si sono così aggiunti al quadro delle indagini e riguardano sempre più spesso il tema delle complicità degli apparati dello Stato nell’eversione nera. Il nodo da sciogliere è quindi «quello delle influenti coperture dei mandanti, dei finanziatori», e per farlo, occorre spezzare «a tutti i livelli, le torbide complicità che hanno assicurato, finora, l’impunità ai veri fautori dei piani eversivi». <203
[NOTE]
178 F. Trincale, “Valpreda è innocente”, 1972.
179 La strage di Stato è opera della borghesia, fuori dal carcere il compagno VALPREDA!, “Avanguardia Operaia”, Sapere Edizioni, n.21, Gennaio 1972, p.15.
180 Una scenografia allucinante con Merlino evitato dagli altri, “La Stampa”, 24 febbraio 1972, p. 2.
181 G. Guidi, Per Valpreda tensione e qualche applauso, “La Stampa”, 26 febbraio 1972, p.2.
182 Il comitato nasce nel 1972 su iniziativa di Lotta continua, Avanguardia Operaia e Potere Operaio e vede la partecipazione di militanti e intellettuali. L’11 marzo 1972 organizzerà a Milano una manifestazione di piazza per chiedere la scarcerazione di Pietro Valpreda.
183 G. Guidi, Valpreda accusa il p.m.: “Assassino”, “La Stampa”, 27 febbraio 1972, p.1.
184 Duri a testa bassa, “La Stampa”, 29 febbraio 1972, p.1.
185 Processo allo Stato. Questo processo coinvolge in maniera totale tutti gli organi istituzionali perché coinvolge lo Stato in prima persona, “Umanità Nova”, 26 febbraio 1972, p. 4.
186 G. Pansa, L’ultimo attacco “politico” dei difensori all’istruttoria, “La Stampa”, 05 marzo 1972, p.2.
187 Il punto. La strategia delle bombe, “L’Unità”, 12 marzo 1972, p.1.
188 I. Montanelli, Lettera a Camilla, “Corriere della Sera”, 21 marzo 1972, p.3.
189 Due anni dopo, “Corriere della Sera”, 23 marzo 1972, p. 1.
190 Notificati ai tre fascisti gli avvisi di reato, “L’Unità”, 23 marzo 1972, p.6
191 C. De Simone, La pista nera, Editori Riuniti, Roma, 1972.
192 È necessario distinguere la controinformazione democratica da quella militante anche in virtù della diversa estrazione dei suoi autori (nel primo caso sono raramente iscritti ad un partito e generalmente semplici “simpatizzanti” del Psi, raramente del Pci e del partito radicale) e rispetto alle tecniche utilizzate (la controinformazione democratica – es. il Bcd – predilige le tecniche del giornalismo investigativo).
193 P. Morganti, L’indagine della magistratura sull’estremismo di destra. Mentre i discorsi degli esponenti del Msi si fanno sempre più aggressivi, “Corriere della Sera”, 10 giugno 1972, p.6. Nello stesso articolo si fa riferimento alle esternazioni di Giorgio Almirante – al vaglio della magistratura fiorentina – pronunciate qualche tempo prima nel corso di un comizio: «Se il governo continuerà a venire meno alla sua funzione di Stato noi siamo pronti a surrogare lo Stato. Queste non sono parole e invito i nostri avversari a non considerarle tali».
194 Cfr. M. Sassano, La politica della strage, Marsilio, Padova, 1972.
195 M. Fini, A. Barberi, Valpreda: processo al processo, Feltrinelli, Milano, 1972.
196 Guido Giannettini scrive, di concerto con Pino Rauti, il pamphlet Le mani rosse sulle Forze armate (1966). Ha partecipato al convegno presso l’Hotel Parco dei Principi di Roma nel 1965. A dare conferma ai sospetti relativi all’appartenenza di Guido Giannettini al Sid, è Giulio Andreotti in un intervista rilasciata al “Mondo”, nel giugno 1974.
197 Il nome di Fachini viene alle cronache dopo la mai chiarita morte del portinaio di un edificio di Padova, Franco Muraro, ex carabiniere precipitato dalle scale dello stabile in cui abitava lo stesso Fachini, il 15 settembre 1969. Muraro aveva testimoniato di aver visto Riccardo Patrese – arrestato per possesso di esplosivi dal commissario Pasquale Juliano il 16 giugno 1969 assieme a Gustavo Bocchini Padiglione e Massimiliano Fachini – entrare con un pacco di esplosivo nel palazzo.
198 Bombe nere. Altri due accusati, “Corriere della Sera”, 4 settembre 1973, p.7.
199 M. Tedeschi, La strage contro lo Stato, Edizioni Il Borghese, Milano, 1973.
200 C. Graziani, Processo a Ordine nuovo. Processo alle idee, Ed. Ordine Nuovo, Roma, 1973.
201 P. Gambescia, La verità da conquistare, “L’Unità”, 13 dicembre 1973, p.5.
202 L’inchiesta sulle trame golpiste è legata al nome del magistrato Giovanni Tamburino e porta all’arresto, tra gli altri, del generale del Sid, Vito Miceli e del colonnello Amos Spiazzi. Tutti gli imputati verranno assolti.
203 I. Paolucci, Bombe programmate, “L’Unità”, 31 dicembre 1973, p. 5.
Claudia Sbarbati, Le stragi e lo stato. Narrazioni su carta dello stragismo italiano: cronaca, memoria e storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2018

Nel 1984 Sabino Acquaviva, sulla «Gazzetta del mezzogiorno» constatava come per Piazza Fontana non siamo in grado, e ritengo non saremo mai più in grado, di stabilire chi sono i colpevoli. Si tratterà sicuramente di uno dei molti gravi delitti impuniti della storia <77.
La vicenda giudiziaria si è svolta, quindi, durante il periodo che va dal 1972, quando si aprì il primo processo a Roma, al 2005 quando è stata emessa l’ultima sentenza. Per la ricostruzione schematica di questa lunga e complessa vicenda ci vengono in aiuto schede realizzate dai giornalisti con l’intento di rendere comprensibile e fruibile la storia del processo in occasioni quali gli anniversari o le novità processuali.
23 febbraio 1972: si apre a Roma il primo processo. Dopo 4 giorni la Corte si dichiara incompetente e rinvia gli atti a Milano. 13 ottobre 1972: la Cassazione assegna la competenza a Catanzaro, perchè a Milano possono esserci problemi di ordine pubblico. 23 febbraio 1979: a Catanzaro si conclude il processo, cominciato il 18 gennaio 1977. Ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini. Quattro anni e mezzo per Valpreda e Merlino per associazione sovversiva. 20 marzo 1981: a Catanzaro si conclude il processo di secondo grado. La sentenza assolve per insufficienza di prove dall’ accusa di strage Franco Freda e Giovanni Ventura ma li condanna a 15 anni per attentati a Padova e Milano. Confermate le condanne di Valpreda e Merlino per associazione sovversiva. Assolto Giannettini. 10 giugno 1982: la Corte di Cassazione annulla la sentenza d’appello di Catanzaro e rinvia il processo a Bari. Confermata solo l’ assoluzione di Guido Giannettini. 1 agosto 1985: a Bari la Corte d’ Assise d’Appello assolve per insufficienza di prove Freda, Ventura, Merlino e Valpreda. 27 gennaio 1987: la Cassazione respinge i ricorsi degli imputati di Bari contro la sentenza di secondo grado, rendendola definitiva. 27 marzo 1987: a Caracas è arrestato Stefano Delle Chiaie ritenuto coinvolto nella vicenda con Massimiliano Fachini. 20 febbraio 1989: la Corte d’ Assise di Catanzaro assolve Delle Chiaie e Fachini per non avere commesso il fatto. Delle Chiaie viene scarcerato. 11 aprile 1995: a Milano, per una inchiesta parallela, il giudice istruttore Guido Salvini rinvia a giudizio Giancarlo Rognoni, Nico Azzi, Paolo Signorelli, Sergio Calore, Carlo
Digilio e Ettore Malcangi e trasmette a Roma gli atti che riguardano Licio Gelli per il reato di cospirazione politica. Luglio 1995: Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi sono iscritti nel registro degli indagati con l’ accusa di strage. 8 giugno 1999: sono rinviati a giudizio per strage Zorzi, Maggi e Giancarlo Rognoni; per favoreggiamento Stefano Tringali. In seguito viene rinviato a giudizio anche Carlo Digilio. 24 febbraio 2000: davanti ai giudici della seconda Corte d’ Assise di Milano inizia il processo. 30 giugno 2001: i giudici della seconda Corte d’ Assise accolgono le conclusioni dell’accusa e condannano Zorzi, Maggi e Rognoni all’ergastolo. Tre anni a Tringali, prescritto Digilio. 19 gennaio 2002: depositate le motivazioni. I pentiti Digilio e Siciliano sono credibili. 16 ottobre 2003 a Milano comincia il processo presso la Corte d’assise d’Appello. 22 gennaio 2004: al termine della requisitoria, il sostituto procuratore generale Laura Bertolè Viale chiede la conferma della sentenza di primo grado e invita la Corte a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per accertare eventuali reati di falsa testimonianza in alcune deposizioni di testi a difesa. 12 marzo 2004: la Corte d’assise d’Appello di Milano assolve Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, i tre imputati principali della strage, per non aver commesso il fatto. Riducono invece da tre a un anno di reclusione la pena per Stefano Tringali, accusato di favoreggiamento. 21 aprile 2005: approda di nuovo in Cassazione la vicenda giudiziaria. La suprema Corte deve esaminare il ricorso presentato dalla Procura Generale milanese contro l’assoluzione disposta dalla Corte d’assise d’appello.
3 maggio 2005, la Cassazione chiude definitivamente la vicenda giudiziaria confermando definitivamente le assoluzioni di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni <78.
L’ultima sentenza riguardante Piazza Fontana è quindi del 2005 quando, come scrive il giudice Salvini “la sentenza della Corte di Cassazione ha assolto definitivamente, seppur con una formula che giudica incomplete, ma non prive di valore, l’insieme delle prove raccolte, i singoli esponenti di Ordine Nuovo che potevano ancora essere portati a giudizio come possibili autori della strage. Ma accanto a questo giudizio che sconta le difficoltà di provare a distanza di tanti anni le singole responsabilità, le motivazioni delle sentenze, [le numerose sentenze] confermano, nelle loro argomentazioni, che la strage del 12 dicembre 1969 e molti degli attentati precedenti furono inequivocabilmente opera dell’area di Ordine Nuovo” <79.
[NOTE]
77 S. Acquaviva, «Gazzetta del Mezzogiorno», 3 agosto 1985.
78 Ansa, Piazza Fontana: 36 anni dopo, chiusa vicenda processuale, 10 giugno 2005.
79 G. Salvini, cit.
Cinzia Venturoli, Stragi fra memoria e storia. Piazza Fontana, Piazza della Loggia, La stazione di Bologna: dal discorso pubblico all’elaborazione didattica. Il data base per la gestione delle fonti, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Anno accademico 2006/2007