Voi ci fate l’alto onore di accomunarci alla gloria di Tito Speri!

Astolfo Lunardi lavora indefessamente per la Resistenza ma anche lui ha degli umani momenti di crisi. In questo frangente ci appare pensoso e rattristato. Nel ritratto che traccia Sartori, Lunardi si presenta come un uomo così buono che neanche le brutture della guerra riescono a intaccare. La sua azione cospirativa, seppur diretta contro il nazifascismo, non è all’insegna della cattiveria: gli manca la malizia, come dice Sartori. Lunardi si rivela così una vera Fiamma Verde, che rimane limpida e sana nonostante la malvagità del nemico. La preghiera del ribelle, Signore facci liberi, recita appunto: «Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e dritti» <311. È proprio questa rettitudine che serve per guidare i giovani che vogliono gettarsi con esuberanza nell’azione e per formarli alla condotta che deve mantenere un resistente cattolico.
Lunardi a questo punto però si chiede se sia giusto abbandonare gli affetti. Domanda legittima, dubbio sacrosanto che però scaccia subito. Ancora la preghiera del ribelle recita: «Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie!» <312. Se l’esitazione viene messa da parte perché la via intrapresa viene ritenuta necessaria, tuttavia il dolore e l’amarezza rimangono. Il ribelle cristiano segue la vicissitudine di Gesù nel Getsemani, che ha un momento di incertezza ma lo supera per scegliere la necessaria volontà del Padre. Il calice amaro però resta ed è tutto da bere.
Lunardi ha fatto dunque la scelta giusta, che comporta sacrifici ma è l’unica che si doveva fare, e Lunardi ne è persuaso. È stata dunque l’ineludibilità degli eventi una delle motivazioni che hanno reso necessaria la sua partecipazione alla Resistenza.
Inoltre a lui, che ha potuto vivere una parte della vita senza il fascismo, spetta anche una funzione di educazione e di guida nei confronti dei giovani, per saperli orientare a un’azione efficace e non impulsiva.
Non c’è nessun desiderio di affermazione personale nella scelta resistenziale di Lunardi, nessun egoismo, perché tutto è fatto per gli altri. Questa infinita generosità non si ferma neanche alla sua casa e alla sua famiglia, davanti alle quali non può accontentarsi, ma deve essere pronto a sacrificarle per ricostruirle ancora più grandi e belle non solo per lui e i familiari, ma anche per gli altri. Questo è lo spirito profondamente cristiano che lo anima ed è certo che sua moglie e sua figlia capiscano: infatti non si poteva fare diversamente, non solo per il bene degli altri ma pure per il bene della famiglia stessa. La scelta di Lunardi è la logica conseguenza di come ha vissuto, non farla avrebbe significato un tradimento di se stesso e un cattivo esempio per i giovani, davanti ai quali egli ha una funzione di testimonianza.
Alla fine Lunardi ritorna sereno e, con la determinazione che deriva dalla convinzione della certezza delle sue motivazioni, continua fino all’ultimo ad animare la lotta resistenziale.
Il 3 gennaio 1944 lancia un nuovo appello: «Al lavoro dunque con ardimento, così come l’avversario fa con ogni mezzo, noi facciamo il diritto del Popolo, che è con noi, e non dobbiamo lasciargli mancare l’alimento che lo invigorisca e lo renda ardimentoso. Non riteniamoci inferiori dei nostri avi che, nel Risorgimento, hanno dato prove di insegnamento di quanto sia bello e grande vivere per la difesa della Libertà e della Patria, l’Italia. Stringiamoci forti nel patto, ora che anche dall’altra parte dell’Italia ci è giunto il saluto e l’incitamento, gli aiuti stanno per giungere, non facciamo che questi restino inermi di braccia e di cuori.
[…] Bresciani state in guardia! Bresciani, l’ora si avvicina!» <313.
Ma il giorno successivo viene catturato Peppino Pelosi e, dall’elenco dei nomi che viene ritrovato nei suoi vestiti, si giunge anche a Margheriti e Lunardi. Il primo viene arrestato la sera del 5 gennaio, Visintini e Lunardi vengono presi la mattina del 6 gennaio.
Il giorno successivo iniziano gli interrogatori. Lunardi resiste a ogni contestazione e alle violenze fisiche. Quando riesce a vedere la moglie e la figlia, rimanendo pienamente fedele a quella che è stata fino a quel momento la sua condotta, raccomanda loro di continuare l’azione ribellistica.
I fascisti costruiscono un castello di accuse totalmente false e arrivano addirittura a tacciare di comunismo Lunardi e i suoi collaboratori.
Lunardi viene portato al comando delle SS ma non parla, nonostante le sevizie: «Lo picchiano con una verga di ferro sui glutei, le cosce, i polpacci, i piedi, ma egli rimane muto, assorto. Quando lo riportano in prigione, dalla cintola in giù è tutto nero di percosse. I compagni di cella gli chiedono: “Che cosa pensavi quando ti torturavano?” risponde: “Pensavo a quanto hanno fatto a Gesù”» <314.
Gli interrogatori si protraggono fino al 1° febbraio; il 2 febbraio viene conclusa l’istruttoria secondo cui l’organizzazione di Lunardi è una diramazione di una più vasta organizzazione di appoggio ai ribelli sparsa in tutto il territorio nazionale. L’udienza del Tribunale speciale è fissata per le ore 9 del 5 febbraio, ma il clima è pesantissimo ed è diffusa l’impressione che il processo sia solo proforma.
Lunardi si avvia al processo con dignità, indossando i vestiti più belli. La sala è gremita di fascisti che impediscono l’accesso a chiunque altro, soprattutto ai familiari. Lunardi ascolta le accuse e riconduce ogni responsabilità a se stesso, nell’ultimo tentativo di scagionare Margheriti e gli altri, ma respinge con fermezza tutti i capi d’accusa. Per lui infatti non si può parlare di favoreggiamento bellico, di rapporti col nemico, di liste di proscrizione né di piani attentati, ma solo di un patriottico piano di difesa e di ripresa nazionale. Lo svolgimento del processo è brevissimo e alle 14 il Presidente legge la sentenza: Lunardi e Margheriti vengono condannati a morte, Alessandri a 15 anni di reclusione, Gentilini a 7 anni, Visintini a 5 anni, Terzi viene assolto per insufficienza di prove e Sturm perché il fatto non sussiste.
Margheriti e Lunardi ascoltano la sentenza impassibili, solamente Margheriti, sentendosi designare come ex ufficiale badogliano, corregge in ufficiale del Regio esercito italiano. Poi tutti si abbracciano.
Seguire l’itinerario dei resistenti fino alla morte non è un atto meramente encomiastico ma risulta utile per comprendere fino in fondo le ragioni della scelta resistenziale. Il modo con cui vivono la morte getta luce sulle motivazioni che li hanno spinti ad affrontare un sentiero che sapevano avrebbe potuto concludersi con la loro rovina. La morte misura la fedeltà ai valori della Resistenza e ne chiarisce i motivi dell’attaccamento.
Lunardi arriva a ringraziare il tribunale con queste parole: «Voi ci fate l’alto onore di accomunarci alla gloria di Tito Speri» <315.
Margheriti ha un momento di disperazione ma lo nasconde gettandosi nelle braccia di Lunardi. Questo chiede che venga consegnato alla figlia un dono modesto: il libretto dell’Oratorio della Pace dal titolo Preghiere della Chiesa. L’avv. Bulloni e l’on. Salvadori si affrettano a far firmare alla moglie la domanda di grazia che Lunardi non ha voluto firmare, ma verrà respinta. Una delle ultime preoccupazioni di Lunardi è di raccomandare che si provveda materialmente agli amici e alle loro famiglie più bisognose e incarica il cappellano delle Brigate Nere di recare il suo saluto agli amici più cari. Riesce infine a trascorrere l’ultima notte con Visintini e Margheriti, che cerca di consolare. Lunardi è sereno e forte, parla della moglie e della figlia. La mattina fa un’ora di adorazione per il Papa. Poi arriva la pattuglia che conduce i condannati al luogo dell’esecuzione. Il giovane Margheriti è stravolto e grida di essere innocente e di non voler morire, Lunardi invece è tranquillo. Ai due viene comunicato che la domanda di grazia è stata respinta. «Passano alcuni minuti di smarrimento. Poi il piccolo corteo si avvia all’uscita del carcere mentre il cappellano intona il Miserere. Siccome Margheriti non lo sa, Lunardi chiede che venga recitato il Pater Noster. Margheriti vorrebbe ascoltare Messa ma Lunardi taglia corto: “L’ascolteremo solenne in Paradiso”.
Lunardi vuole, anche a nome di Margheriti, che siano ringraziati i carcerieri per la premura di cui sono stati circondati.
[…] Alle 8,20 i condannati sono sul posto dell’esecuzione.
Lunardi si rivolge all’ufficiale che comanda il plotone di esecuzione e gli dice: “Faccio più il mio dovere io, qua, che non tu”. E Margheriti di rincalzo: “Io sono ufficiale dell’esercito, ma tu cosa sei?”. Margheriti, fiero di ciò, vorrebbe essere fucilato al petto, come si addice a un ufficiale. […] Lunardi invece è silenzioso, quasi rapito come è sempre stato solito fare; gli occhi sono sperduti, “con gli angeli” come gli dicevano la moglie e la figlia. […] Appena si siede chiama però il cappellano don Bosio per dirgli: “Prendete gli occhiali. In Paradiso si può andare anche senza”. I due sono a cinque metri l’uno dall’altro e vengono bendati» <316.
Alle 9,15 vengono fucilati alla schiena.
Le due salme vengono trasportate al cimitero e poste in camera mortuaria. I funerali sono fissati per il giorno successivo, 7 febbraio 1944. I fascisti si accaniscono ancora sulla sua famiglia: alla signora Amedea, maestra a Sarezzo, viene precluso l’insegnamento e anche la figlia Federica viene scacciata dall’Università.
I documenti dell’attività resistenziale di Lunardi sono pochissimi, ma dal suo comportamento si possono dedurre le ispirazioni che lo hanno condotto a prendere posizione nella Resistenza. Sicuramente un fattore determinante è l’anelito per la libertà, che gioca un ruolo fondamentale per un ex ardito che ha combattuto nella Prima guerra mondiale contro tedeschi e austriaci. L’occupazione nazista viene così sentita come una grave limitazione della libertà, proprio come era accaduto nell’Ottocento con la dominazione austriaca. È infatti fortissimo in Lunardi lo spirito patriottico e risorgimentale. La tradizione del Risorgimento bresciano, culminato nelle Dieci Giornate, rappresenta sicuramente un’altra radice dell’opposizione al regime nazifascista. Da soldato, il suo attaccamento alla Patria è puro e sincero, infatti è insofferente alle strumentalizzazioni fasciste di carattere militare.
Accanto a ciò va ricordato che, nonostante in maniera poco esplicita, la fede permea tutto l’itinerario resistenziale di Lunardi. Egli è profondamento convinto delle sue azioni e sa portarle avanti fino alla fine con contegno, fermezza e dignità. Anche se pubblicamente Gesù viene evocato meno di Tito Speri, nel foro interno la fede rappresenta una grande forza capace di sostenerlo nei momenti più bui, come la tortura e l’esecuzione, che affronta senza odio e rancore per gli aguzzini, da vero resistente cattolico. Agli amici che si propongono di aiutarlo risponde di recitare per lui un’Ave Maria, a riprova della potenza e della fiducia che attribuisce alla preghiera. Alla compostezza con cui affronta la morte concorre anche la fede cristiana, oltre che l’onore di ex soldato permeato di sentimenti risorgimentali. Infatti era stato proprio l’impegno nelle organizzazioni cattoliche a farlo schierare fin da subito contro il fascismo.
La morte non è il necessario coronamento dell’impegno ribellistico e non viene eroicamente ricercata, ma, quando arriva, Lunardi sa andarle incontro con fermezza e dignità.
Il giorno in cui viene fucilato, «la sera del 6 febbraio sulle montagne erano apparse due lunghe strisce di fuoco. Qualcuno aveva detto: “Sono i partigiani che vogliono ricordare il loro capo che oggi è stato fucilato”. Forse fu puro caso. Ma certo quei fuochi significarono speranza» <317.
Infatti la morte di Lunardi non segna la fine della Resistenza bresciana, ma le fornisce un’ulteriore spinta. Veramente la sua morte serve, come dice Sartori, perché da essa scaturisce un rinnovato impegno dei partigiani, che, tra le altre cose, danno vita al giornale clandestino “il ribelle”.
[NOTE]
311 Ristampa anastatica di Brescia Libera e il ribelle (1943-1945), cit., p.102.
312 Ibidem.
313 Antonio Fappani, Cattolici nella Resistenza bresciana, cit., pp. 256-257.
314 Ivi, p. 267.
315 Ivi, p. 277.
316 Ivi, p. 285.
317 Ivi, p. 288.
Filippo Danieli, Fedeli e ribelli. Paradigmi di Resistenza cristiana al nazifascismo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2018-2019

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