Zolesio, Fellner e Unger di Löwenberg: ufficiali di marina antifascisti

Di poco successiva, grazie soprattutto al bando di leva del 18 febbraio 1944, che puniva con la morte renitenti e disertori, la costituzione della brigata autonoma Alessandria, forte di oltre duecento uomini ma con armamenti insufficienti, mentre nel Levante si formarono alcuni distaccamenti partigiani. Nel marzo dello stesso anno si costituì inoltre una formazione GL Matteotti tra le valli Aveto, Fontanabuona e Trebbia, sotto la guida di Antonio Zolesio <116.
[NOTE]
116 Nato a Montecarlo nel 1909, Zolesio fu ufficiale di Marina e dalla fine degli anni Trenta un antifascista attivo. Dopo l’armistizio collaborò alla Resistenza, radunando nuclei di militari sbandati. Entrato a far parte del Comitato militare del Pd’A, venne nominato segretario militare per la Liguria. Nel dicembre 1943, ricercato dalla polizia fascista, si rifugiò a Torpiana di Zignago dove, con altri azionisti, organizzò un reparto di Giustizia e libertà, di cui divenne comandante. All’inizio del marzo successivo costituì e assunse il comando di una formazione GL stanziata in val Fontanabuona. Dopo aver aumentato il numero degli effettivi e una volta superati i dissidi con Aldo Gastaldi, costituì la brigata GL Matteotti, dipendente dal comando della VI Zona. Nell’aprile del 1945 diede vita al Gruppo brigate GL Matteotti alla testa del quale, in conformità alle direttive del piano A, entrò a Genova nei giorni della Liberazione.  Cfr. Gimelli, Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria, op. cit., p. 366.
Paola Pesci, La famiglia Lazagna tra antifascismo e Resistenza, Storia e Memoria, n. 2, 2015, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea

Canevari [Umberto Lazagna]
Ricordo che sin dall’inizio è apparsa una divergenza, una contesa tra il Pda e il Pc, tra i loro rappresentanti. Il partito d’Azione rappresentato in quel momento da Eros Lanfranco[17], da quel maggiore Rapuzzi che ho detto prima e dal prof. Zino [18], dicevano che avevano assolutamente bisogno di fondi perché avevano circa 200 uomini da mantenere nella zona tra Sesta Godano e le vicinanze di Torpiana, quei paesetti lì dei monti. Viceversa i comunisti rappresentati da Antolini e Ardesio – cioè Agostini [19] – dicevano che ne avevano anche di più, centinaia di uomini nella zona di Voltaggio e anche in altre località, che stavano facendo la fame. Di fronte alla contesa per avere questi fondi e siccome non si riusciva a metterli d’accordo si è detto: “Facciamo gli accertamenti” e non ricordo se io o altri hanno proposto: “Facciamo una commissione che vada a controllare”. E per queste truppe che secondo le dichiarazioni dei rappresentanti del partito d’azione erano circa 200 hanno incaricato me di recarmi sul Gottero, di passare il Gottero e andare a vedere dove si diceva che fossero. Io avevo chiesto chiarimenti a Zino, il quale Zino prende una carta – meglio, intanto non aveva carte – perché io gli dico: “Comincia a dirmi dove sono e sulle carte fissali più o meno”. E lui: “Io veramente carte non ne ho”. Era già un primo elemento. Gli dico: “Porterò io una carta” e porto una di quelle dello stato maggiore, dettagliata, molto bella mi sembra al 100mila. Ci incontriamo nell’ufficio della SATI in via Balbi, un posto neutro, e… “Guarda, io sono incaricato dal Comitato militare di fare questo accertamento e lo facciamo da una parte e dall’altra, per tutti e due, per vedere se corrispondono a verità le dichiarazioni che abbiamo ricevuto. Vorrei sapere dove sono questi distaccamenti perché per tenere 200 uomini – avevo una certa praticaccia – ci vogliono dei locali, tenda, baracca, casa o cascina ma da qualche parte devono essere”. Lui allora prende la carta e… “Sono qui”, mi dice dandoci una manata che mi ricordo che m’aveva fatto impressione. Dico: “Ma sai che con quel gesto lì mi hai coperto un’area di 200 km e cosa vuoi che vada a fare io a piedi?”. E lui dice: “Ma sai, quelli vagano…”. “Allora indicami almeno un paesino vicino così che poi io possa regolarmi”. “Potresti andare qui” e mi segna Torpiana. Beh, mi sono detto, ora cominciamo ad avere un punto di riferimento. Poi: “Non posso andar da solo” e gli chiedo se hanno uno che conosce i posti. Era dicembre del ’43 e il Gottero era innevato. In aiuto mi hanno dato Bertonelli [20], il simpatico colonnello Bertonelli. Partiti insieme con lui che mi dice: “Pensu mi, andemmu” e siamo andati a dormire a Sesta Godano, dove lui aveva dei parenti, e alle 5 del mattino, ancora col buio, ci siamo messi in marcia con freddo e ghiaccio dappertutto. Meglio il freddo del caldo per camminare ma… insomma quando Dio vuole siamo arrivati a Torpiana dove ci sarebbe stato il nucleo più grosso dei 200. Bussiamo a una casa, una cascina e ad aprire viene “Umberto” che poi era Zolesio[21] e sarebbe stato il capo di questi partigiani. “Bene, piacere ecc. Quanti uomini hai qui, proprio che mangiano con te?”, perché il nostro scopo era soprattutto logistico, il mantenimento. “Ma dice, sai… io… – e comincia la solita storia ma purtroppo io non abboccavo facilmente – ne ho di quelli che vengono da… e appena li chiamiamo per combattimenti sono qui”. “Te saluo,” ho pensato (risata generale), “se sentan l’oudù du cumbattimentu nu se veddan ciù mancu cu e bacchè”. E lui, o in buona o in mala fede dice: “Però dormono a casa loro”. “E ci mangiano anche?”. “Sì, gli diamo qualcosa”. “E cose ghe dè?”. “Mah, qualche soldo, sai”. “Beh, tu lo sai che ce n’è ben pochi e questi quattro soldi ce li tiriamo. Comunque vediamo: hai almeno un nucleo di pronto impiego, in caso di assalti, di combattimenti un po’ improvvisi?”. Risponde: “Sì, qui”. Vado a vedere, accerto e vedo un ufficiale inglese ammalato, a letto e una bella signora che lo curava (risolini) seduta sul letto e lì intorno un piccolo nucleo, tre o quattro persone, di gente benestante, i fratelli Basevi [22] e qualche altro.
[…] Canevari
A questo punto mi sono detto che per fare qualcosa di utile della mia missione era necessario se non per il presente almeno per il domani avere gli elementi per sapere su cosa potevamo basarci e sottopongo Zolesio a un vero interrogatorio. “Senti un po’, veniamo al concreto, siccome io posso preparare altri distaccamenti che sono organizzati dal partito comunista – era quello di Comuneglia e forse qualcos’altro – prepariamo un piano d’azione che avrà come obiettivo un distaccamento nemico e facciamo operare due di queste forze che richiedono viveri dichiarando centinaia di aderenti. Quanti uomini per il giorno tale all’ora tale, quanti armati partigiani, un po’ addestrati puoi far trovare nella zona di Velva?”. Lui all’inizio dice, cinquanta e allora io: “Ma insomma fai un calcolo: se domandi viveri per 200 partigiani da mantenere dimmi almeno quanti ne hai di sicuri e armati” Lui alla fine, riduci, riduci arriva a trenta. Allora io: “Tu intanto dammene anche una conferma scritta e comunque restiamo in parola così: l’azione che vogliamo fare sarebbe contro un distaccamento e noi poi vi faremo sapere quando sarà e dove sarà. L’appuntamento dovrebbe essere, per il giorno che comunicheremo, a Carro. Lì si troveranno i due distaccamenti coi comandanti e faranno l’azione. Ben inteso devono essere tutti armati e tutti comandati”. Insomma quanto era logico per sbrigare una più o meno ben fatta azione di guerra. “Va ben, va ben, va ben”. Eravamo d’accordo che da Comuneglia dovevano venire in 30, come da Torpiana, ma era venuta una neve dell’altro mondo e quel progetto era sfumato. Io intanto avevo riferito il tutto a Genova, al Comitato militare, e avevo avuto l’approvazione perché, dico, è l’unico modo per controllare. Perché fin quando si fanno disquisizioni sulla carta topografica è ridicolo… Bisogna vedere, toccare con mano. “Io posso solo dirvi che a dichiarazione del comandante di questi ci sarebbero stati una trentina di disponibili ma in pratica non lo so e l’azione è sfumata per via del cattivo tempo…”.
[…] Canevari
Tanto più che io, per conto del Comando, avevo oltre i miei soliti compiti, quello del rapporto con le missioni. In secondo luogo, come sai, mi arrangiavo un po’ anche in inglese. Davidson parlava e capiva un po’ di italiano ma Mc Mullen zero e quindi con lui, perché il capo era lui, riuscivamo a dialogare più o meno bene. Volevano sapere qualcosa sui nostri indirizzi ma sempre prudenti attenti ad a mantenersi sul vago. Il momento cruciale – sapevano che io non ero comunista – è stato quando ci hanno letto la lettera di Alexander: “Non vogliamo che i partigiani scendano a liberare…”.
Gibì [Lazagna]
Che tu ricordi avevano tentato di stabilire qualche canale politico con il CLN o altri del Comando, tipo Lupis?
Canevari
Guarda, l’unico tentativo è partito dalle nostre formazioni, non mi pare da Genova. È venuto da Umberto Zolesio, quello di GL che all’epoca comandava una brigata GL, a Canale, in val Trebbia, poco sopra la Val Trebbia e aveva una formazione su quattro distaccamenti che in precedenza erano stati disarmati; un affare che poi avevo dovuto andare io con Marzo a dirgli vi diamo le armi ma voi… Insomma una specie di accomodamento. Comunque lui che già aveva avuto con noi qualche screzio specie per quel rastrellamento che era arrivato fin quasi a Fontanigorda senza che i suoi… Comunque è successo diverse volte che questo GL è andato da Van per dire che facesse venire i lanci a lui, per loro. A me l’ha detto Van perché come tu sai aveva gran fiducia nel sottoscritto e mi voleva far crepare col mangiare uova. Al mattino la prima cosa che mi diceva era: “setta giù, Canevari – parlava un americano lombardo – Giuse, metti subito due uova fritte lì per Canevari”. Era una abitudine che aveva preso. E Van m’ha detto: “Umberto è venuto da me e m’ha detto che loro non erano comunisti e di mandare i lanci a loro sennò i comunisti poi chissà cosa ne avrebbero fatto e io gli ho detto: “Bada bene, vuras esta zona o non vuras” – e vuras voleva dire lavora – e lui ha detto: “Eh no, noi indipendenti”. “Allora se vuras esta zona, allora lanci e chiamare Canevari; se non vuras esta zona, niente lanci” […]
Redazione, Intervista di Gibì Lazagna, “Carlo”, al padre Umberto “Canevari”, Divisione Coduri. Fonti per la Storia 

[…] ad Antonio Zolesio, già prima del fatidico 1943 che aveva decretato la diversa scelta di campo del Paese nella persona del re e del suo plenipotenziario maresciallo Badoglio, erano stati assegnati preventivi ancorché precisi compiti di intelligence ch’egli, in qualità di segretario militare del Pda per la Liguria (incarico conferitogli per volontà di Ferruccio Parri in persona il quale annetteva ai servizi d’informazione un’importanza preponderante), avrebbe mandato ad effetto, congiuntamente al capitano Dante Novaro (referente della missione Zucca del 2677° reggimento Oss-Apo/512, poi ucciso a Mauthausen-Gusen 2) e ad altri, nel covo clandestino di via San Giorgio, alle spalle del porto di Genova, sotto la copertura d’un innocuo ufficio commerciale.
Tanta tempestiva alacrità avrebbe prodotto a breve la prima (in assoluto) operazione congiunta di intelligence tra le forze alleate e il movimento partigiano dell’Italia del nord: quella missione Law che avrebbe consentito a due ardimentosi, Guglielmo Steiner (Mino) e Fausto Bazzi, entrambi addestrati frettolosamente ad Algeri dal Soe britannico (Special operations executive) e dall’Oss americano (Office of strategic services, precursore dell’odierna Cia), di sbarcare dal sommergibile britannico Hms Sykle sulla spiaggia di Cavi di Lavagna in una notte dei primi di ottobre 1943 muniti d’un apparecchio ricetrasmittente consegnato infine, dopo rocambolesche avventure, al referente ligure della missione, il genovese Piero Caleffi, a sua volta a stretto contatto sia con l’organizzazione Otto di Ottorino Balduzzi sia con gli esponenti milanesi della cospirazione di matrice azionista e giellista facente capo a Ferruccio Parri.

L’ammiraglio Da Zara appunta la medaglia al petto del comandante in seconda dell’incrociatore Montecuccoli, Carlo Unger di Löwenberg, Napoli, 1942 (Archivio Storico della Marina Militare)

Va detto che, al verificarsi degli eventi susseguenti alla caduta del fascismo, Zolesio era da tempo distaccato col grado di tenente di vascello presso l’Istituto idrografico della Marina, ubicato allora nel forte San Giorgio, proprio sotto il comando di Carlo Unger di Löwenberg suo diretto superiore, di cui parleremo più avanti.

Solo con l’avvento armistiziale dell’8 settembre, pertanto, le cose avevano assunto sviluppi più decisivi e a Zolesio, subito resosi disponibile per compiti operativi, era stato affidato dai vertici azionisti e giellisti clandestini del Comando militare per la Liguria (in successione cronologica: Mario Zino, Luciano Bolis, Giovanni Trombetta, Antonio Giusti, Giulio Bertonelli, Mario Gherardi) il non agevole incarico di formare e addestrare bande armate alla macchia, possibilmente costituite da militari transfughi o ex prigionieri di guerra già avvezzi all’uso delle armi. Ancor prima di conoscere l’area geografica assegnatagli egli, tuttavia, s’era industriato a dare forma e definizione ad una sedicente “brigata Mare” composta da circa 20 uomini fidatissimi (marò e sottufficiali) con i quali aveva anche svolto azioni di disturbo, sabotaggio ed appropriazione di armi nella zona di Fumeri (tra Mignanego e il passo dei Giovi), accudendo altresì (con l’ausilio del comandante Luisito Salvarezza) una cinquantina di ex prigionieri inglesi e sudafricani fuggiti dai campi di concentramento del piacentino. Vittorio Civitella *, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg in Storia e Memoria, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 – * Testo dell’intervento tenuto al convegno “Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata”, organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)

Tale attività minoritaria s’era resa possibile stante l’acquiescenza e l’incoraggiamento taciti del comandante della Marina di Genova Carlo Unger di Löwenberg.
Portatosi quindi nello Zerasco e insediato il suo comando a Torpiana (a mezza strada tra Sesta Godano e Pontremoli in linea d’aria), Zolesio, sotto lo pseudonimo di copertura di Capitano Antonio, aveva dato vita, a partire dal Natale 1943 e con l’ausilio di eminenti esponenti della Resistenza spezzina quali i cugini Basevi (di origine israelita), l’avvocato Poletti, Mario Da Pozzo, Vero Del Carpio, Mario Foce, Cesare Godano, Vittorio Manfredini ed altri, ad un nucleo di partigiani giellisti inquadrati in un primo tempo nella brigata d’assalto lunigiana la quale, pur disperdendosi con perdite significative a seguito del fulmineo rastrellamento nemico del 5 aprile 1944, finirà comunque col costituire l’embrione della più celebrata colonna spezzina Gl che arriverà a contare nelle ultime settimane del conflitto circa 800 unità con ben 111 giovani combattenti caduti in azione. Sommamente utile tuttavia, in quei cento giorni di militanza sul campo, l’esperienza che Zolesio ebbe modo di acquisire quanto a contatti diretti con l’intelligence alleata sia di matrice britannica (il Soe assiduo in quell’area a protezione del maggiore inglese Gordon Lett e della sua brigata internazionale) sia di matrice statunitense (Oss): di ciò egli farà tesoro in seguito in circostanze peraltro fondamentalmente dissimili. Infatti alla data del 5 aprile 1944 Zolesio non era più al riparo dei monti Picchiara e Gottero e Fiorito: già alla fine del mese di marzo era stato richiamato da un giorno all’altro e dirottato in Fontanabuona dove, assunto l’identificativo tutto genovese di Umberto Parodi, l’attendeva una nuova dura prova.
I capi azionisti della delegazione ligure delle formazioni partigiane GL, infatti, anziché garantirgli preventivamente un consenso pieno presso le organizzazioni consorelle, già presenti e operative sul campo, allo scopo di fugare da subito potenziali incomprensioni e malintesi circa la propria volontà di operare autonomamente a fianco delle formazioni garibaldine e in armonia con esse, avevano
colpevolmente omesso di preparagli il terreno in tal senso cosicché i rapporti di accoglienza dei primi giellisti al loro apparire in quella che sarebbe stata poco più tardi battezzata VI Zona militare operativa, all’epoca già presidiata per l’appunto dai garibaldini, furono quanto meno burrascosi. Vittorio Civitella, Op. cit.

Per soprammercato e senza preventivo avviso alcuno, la notte tra il 4 e il 5 luglio 1944, da un casone di Serra di Moconesi dove aveva insediato provvisoriamente il suo comando, Zolesio-Umberto diede il via all’azione, a lungo studiata, di occupazione del campo di concentramento 52 dei Piani di Coreglia (Calvari) guardato dalla milizia fascista e da militari dell’esercito di Salò e già adibito alla detenzione di prigionieri di guerra del Commonwealth. Nella circostanza una trentina di armati guidata da Murri (il capitano Franco Fantozzi) liberò una ventina di detenuti politici e civili ebrei destinati ai lager germanici e si impossessò di svariato materiale bellico e di sussistenza.
L’inattesa liberazione del campo di Calvari si coprì così di significati simbolici ben al di là degli effetti pratici ottenuti ed ebbe la conseguenza di porre definitivamente i Gl in rotta di collisione con i garibaldini i quali, rivendicando l’esclusiva della ‘gestione’ della guerra partigiana di montagna e il monopolio della loro presenza sul territorio, non sopportarono quella che, nella ortodossa osservanza dello ‘spirito di Cichero’, si configurava ai loro occhi come l’ennesima intollerabile devianza da parte dei ‘concorrenti’ giellisti.
In una settimana accadde di tutto: prima che, con l’intervento di tutte le delegazioni dei partiti dell’esarchia antifascista, del Comando unificato militare regionale e di diversi Comitati di liberazione nazionale (quello dell’Alta Italia innanzitutto), si giungesse ad un accordo dignitoso e soddisfacente sottoscritto dalle due parti dopo non meno di tre incontri di vertice e d’una serie di comunicati talmente copiosa da riempire un intero faldone, la formazione Parodi fu sottoposta, da parte dei componenti della 3ª brigata Garibaldi (comandata da Aldo Gastaldi e futura divisione Cichero), a due successivi disarmi manu militari e privata di tutto l’armamento e di parte dei generi alimentari primari: in pratica ciò che s’era salvato nella prima fase del disarmo venne alienato nella seconda vanificando tutti gli sforzi per addivenire ad un accordo che sancisse pacificamente una convivenza purchessia tra le due pur asimmetriche frazioni.
Il protocollo d’intesa venne infine sottoscritto tra le parti il 5 agosto 1944, ratificato con un comunicato ufficiale emesso dal Comando unificato militare regionale ligure (Cumrl) in data 12 agosto 1944, e il suo contenuto divulgato presso tutti i distaccamenti. Verso la fine d’agosto [1944] si scatenò la prima vera offensiva su larga scala contro i ‘ribelli’ dell’intera Zona condotta da truppe germaniche congiuntamente a forze repubblicane. Il massiccio rastrellamento mise in luce le inevitabili debolezze e le prevedibili carenze del dispositivo militare partigiano il quale, salvo alcune strenue sacche di difesa di taluni capisaldi nelle aree di Barbagelata e dell’Antola più a nord, dovette ripiegare su più fronti e, in alcuni casi, si disperse.
Per contro, nel prosieguo delle operazioni accennate, il 3 settembre 1944 la formazione Gl Matteotti si arricchì ulteriormente d’un notevole numero di effettivi provenienti dalla divisione alpina Monterosa da cui un’intera colonna someggiata composta da un centinaio di armati aveva disertato a Donega di Gattorna passando nelle file capeggiate da Umberto.
Tra l’8 e il 9 settembre il comando di Umberto, dopo un paio di acquartieramenti di fortuna, si spostò di nuovo a Moconesi dove giunsero anche i gruppi di ex alpini con i quali vennero formati distaccamenti misti su quattro compagnie dislocate da S. Marco d’Urri a Lorsica e Barbagelata.
Il 23 settembre, nell’importante convegno di Capanne di Carrega di tutte le formazioni partigiane della Zona, nel quadro del dispositivo armato ivi razionalizzato, la presenza della brigata Gl Matteotti al comando di Umberto Parodi venne espressamente riconosciuta e legittimata nonostante l’assenza di quest’ultimo.
Il 21 novembre 1944 Umberto, forte di nuovi reiterati arruolamenti, sorprese il Comando Zona annunciando la creazione d’una nuova divisione strutturata su due brigate. Tale iniziativa venne rigettata, ma l’iter disciplinare che ne seguì non ebbe sviluppo pratico in ragione dei nuovi impegni di quelle compagini partigiane sottoposte a severissimi rastrellamenti ‘a puntate’ da parte della divisione Turkestan, al comando del generale von Heidendorff, supportata da reparti italiani della Monterosa, della X Mas e delle Brigate nere.
Il gennaio del nuovo anno, ultimo di guerra, portò con sé, oltre a copiose nevicate e ad un gelo senza precedenti, nuove esperienze e nuove disdette: la situazione parve preliminarmente farsi insostenibile per tutte le compagini ivi orbitanti ma successivamente le sorti del conflitto in montagna parvero mutare anche per effetto di nuove iniziative strategiche intraprese collegialmente. Prima tra esse il cruciale incontro avvenuto il 18 e 19 febbraio tra il Comando VI Zona, la missione militare alleata M12 (nome in codice Clover) e i rappresentanti del Cln ligure. Era un corollario ai protocolli di Roma (7 dicembre 1944) con i quali il movimento partigiano era stato inserito nel dispositivo dell’Allied armies in Italy (Aai).
Dal canto suo, il precedente 9 febbraio, Umberto aveva siglato con Marcello (Marcello Machiavelli, comandante della neonata brigata Matteotti Valbisagno) un verbale di delimitazione delle zone di controllo nell’area di Bargagli con l’arbitrato del Comando Zona co-firmatario del documento. Contestualmente un’ordinanza a firma Canevari (Umberto Lazagna) per lo stesso Comando aveva assegnato a Umberto il controllo dell’area a sud-est della statale 45 (Barbagelata) sino ad allora presidiata dai reparti della brigata Berto guidata da Eugenio Sannia (Banfi).Tale protocollo sarebbe stato in seguito (il 26 febbraio) perfezionato con l’assegnazione ad entrambi gli schieramenti di competenze separate per quanto atteneva ad alcune provenienze da località strategiche dell’area.
Intanto, nel contesto delle attività resistenziali sul territorio del medio levante ligure, i capi militari del Cumrl avevano preso importanti decisioni.
Per effetto di queste la formazione giellista, cresciuta nel contempo sino a configurarsi in un gruppo brigate titolato sempre a Giacomo Matteotti (brigate Lanfanconi, Borrotzu e Castelletto), e in ordine ad un provvedimento operativo del Comando Piazza di Genova (protocollo n. 9/Genova del 13 aprile 1945 firmato da Giuseppe Ferrari, alias Negrini, a parziale modifica del precedente Piano A diramato il 18 marzo) venne posta sotto la guida diretta di quell’organismo insurrezionale congiuntamente ad altre tre formazioni: la volante Severino (divisione Cichero) assegnata al settore Genova Centro, la volante Balilla (divisione Cichero) assegnata al settore centrale e la brigata Buranello (divisione Mingo) assegnata a quello occidentale.
L’intera compagine giellista, assegnata al settore orientale, scese dunque lungo diverse direttrici dalla montagna ligure prendendo attivamente parte alla liberazione di Genova con provato successo.
Un fatto non secondario di questa rapida epitome attiene alla sfera comportamentale di Umberto il quale, una volta esauritosi l’epocale conflitto e insediatosi all’Ufficio stralcio della neonata divisione Gl Giacomo Matteotti presso l’hotel Britannia di Genova, quale suo primo atto amministrativo aveva divisato di consegnare nelle mani del lieutenant Royal naval volunteer reserve della Royal navy P. M. Donald la somma di 6.257.866 lire, già appartenente al Comando marina Genova, affinché la trasmettesse al ministero della Marina a Roma.

Era il 18 maggio 1945 e alla fine di quell’anno il tenente di vascello Antonio Zolesio, partigiano combattente, sarebbe rientrato silenziosamente nella vita civile senza nulla chiedere.
Ma l’interrogativo resta: perché e in che modo Zolesio aveva riscosso quella somma dal Comando disponendone da par suo?
Lo spiegheremo facendo un salto in avanti di trentatré anni.
Il 23 aprile del 1978 in Fontanabuona, dov’era tornato a vivere, in occasione dell’inaugurazione del cippo dedicato ai Caduti del mare e titolato al capitano di fregata Carlo Unger di Löwenberg e al capitano di Corvetta Silvio Fellner (rispettivamente comandante e vice comandante della Marina di Genova sino all’agosto del 1944), l’allora capitano di corvetta (per meriti speciali) Antonio Zolesio, in veste di presidente della sezione Fontanabuona dell’Associazione nazionale marinai d’Italia, nella prolusione tenuta ebbe a ricordare testualmente che i due titolari della dedica vessillifera avevano per i partigiani della Liguria orientale:
[…] un posto insostituibile e non dimenticato: le prime armi per combattere i tedeschi – recitava infatti Zolesio – ci furono fatte pervenire da questi due Ufficiali che soli, dotati di pochi mezzi, hanno combattuto in silenzio ogni momento di quei terribili giorni, contro pericoli spesso invisibili provenienti da più parti […]

Carlo Unger di Löwenberg, trentottenne lucchese di nascita a dispetto del patronimico tutto teutonico, e il suo vice Silvio Fellner, triestino cinquantatreenne, erano stati giustiziati alle una del mattino di sabato 19 agosto 1944 con una scarica di machinenpistole nel cortile della stamperia del forte San Giorgio, sede genovese del Comando germanico della Kriegsmarine. Quivi era stata allestita in tutta fretta una corte marziale presieduta dal comandante Berlinghaus e composta da soli ufficiali tedeschi compreso il difensore d’ufficio. Prima dell’esecuzione ai due condannati era stata negata l’assistenza religiosa e, a Löwenberg, un ultimo incontro con i familiari, col pretesto che “non c’era tempo”. La motivazione della sentenza giunta sino a noi recita testualmente: “per alto tradimento in tempo di guerra e di fronte al nemico”.
Formalmente venne imputato ai due alti ufficiali di aver ordinato, senza averne facoltà, il ripiegamento delle forze di mare distaccate nella Liguria di ponente traducibile, in pratica, nell’imputazione appunto di “alto tradimento”.
Ma la realtà consacrata da una documentazione inoppugnabile non sembra poter accreditare tale impostazione accusatoria né riconoscere alla sentenza una corretta e convincente proporzionalità tra l’esiguità della presunta colpa e l’abnormità della pena comminata e subito eseguita.
Infatti la prima si fonda esclusivamente sui telegrammi inviati dal comandante Löwenberg il 14 agosto 1944 alla stazione segnali di Bordighera, al posto radio di Arma di Taggia e agli uffici di porto di Sanremo e Imperia per disporre il ripiegamento su Genova del personale (peraltro non necessario alla difesa in quanto prevalentemente civile e difatti ritirato più tardi dalle stesse autorità germaniche), mentre la seconda è in aperto evidente contrasto con quanto disposto dall’articolo 5 del regolamento, sulla posizione del personale della Marina italiana che collabora con la Marina germanica, che imponeva dover essere i due ufficiali eventualmente giudicati da un tribunale italiano.
Dimostrate pertanto documentalmente e ampiamente, e in periodo di pace, l’irrazionalità e la pretestuosità dell’impianto accusatorio e la sua inconsistenza, rimane da stabilire in quale misura e con quali modalità i due ufficiali si fossero contestualmente e consapevolmente applicati ad avviare manovre di corridoio tese a favorire in qualche modo azioni cospirative di matrice resistenziale, al punto da indurre le autorità germaniche ad effettuare il precipitoso arresto giustificandolo con l’appiglio più facilmente dimostrabile del “tradimento”.
Tra le tante testimonianze circostanziate e inconfutabili prodotte allo scopo, quella dell’ex partigiano combattente Ruby Bonfiglioli, già responsabile d’una delle formazioni Gl Giacomo Matteotti e ben introdotto negli ambienti dell’intelligencija post-resistenziale, è piuttosto significativa anche se non l’unica.
A questo proposito – egli afferma in una dichiarazione resa allo storico Giorgio Gimelli nel dopoguerra – credo debba essere ricordata l’attività, collegata alla rete clandestina GL, del Comandante Carlo Unger di Loewenberg […] fonte preziosa di informazioni e di invio in zona partigiana di equipaggiamenti, fucilato dai tedeschi insieme al suo aiutante Comandante Fellner: la sua azione clandestina ebbe inizio e si sviluppò proprio per la presenza nei gruppi GL di ufficiali di marina quali Zolesio, Pompei Giannesini.
E ancora in un suo articolo apparso sul quindicinale “Patria Indipendente” in un numero del 1981: […] dal loro punto di vista i tedeschi videro giustissimo. […] la verità è che essi avevano motivo di dubitare – o, peggio, d’esser informati – dell’attività di collegamento, in alcuni casi addirittura preziosa, mantenuta dai due ufficiali, e segnatamente da Loewenberg, con le forze della Resistenza genovese. Decisero, allora, freddamente di ucciderli […].
Vi fu anche chi riuscì ad accreditare l’ipotesi, mai provata, che Löwenberg avesse addirittura assunto il ruolo di capo del Comando marina della Rsi all’indomani dell’8 settembre “d’intesa con forze della Resistenza” [sic].
Qui ci fermiamo e sospendiamo ogni altro giudizio […]
Resta evidente che il percorso attraverso il quale Löwenberg e Fellner si sono schierati a favore della Resistenza è più complesso di quello di tanti altri italiani, militari e non, che si sono opposti con i propri mezzi al nazismo e al fascismo di Salò.  Si può ragionevolmente credere che la loro radicata fedeltà alla Marina abbia, in sostanza, travalicato il fatto che essa abbia subìto la richiamata mutazione storica. Essi agirono di conseguenza avendo acquisito piena coscienza del fatto che soltanto le prospettive connesse alla vittoria degli alleati avrebbero potuto ridare anche alla Marina una nuova prospettiva nell’ambito della rinascita democratica del nostro Paese.

L’incrociatore Montecuccoli

Sebbene la Marina italiana abbia riconosciuto (1) ai due ufficiali tanto la qualifica di “partigiano combattente caduto per la lotta di Liberazione” quanto le campagne di guerra dal 1940 al 1944, il capitano di corvetta Antonio Zolesio non riuscì nel suo intento di far insignire il suo superiore e sodale di medaglia d’oro al Valor militare.
Carlo Unger di Loewenberg giace oggi in un piccolo cimitero di Moconesi Alto insieme alla moglie Natalia, al suocero Casimiro Wronowski e alla madre Anna Bruzzone.
Il cavetto elettrico posto sul loculo è staccato e il lume è spento. Vittorio Civitella, Op. cit.

(1) Carlo Unger di Loewenberg [o Löwenberg] … prese parte a ininterrotta attività di scorta convogli, affrontando con ardita determinazione ogni insidia nemica e sventando con tenace volontà attacchi subacquei e aerei. Tra le molte azioni si ricorda quella del 20 luglio 1941 nelle acque a sud ovest di Pantelleria, nel corso della quale fu protagonista in collaborazione con l’idrovolante di scorta dell’affondamento del sommergibile britannico Union. Fu quindi comandante in 2a dell’incrociatore Raimondo Montecuccoli dal dicembre 1941 al maggio 1943. La sua attività in guerra fu premiata con le numerose decorazioni sopra riportate, oltre a due encomi solenni e un elogio tributa togli dalla Marina germanica.
Non fu mai sottomesso alle autorità germaniche, anzi, mantenne sempre un atteggiamento fermo e indipendente, tanto da essere considerato elemento infido.
All’armistizio dell’8 settembre 1943 si trovava a Genova, capo dell’ufficio allestimento designato comandante della nave portaerei Aquila. Gli uffici, la caserma e l’Aquila furono occupati dalle forze germaniche; il personale fu lasciato libero. Egli si allontanò, raggiungendo la propria abitazione a Lucca, ritornando il 24 dello stesso mese a Genova per assumere il comando dei Servizi della Marina in città su sollecitazione del commissario per la Marina, ammiraglio Ferreri (vds.). A fine settembre fu tuttavia costituita la Marina della R.S.I., nell’ambito della quale egli prestò la propria opera senza tuttavia aver prestato giuramento. 
Nell’imminenza dello sbarco alleato in Provenza, diramò un messaggio alle capitanerie di porto della Liguria con ordine di portarsi in siti maggiormente protetti, ponendo in salvo personale e mezzi. Tale messaggio, venuto a conoscenza del comando tedesco della città il 18 agosto 1944, fu interpretato come alto tradimento: il comandante Löwenberg e il suo comandante in 2a, capitano di corvetta Silvio Fellner, furono tratti in arresto dalle SS e subito processati avanti un tribunale militare al momento costituito. Condannati a morte, furono passati per le armi la sera stessa.
Nel dopoguerra emersero comportamenti di ferma autonomia da lui assunti nei confronti delle autorità germaniche e di azioni volte a sottrarre personale della Marina a rappresaglie e ad angherie tedesche, nonché episodi di supporto alle formazioni patriottiche operanti nel retroterra ligure. Nel 1968 la Commissione nazionale unica per il riconoscimento delle qualifiche e ricompense ai partigiani riconobbe a lui e al comandante Fellner la qualifica di “partigiano combattente caduto per la lotta di liberazione”. da Ministero della Difesa