Henri Charrière, Papillon

29 luglio 1967, un terremoto squassa Caracas: morti, feriti e tanti edifici rasi al suolo. Tra questi, il locale notturno di un immigrato francese che per l’ennesima volta ha perso tutto e deve reinventarsi da capo. Si chiama Henri Charrière e passeggia per la città in rovina meditando sulle sue sfortune quando un titolo esposto in vetrina attira la sua attenzione: racconta la storia di un’evasione e la fascetta editoriale dice 123° migliaio. Lo acquista, lo legge, e si dice “io con le mie avventure vendo tre volte di più”. Completamente digiuno di studi e di scrittura, su tredici quaderni da scolaro butta giù d’un fiato la sua storia e li invia per posta a un editore parigino. Venderà oltre 10 milioni di copie.

Charrière era nato nel 1906. Orfano di madre, padre insegnante d’ispirazione libertaria, giovanissimo si sposta a Parigi e diventa un personaggio di spicco della malavita locale.

Accusato di un omicidio del quale si è sempre dichiarato estraneo, a 25 anni è condannato ai lavori forzati a vita e deportato presso il bagno penale della Caienna, nella Guyana francese.

È il 1931 e in Francia vige infatti ancora la pena di morte e l’istituto della deportazione. La sentenza è l’imbocco della “strada della putredine”, come definirà egli stesso il seguito della sua vicenda giudiziaria: 13 anni in cui tenterà ben nove evasioni, l’ultima delle quali, coronata da successo, lo porterà appunto a stabilirsi in Venezuela.

E sono quei 13 anni a scorrere nella sua corposa autobiografia, “Papillon”, raccontati con una vividezza eccezionale: le brutalità gratuite dei secondini, la corruzione e l’ottusità dell’amministrazione penitenziaria, celle che si allagano con l’alta marea e in cui i detenuti sono costretti a contendere lo spazio a insetti e topi, l’isolamento in cui ogni contatto umano è proibito e la deprivazione sensiorale porta alla follia. Charrière dichiara guerra a tutto questo: evadere è la sua vocazione, sul presupposto che “chi ha sbagliato, ha pur sempre diritto a sperare di rifarsi una vita”.

Con un salto nell’oceano dalla scogliera dell’Isola del Diavolo, la prigione che fu di Dreyfus, aggrappato a dei sacchi pieni di noci di cocco, Papillon è finalmente libero.

Graziato nel 1970, morirà nel 1973. La veridicità del libro fu discussa da molti, e secondo alcuni suoi compagni di prigionia parte delle vicende riportate erano in realtà state vissute da altri detenuti. Ma proprio qui sta l’eccezionalità di questo scritto: più che la storia di un uomo, è una narrazione collettiva dell’istituto dell’ergastolo, della deportazione e dell’universo concentrazionario del bagno penale.

Di più, una denuncia inappellabile e dall’eccezionale valore letterario dei costi umani del sistema penale se declinato unicamente come meccanismo sociale d’esclusione.

Cannibali e Re