I Quaderni di Sociologia costituirono il primo accenno di una ripresa degli studi sociologici in Italia

Nel piano di lavoro a firma di Franco Ferrarotti, che sin dall’inizio fu direttore della rivista, i Quaderni di Sociologia, trimestrali, uscivano a cura di Nicola Abbagnano e Franco Ferrarotti, ma il direttore sin dal 1951 è Franco Ferrarotti, in apertura si trova un piano di lavoro dove si indicano gli elementi che possono essere considerati motivo e giustificazione di questa iniziativa. Un primo motivo veniva individuato nell’inesistenza della sociologia come scienza rigorosa in Italia e fuori d’Italia. Un secondo motivo veniva indicato nella necessità di aprire indagini particolari e circoscritte, inchieste per “bloccare sul piano della ricerca viva quelli che venivano definiti gli apriorismi del sociologismo tradizionale”, e dunque si indica chiaramente che “il sociologo propriamente detto è un organizzatore metodico di dati elementari, i quali di per sé sarebbero muti, equivoci, in un sistema di conoscenza al quale si intende assegnare anche una validità operazionale e terapeutica”, la definisce Ferrarotti, nella “realtà effettuale”. Il terzo motivo che viene prodotto per giustificare questa iniziativa editoriale è “l’opportunità di divulgare certe tecniche di ricerca e alcune verità parziali acquisite dalla sociologia nella cultura italiana, anche al di fuori del mondo accademico nella cultura ufficiale”. La rivista prevedeva sin dalla nascita una sezione teorica destinata ad affrontare questioni generali, propriamente teorica appunto, con temi come, ne ho selezionati alcuni soltanto da un lungo elenco: i fondamenti logici della sociologia come scienza, l’esame critico della critica crociana alla sociologia, dalla sociologia universalistica e filosofeggiante (alla Comte e Spencer) alla sociologia come scienza rigorosa e così via. Univa la rivista, nel suo piano di lavoro, a questa sezione teorica, una sezione che veniva definita decisiva per la cultura italiana, e si considerava potesse costituire una novità: “destinata a raccogliere dati empirici e ad organizzarli intorno, e in funzione, di una definita ipotesi di lavoro o della soluzione di qualche problema posto dallo sviluppo strutturale”; addirittura in quel piano di lavoro si proponeva uno schema di ricerca per una prima raccolta dei dati. Nel 1976 Nicola Abbagnano, quindi in occasione del venticinquesimo della rivista, scrisse che in questo senso, e con questo piano di lavoro, i Quaderni di Sociologia costituirono il primo accenno di una ripresa degli studi sociologici in Italia.
Salto al 1962, nuova sede della rivista, ancora edita da Taylor, in un formato che diventa appena più grande, nuova presentazione della serie rinnovata sempre a firma di Ferrarotti, che ne è ancora direttore, Ferrarotti fa riferimento alla crisi attuale della sociologia legata, lui scriveva, “a mancanza di consapevolezza problematica”, denuncia gli “apriorismi dogmatici” e quelli che chiama i “decreti legge dell’ideologia”, dicendo che “questi paralizzano l’istanza critica, e si sostituiscono alle risultanze della ricerca empirica concettualmente orientata”. Dichiara, riafferma, che i Quaderni di Sociologia raccolgono, l’hanno fatto fino a quel momento e intendono continuare a farlo, un gruppo di studiosi che “pur nella professione della più schietta indipendenza scientifica, sono convinti del carattere critico e del carattere orientativo della sociologia”, Ferrarotti scrive che: “quel gruppo di studiosi vede nella sociologia uno strumento potente di demistificazione, di autoconsapevolezza”.
Il terzo documento, a cui mi riferisco, è la presentazione che del fascicolo dedicato al venticinquennale della rivista scrivono, a quel punto, Nicola Abbagnano, una prima presentazione, e Luciano Gallino, una seconda presentazione, Luciano Gallino nel frattempo diventato direttore dei Quaderni. Il venticinquennale dei Quaderni cade nel 1976, è appunto qui che Abbagnano, guardando indietro ai 25 anni trascorsi, definiva la nascita dei Quaderni “un’avvenimento modesto” si, ma riteneva che si potesse dire che avesse segnato una data nella storia culturale italiana. Abbagnano fa un bel lavoro in quella presentazione, perché ricorda ai lettori dei Quaderni le circostanze tutt’altro che favorevoli, in quegli anni ’50, agli studi sociologici, circostanze che riconduceva al dominio, nella cultura italiana dei decenni precedenti, dell’idealismo, che considerava la sociologia una falsa scienza, e rilevava, che, già in quegli anni tuttavia, e quindi all’inizio degli anni ’50: “esistevano delle condizioni obiettive per l’insorgere dell’interesse nei confronti della sociologia”. Intanto, la consapevolezza crescente che un qualsiasi discorso sull’uomo, che non tenesse conto della sua socialità, era un discorso monco; intanto, l’esigenza di rendersi conto, con ricerche appropriate e accertamenti validi, dei problemi sociali fatti insorgere dalle trasformazioni in atto; infine, anche l’esigenza di non acquisire passivamente i risultati delle ricerche che arrivavano da paesi stranieri, ma seguire, anzi, l’esempio dei paesi stranieri con una produzione autonoma e nazionale. È proprio in quel contesto che Abbagnano riconosce in questi intenti, e nel modo in cui i Quaderni li hanno perseguiti, il primo accenno di una ripresa degli studi sociologici in Italia. Posti questi compiti, Abbagnano a 25 anni di distanza dall’inizio dell’esperienza, si sentiva di affermare, che i Quaderni avevano in effetti mantenuto l’impegno che avevano preso: “estranei al sociologismo deteriore, che si ferma a spiegazioni e stereotipi dei fenomeni sociali, e spiegazioni estranee a quelle spiegazioni che aprono tutte le porte. I Quaderni sono, e intendono restare, una libera palestra di ricerche, di critiche e di indagini approfondite”.
La seconda presentazione di quel fascicolo, quello che celebrava i 25 anni dei Quaderni, è scritta da Luciano Gallino, che era appunto il direttore dal 1968. Gallino era entrato nei Quaderni di Sociologia nel 1962, l’anno in cui compare, appunto, il suo primo testo pubblicato sui Quaderni. Luciano Gallino, in quel testo, analizza il movimento di distacco dalla sociologia della metà del secolo, per cui la sociologia diventa, lui scrive, “più presente al suo tempo”, e analizza il ruolo che i Quaderni di Sociologia, con qualche cautela che egli analizza, hanno svolto proprio in quell’operazione, movimento di distacco dalla sociologia della metà del secolo. “All’ossessione per il contingente alle sociologie passe-partout”, richiamando evidentemente quanto scriveva Abbagnano parlando di spiegazioni che aprono tutte le porte, Luciano Gallino osservava che, i Quaderni avevano opposto e opponevano quelle che lui chiamava “ragioni di storia, ragioni di metodo e ragioni di libertà”. Sinteticamente, con “ragioni di storia” Gallino faceva riferimento al fatto che, l’analisi della realtà contemporanea inizia col farne una storia, non può prescindere dalla storia dei fenomeni e delle società che si studiano; le “ragioni di metodo” avevano a che fare con il fatto che la sociologia è una disciplina scientifica, e come tale deve produrre, come pratiche, e contenere, come forma di memoria organizzata, delle conoscenze applicabili in circostanze diverse; e poi parla di “ragioni di libertà” facendo riferimento alla libertà intellettuale e pratica di esplorare storie e società. Ecco in queste righe, poche righe, poco più di mezza paginetta, stanno all’interno di una presentazione di un fascicolo, credo che si possano ravvisare gli estremi di quello che è stato il modo di intendere la sociologia, il suo significato e i suoi compiti, propri di Luciano Gallino, quel modo che fa della sociologia una disciplina scientifica e democratica. Io tornerò fra pochissimo su questa idea, per adesso la teniamo lì, da dove l’abbiamo prelevata, considerando che, però, costituisce una specie di dichiarazione programmatica volta ad orientare l’attività dei Quaderni di Sociologia nelle parole del suo direttore; personalmente ritengo che, quelle ragioni, abbiano, programmaticamente, orientato e guidato l’intera produzione di Luciano Gallino. Più della presentazione, il direttore dichiarando l’apertura della rivista a chi, anche eventualmente muovendo da posizioni molto diverse, lontane, con il lavoro quotidiano – e io sottolineerei quest’espressione, con un lavoro quotidiano, quindi non con i proclami, non con le deduzioni di principio -, si riconosca in tali ragioni.
Ora, va da sé, che le fonti che ho utilizzato per questa ricostruzione dei primi 25 anni dei Quaderni, possono indurre a pensare che, quelli dichiarati siano dei propositi dei quali resta ancora da valutare, se e come siano stati raggiunti, che credo potrebbe essere un compito che ciascuno di noi potrebbe darsi. Abbiamo a disposizione 66 annate dei Quaderni di Sociologia, dal 1951 al tutto il 2016, anzi, per essere precisi, 2 in meno perché in occasione di due cambi di editore, nel 1983 e nel 1991, saltò un’annata, quindi abbiamo a disposizione 64 annate della rivista per esercitarci alla ricerca di quelle ragioni di storia, di metodo e di libertà. Pubblicati dal 1951 ad oggi, con le eccezioni dette, ininterrottamente, certamente i Quaderni sappiamo che rappresentano oggi la più longeva rivista sociologica tra quelle italiane, quella di più lontane origini tra quelle ancora oggi pubblicate.
In occasione del cinquantesimo dei Quaderni di Sociologia, quindi facciamo un salto molto in avanti, nel 2001, Luciano Gallino ricostruiva nella presentazione del fascicolo celebrativo, che era scritta insieme a Paolo Ceri, “la singolarità”, così veniva definita, “delle vicende dei Quaderni di Sociologia”. Lui scriveva “la singolarità sta nel fatto che un filosofo di grande fama, cattedratico dell’università di Torino, che aveva appena finito di pubblicare la prima edizione della sua poderosa storia della filosofia, e un suo giovane neolaureato, provvisti di risorse minime”, allora come oggi bisogna dire, “si erano alleati per compiere un’impresa editoriale innovativa quanto ardita, pubblicare una rivista scientifica intitolata ad una disciplina che nemmeno la maggior parte degli accademici sapeva bene cosa fosse, che aveva allora nel continente varie consorelle”. In effetti “le riviste di sociologia erano a quel tempo in Europa non più di cinque o sei, trenta anni dopo si sarebbero contate a centinaia, con decine di specializzazioni. Le più note, di maggior peso culturale, erano la francese Cahier, avviata nel 1946, e la tedesca Kolner, rinata nel ’49 dalle ceneri post naziste. Quanto agli insegnamenti universitari negli anni ’50, nel 1951 in Italia esisteva una sola cattedra di Sociologia, a Firenze, titolare Camillo Pellizzi, derivante dalla trasformazione dell’immediato dopoguerra di una precedente cattedra di tutt’altro contenuto. Nessun editore di peso alle spalle, pochi riferimenti internazionali, qualche decina di studenti in una sola città, diffidenze accademiche diffuse”, così veniva ricostruito il quadro di quegli anni alla nascita dei Quaderni.
Il filosofo Pietro Rossi, riscostruendo le vicende delle grandi riviste di area umanistica in Italia, dalla costituzione dello Stato Unitario in poi, ne rileva un radicamento accademico sempre più marcato nel corso del tempo e dice che, questo radicamento accademico, era particolarmente visibile a Torino dove si rafforzò dopo il 1945, in anni che, egli scrive, “furono di forte ripresa intellettuale”, e anche lui va a collocare in quel contesto, in quegli anni di forte ripresa culturale, l’avventura dei Quaderni. In un’altra sede, sempre Pietro Rossi, non esita ad assumere simbolicamente l’estate del 1951, cioè la pubblicazione dei Quaderni, come punto di svolta e scrive che, quello della sociologia dopo il ’45 fu un nuovo inizio. Per altro, questa è la stessa periodizzazione che Filippo Barbano, per esempio, ha proposto della sociologia parlando dell’epoca della nuova sociologia dagli anni della liberazione in poi, e distinguendo questa epoca della nuova sociologia da quella, che lui aveva chiamato, la prima sociologia, cioè quella del mezzo secolo circa dagli anni ’60 dell’’800 agli anni ’10 del ’900.
In quel libro, in cui quella ricostruzione di Rossi compare come premessa, Paolo Ceri scrive un articolo in cui si occupava delle riviste sociopolitiche, e viveva rispetto al contesto di quegli anni, che definisce “privo di reale presenza sociologica”, “i segni embrionali di un risveglio”, e questi segni venivano individuati, intanto, nel ruolo modernizzatore dell’area industriale torinese, il fiorire della stagione neoilluministica, che vedeva, appunto, in Nicola Abbagnano il suo artefice principale. In congiunzione, con il fatto che il contesto culturale torinese, appariva meno afflitto di altri dall’ostracismo di un’egemonia idealistica perdurante i Quaderni di Sociologia, scriveva Paolo Ceri allora: “contribuirono non poco ad accreditare la disciplina sia in ambito culturale che in ambito universitario”. Qui cito direttamente dal testo, Paolo scriveva: “i Quaderni di Sociologia avevano, non soltanto favorito la
legittimazione e accompagnato la crescita della sociologia nell’università, ma avevano accreditato e diffuso il sapere sociologico nel mondo della cultura e della politica. Un esito reso possibile dall’impegno pioneristico di intellettuali, tanto valenti quanto laicamente rigorosi, rappresentati nel comitato direttivo oltre Abbagnano e Ferrarotti da Luciano Gallino, Angelo Pagani, Alessandro Pizzorno, Pietro Rossi, Tullio Tentori e Renato Treves”. Poi ancora aggiunge “a questi intellettuali noi dobbiamo, alla militanza intellettuale di questi studiosi”, studiosi, appunto, come Abbagnano, Ferrarotti, Gallino, Pagani, Pizzorno, Rossi e Treves, che per primi hanno affermato le ragioni delle scienze sociali, “cioè nell’analisi positiva, critica e razionale dei fenomeni storico-sociali”. “Nati a Torino e diretti a Torino”, osserva ancora Paolo, “i Quaderni di Sociologia sono stati, sin dall’inizio, una rivista nazionale e non locale”, a testimoniarlo basta un’analisi della composizione editoriale, della composizione redazionale, la composizione territoriale degli autori, la diffusione dei fascicoli. Il comitato editoriale ad oggi è costituito da 20 persone, 14 degli attuali non lavorano e non risiedono a Torino, oggi qui siamo ospiti di due componenti del comitato editoriale dei Quaderni di Sociologia Piero Fantozzi e Francesco Raniolo. L’essere stati, i Quaderni di Sociologia, ampiamente rappresentativi della composizione disciplinare, generazionale e territoriale della sociologia italiana, lo si evince anche da questi dati, indicatori credo, anche questi, di quelle ragioni di metodo e ragioni di libertà che prima abbiamo richiamato. Certamente se la rivista ha mantenuto questi caratteri è soprattutto grazie all’impianto originario e alla continuità della direzione e del lavoro del suo direttore storico, così vorrei richiamarlo, anche se nessuno di noi, ancora oggi, ha dubbi quando si parla del direttore dei Quaderni di Sociologia, è chiaro che il riferimento vada in automatico a Luciano Gallino.
Ancora su quelle, come vi ho promesso prima, ci torno brevissimamente, su quelle “ragioni di metodo” e “ragioni di libertà”, quelle che secondo me fondano la sociologia, la sociologia per Luciano Gallino, e la sociologia come progetto scientifico e democratico. Cito direttamente da Gallino, da una fonte che non è contenuta in questo fascicolo e che non risale ad un contributo pubblicato nei Quaderni, Luciano Gallino scrive: “il contributo allo sviluppo di una società realmente democratica che la sociologia può dare, sta appunto nel fatto che essa richiede lo sviluppo della prassi scientifica come prassi sociale, il ricorso alla mentalità laica e razionale come strumento di orientamento e di decisione nei problemi di tutti. Ogni altro procedimento è non democratico o antidemocratico, in quanto porta inevitabilmente a cedere all’irrazionale, al privato, all’arbitrario, al terrorismo del dogmatico, oppure al massacro, quando un accordo completo non si possa raggiungere altrimenti”. E altrove scriveva ancora “la genuina carica democratica della sociologia”, qui è Gallino nel ’69, La sociologia come disciplina democratica, che apre il suo volume, la seconda edizione del volume Questioni di Sociologia: “la genuinità della sociologia, come di ogni altra scienza, si fonda precisamente sul fatto che il suo banco di prova è irreale, non l’opinione, ogni fatto conta per sé ma non ogni persona od ogni opinione dinanzi al metodo scientifico. La miglior difesa dalle sopraffazioni culturali o politiche, risiede precisamente nel costante ricorso ai fatti, se non spiace usare una parola desueta, alla verità, e soltanto quando la ricerca della verità quale essa sia, quali siano le sue conseguenza politiche, diventa prassi sociale, che diventa possibile sfuggire alla tirannia della maggioranza come alla tirannia delle minoranze”. Ho scelto queste due citazioni per richiamare quei principi di metodo scientifico e di metodo di libertà, ragioni di metodo e ragioni di libertà, quella mentalità laica e razionale che lui invoca come fondativa dell’attività dei sociologi.
Io lavoro alla rivista dal 1992 vi dicevo prima, in quell’anno la rivista ripartiva con un nuovo editore, l’editore che la pubblica ancora oggi, nuova serie, Rosenberg & Sellier, entrai in segreteria redazionale invitata a farlo da Gallino, non fosse bastata l’importanza della sua richiesta mi disse, quando mi chiese se volessi occuparmi dei Quaderni di Sociologia, che la stessa domanda gli era stata posta da Nicola Abbagnano molti anni prima, mi sarebbe bastato me lo chiedesse lui, in quella maniera il compito suonava ancora più importante. Sono entrata ai Quaderni di Sociologia in segreteria di redazione, ogni tanto mi piace di ricordarlo, non nel comitato editoriale, nel comitato editoriale sono entrata otto atti dopo, nel 2000 i Quaderni di Sociologia usava, e vorrei, mi piacerebbe, usasse ancora così, c’è tanta scuola da fare, c’è una vera scuola, si lavora e si comincia a lavorare là dove la rivista si fa, cioè in redazione, è un lavoro molto importante quello della segreteria redazionale delle riviste. La ricostruzione brevissima che ho preparato per oggi è ricavata dai documenti degli anni precedenti, io posso testimoniare del lavoro, ai Quaderni e sui Quaderni, così come li ho conosciuti negli ultimi 25 anni; anche quando sono entrata nel comitato editoriale ho continuato a lavorare, continuo a lavorare per la redazione dei Quaderni, le risorse sono minime come erano alla nascita, lavoro in cucina, con l’espressione che molti di noi hanno là dove la rivista prende forma. Per molti anni ho condotto quel lavoro a stretto e continuo contatto con Luciano Gallino il cui lavoro, non solo nei Quaderni, ovviamente per i Quaderni, con questo seminario intendiamo ricordarlo. La vita di redazione è stata una grandissima scuola, una grandissima scuola in primo luogo di rigore, di metodo, di universalismo e di pluralismo. Io credo per averli vissuti, osservati per molti anni, che rigore, universalismo e pluralismo vadano riconosciuti al lavoro del comitato di redazione e al lavoro del direttore storico della rivista su tutti, anche in questo maestro per noi. Piero e Francesco hanno condiviso con noi l’intensità di alcune riunioni del comitato editoriale, non frequenti anche quelle, per i soliti motivi di prima, chi viene alle riunioni del comitato editoriale viaggia a proprie spese, la rivista non ha fondi, in questo senso. Queste riunioni diventavano spesso occasioni di discussione intensa, il direttore non si stancava di richiamare la nostra attenzione su quanto accadeva intorno a noi, ci chiedeva di proporne analisi, formulazioni: Ccome mai? Dove erano i sociologi?”, negli ultimi anni la domanda ricorrente, credo che voi la ricordiate con me, “Dove erano i sociologi quando esplodeva la crisi? Dove erano?”. C’era sempre il punto interrogativo, ci invitava a sollecitare i colleghi, a proporre riflessioni, a organizzare call, promuovere analisi, promuovere proposte su questi temi. La rivista se l’avete conosciuta, se l’avete sfogliata in qualche numero, sapete, pubblica, ha pubblicato testi di sociologi maturi e testi di sociologi giovani di orientamento culturale e politico diverso, di sociologi, vorrei dire, di questi tempi chiamarli così, di pre-ruolo e post-ruolo, cosa che è evidentemente oggi giudicato un malvezzo, perché come sapete i lavori dei pre-ruolo, dei post-ruolo non vengono valutati con la VQR, siccome non vengono valutati con la VQR non entrano nella valutazione delle riviste, che pure sulla base degli esiti della VQR vengono valutate, ma non c’era una volta l’ANVUR, e i valutatori potrebbero rimanere sorpresi scoprendo che indipendentemente da doppie o triple A, in molte riviste, non certo solo nei Quaderni, io parlo dell’esperienza che conosco, si lavorava anche prima con grande serietà. Un altro ricordo che ho condiviso con qualcuno, ho ritrovato una cartellina che Paolo Ceri ad un certo punto, ben felice di passarmi una parte del lavoro, mi ha passato con uno scatolone che contiene documenti importanti dei Quaderni di Sociologia, lo raccontavo a dei colleghi proprio all’indomani delle prime lettere dell’ANVUR, che minacciavano il declassamento delle riviste di classe A che si fossero collocate sotto una certa valutazione, che in quello scatolone ho trovato una cartellina che contiene dei documenti del 1983, quindi quasi 35 anni fa, ci sono delle schede di valutazione, di referaggio, autografe, scritte a mano, le vorrei chiamare il doppio vedente, visto che noi facciamo referaggio doppio e cieco, per cui c’è il nome del referee e c’è il nome del testo che viene valutato, oggi la vorremmo considerare una meraviglia, ci sembra massima trasparenza, chiunque fa delle affermazioni se ne assume pienamente oltre che l’onore, l’onere. Queste schede di referaggio venivano portate alle riunioni di redazione, in cui venivano discusse dal comitato editoriale, per cui si legge nel verbale questo: “interviene”, “osserva”, “bisognerebbe ampliare”, quindi il referaggio discusso non c’era in quegli anni, io ho ricostruito attraverso quegli appunti, e i verbali battuti a macchina da Paolo Ceri, credo, che poi mi ha sempre rimproverato di non averne fatti altrettanti perché io tendo a svincolarmi un po’ dai verbali, che sono come sapete un lavoro molto oneroso, eppure a distanza rivelano la loro importanza, perché da lì si vede “referaggio doppio vedente 1983”, si lavorava in quella maniera lì. Non sappiamo se molte riviste, e fra questi i Quaderni di Sociologia, sopravviveranno alle procedure di valutazione oggi imperanti, ma tutto questo posso dire per noi, per ora almeno, non ha intaccato la convinzione, il piacere di lavorarvi. Di questo piacere, del grande debito che abbiamo contratto con i Quaderni di Sociologia, e per tramite dei Quaderni di Sociologia, anche per quel tramite con Luciano Gallino, questo fascicolo che ci troviamo oggi a discutere.
Vi ho già detto che, come ho già ricordato, il testo comprende una selezione dei saggi pubblicati nell’arco di 50 anni sui Quaderni, quest’anno completamente riportati in bibliografia, nel febbraio dell’anno scorso, quindi trascorsi pochi mesi dalla scomparsa di Luciano Gallino, ci fu una riunione del comitato editoriale in cui facemmo insieme questa scelta, cioè quella di ripubblicare e selezionare dei testi. Il comitato editoriale assegnò in primis a Paolo e a me, ma poi abbiamo condiviso questo percorso di selezione dei testi, il compito di segnalare quelli che ci apparivano ancora oggi più attuali, più capaci di parlare ai giovani studiosi, più performanti, quelli in qualche maniera più rilevanti ancora oggi. Certamente abbiamo fatto dei torti a qualche saggio, per altro si doveva anche stare in un numero relativamente contenuto di pagine, la scelta è caduta su 14 testi organizzati in 3 sezioni che rispondono a 3 temi, che sono temi centrali nel lavoro di Gallino: modernità e progetto moderno; lavoro, formazione e sistemi sociotecnici; teorie, metodi e modelli della sociologia. Quelli di cui, a questo punto Paolo ed io prima, accompagnati dall’intero comitato editoriale poi, abbiamo lavorato per selezionarli, e attendiamo di sapere da voi quale sia l’effetto di questa selezione, se e quanto, secondo voi, ancora può funzionare riproporre questi che noi abbiamo ritenuto, insieme con il comitato editoriale, di riproporre in questa forma.
Chiara Iannaccone, Premesse socio-storiche, sviluppo, strutturazione e prima evoluzione della sociologia in Italia (1861-1962), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2017/2018