Il regime fascista, i culti a-cattolici e le religioni dell’oriente

La tesi esplora i rapporti del fascismo con i culti a-cattolici e mediorientali, oltre che con alcuni fenomeni politico-spirituali dell’Estremo Oriente. Essa muove da questi interrogativi: quali erano nel fascismo i legami tra il pensiero e l’azione? Quale ruolo era riconosciuto allo “spirito”? Il regime intendeva creare una religione politica? E’ esistito un sincretismo fascista? La fonte principale della tesi è costituita dalle riviste politiche del regime, che consentono di cogliere le finalità strategiche della politica religiosa fascista. L’adozione di questa fonte ha sollevato ulteriori interrogativi: si può individuare nelle riviste una linea di pensiero univoca sulle religioni? Come contribuirono al sincretismo fascista?
[…] Si tratta di un argomento di studio il cui perimetro è di complessa delimitazione.
Da un lato, infatti, la sua analisi richiede l’indagine di alcuni contenuti teorici dell’ideologia fascista, nella quale una delle idee forza fondamentali era rappresentata dalla valenza non solo politica, ma anche “spirituale” del movimento creato da Mussolini, che gli avrebbe permesso di comprendere i “problemi dello spirito” (secondo la definizione di Julius Evola <1) e di interloquire con i fenomeni religiosi.
Dall’altro lato, però, la disamina dell’azione fascista verso le realtà religiose incontrate nel contesto italiano e coloniale, oltre ai contatti con alcune personalità e movimenti orientali, rivelano un’azione informata a necessità politico-strategiche, che recepì solo in minima parte le concezioni presenti nell’apparato ideologico del regime.
E’ quindi possibile rilevare una notevole differenza tra ciò che il fascismo dichiarava nell’ambito della sua elaborazione ideologica e i criteri che guidarono la sua azione nei confronti dei fenomeni religiosi; l’acquisita consapevolezza di tale discrasia rappresenta la più importante linea guida di questa ricerca e si è tradotta in una serie di interrogativi.
Quali erano, nell’azione politica fascista, i legami tra il pensiero e l’azione? Quale ruolo era riconosciuto in essa allo “spirito” e che cosa intendeva il fascismo con tale espressione? Se il fascismo intendeva creare una religione politica, come interpretava i suoi rapporti con i fenomeni religiosi? E’ esistito un sincretismo fascista?
Questi interrogativi sono gia stati affrontati dagli studiosi dell’ideologia fascista, quali Anthony J. Gregor, Emilio Gentile, Norberto Bobbio, Pier Giorgio Zunino, Zeev Sternhell, Mario Sznajder e Maya Asheri <2.
L’ampiezza e la complessità dell’argomento di studio rappresentato dal fascismo permette tuttavia l’elaborazione di autonomi percorsi di ricerca che portino in primo piano il valore specifico di alcuni tipi di fonti, spesso poco considerate, attraverso le quali è possibile tentare una ricostruzione più completa e sfaccettata dei rapporti tra il fascismo e i fenomeni religiosi.
La fonte principale considerata in questo lavoro è costituita dalle riviste del regime, che in alcuni casi costituirono uno strumento di rilievo nell’elaborazione ideologica del fascismo.
E’ necessario selezionare, all’interno del vasto panorama della stampa del regime, un nucleo di riviste che – per via del loro carattere ufficiale e della rilevanza dei collaboratori – rappresentarono una tribuna privilegiata per la costruzione del ‘pensiero’ fascista <3.
In primo luogo l’attenzione è stata rivolta a «Gerarchia» (pubblicata dal 1922 al 1943), fondata da Mussolini nel gennaio 1922 con l’obiettivo di essere la rivista ufficiale regime. Diretta fino al 1924 dallo stesso Mussolini, la direzione passò poi al fratello Arnaldo, che la tenne fino al 1933 quando gli subentrò Margherita Sarfatti, seguita da Vito Mussolini (nipote del duce).
[…] Nel paragrafo dedicato alla dottrina sono state ripercorse alcune interpretazioni fornite a suo tempo dai contemporanei (in particolare Benedetto Croce, Piero Gobetti, Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti) e si traccia il quadro degli studi su questo aspetto dell’ideologia del regime, evidenziando il carattere confuso e frammentato riconosciutogli dagli autori che se ne sono interessati.
Si ricostruisce poi la genesi della dottrina fascista, analizzando gli scritti dei politologi e degli intellettuali che, nel corso degli anni Venti, prepararono il terreno alla presunta codificazione ideologica definitiva, avvenuta con la voce Fascismo presente nell’Enciclopedia italiana (1932) <4.
La disamina della voce, redatta da Mussolini con la partecipazione di Giovanni Gentile, consente una riflessione sui rapporti tra la dottrina fascista e l’idealismo gentiliano, da cui l’ideologia del regime attinse molti dei suoi contenuti, in particolare l’idea dello “Stato etico”.
Sono poi considerate le monografie degli anni Venti e Trenta attraverso cui il regime mise a fuoco alcuni aspetti fondamentali della propria ideologia e la medesima attenzione è stata rivolta alle riviste.
Da ultimo sono sinteticamente indicati i capisaldi della dottrina fascista, un complesso di principi e valori a cui il regime riconosceva un ruolo dogmatico: l’idea del fascismo come fenomeno politico e spirituale, il culto del capo, il concetto di gerarchia, il culto della patria e dell’eroismo, l’esaltazione del lavoro e la messa in evidenza della superiorità della “razza italiana”. Si tratta di elementi che il fascismo probabilmente desiderava porre alla base di un’autentica religione politica, che tuttavia non si sviluppò mai completamente, dato che l’ideologia del regime mantenne sempre una fisionomia confusa.
Anche nel paragrafo dedicato alla mistica fascista è svolta una sintetica ricostruzione del panorama storiografico sul tema, nell’ambito della quale sono stati considerati soprattutto gli studi di Daniele Marchesini, Aldo Grandi e Tomas Carini, tra i più importanti lavori dedicati alla storia e all’attività della già citata Scuola milanese di mistica fascista <5.
La ricostruzione della storia di tale istituzione costituisce una parte importante del paragrafo, unitamente all’analisi del convegno di mistica fascista svoltosi a Milano nel febbraio 1940, apice dell’elaborazione ideologica del regime. Nel paragrafo sono presentati i contenuti della mistica fascista, alla cui determinazione le riviste del regime parteciparono tuttavia scarsamente. «Gerarchia», «Dottrina fascista» e altre testate diedero infatti ampio risalto al convegno del febbraio 1940, ma per il resto non contribuirono alla costruzione della mistica fascista con lo stesso impegno dimostrato nei riguardi della dottrina.
Da ultimo, si analizza il rapporto tra la mistica fascista e l’ambito religioso, con particolare riferimento al cattolicesimo e alla mistica cristiana. Viene rilevata soprattutto la tendenza della mistica fascista a esprimersi con un lessico pregno di accenti cristiani, nel tentativo di attribuire al fascismo una caratterizzazione non solo politica, ma anche sacrale.
Il primo capitolo è funzionale alla trattazione dei rapporti tra il fascismo e le religioni, che costituiscono l’argomento delle altre parti di questo lavoro. Il suo compito è delineare le componenti dell’apparato ideologico con il quale il fascismo si avvicinò alle religioni. Nel secondo e nel terzo capitolo si procede invece alla disamina dei contatti stabiliti dal regime con i culti a-cattolici, con le religioni del Medio Oriente e con alcuni fenomeni ‘politico-spirituali’ dell’Estremo Oriente.
Il secondo capitolo è dedicato alle confessioni cristiane non cattoliche e si articola in tre paragrafi relativi alla legislazione fascista sui culti a-cattolici, ai rapporti tra il regime e gli evangelici e al contesto coloniale, dove il regime incontrò l’ortodossia e la religione copta.
Nel primo paragrafo è indagata, in primo luogo, la definizione di “culti a-cattolici”, mentre in un secondo tempo si procede all’analisi della legge 24 giugno 1929 n. 1159, che trasformava tali culti da “tollerati” (come indicato nello Statuto albertino) ad “ammessi”. Per comprendere la specificità e la portata della legge del 1929 è necessario fare riferimento ai rapporti tra lo Stato e i culti a-cattolici nell’Italia liberale, così da illustrare le premesse dalle quali la legislazione fascista si sviluppò. Il pieno riconoscimento legale dei culti a-cattolici indusse molti giuristi e politologi del ventennio a ritenere che il confessionismo di Stato dichiarato dallo Statuto albertino fosse ormai tramontato, dal momento che il regime fascista sembrava aver adottato una politica religiosa fondata sulla volontà di stabilire buoni rapporti con tutte le confessioni presenti nel paese. Nell’ultima parte del paragrafo è analizzato il progetto sincretico delineato sulle pagine di «Gerarchia» da un collaboratore che si firmava con lo pseudonimo di Fermi. Il progetto, relativo all’unione fra le Chiese cristiane, rivela la grande attenzione del regime nei confronti dei fermenti ecumenici interni all’ambito cristiano e, al contempo, il ruolo di «Gerarchia» quale rivista di punta del fascismo.
Nel secondo paragrafo sono affrontati i rapporti tra gli evangelici e il regime, già indagati da Pietro Scoppola, Giorgio Peyrot, Luigi Santini, Giorgio Rochat e Giorgio Spini <6. Nei riguardi dell’evangelismo italiano le riviste del regime conservarono un totale silenzio e a tale mancanza di fonti si è rimediato – come già detto – con l’analisi di alcuni documenti custoditi presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma. In particolare sono considerati i documenti della categoria G. 1 del Fondo del Ministero dell’Interno, relativi alle associazioni di ogni tipo, tra cui anche le Chiese e le organizzazioni evangeliche. Nella disamina dei documenti si seguono le linee guida già tracciate da Scoppola e Rochat, che hanno evidenziato l’importanza di queste fonti documentarie, costituite dalla corrispondenza tra i prefetti e il ministro di Polizia Arturo Bocchini, da interventi di Mussolini, da promemoria interni della Direzione generale di Pubblica Sicurezza e da comunicazioni della Direzione con altri uffici <7. Esse rivelano le difficoltà del regime nel relazionarsi con le diverse realtà che componevano l’evangelismo italiano, attuando da ultimo un pressante controllo sulla loro vita e le loro attività.
Dopo aver delineato un quadro generale sugli evangelici italiani – necessario per quantificarne la presenza nel paese, descriverne lo status giuridico ed evidenziare le linee guida dell’azione fascista nei loro confronti – si procede all’analisi delle traversie che hanno interessato le principali confessioni evangeliche presenti in Italia.
In primo luogo la Chiesa valdese, la più antica e numerosa realtà dell’evangelismo italiano, in secondo luogo le altre ‘tessere’ del ‘mosaico’ evangelico, quali la Chiesa cristiana dei fratelli, la Chiesa metodista, l’Unione delle Chiese battiste, l’Unione italiana delle missioni cristiane avventiste del settimo giorno e le cosiddette “Chiese straniere” (ovvero le comunità sorte in Italia per la cura pastorale di stranieri residenti sul territorio, organicamente dipendenti da importanti Chiese straniere). In tutti i casi si rileva l’atteggiamento cauto di queste confessioni verso il fascismo e il clima di generale sospetto in cui vissero durante il ventennio.
Nei confronti delle realtà evangeliche il regime alternava dichiarazioni di tolleranza a provvedimenti restrittivi che rivelavano la volontà di istituire su di esse un capillare controllo. Tale controllo si configurò come particolarmente oppressivo nei confronti dell’Associazione delle assemblee di Dio in Italia (ovvero la Chiesa pentecostale) e dei testimoni di Geova. Accusando i primi di promuovere atti di culto contrari alla salute e alla moralità ed evidenziando i legami tra i secondi e l’evangelismo anglosassone, il fascismo paralizzò completamente la vita delle due confessioni.
Nell’ambito del paragrafo sono considerate anche le istituzioni dell’associazionismo evangelico, quali l’Associazione cristiana dei giovani (e la sua branca femminile, l’Unione cristiana delle giovani), l’Esercito della salvezza, la Società biblica britannica e forestiera e l’Associazione missionaria evangelica.
Da ultimo si ricostruisce brevemente la vicenda del movimento ecumenico, che negli anni Venti avviò alcune iniziative per l’unione tra le Chiese cristiane e vide un’attiva partecipazione delle Chiese evangeliche italiane.
Nel terzo paragrafo la riflessione sui rapporti tra il fascismo e i culti a-cattolici è estesa al contesto dell’Impero coloniale italiano. L’attenzione è concentrata principalmente sui rapporti tra il regime e la Chiesa ortodossa del Dodecanneso (di cui hanno scritto Cesare Marongiu Buonaiuti, Gino Manicone, Luca Pignataro e Nicholas Doumanis <8), oltre che sui rapporti con le Chiese copte d’Eritrea e d’Etiopia (di cui hanno scritto Marongiu Buonaiuti e Paolo Borruso <9).
Viene evidenziato che le riviste del regime non dedicarono molto spazio a tali realtà religiose, limitandosi a riconnettere l’atteggiamento del fascismo nei loro confronti all’adozione di una nuova prassi coloniale caratterizzata da una marcata attenzione verso i fenomeni ‘spirituali’ presenti nei territori assoggettati.
In realtà l’atteggiamento del fascismo nei confronti delle realtà religiose coloniali si tradusse in un’aperta interferenza, particolarmente evidente nelle manovre politiche che, tanto nel Dodecanneso, quanto in Eritrea e in Etiopia, condussero all’autocefalia delle Chiese ortodosse e copte locali.
Dopo aver delineato l’azione politico-religiosa fascista nel Dodecanneso e aver identificato quel territorio come il ‘laboratorio’ della politica religiosa coloniale del regime, sono indagati i caratteri dell’imperialismo “spirituale” fascista, già esplorati da Giorgio Rumi nel 1974.
E’ poi ricostruita l’azione religiosa del fascismo in Etiopia, culminata nell’ottenimento dell’autocefalia per la Chiesa copta locale (1939). Sono considerati anche i rapporti tra il fascismo e la Chiesa copta eritrea, con particolare attenzione ai tentativi di cattolicizzazione promossi dal maresciallo De Bono, che confermano la volontà fascista di inserire la politica religiosa tra i propri strumenti di governo coloniali. Nella medesima ottica è inquadrato il progetto di creare in Etiopia una Chiesa valdese, atto che avrebbe consentito di estendere anche all’ambito coloniale gli effetti della legge sui culti ammessi del 1929.
Nel terzo capitolo vengono indagati i legami instaurati dal fascismo con l’ebraismo, con l’Islam e con alcuni fenomeni ‘politico-spirituali’ dell’Estremo Oriente i cui rapporti con il regime, a oggi, non sono ancora stati pienamente esplorati. Nel primo paragrafo del capitolo sono tracciate le linee generali della visione fascista dell’Oriente, in seguito l’attenzione è rivolta ai rapporti tra il regime e gli ebrei, rapporti nuovamente esplorati negli ultimi anni da autori quali Enzo Collotti e Michele Sarfatti <10. Dopo aver tracciato un sintetico quadro della situazione dell’ebraismo italiano durante l’età liberale, si considera l’azione fascista nei suoi riguardi, adottando la griglia cronologica proposta da Renzo De Felice nel 1988 <11. La disamina dei contatti tra il fascismo e l’ebraismo italiano è strutturata come un percorso che, iniziato tra molte incertezze dopo la presa del potere da parte del movimento politico creato da Mussolini, si concluse con l’entrata in vigore della legislazione razziale nel 1938. Nella trattazione dei rapporti tra fascismo ed ebraismo è inevitabile considerare anche il sionismo, ovvero il movimento orientato al ritorno degli ebrei in Israele. L’atteggiamento del fascismo nei confronti di tale fenomeno, politico e spirituale, rappresenta argomento di indagine che accosta antisionismo e antisemitismo. Su questi temi le riviste del regime hanno svolto un ruolo importante, contribuendo a determinare la posizione ‘ufficiale’ del regime. Nel secondo paragrafo sono considerati i rapporti tra il fascismo e l’Islam ed è evidenziato l’atteggiamento filo-islamico della politica estera e coloniale del regime, al cui studio si sono applicati autori quali De Felice, Stefano Fabei e Manfredi Martinelli <12. Il fascismo, infatti, utilizzò la propria ostentata benevolenza nei confronti dell’Islam come uno strumento di politica internazionale, in un’ottica che Rosaria Quartararo ha definito «imperialismo-realismo» <13. Interessanti spunti sulla politica islamica del regime possono essere ricavati da riviste quali «Gerarchia», «Educazione fascista» e «Civiltà fascista», oltre che da alcune monografie pubblicate negli anni Venti e Trenta. Nell’ambito di tali scritti, l’esaltazione dell’attenzione fascista nei confronti dei fenomeni spirituali e delle realtà religiose si fondeva al topos dell’Italia ‘ponte’ tra Occidente e Oriente e sfociava nell’identificazione del fascismo quale movimento politico più adatto a instaurare un colloquio con l’Islam e – dal punto di vista diplomatico – con gli Stati sorti in Medio Oriente dopo la caduta dell’Impero ottomano. I rapporti tra Islam e fascismo sono considerati in tre ambiti differenti: nell’Impero coloniale italiano, nei contatti stabiliti dal regime con alcune personalità e movimenti del Vicino e Medio Oriente (in particolare il muftì di Gerusalemme Haj Amin el-Husayni e il primo ministro iracheno Rashid Alì el-Gaylani) e, da ultimo, nei legami tra l’Italia e realtà politiche quali la Turchia di Mustafà Kemal e la Persia di Reza Khan.
Nel secondo e nel terzo ambito l’Islam venne utilizzato dall’Italia fascista come uno strumento di politica internazionale, mentre nel primo caso esso venne interpretato e gestito come un elemento di politica coloniale. Nella sua azione politica verso il Medio Oriente l’Italia fascista oscillò tra intrighi e promesse mancate, cercando di sfruttare l’insofferenza delle popolazioni mediorientali all’influenza britannica, mentre nell’atteggiamento verso i regimi autoritari della Turchia e della Persia prevalse – nella pubblicistica e nella stampa del regime – l’esaltazione delle somiglianze tra queste realtà politiche e il fascismo. Rivendicando il suo ruolo di ‘ponte’ tra Occidente e Oriente, l’Italia cercò di emulare (e in ultima analisi di sconfiggere) la politica britannica: in una simile visuale strategica un atteggiamento filo-islamico poteva senza dubbio rappresentare una carta di fondamentale importanza.
Nel terzo paragrafo sono illustrati i rapporti tra il fascismo e alcuni fenomeni estremo orientali quali il nazionalismo indiano, il gandhismo e il nazionalismo giapponese. Si trattava di realtà caratterizzate, al contempo, da una dimensione politica e da una dimensione ‘spirituale’; fenomeni politici dotati di un importante sostrato filosofico al quale il regime tentò (con scarsi risultati) di ricollegarsi. I contatti stabiliti dal fascismo con queste realtà ‘politico-spirituali’ sono stati poco approfonditi dalla storiografia italiana ed estera: solo De Felice, Valdo Ferretti e Paul Brooker ne hanno ricostruito le linee generali <14. Per la loro disamina, alle riviste già menzionate è stata aggiunta «Asiatica» (1935-1943), bollettino dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente.
Il paragrafo si articola in tre nuclei tematici principali: in primo luogo è analizzato il tentativo del regime di presentarsi quale interlocutore con l’Estremo Oriente, nell’ambito di un presunto rapporto dialettico tra la civiltà occidentale e quella orientale, in fase di risveglio; in secondo luogo sono considerati i rapporti stabiliti dal fascismo con alcune personalità del nazionalismo indiano, quali Gandhi e Subhas Chandra Bose; in terzo luogo è indagata l’interpretazione fascista di alcune componenti del nazionalismo giapponese, come il kokutai, il tennosei e il tennosei fashizumu.
Se per quanto concerne i rapporti con il nazionalismo indiano e con il gandhismo è da rilevare – ancora una volta – la visuale esclusivamente strategica che animava l’azione del regime, nell’interpretazione fascista del nazionalismo giapponese è da evidenziare invece l’incapacità di comprendere i fondamenti filosofici di tale realtà, che si traduceva – nelle riviste del regime – in una sua acritica esaltazione.
Come emerge dalla ricostruzione proposta, i rapporti tra il fascismo, le realtà religiose e i fenomeni ‘politico-spirituali’ considerati rappresentano un ambito di studio complesso e sfaccettato, nell’ambito del quale l’adozione di fonti peculiari – quali le riviste – può consentire di illuminare aspetti poco conosciuti del ventennio, che devono essere indagati per comprendere appieno l’ideologia del regime e la sua azione politica.

[NOTE]
1 Cfr. cap. I, par. 2.
2 Cfr. A. J. GREGOR, L’ideologia del fascismo, Milano, Edizioni del Borghese, 1974; E. GENTILE, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Bari, Laterza, 1975; N. BOBBIO, L’ideologia del fascismo, Carrara, Quaderni della FIAP, 1975 (ora in Id., Dal fascismo alla democrazia. I regimi, le ideologie, le figure e le culture politiche, Milano, Baldini e Castoldi, 1997); P. G. ZUNINO, L’ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, Il Mulino, 1985; Z. STERNHELL – M. SZNAJDER – M. ASHERI, Nascita dell’ideologia fascista, Milano, Baldini e Castoldi, 1993.
3 Sulle riviste del ventennio cfr. R. BERTACCHINI, Le riviste del Novecento. Introduzione e guida allo studio dei periodici italiani. Storia, ideologia e cultura, Firenze, Le Monnier, 1979; A. VITTORIA, Le riviste del duce. Politica e cultura del regime, Milano, Guanda, 1983; L. MANGONI, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Torino, Aragno, 2002.
4 B. MUSSOLINI, Fascismo, Enciclopedia italiana Treccani, XIV (1932), pp. 847-884.
5 Cfr. D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi. Mistica fascista: storia, problemi, istituzioni, Milano, Feltrinelli, 1976; A. GRANDI, Gli eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista, Milano, BUR, 2004; T. CARINI, Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista (1930-1943), Milano, Mursia, 2009.
6 Cfr. P. SCOPPOLA, Il fascismo e le minoranze evangeliche, in S. FONTANA (a cura di), Il fascismo e le autonomie locali, Bologna, Il Mulino, 1973, pp. 331-394; G. PEYROT, Gli evangelici nel loro rapporto con lo Stato dal fascismo a oggi, Torre Pellice, Società di studi valdesi, 1977; L. SANTINI, Gli evangelici italiani negli anni della crisi (1918-1948), Torre Pellice, Società di studi valdesi, 1981; G. ROCHAT, Regime fascista e Chiese evangeliche. Direttive e articolazioni del controllo e della repressione, Torino, Claudiana, 1990; G. SPINI, Italia di Mussolini e protestanti, a cura di S. Gagliano, Torino, Claudiana, 2007.
7 Cfr. P. SCOPPOLA, Il fascismo e le minoranze evangeliche; G. ROCHAT, Polizia fascista e Chiese evangeliche, in I valdesi e l’Europa, Torre Pellice, Società di studi valdesi, 1982, pp. 407-434.
8 Cfr. C. MARONGIU BUONAIUTI, La politica religiosa del fascismo nel Dodecanneso, Napoli, Giannini, 1979; G. MANICONE, Italiani in Egeo, Casamari, La Monastica, 1989; L. PIGNATARO, Le isole italiane dell’Egeo dall’8 settembre 1943 al termine della seconda guerra mondiale, «Clio», XXXVI (2001), 3, pp. 145-176; N. DOUMANIS, Una faccia, una razza. Le colonie italiane dell’Egeo, Bologna, Il Mulino, 2003; L. PIGNATARO, Ombre sul Dodecanneso italiano, «Nuova storia contemporanea», XI (2008), 3, pp. 95-123.
9 Cfr. C. MARONGIU BUONAIUTI, Politica e religioni nel colonialismo italiano (1882-1941), Milano, Giuffré, 1982; P. BORRUSO, L’ultimo Impero cristiano. Politica e religione nell’Etiopia contemporanea (1916-1976), Milano, Guerini, 2002.
10 E. COLLOTTI, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Roma – Bari, Laterza, 2003; M. SARFATTI, La Shoah in Italia. La persecuzione degli ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 2005.
11 Cfr. R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988; Id., Il fascismo e l’Oriente. Arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini, Bologna, Il Mulino, 1988.
12 Cfr. E. DE FELICE, Il fascismo e l’Oriente. Arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini; S. FABEI, Il fascio, la svastica e la mezzaluna, Milano, Mursia, 2003; M. MARTELLI, Il fascio e la mezzaluna, Roma, Settimo Sigillo, 2003.
13 R. QUARTARARO, Roma tra Londra e Berlino. La politica estera fascista dal 1930 al 1940, Roma, Bonacci, 1980, p. 205.
14 Sui rapporti tra il fascismo e il nazionalismo indiano cfr. R. DE FELICE, Il fascismo e l’Oriente. Arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini. Sui rapporti con il nazionalismo giapponese cfr. invece V. FERRETTI, Il Giappone e la politica estera italiana (1935-1941), Roma, Giuffré, 1983; R. DE FELICE, Le simpatie nipponiche di Mussolini, «Relazioni internazionali», I (1988), 2, pp. 45-58; P. BROOKER, The Faces of Fraternalism. Nazi Germany, Fascist Italy, and Imperial Japan, Oxford, Clarendon Press – New York, Oxford University Press, 1991.
Filippo Gorla, Il fascismo, i culti a-cattolici e le religioni dell’oriente nelle riviste del regime (1922-1943), Tesi di dottorato, Università Cattolica di Milano, 2012