Assoluto rigore filologico di Bosio sul piano della ricerca storica e dell’uso delle fonti

Gianni Bosio fu generoso animatore culturale e teorico raffinato <314 come si può evincere dalla lettura del suo L’intellettuale rovesciato che ospita, tra l’altro, anche l’aureo (e talvolta frainteso) Elogio del magnetofono <315.
L’opus maior di Bosio è l’incompiuto Il trattore ad Acquanegra <316, opera cui l’autore lavora per un ventennio circa, dalla fine degli anni Quaranta alla morte che lo rapì prematuramente nel 1971. In questa ricerca l’autore punta a ricostruire momenti di vita salienti della sua comunità d’origine, la comunità mantovana di Acquanegra sul Chiese, seguita e scandagliata con precisione (e pazienza) certosina nel corso di un secolo circa, nel periodo compreso tra 1866 e il secondo dopoguerra. Il rapporto con il microcosmo indagato è così stretto e assorbente che Bosio pare quasi conformarsi alla celebre asserzione di Clifford Geertz secondo la quale i ricercatori «non studiano i villaggi, studiano nei villaggi» <317.
Come evidenziato da Cesare Bermani, che raccolse il saggio incompiuto e lo portò a pubblicazione, «l’intento [di Bosio era] mettere a punto un saggio esemplare di metodologia storica nell’ambito della storia locale. […] Una monografia sulle trasformazioni avvenute ad Acquanegra sul Chiese, il suo paese, avrebbe dovuto permettergli di saggiare la validità di una metodologia che richiedeva “la necessità di un rapporto costante e continuo con la storia economica, l’evoluzione della tecnica, la trasformazione delle strutture”. Insomma Bosio voleva dimostrare “che non si fa né si farà storia che non sia globale”». <318
In questo senso Passerini, che pure non risparmia critiche a Il trattore ad Acquanegra, legge nell’opera di Bosio il tentativo ambizioso e vertiginoso di tratteggiare una storia comunitaria «cercando le corrispondenze tra storia locale e storia nazionale e internazionale, non le sfasature, le irrilevanze, le sospensioni. Nell’opera di Bosio è fondamentale il ruolo giocato dalle fonti orali, lo spazio qualitativo che le fonti orali ricevono: altro che ruolo di completare e controllare i documenti scritti […], l’oralità diventa protagonista della storia per la sua valenza sociale: “Il parlare era ciò che univa: ciò che si trasmetteva, legava” e configura nuovi oggetti storici: culture, atteggiamenti, forme espressive. L’attenzione per l’oralità dipende infatti da un profondo interesse per le forme culturali di cui essa è il mezzo principe e che il ricercatore scruta e ascolta quasi con esasperazione. Si capisce bene l’affanno imposto dallo sforzo di riscattare l’infinitesimale in prospettiva storica» <319.
Quasi a rivendicare la necessità di questa ambizione, lo «sforzo di riscattare l’infinitesimale in prospettiva storica», Gabriella Gribaudi, in continuità con Bosio, facendo riferimento alle testimonianze raccolte, scrive che «il livello analitico di piccola scala, le biografie individuali rispondono alla esigenza di mostrare tutto questo, di portare alla luce i meccanismi più sottili che governano le scelte sociali» <320.
Convintamente positivo è il giudizio sull’opera da parte di Giovanni Contini e Alfredo Martini per i quali «il libro evidenzia l’assoluto rigore filologico di Bosio sul piano della ricerca storica e dell’uso delle fonti, offrendo per la prima volta uno spaccato delle potenzialità delle forme orali per ricostruire la cultura locale in relazione alle trasformazioni economico-sociali. Nella sua ricerca Bosio incrocia la più vasta gamma di fonti, esalta le testimonianze e la tradizione orale collettiva, collocandola – all’interno di un preciso progetto di ricerca e di ricostruzione della mentalità popolare contadina – in un determinato contesto e in relazione a precise vicende storiche generali e locali» <321. Almeno tre e molto diversi tra loro erano gli obiettivi cui Bosio tendeva con questo volume, ragione per la quale lo andò cesellando così a lungo, lasciandolo in sé completo ma, ai suoi occhi, ancora incompleto. In primo luogo sperimentare, quasi in corpore vili, sul corpo della sua comunità, la bontà della sua metodologia e dunque dimostrare il «valore euristico» dell’oralità. In secondo luogo dimostrare che il microcosmo può contenere il tutto e che, dunque, l’insistenza sul particolare può far balenare l’universale. In terzo e ultimo luogo dare la parola a coloro che sino ad allora non ne avevano avuto diritto. A tal proposito è bene evidenziare, e in questo emerge tutto il peso della sua militanza politico-culturale, che a Bosio premeva che le masse popolari potessero prendere coscienza di quello che effettivamente pensavano. O, per dirla con le sue parole che ebbero allora grande successo, «è di sommo interesse che il proletariato conosca quello che pensa e non conosca semplicemente quello che pensano coloro che si pongono come suoi paladini, i quali molto spesso ignorano la situazione reale dei protetti e che invece i protetti, per vita, conoscono molto bene» <322.
[NOTE]
314 Su Gianni Bosio si veda la voce Bosio Gianni, a cura di Alfredo Martini, in A.a. V.v., Dizionario biografico degli italiani, volume XII, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1989; Cesare Bermani (a cura di), Bosio oggi: rilettura di una esperienza, Mantova 1986.
315 Gianni Bosio, Elogio del magnetofono, in Id., L’intellettuale rovesciato, Edizioni Bella Ciao, Milano 1975.
316 Id., Il trattore ad Acquanegra. Piccola e grande storia in una comunità contadina, a cura di Cesare Bermani, De Donato, Bari 1981.
317 Citato in Renata Salvarani, Storia locale e valorizzazione del territorio. Dalla ricerca ai progetti, op. cit., p. 39.
318 Cesare Bermani (a cura di), Introduzione alla storia orale. Storia, conservazione delle fonti e problemi di metodo, op. cit., volume I, pp. 28-29.
19 Luisa Passerini, Storia e soggettività. Le fonti orali, la memoria, op. cit., pp. 134-135.
320 Gabriella Gribaudi, Mito dell’eguaglianza e individualismo: un comune del Mezzogiorno, in A.a. V.v., Italia 1945-1950. Conflitti e trasformazioni sociali, Franco Angeli, Milano 1985, p. 564.
321 Giovanni Contini, Alfredo Martini, Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, op. cit., p. 87.
322 Gianni Bosio, L’intellettuale rovesciato. Osservazioni e ricerche sulla emergenza di interesse verso le forme di espressione e di organizzazione “spontanee” nel mondo popolare e proletario (gennaio 1963-agosto 1971), Istituto Ernesto De Martino/Jaca Book, Milano 1998, p. 244.
Fabio Bailo, Granai della Memoria, ricerca sui saperi tradizionali orali e gestuali, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, 2014