Gli americani a Sassari vennero accolti abbastanza bene

Sassari – Fonte: Wikipedia

La singolarità dell’applicazione dell’armistizio in Sardegna traghetta l’isola su un piano di memoria singolare. L’immagine dei tedeschi <388 si struttura essenzialmente all’interno del quadro dell’alleanza italo-tedesca, producendo una molteplicità di narrazioni caratterizzate anche dalla presenza di stereotipi consolidati, quali quelli del tedesco “di casa” <389, buono, che era in fin dei conti “un poveraccio come tanti altri, mandato lì a sparare contro altri” <390, e sarà nel fluire dei racconti quello che accarezzerà la testa di un bambino dopo avergli premurosamente regalato del cioccolato <391, assaggerà le frittelle in casa della nonna perché “gli ricordavano casa sua” <392. Ascolterà inoltre “con grandissimo trasporto” la messa nella borgata dell’Argentiera393, si premurerà per le cure mediche <394, canterà Lilì Marlene <395. In fin dei conti, “degli uomini come noi”, ha affermato Renato Fiori. “Quelli che erano qui – prosegue significativamente – non erano le SS, ma erano dei militari comuni. Nelle SS ci sono state delle sopraffazioni, ma degli altri no” <396, racconta, confermando la persistenza anche nelle memorie locali dello stereotipo, ampiamente confutato dalla storiografia della Repubblica Federale che, come ha affermato Leonardo Paggi, “ha ormai documentato con eccezionale ampiezza il pieno coinvolgimento della Wehrmacht nella politica del massacro” <397.
Non mancheranno tuttavia anche delle narrazioni portatrici di immagini negative. Il tedesco era infatti anche quello che obbligava a lavorare, quello arrogante che faceva il padrone (“perché noi eravamo succubi di questa gente qua” <398). Quello che “con le donne quello e quell’altro” <399, quello che nel paese di Mores si infastidirà, fino ad arrivare alle mani, sui ragazzini sfollati che chiedevano po’ di pane. Ma “per fortuna”, conclude Gigi Urtis, tutto sommato: “questo è il ricordo che abbiamo dei tedeschi. Insomma…non possiamo dire cose… non è successo niente” <400.
Solo grazie a integrazioni successive le memorie locali potranno accedere al pezzo mancante (“l’altra storia”, come ha affermato poc’anzi Maddalena Moirano). Saranno specialmente i racconti di chi ritorna dal fronte e di chi ha combattuto per la Liberazione del paese a svelare il volto mai afferrato fino in fondo del nazi-fascismo. Con racconti che parlano delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Cassino401. Saranno i deportati militari, politici, a parlare delle esperienze nei campi. I film, i documentari, a mostrare a larga parte della società civile l’orrore della Shoah.
Al riguardo anche localmente emergono tracce di quel processo assolutorio nei confronti delle responsabilità storiche del regime che ricalcano “uno schema interpretativo consolidato, secondo il quale la Shoah fu unicamente nazista e il fascismo vi partecipò come collaboratore e non come attore” <402: “Non è che abbiamo fatto male noi – afferma Jolanda Rais – Essendo noi alleati con quelli che avevano fatto male, abbiamo perso anche noi” <403. “Ma poi il fascismo non ha fatto nulla – afferma con sicurezza Ignazio Piras – Quello è stato il tedesco. Hitler ha fatto questo. Era Hitler, non Mussolini. Sì, quello è da condannare, non c’è nulla da fare. Ecco dove ha perduto diversi punti il fascismo è lì. Erano cose che non… si doveva fermare” <404.
Fra i pochi intervistati che hanno affrontato il tema delle leggi razziali <405 vi è Tore Rais, che pur avendo a Porto Torres aperto la locale sede dell’MSI, pronuncia al riguardo un inequivocabile giudizio di condanna: “C’è stata l’idea sbagliata delle leggi razziali che sono qualcosa di fuori, fuori, fuori… neanche, assolutamente” <406.
Un diffuso, significativo silenzio tematico evidenzierà l’estraneità dell’esperienza popolare della Resistenza a livello locale, raramente interrotto, inoltre, dalla presenza di accenti critici sui partigiani manifestati da chi ha espresso nelle interviste un giudizio apertamente favorevole all’esperienza del regime.
Sono risultate spesso sconosciute le vicende di partigiani provenienti dalle medesime località degli intervistati. Così come risultano diffusamente ignote le vicende di militanti della Repubblica Sociale Italiana.
È ampiamente diffusa, di contro, una memoria della transizione dal fascismo alla rinascita democratica repubblicana caratterizzata da un opportunistico rinnegamento della precedente adesione fascista.
Numerose sono le testimonianze che riportano il clima di gioia alla caduta del regime, ma non mancano diffusi apprezzamenti per alcuni dei suoi aspetti comunque capaci di innestare anche nella struttura socio-economica isolana elementi di modernità.
Attraversato in maniera singolare l’armistizio, l’isola vedrà l’arrivo degli Alleati il 17 settembre 1943. Un incontro che significherà soprattutto per le popolazioni locali sollievo dalle cosiddette “pene elementari” <407, e che offrirà alle stesse l’immediata percezione di una civiltà “che viveva bene” <408.
L’incontro con gli Alleati assumerà soprattutto in città e nei centri più grandi delle coloriture conviviali, anche culturali, mancanti in un piccolo centro rurale quale Banari.
Le testimonianze rivelano inoltre anche la presenza di atteggiamenti ostili, o per lo meno, non favorevoli nei loro confronti, come si evince dalle seguenti interviste:
“Io all’epoca non familiarizzai con gli americani – afferma Italina De Negri – poiché mi sentivo ancora fascista. Il colpo di grazia al mio fascismo lo diede il tentativo di fuga del Duce oltre i confini italiani. Vissi questo avvenimento come il crollo di un mito e un vero e proprio tradimento. Mussolini veniva meno alla sua altisonante dichiarazione: “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi” <409.
“Gli americani a Sassari – osserva invece il musicista Fausto Orizi – vennero accolti abbastanza bene; tolsero davvero la fame… Certo, un po’ di risentimento per i bombardamenti c’era, e quando cadde Mussolini io piansi”410.
Estremamente significativa al riguardo, la testimonianza di Lina Toccu, figlia, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, dell’unico morto civile del bombardamento del 14 maggio 1943 alla stazione ferroviaria di Sassari, la quale ricorda l’atteggiamento comprensibilmente intransigente della madre all’arrivo degli Alleati in città:
“Quel 14 maggio cambiò totalmente la nostra vita; quegli americani che dopo pochi giorni entrarono nella nostra città come liberatori, con applausi e sbandieramenti (mia madre mi tirò per il vestito al loro passaggio, e non volle che prendessi, come gli altri bambini, i doni di caramelle, cingomme e cioccolati che offrirono in abbondanza), avevano aggravato la nostra situazione, già molto precaria. Eravamo rimasti cinque figli, e mia madre, che per diversi mesi non percepì nessuna retribuzione. E non arrivò nessun aiuto” <411.
Di diverso segno è la testimonianza di Giovanni Antonio Pittalis (Meuccio), gravemente ferito, ma miracolosamente scampato dalla morte, come abbiamo visto, durante il medesimo attacco aereo del maggio ’43. Alla domanda: “Nutre rancore nei confronti degli americani?”, risponde:
Giovanni Antonio Pittalis (Meuccio): “No, il mio rancore lo sa per chi è? A prescindere dalla politica, contro Mussolini. Perché è morto un mio fratello di 23 anni in guerra. Se non avesse fatto la guerra sarebbe stato ancora vivo. Quello è il mio rancore. Poi se io vengo a lei e la aggredisco lei reagisce. Allora siamo stati noi ad aggredire gli americani, anche se non ci arrivano gli aerei nostri in America, perché arrivare lì era… quindi loro come arrivavano? Con le portaerei. E poi cosa aveva l’Italia? Non le aveva tutte queste attrezzature. Così è la storia. Io sono ancora vivo e con le gambe attaccate. Nonostante io fossi ragazzo prendevo 425 lire di stipendio. Per curarmi la gamba il mio povero padre (perché mi sono curato privatamente, perché sono scappato dall’ospedale perché mi volevano amputare la gamba), abbiamo speso più di 4000 lire. Se lo immagina lei in quei tempi lì? Ancora oggi la gamba sta sempre male, non è guarita, perché chissà cosa c’è nelle ossa!” <412
La seguente testimonianza di Rina Fancellu Pigliaru permette di riallacciarci alle riflessioni precedenti e di comprendere al meglio il perché dello strutturarsi di memorie locali generalmente non avverse ai tedeschi.
“Ricordo inoltre un altro particolare quando arrivammo a Sassari – racconta invece Rina Fancellu Pigliaru – […] Mia cugina più grande invitò a casa due o tre soldati inglesi, ma io mi alzai e andai via perché non me la sentivo di vedere quelli che avevano fatto a pezzi i cagliaritani. I nemici per me continuavano ad essere loro. Io avevo visto le loro azioni, e non quelle dei tedeschi. In Sardegna, a questo riguardo, ci andò abbastanza bene. Questi ultimi andarono via senza troppi problemi. Ricordo dalla finestra dell’Emiciclo, dove stavo, che passarono prima di fuggire dall’isola, tutta la notte: tanti carri armati e tantissimi aerei. Ci avrebbero potuti ammazzare tutti, con la ferocia che poi dimostrarono, e che io non conoscevo. Mi formai su questi un parere postumo, dai giornali e dalla radio, allorché appresi quello che avevano fatto e che continuavano a fare” <413
[NOTE]
388 Cfr. al riguardo Brunello Mantelli, Da “paese della tecnica” a “selvaggio invasore”. Immagini della Germania nell’Italia prima alleata e poi occupata: 1939-1945, in Storia e Memoria, anno 5, n. 1, 1° semestre 1996, pp. 29-44; Gerhard Schreiber, Dall’ “alleato incerto” al “traditore badogliano”, all’ “amico sottomesso”: aspetti dell’immagine tedesca dell’Italia 1939-1945 (ivi, pp. 45-53); Filippo Focardi, “Bravo italiano” e “cattivo tedesco”: riflessioni sulla genesi di due immagini incrociate (ivi, pp. 55-83).
389 Intervista ad Adriano Piccolo, realizzata da Raffaella Lucia Carboni, Porto Torres, 31/07/2006.
390 Ibidem.
391 Intervista a Gigi Urtis, cit..
392 Intervista ad Adriano Piccolo, cit..
393 Intervista a Renato Fiori (classe 1923), realizzata da Raffaella Lucia Carboni, Sassari, 27 febbraio 2007.
394 Intervista a Jolanda Rais (1929), realizzata da Raffaella Lucia Carboni, Porto Torres, 17 aprile 2007.
395 Intervista a Giuseppe Chessa (classe 1924), realizzata da Raffaella Lucia Carboni, Porto Torres, 31 luglio 2006.
396 Intervista a Renato Fiori, cit.
397 La memoria del nazismo nell’Europa di oggi, a cura di Leonardo Paggi, La Nuova Italia, Firenze, 1997, p. XXVIII.
398 Intervista a Giuseppe Chessa, cit..
399 Ibidem.
400 Intervista a Gigi Urtis, cit..
401 In particolare l’intervista di Giuseppe Chessa “passato con gli americani” nella Divisione Mantova.
402 Michele Sarfatti, De Felice e l’olocausto «all’italiana», L’Unità, 31 maggio 2006. Dello stesso autore cfr. Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2000, e Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Torino, Einaudi, 2002.
403 Intervista a Jolanda Rais, cit..
404 Intervista a Ignazio Piras, cit.
405 Eugenia Tognotti ha esaminato in particolare l’impatto delle leggi razziali negli Atenei di Sassari e Cagliari nel saggio: “Le leggi razziali e le comunità accademiche nel Mezzogiorno. Il caso della Sardegna, in M.L. Plaisant, La Sardegna nel regime fascista, Cagliari, CUEC, 2000.
406 Intervista a Tore Rais (classe 1940), realizzata da Raffaella Lucia Carboni, Porto Torres, 23 febbraio 2007. Tore Rais aprirà la locale sede dell’MSI nel ’67, 68 in via Libio.
407 F. Calamandrei, La vita indivisibile. Diario 1941-1947, Ed. Riuniti, Roma, 1984, p. 215.
408 Intervista ad Antonio Ruggiu, cit.
409 Intervista a Italina Domenica De Negri (classe 1915 – 2006), realizzata da Raffaella L. Carboni, Sassari, 24/08/2003.
410 Intervista a Fausto Orizi (classe 1920), realizzata da Raffaella L. Carboni, Sassari, 20/04/2003.
411 Intervista a Lina Toccu, realizzata da Raffaella L. Carboni, Sassari, 23/11/2002.
412 Intervista a Giovanni Maria Pittalis (Meuccio), realizzata da Raffaella L. Carboni, Sassari, 6/3/2006.
413 Intervista a Rina Fancellu Pigliaru, realizzata da Raffaella L. Carboni, 15/10/2002.
Raffaella Lucia Carboni, L’uso delle fonti orali nello studio delle culture popolari: la transizione dal fascismo al Piano di Rinascita in Sardegna, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Sassari, 2013