Il nuovo servizio del Viminale cercò di scavalcare il Sifar

Gesualdo Barletta continuò la propria carriera come vicecapo della Polizia e alla direzione degli Affari riservati gli subentrò nel luglio del ’56 Guido De Nozza <40, questore di Trieste, anche lui una volta con un passato nell’Ovra. La scelta, ampiamente caldeggiata dal capo della Cia in Italia Robert Driscoll, fu fatta dal ministro sull’onda di un grande interessamento per la questura triestina e sui suoi metodi innovativi. Infatti, su indicazione di Driscoll, Tambroni inviò degli emissari a relazionare sull’operato del team di De Nozza e il responso fu talmente positivo che dopo quella visita “venne data immediata disposizione a tutti i questori e funzionari degli Uffici politici d’Italia [perché] seguissero un breve corso informativo [a Trieste].” <41 Apparentemente, la questura di Trieste infatti disponeva di un’attrezzatura molto avanzata per l’epoca, come microfoni direzionali, microspie e sistemi elettronici per le intercettazioni via radio e via telefono <42 che sbalordì i loro colleghi provenienti dal resto d’Italia. Lo stesso Tambroni [ministro dell’Interno] restò particolarmente colpito dall’idea di De Nozza di impiegare dei finti taxi, dotati di sofisticati mezzi di intercettazioni radio e telefoniche. Con questo stratagemma gli agenti potevano passare inosservati e muoversi liberamente per tutta la città senza destare sospetti. Inoltre, la polizia triestina, durante gli anni del territorio libero di Trieste aveva ereditato i metodi di schedatura particolarmente accurati e metodici dell’intelligence britannica <43.
Giunti alla guida dell’UAR [servizi segreti della polizia] De Nozza e i suoi collaboratori “assursero agli occhi del ministro al rango dei migliori d’Italia”. La squadra era formata da De Nozza, l’ex direttore della polizia politica del TLT Walter Beneforti e dai commissari Angelo Mangano e Ilio Corti <44 ai quali il ministro diede molto presto carta bianca: la loro gestione dell’ufficio, per quanto breve, si distinse per l’atteggiamento decisionista e le riforme accentratrici. Gli UVS vennero aboliti e sostituiti con delle squadre investigative specializzate nell’aggancio di informatori nei partiti, sindacati e nella stampa; queste squadre a differenza degli UVS operavano al di fuori di ogni controllo delle questure tanto che assunse il famigerato nome di “polizia parallela” del ministro. Il gruppo operativo (GO), guidato da Beneforti era interamente formato da ex funzionari della questura di Trieste ed era “una sorta di laboratorio tecnico dove si costruivano gli apparecchi di microfonia e si fabbricavano documenti falsi da assegnare agli agenti sotto copertura”; questo ufficio godeva di finanziamenti della CIA tramite Driscoll: conseguentemente ogni relazione scritta veniva inoltrata agli Americani. Il nuovo indirizzo conseguì importanti successi nell’aggancio e infiltrazione di politici e sindacalisti negli ambienti di sinistra. <45
La maggiore efficacia dell’UAR era tale che De Nozza e i suoi chiesero al ministro di emanare una circolare per cui gli archivi delle questure non sarebbero stati più consultabili dagli agenti del SIFAR, i quali avrebbero dovuto richiedere il permesso dell’UAR, esacerbando così la rivalità tra i due servizi. La minaccia di questo nuovo ufficio era già stata ravvista dal servizio segreto militare quando il centro Sifar di Trieste aveva messo in guardia i propri vertici che “a Roma verrà costituito un nuovo ufficio operativo che interferirà certamente nel nostro settore specifico e […] [che sarà] idoneo a sostituire il nostro servizio” <46. Sostanzialmente, ciò che accadde è che il nuovo servizio del Viminale cercò di scavalcare il Sifar e, per un paio d’anni, ci riuscì. Dai centri SIFAR delle maggiori città italiane si registrarono lettere di protesta perché l’ufficio era “completamente indipendente dalle questure”, “simile alla disciolta OVRA” o perché si poneva al di fuori di ogni controllo e regola fino allora vigente <47. De Lorenzo, nel febbraio 1959, inviò al capo della Polizia una lettera dai toni furibondi, in cui denunciava le scellerate azioni dello straniero (riferendosi a Driscoll) che stava fornendo alla Cia informazioni false sul suo conto per screditarlo e sostituirlo con qualcuno di più malleabile. <48 Le sue lamentele ottennero il risultato che di lì a poco la Cia trasferì Driscoll in Tunisia, dove, per assicurarsi il collegamento, Beneforti si affrettò a dislocare due dei suoi uomini. Così Driscoll poté continuare a esercitare la propria influenza e a dirigere finanziamenti all’ufficio di Beneforti. Un mese più tardi De Lorenzo inviò al ministero della Difesa una relazione sull’operato dell’Uar in cui puntava il dito sul fatto che ormai fosse manovrato direttamente dai servizi americani e che avesse assunto la fisionomia dell’ex Ovra <49.
Federico Umberto D’Amato, che non era in buoni rapporti con Tambroni e che in quegli anni svolgeva un ruolo secondario, in un’intervista disse di Driscoll che aveva “sconvolto il ministero” e che “stava trasformando l’Italia in una colonia” <50. Le lamentele arrivarono anche dagli stessi uffici politici delle questure, che oramai ricevevano dall’Uar soltanto una parte delle informazioni e soltanto se vi fosse stato l’assenso di De Nozza e Beneforti. Ad ogni modo il gruppo rimase intoccabile fintanto che, oltre a Driscoll e alla Cia, continuava a godere del sostegno del Tambroni, al quale era utilissimo per le informazioni che ricavava anche sui colleghi di partito del ministro. Tambroni aveva infatti finanziato la creazione, ancor prima dell’arrivo dei triestini, dell’agenzia di stampa “Eco di Roma”, ossia un paravento attraverso il quale, al momento opportuno, pubblicare notizie riservate sui suoi rivali all’interno della Dc. Dal 1958 vi affiancò l’efficiente lavoro di spionaggio e d’intercettazione dei triestini, grazie ai quali ampliò significativamente l’ampiezza del proprio archivio. “Prima ancora che scoppiasse lo scandalo delle schedature illegali del Sifar, dunque, sarebbe stato l’Uar di De Nozza e Beneforti a inaugurare la deprecabile pratica della costruzione di dossier sulle maggiori personalità politiche (e non solo) del Paese”. <51
Così facendo, Tambroni e la sezione Affari riservati si trovarono, a metà del 1959, in una posizione di potere fino ad allora inedita per un ufficio politico; ma, parallelamente, si trovarono anche a avere contro di loro il Sifar, le questure, gran parte della Dc, nonché, ovviamente, gli ambienti di sinistra. L’accerchiamento dell’Ufficio si concluse quando anche il ministro Tambroni scoprì la presenza di un dossier a suo nome e riguardante una sua relazione extraconiugale. Egli capì che la situazione stava per scappargli di mano e decise di disfarsi di un elemento poco controllabile; l’occasione venne a metà agosto del 1959, con la pubblicazione di un articolo sul giornale comunista “Vie nuove”, in cui si parlava, seppur in modo vago, dell’oscuro gruppo di potere che agiva all’interno dei servizi informativi del Viminale. Pochi giorni dopo, in maniera apparentemente improvvisa, il ministero dichiarò sciolto il GO, destituendo De Nozza e Beneforti. Secondo un rapporto segreto della Cia datato 5 luglio 1963 (divenuto celebre dopo sua la pubblicazione sul settimanale l’Astrolabio nel 1967), i fascicoli rimasero sotto il controllo di Tambroni – che supponiamo continuò a farne uso almeno fino alla caduta del suo governo (Agosto 1960) – il quale, “lasciando il suo ufficio [di ministro], portò i fascicoli in suo possesso nella villa in Sardegna di un suo amico”. “[…] dopo la morte di Tambroni i fascicoli vennero alla fine trasferiti a Scelba […] E’ stato suggerito che sarebbe grandemente desiderabile di riprendere possesso dei fascicoli più importanti della collezione Tambroni-Scelba e di altri archivi privati e di tenerli in una sezione speciale del Sifar così da ridurre al minimo il numero della gente che poteva farne uso. Il ministro ha dato ordine al generale De Lorenzo di fare ciò e vi è buon fondamento per considerare che il risultato di portare i fascicoli sotto il controllo del Sifar giustificherà ampiamente questo affare”. <52
Sarà così che, negli anni seguenti, la pratica della schedatura generalizzata verrà direttamente ereditata e riutilizzata in maniera massiccia dal Sifar, alla guida del quale rimase De Lorenzo fino al 1962. Prima di essere affidati a De Lorenzo, i fascicoli passarono per le mani di Scelba, tornato a dirigere gli Interni nel 1960, anche in virtù del fatto che – sempre secondo il rapporto segreto – il primo a ideare la pratica delle schedature fu proprio Scelba durante la sua prima direzione del ministero (1947-1955), in collaborazione con il già citato Giuseppe Pièche <53.
[NOTE]
40 Istruttoria Salvini, Annotazione sulle attività di guerra psicologica e non ortodossa, (psychological and low density warfare) compiute in Italia tra il 1969 e il 1974 attraverso l’“AGINTER PRESSE”, pg 51. www.guidosalvini.it
41 Istruttoria Guido Salvini, citato in G. Paci, op. cit., pg. 54
42 G. Pacini, op. cit., pg. 54
43 G. Pacini, op. cit., pg. 55
44 Istruttoria Salvini, Annotazione sulle attività di guerra psicologica e non ortodossa, (psychological and low density warfare) compiute in Italia tra il 1969 e il 1974 attraverso l’“AGINTER PRESSE”, pg 51.
45 Cfr. G. Pacini, op. cit., pg 58-61
46 Ibidem
47 Ibidem
48 Ibidem
49 Ibidem
50 Nella cucina degli intrighi, Edizione di la Repubblica del 8 luglio 1984. Citato in G. Pacini, op. cit., pg. 64
51 G. Pacini, op. cit., pg. 67
52 Astrolabio, n. 41, 15 ottobre 1967. Cit. in G. De Lutiis, op. cit., pg. 54
53 Ibidem
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020-2021

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