Se in città c’è il pericolo delle bombe, in campagna c’è quello dei ribelli

Non mancano testimonianze, anche di provenienza partigiana <437, che sottolineano le tensioni che si svilupparono tra i civili e alcuni segmenti del multiforme partigianato regionale [nelle Marche].
Se la primissima leva di “patrioti” che si forma nel settembre-ottobre 1943 viene accolta in linea di massima con simpatia da parte dei contadini, i quali spesso conoscono questi giovani che si presentano a loro in cerca di un rifugio, non mancano però segnali di insofferenza verso la presenza partigiana: “dove c’è estrema povertà e dove i partigiani non vengono riconosciuti nel loro ruolo di combattenti per una causa di interesse collettivo, magari perché scambiati con dei semplici malfattori che approfittano per taglieggiare la popolazione in vario modo, la frattura che si crea può divenire insanabile e condurre a forti malintesi, fino a strutturare tra i contadini forme di rifiuto, anche violento della lotta partigiana” <438.
Le considerazioni che seguono, rintracciate nel diario di Adele Rondini, residente a Fossombrone e sfollata nelle campagne circostanti l’antico municipio romano nei primi mesi del 1944, testimoniano la presenza, la cui diffusione non può essere misurata, di un sentimento di incomprensione nei confronti delle azioni dei partigiani:
“20.4.44.
Sarebbe molto bello vivere in campagna, lontani dai centri abitati, ma se in città c’è il pericolo delle bombe, in campagna c’è quello dei ribelli. I ribelli? Ma, ribelli a chi? Non si dovrebbero piuttosto chiamare banditi? Della “Banda Grossa” sopra Cagli, non vogliono fare parte, ai Tedeschi essi non fanno nulla. Sanno solo sgrassare e infastidire i nostri contadini, derubare i preti, saccheggiare silos e fattorie
” <439.
Commenti critici sono riscontrabili anche nelle lettere sottoposte a controllo da parte della Commissione provinciale Censura di Pesaro, delle quali numerosi stralci sono riportati in allegato alle relazioni settimanali, specie nel corso del mese di aprile.
In particolare, con il passare dei mesi, alcuni episodi di tensioni si manifestano anche in ragione delle mutazioni subite dal quadro di riferimento entro cui si muovono civili e partigiani. La seconda fase della lotta partigiana, caratterizzata da imboscate, atti di sabotaggio e scontri armati, determina un aumento delle azioni di rappresaglia condotte dalle autorità fasciste e dalle truppe tedesche, aumentando sensibilmente i rischi per la popolazione civile <440 e facendo crescere i sentimenti di paura e di pericolo, che a volte finiscono comprensibilmente per sovrastare l’entusiasmo per incarichi e attività mai vissute in precedenza.
D’altra parte, nella tarda primavera del 1944, subentrano, come si è osservato sopra, anche difficoltà di natura materiale che rendono più difficile l’azione di assistenza ai partigiani. Nonostante gli espedienti messi in campo, (occultamento degli animali e dei generi alimentari, evasione degli ammassi), si assiste ad un progressivo peggioramento delle condizioni alimentari di chi vive nei centri rurali, reso tale dall’approssimarsi del fronte con le razzie operate dalle truppe tedesche e dall’aumento del numero degli sfollati, molti dei quali sono costretti in quel frangente, specie nel pesarese, a riparare nelle campagne.
Da ultimo, occorre ricordare la presenza all’interno di diverse bande partigiane dei numerosi slavi, fuggiti dai campi di prigionia dopo l’8 settembre, che in diversi casi fu elemento destabilizzatore del legame tra “patrioti” e civili. Se è corretto sottolineare il coraggio manifestato dagli slavi in combattimento, è necessario però ricordare alcuni elementi negativi del loro agire: l’indifferenza mostrata in alcune circostanze per le possibili rappresaglie sulla popolazione civile, come conseguenza delle loro azioni, e la facilità nell’usare le armi, peraltro non solo contro il nemico <441.
Se l’attività di fiancheggiamento dei partigiani era estremamente rischiosa per i civili, altrettanto pericolosa era l’assistenza e la tutela offerta da questi ultimi ai militari in fuga dai campi di prigionia. Anche l’aiuto fornito ai prigionieri di guerra era infatti punito con la pena di morte, come previsto dall’art. 1 del decreto di Mussolini del 9 ottobre 1943: “Chiunque presti aiuto in qualsiasi modo ai prigionieri di guerra evasi dai campi di concentramento o conceda ospitalità ad appartenenti alle forze armate nemiche allo scopo di facilitarne la fuga o di occultarne la presenza, è punito con la pena di morte” <442.
Nonostante queste minacce e nonostante le promesse di ricompensa <443 per coloro che avessero favorito la cattura di militari prigionieri – evasi in migliaia dopo l’8 settembre dai diversi campi di prigionia presenti nelle province di Macerata e Ascoli Piceno <444 (dal solo campo di Servigliano nei giorni immediatamente successivi all’annuncio dell’armistizio fuggirono circa 3000 prigionieri) <445 -, le testimonianze raccolte tra i civili che allora si trovarono a vivere quelle vicende descrivono quasi tutte atteggiamenti di solidarietà da parte dei contadini nei confronti di questi militari in fuga <446. Anche dall’analisi dei diari e delle memorie degli stessi prigionieri inglesi che ripararono nelle campagne marchigiane in cerca di salvezza, “risalta l’immediata disponibilità dei contadini a prestare aiuto, fosse esso la semplice indicazione a gesti per evitare le truppe tedesche o l’offerta di un pasto caldo e di un posto per trascorrere la notte” <447.
Nel riportare alla mente i mesi trascorsi sotto la protezione dei Minicucci, una numerosa famiglia mezzadrile che viveva nel maceratese, Raymond Ellis, il soldato inglese citato in precedenza, scappato nell’estate del 1943 dal campo di Sforzacosta, sottolinea a più riprese la generosità, non priva di rischi, di cui potette beneficiare e il legame profondo che si venne a creare con quella famiglia, così diversa da lui per costumi e cultura: “così iniziò la mia vita di contadino italiano, queste brave persone condividevano con me tutto ciò che possedevano ed io condividevo con loro il duro lavoro” <448.
Nel ricercare le motivazioni che spinsero queste famiglie ad offrire asilo ai “fuggiaschi”, i più rinviano all’idea secondo la quale agli occhi dei contadini scattava immediata l’identificazione di questi con i familiari lontani. Chi offriva ospitalità pensava ai propri cari dispersi in guerra, in paesi sconosciuti, magari bisognosi di aiuto; così, offrendo solidarietà agli stranieri in difficoltà, idealmente si sperava che lo stesso facessero gli altri popoli, l’altra gente <449.
[NOTE]
437 Si veda tra gli altri, S. Severi, Il Montefeltro tra guerra e liberazione, 1940-1945, cit.
438 D. Pela, Una notte che non passava mai, cit., p. 253. Segnali di queste tensioni sono riscontrabili anche nelle lettere sottoposte a controllo da parte della Commissione provinciale Censura di Pesaro, delle quali numerosi stralci sono riportati in allegato alle relazioni settimanali, specie nel corso del mese di aprile.
439 A. Rondini, Fossombron sparuta. Pensier, person, providenz, passatemp, Club culturale “Le rondini” 1993, p. 194.
440 Sulle rappresaglie e sui veri e propri eccidi condotti dai nazifascisti nelle Marche, si veda R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, cit., P. Giovannini e D. Pela, Marche, cit.
441 M. Fratesi e M. Papini, Il ruolo della Resistenza nella Liberazione delle Marche, cit., p. 99; S. Donati e J. Pojaghi, La guerra nei ricordi dei maceratesi, cit., pp. 120-121.
442 Citato in F. Ieranò, Antigone nella valle del Tenna. cit., p. 23.
443 R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, cit., pp. 162-163, G. Bertolo, Le campagne e il movimento di resistenza, le Marche, cit., p. 302 (nota 85).
444 Sui campi di concentramento e sui campi di lavoro per prigionieri di guerra presenti nelle Marche si rinvia a C. Di Sante, L’internamento civile nell’ascolano e il campo di concentramento di Servigliano (1940-1944). Documenti e
testimonianze dell’internamento fascista, Istituto provinciale per la storia del Movimento di Liberazione nelle Marche, Ascoli Piceno 1998; Idem, L’internamento civile e i campi di concentramento nelle Marche, in P. Giovannini (a cura di), L’8 settembre nelle Marche. Premesse e conseguenze, cit., pp. 187-228.
445 F. Ieranò, Antigone nella valle del Tenna, cit., p. 31.
446 D. Pela, Una notte che non passava mai, cit., pp. 230-239; F. Ieranò, Antigone nella valle del Tenna, cit.
447 F. Ceppi, Introduzione, in R. Ellis, Al di là della collina. Memorie di un soldato inglese prigioniero nelle Marche, cit., pp. 5-6.
448 R. Ellis, Al di là della collina. Memorie di un soldato inglese prigioniero nelle Marche, cit., p. 90.
449 R. Giacomini, Ribelli e partigiani, cit., p. 161; F. Ieranò, Antigone nella valle del Tenna, cit., p. 26; D. Pela, Una notte che non passava mai, cit., p. 231.
Luca Gorgolini, Un lungo viaggio nelle Marche. Scritti di storia sociale e appunti iconografici dal web, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2005-2006

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