Inizio dell’emergenza: 2 dicembre 1973, ultimo dell’era dello scialo

Allo scoppio della crisi petrolifera e di fronte al rialzo dei prezzi del greggio, il governo dovette fare i conti con la diminuzione dei rifornimenti di petrolio e con l’aumento del costo delle materie prime, che avrebbe pesato sui prezzi al consumo. Essi difatti aumentarono del 25% dal gennaio al dicembre del 1973 <300 portando alla necessità di confrontarsi con la “scure dell’austerità”, che «sta[va] per calare su centinaia di miliardi di contributi a favore degli enti inutili» <301 per abbattere le spese superflue. Nel variegato dibattito sull’austerità che seguì l’esplosione della crisi è possibile identificare degli elementi comuni. Prima di tutto emergeva l’immagine di un “mondo in riserva”, in cui il mito dell’abbondanza di oro nero e della inevitabile espansione del benessere erano drammaticamente messi in discussione. In secondo luogo, compariva il tema dell’interventismo e della programmazione, necessari (per alcune delle voci che presero parte alla discussione) per uscire dalla crisi. Infine veniva spesso ripreso dagli interventi il tema del rapporto di fiducia tra istituzioni e società, che tratterò però nel capitolo successivo.
Per quanto riguarda il primo punto, una delle misure in discussione riguardava il razionamento della benzina attraverso l’uso della tessera, un fenomeno che gli italiani speravano di non dover più rivivere dalla fine della guerra. Per alcuni si poteva addirittura parlare di fine del consumismo <302 e di morte dell’automobile <303, descrivendo i decenni del boom come un periodo di eccesso e sregolatezza a cui ora si sarebbe dovuto far fronte in maniera seria e razionale. Una di queste voci fu, ad esempio, quella di Carlo Mortarini, esperto di problemi energetici e docente presso il Politecnico di Torino, secondo il quale ci si ritrovava a «piangere sul latte versato, ossia su uno sperpero dissennato che potrebbe paralizzare il mondo da un giorno all’altro. Eccoci a cercare di correre affannosamente ai ripari con iniziative che, se comprendessero anche la pena di morte per chi specula sul carburante, come è stato deciso, per esempio, nelle Filippine, non serviranno a nulla» <304. L’umanità sarebbe dovuta diventare consapevole del fatto che era finita l’epoca dell’economia basata sul petrolio e dell’energia a basso prezzo: la colpa non era degli sceicchi ma del fatto che si trattava di energie non rinnovabili e mal gestite. Della stessa opinione anche l’economista Jean-Marie Chevalier, secondo il quale
“Dal petrolio, infatti, è stato fatto dipendere tutto quanto si crea, si muove e si trasforma nella civiltà contemporanea. […] Il petrolio ha talmente permeato la condizione umana che anche ai futurologi riesce quasi impossibile pensare di poterne fare a meno. Col petrolio si muovono auto, navi, treni, aerei; dal petrolio si ottengono lubrificanti, combustibili, gomma sintetica, cere e paraffine, imballaggi e farmaci, fibre sintetiche e materie plastiche, ecc. In totale, oltre 5 mila prodotti che aumentano di anno in anno. Riuscirà l’uomo ad adattarsi al declino prima e alla perdita poi dell’onnipotenza del petrolio e dei suoi derivati, molti dei quali sembrano insostituibili? Ce la farà a disabituarsi senza turbamenti profondi al gusto di un modo di vivere che è stato di volta in volta definito società affluente, società dei consumi, società opulenta?” <305
Per altri era però complesso auspicare la fine della società dei consumi, dal momento che una società «più consumi ha, più moderna è perché la maggior parte degli oggetti di consumo oggi sono diventati dei servizi indispensabili. Un servizio è l’auto, un servizio sono i trasporti, un servizio è un frigorifero, ecc» <306. Inoltre, sempre secondo Giuseppe De Rita del Censis, la società italiana non poteva essere definita consumistica nel senso di sprecona come molti altri paesi più sviluppati. Lo stesso Peccei del Club di Roma comprendeva la difficoltà di un discorso di sviluppo incentrato sulla penuria. Dal momento che il mondo si configura come entità finita,
“per continuare a viverci bisognerà trovare rapidamente nuove soluzioni. La crisi del petrolio fa prevedere che il mutamento non sarà indolore. Dovremo, infatti, modificare molti nostri comportamenti, ridurre la mobilità, cioè gli spostamenti, rinunciare ad alcuni prodotti industriali, studiare sistemi per tenere occupate il maggior numero di persone. […] La mobilità dovrebbe essere la prima, affermano gli esperti, a risentire, in Italia come è già avvenuto altrove, di questa fase di trasformazione da un modo di vita a un altro completamente diverso” <307.
Ma restrizioni sulla mobilità avrebbero significato perdita di introiti fiscali per lo Stato, perdite per il settore turistico, per non parlare dello sconquasso emotivo subito dagli italiani e dalle italiane <308, sui quali l’impatto dell’accesso a nuovi modi di consumare il tempo libero e gestire la mobilità era stato molto forte, come già esposto nel precedente capitolo.
Per Mortarino si trattava di imparare a fare a meno di «inutili oggetti di consumo» <309: questo tipo di pregiudizio, che è possibile ritrovare in molte altre testimonianze, oltre a non approfondire le diverse categorie di oggetti, rimaneva ambiguo sul concetto stesso di utilità. Difatti attorno a diversi oggetti di consumo si erano sviluppate pratiche e costituiti luoghi che rappresentavano momenti di aggregazione ed evasione. Tali concetti erano e sono importanti, per motivi diversi, per tantissimi gruppi sociali: sia per chi passava la settimana confinato in fabbrica e chi tra le mura domestiche, come anche per le sottoculture giovanili, per le quali era importante creare luoghi di aggregazione liberati dagli influssi della cultura dominante. Definire ciò che è e non è superfluo può configurarsi come vero e proprio terreno di scontro politico e culturale, come anche economico. Di base l’aggregazione e l’evasione potrebbero essere definiti come valori in riferimento ad uno specifico campo sociale e al sistema culturale (sistema di significati, simboli, pratiche, oggetti, tecnologie, saperi) che lo contraddistingue. L’evasione muta a seconda se si sta parlando di un gruppo di teenager annoiati della periferia di Novara, o di un gruppo di carcerati di un braccio penitenziario di San Vittore. In entrambi i casi, aggregazione ed evasione sono vissuti e problematizzati in maniera differente, e svolgono un’azione differenziante e differenziale rispetto ad altri valori, con cui entrano in conflitto o si legano, accrescendo la loro persistenza ed efficacia performativa. Di “ritorno alla ragione” parlava anche un dirigente come Mario Tanassi, intervistato all’inizio del 1974 da Leo J. Wollemborg per «Oggi». Egli riscontrava deficienze nella classe dirigente
“a loro volta dovute a ragioni di carattere generale e a ragioni peculiarmente italiane. E quando parlo di classe dirigente, intendo intellettuali e dirigenti industriali, la stampa e i dirigenti sindacali, anche se è la classe politica ad avere le responsabilità più dirette” <310.
Egli rilevava inoltre scompensi nel tessuto sociale del paese, su cui avevano impattato i veloci mutamenti e le trasformazioni tecnologiche del periodo post bellico: «il rimedio [era] pur sempre lo stesso: partecipare alla vita democratica, non sottrarsi alle responsabilità che comporta la partecipazione alle decisioni riguardanti il futuro di noi tutti. […] Non [era] certo il caso di farsi illusioni sui sacrifici da affrontare, ma […] il paese [avrebbe saputo] uscire dall’attuale situazione grazie alle sue capacità di lavoro e di risparmio e alla maggiore consapevolezza dei suoi cittadini» <311. La via d’uscita? Il prevalere della ragione:
“Ma se anche a questo riguardo prevarrà la ragione, come spero e penso, e si giungerà a soluzioni equilibrate che contemperino le diverse e talvolta contraddittorie esigenze, potremo accrescere le nostre risorse nel 1974, come già abbiamo saputo fare nel 1973 nonostante le difficoltà dei primi mesi dell’anno: potremo così far fronte alle esigenze finanziarie e agli squilibri della bilancia dei pagamenti e portare avanti sia lo sviluppo economico del paese sia quella ridistribuzione del reddito che costituisce un atto imperativo di giustizia” <312.
Vi era dunque una retorica molto forte incentrata sulla temperanza e la razionalità, che avrebbero dovuto motivare sia le scelte del governo sia la risposta della popolazione. Il 2 dicembre 1973 entrarono in vigore i provvedimenti decisi dal Consiglio dei Ministri, e l’inizio dell’austerità venne descritta come la fine «dell’era dello scialo»:
“Mariano Rumor ha deciso di saltare animosamente in groppa al cammello arabo e di lassù iniziare la crociata per l’austerità: benzina super a 200 lire, gasolio per motori a 113, gasolio per riscaldamento a 26 lire il chilo. La domenica e gli altri giorni festivi ferme le automobili private (12 milioni 484 mila), motociclette e motorini (3 milioni e mezzo), le barche a motore (315 mila), gli aerei da turismo e privati (1204). E, per risparmiare energia elettrica (le centrali dell’Enel bruciano 16 milioni di tonnellate di olio combustibile l’anno), riduzione dell’illuminazione pubblica del 40%, chiusura a mezzanotte di ristoranti, bar e locali notturni, spegnimento delle insegne luminose, chiusura anticipata dei negozi, cinema e teatri chiusi alle 23, orario continuato per gli impiegati dello Stato; fine delle trasmissioni televisive alle 22,45, massimo alle 23. Inizio dell’emergenza: 2 dicembre 1973, ultimo dell’era dello scialo” <313.
Lo scetticismo delle parole di Fabiani si ritrovava anche in altri articoli ed interventi e difatti, in seguito all’approvazione di queste misure, scaturì un confronto legato alla questione energetica e a come affrontare il tema della dipendenza da petrolio, che rendeva il paese soggetto alla volontà di altri paesi e alle carenze oggettive della materia prima. Oltre ad una rivalutazione del carbone, aumentò il coro di voci favorevole a maggiori investimenti nel settore del nucleare, contro il quale però non mancavano voci critiche tanto per le ricadute ambientali quanto di chi credeva che il nucleare avrebbe comunque mantenuto l’Italia in una situazione di dipendenza verso i paesi produttori di uranio, senza contare il tema dei costi di costruzione, smaltimento scorie e sicurezza. Dunque, come negli Stati Uniti Carter decise di installare pannelli solari sul tetto della Casa Bianca per sensibilizzare il pubblico <314, così anche in Italia si cominciò a dibattere dell’energia solare (e delle altre fonti di energia pulita in generale).
Secondo Mortarino «ogni tecnologia di produzione dell’energia ha i suoi grossi inconvenienti. Quella che ne presenta meno, secondo gli scienziati, è l’energia sprigionata dal sole il quale ne irradia sulla terra 30 mila volte in più di tutta l’energia industriale usata dall’uomo. È un’energia pulita, inesauribile, disponibile tutti i giorni e soprattutto molto economica, poiché richiede soltanto la spesa degli impianti e un costo minimo di manutenzione. In alcuni Paesi viene già sfruttata, sia pure in maniera assai limitata». Nel suo intervento presso il convegno Unesco del giugno 1973, Werner von Braun affermò che «Il mondo sta entrando nell’età solare […] Per accelerare l’ingresso dell’umanità in quest’era, gli Stati Uniti stanzieranno l’equivalente di 1500 miliardi di lire» <315.
La discussione su come affrontare la situazione fu molto accesa e vide scontrarsi posizioni molto diverse, tra chi propose l’aumento del costo della benzina, chi il razionamento e chi, come il già citato Giorgio Ruffolo, chiedeva all’industria di fabbricare più autobus: «uomini politici, economisti, industriali, banchieri discut[eva]no i provvedimenti adottati dal Consiglio dei ministri per fronteggiare la crisi petrolifera. E lo [facevano] con un’intensità pari al peso degli interessi in gioco» <316. Gli interessi in gioco erano infatti molto forti, soprattutto di fronte alla domanda “quale alternativa?” rispetto al sistema energetico ed economico dominante, domanda che venne riproposta dagli articoli di diverse riviste, sia politiche che femminili e di attualità, e soprattutto venne posto il problema della mobilità e di come sarebbe dovuta cambiare per adattarsi al nuovo assetto che sembrava si stesse formando.
Il provvedimento più famoso dell’austerità furono le “domeniche a piedi”, ovvero il divieto di usare mezzi motorizzati su tutte le strade pubbliche, urbane ed extraurbane, per tutta la durata delle domeniche e dei giorni festivi infrasettimanali. Le prime domeniche a piedi videro reagire il paese in modo diverso, tra chi commentava divertito il ritorno dei cavalli in via Montenapoleone a Milano («Sembra il carnevale di Rio» <317), chi cercava di ingegnarsi con trovate pubblicitarie originali, come il locale “Discoteca dancing Le Trou” che scriveva sul quotidiano di Bologna «ampio deposito di biciclette, tricicli, tandem e pattini, ampie stalle, candele psichedeliche, grammofono a manovella, partita di calcio sulla tangenziale» <318 e chi con poco ottimismo constatava come l’austerità non fosse però un carnevale: «per milioni di italiani è un nuovo modo di vivere» <319. Si parlò anche di riscoperta della bicicletta, «chiamata a risolvere il problema che molti hanno di spostarsi da un luogo all’altro, e la incombente minaccia della mancanza di carburante ci costringerà sempre più ad affidarci alle sue esili ruote» <320. L’articolo continuava descrivendo come in realtà la bicicletta fosse stata riscoperta come moda già negli anni Sessanta, usata come sistema «per sentirsi sportivi, indipendenti, liberi dalla schiavitù del motore, e anche un po’ anticonformisti» <321, sdoganata principalmente da attori, cantanti e annunciatrici televisive, per sgusciare tra il traffico e mantenere la linea; ma ora, con la crisi energetica, «il fenomeno è destinato a generalizzarsi. Se non vi sarà benzina sufficiente, i nostri week-end li passeremo pedalando» <322.
Le misure di austerità non avevano solo messo i tassisti nelle condizioni di riportare a casa le prostitute durante le prime ore delle domeniche senza auto o trasportare donne con le doglie in ospedale e neonati verso i loro battesimi, ma avevano colpito pesantemente i bilanci di alberghi, ristoranti e cinema, e soprattutto fu colpita la vita domestica: «Abbiamo perso completamente i clienti della domenica pomeriggio che arrivavano da fuori Milano» <323, dice Luigi Biason, direttore del cinema Manzoni, prima visione, 2 mila lire a poltrona. «È un danno enorme: da una domenica all’altra siamo passati da 7 milioni d’incasso a 2 milioni e 800 mila». Ma quello che preoccupa di più l’italiano medio, nel nuovo mestiere di vivere, è il riscaldamento in casa. «Vivo con tre maglioni addosso e dormo sotto tre coperte», dice Franco Rizzi, 32 anni, rappresentante di commercio, appartamento in condominio al Lido di Venezia. «Ogni giorno che passa, l’orario in cui rimangono accesi i termosifoni si riduce. Siamo ormai arrivati a due ore di tepore su ventiquattro».
Secondo un osservatore del tempo, l’austerità stava cambiando le abitudini notturne degli italiani, così come il loro rapporto con il centro urbano:
“A Torino, domenica 2 dicembre, 100 barche a remi hanno improvvisato una regata nel Po. A Firenze, nonostante il gelo, 1500 visitatori hanno affollato Palazzo Vecchio e altrettanti l’antico setificio di San Frediano, dove il benvenuto è dato da setaie in abiti del Seicento. Agli Uffizi grande successo delle visite guidate: «Siamo già prenotate per le due prossime domeniche», dicono Barbara Cinelli e Daniela Nassi, le guide della sezione didattica della galleria. “Intanto”, dice però il proprietario del ristorante Il Mago di Caluso, presso Torino, «domenica 2 dicembre ho servito 7 clienti invece di mille». Per invogliare i buongustai romani, il ristorante La Maialetta sull’Aurelia antica, ha organizzato un servizio di carrozzelle. I clienti vengono prelevati e riaccompagnati a casa, rallegrati con l’aperitivo all’andata, il caffè al ritorno. L’albergo Biancaneve di Nicolosi, sulle pendici dell’Etna, offre ai catanesi il trasporto da e per la città, la cena del sabato sera, il pernottamento, la colazione e il pranzo della domenica per 8 mila lire (prima ne occorrevano 20 mila). Però il trucco non sempre funziona. «Io ho organizzato il servizio di calesse da Mestre», dice Gianfranco Foltron, proprietario della trattoria Al Cason, a qualche chilometro dalla città. «La gente si è incuriosita e basta. Ho avuto 27 coperti invece di 250»” <324.
Si temeva quindi l’entrata in crisi del settore turistico e dei ristoratori, oltre che dei ritrovi notturni, cinema e teatri; ma per La Malfa non si poteva «accontentare tutti» <325 e bisognava definire delle priorità agendo con decisione, evitando soluzioni graduali e parziali […]
[NOTE]
300 N. Tranfaglia, Origini, sviluppo e tramonto del terrorismo, in Calabrese (a cura di), op. cit., p. 128.
301 F. Palladino, Più forte con la scure. La Mala: ‘Austerità? Per curare l’inflazione, «Panorama», 11 ottobre 1973 p. 25.
302 Il Petrolio e noi. In Italia come in Olanda? O anche peggio? «L’Espresso» 18 Novembre 1973, V. Bruno, La cinghia più stretta, «Panorama» 13 dicembre 1973.
303 Se muore l’automobile. Le misure di austerity/una svolta storica per l’economia, la politica, il costume. Dove condurrà? «L’Espresso» 2 dicembre 1973.
304 L. Vacchi, Il mondo in riserva, «Panorama» 29 novembre 1973, p. 150.
305 Ivi.
306 Ibidem, p. 151.
307 Ibidem, p. 152.
308 Ivi.
309 Ibidem, p. 150.
310 L. J. Wollemborg, Possiamo superare la crisi, se vince la ragione, «Oggi» 16 gennaio 1974, p. 18.
311 Ivi.
312 Ibidem, p. 19.
313 R. Fabiani, Domenica non è sempre domenica, «Panorama» 29 novembre 1973, p. 40.
314 V. McFarland, The United States and the Oil Price Collapse of the 1980s, in Basosi, Garavini e Trentin (a cura di), cit., p. 260.
315 La spesa italiana in quel settore all’epoca ammontavano a 12 milioni di lire e un solo impianto sperimentale presso Sant’Ilario e gestito dal Cnr, Vacchi, Il mondo in riserva, p. 150.
316 Se muore l’automobile. Le misure di austerity/Una svolta storica per l’economia, la politica, il costume. Dove condurrà?, «L’Espresso» 2 dicembre 1973, copertina.
317 Vivere con l’austerità. Gli italiani riscoprono le città. I ristoranti trasportano i clienti in calesse. I locali notturni cercano di trasformarsi in club privati. Ma l’euforia iniziale si è spenta: pochi i permessi di circolazione, freddo in casa, «Panorama», 13 dicembre 1973, p. 47.
318 Il direttore del Club, Enrico Casali, giustifica l’iniziativa definendola: «una trovata spiritosa per attirare la gente e insieme una protesta contro un provvedimento mal meditato».
319 Vivere con l’austerità. Gli italiani riscoprono le città. I ristoranti trasportano i clienti in calesse. I locali notturni cercano di trasformarsi in club privati. Ma l’euforia iniziale si è spenta: pochi i permessi di circolazione, freddo in casa, «Panorama», 13 dicembre 1973, p. 47.
320 Ivi.
321 Ivi. 322 Andremo tutti in bicicletta, «Grazia» 2 dicembre 1973, p. 90.
323 Vivere con l’austerità, «Panorama», 13 dicembre 1973, p. 47.
324 Ivi.
325 L. Jannuzzi, Se il governo non resiste, «L’Espresso» 2 dicembre 1973, p. 4.
Silvia Pizzirani, Consumismo virtuoso? Il rapporto tra politica e consumi in Italia negli anni Settanta, Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2022