Le streghe che non siete riusciti a bruciare

“Siamo le streghe che non siete riusciti a bruciare” gridano nel 2013 le donne nelle piazze spagnole durante le proteste contro la legge che pone dei forti limiti rispetto al diritto all’aborto, mettendo in evidenza come persino ciò che viene bruciato o eliminato con estrema violenza sembra in qualche modo lasciare una traccia. La possibilità di sovvertire la storia, rideterminare l’archivio, «risvegliare la controstoria dormiente» <522 è elemento centrale all’interno degli studi postcoloniali.
«My position could be consonant with White’s» <523: con queste parole Gayatri Spivak assume una posizione all’interno del dibattito sulla storiografia che fino ad ora è stato presentato facendo esclusivo riferimento ai contesti europeo e statunitense. La frase si riferisce ad un passo in cui Hayden White afferma che «il linguaggio è lo strumento di mediazione tra la coscienza e il mondo in cui la coscienza risiede», rimarcando una posizione dello storico alla ricerca della “forma di realtà” che gli consenta di scrivere una storia “corretta” <524.
Tuttavia, nel momento in cui cambia il punto di vista sulla discussione si spalancano nuove prospettive, come quella sulla subalternità postcoloniale che Spivak propone in “A critique of postcolonial reason”. Il dominio inglese arriva ad imporre anche un immaginario, dal momento che nel corso dei secoli la cultura indiana ha assunto un punto di vista e degli strumenti critici dei dominatori. Secondo quest’ottica, i testi a disposizione possono essere letti come testi di finzione, come costruzioni che non rispecchiano ciò che pretendono di rappresentare: “the records I read showed the soldiers and administrators of the East India Company constructing the object of representations that becomes a reality of India. This is “literature” in the general sense- the archives selectively preserving the changeover of the episteme-as its condition; with “literature” in the narrow sense- all the genres- as its effect- The distincion- between archive ad literature- blurs a bit later. To grasp the distinction, the literary critic must turn to the archives. On a somewhat precious register of literary theory it is possible to say that this was the construction of a fiction whose task was to produce a whole collction od “effects of the real,” and that the “misreading” of this “fiction” produced the proper name “India”. The colonizer constructs himself as he constructs the colony”. <525
Utilizzare i testi dei postcolonial studies non serve solo a rimarcare l’esistenza di un punto di vista altro rispetto a quello occidentale, ma a sollevare la questione della subalternità e, sempre citando Spivak, a mettere in discussione il fatto che il soggetto subalterno possa effettivamente parlare, o raccontare la propria storia. Vero è che tale questione potrebbe essere sollevata utilizzando anche testi molto più “europei”, su tutti le riflessioni di Gramsci sul Risorgimento. Tuttavia il riferimento agli studi postcoloniali consente di aggiornare le tematiche rispetto ad un contesto differente, nonché di inserire la riflessione sul concetto di subalternità per come essa si è sviluppata recentemente a livello globale. Da questo punto di vista sembra quasi ottimista la visione per cui all’interno della storia nulla vada perso e che il passato ritorni sempre nel momento dell’emergenza, dal momento che proprio gli studi postcoloniali fanno emergere un’assenza importante nelle ricostruzioni di ciò che è avvenuto: per quanto abbiano lasciato una traccia, le streghe sono comunque state bruciate.
In “Selected subaltern studies”, Edward Said specifica innanzitutto ciò che si definisce come subalterno all’interno della storia indiana. L’analisi di Gramsci è tradotta individuando nel soggetto subalterno il soggetto alle classi alleate «o con gli inglesi […] o con una ristretta cerchia di discepoli, studiosi o epigoni che in qualche senso collaborarono con gli inglesi» <526. Introducendo i saggi di Ranajit Guha che analizzano le ricostruzioni della storiografia indiana rispetto alla storia della lotte anti-coloniali, Said scrive: “secondo Guha, tutte queste letture della storia indiana sono essenzialmente limitate e deficitarie. Esse mancano infatti di cogliere il ruolo costitutivo svolto dell’enorme massa dei subalterni indiani, dei poveri metropolitani e dei contadini che lungo tutto il diciannovesimo secolo, e anche prima, resistettero al governo britannico in termini e con modalità sensibilmente diversi da quelli dell’élite”. <527
Il fatto che la storia delle classi subalterne abbia così scarsa possibilità di affiorare in superficie è sintomo di una violenta repressione ai danni del popolo indiano. Di fronte ai tentativi di ricostruire la storia dal punto di vista degli oppressi, Gayatri Spivak ricorda che la condizione stessa di chi scrive storia è necessariamente contraddittoria rispetto al soggetto subalterno: “il linguaggio sembra fare uno sforzo anche per riconoscere che la visione del subalterno, la sua volontà e presenza, non possono costituire altro che una finzione teorica finalizzata a rendere legittimo il progetto di interpretazione. La coscienza del subalterno non può essere recuperata”. <528
Spivak si riferisce evidentemente ad un contesto del tutto particolare che non può essere automaticamente riportato ad una totalità. L’impegno di Spivak è anzi proprio quello di sottolineare e rimarcare le differenze tra il contesto europeo e quello indiano, mettendo in guardia dall’idea di assumere, seppur tatticamente, un’impostazione europea. Tuttavia rimane centrale una riflessione su come lo storico si situa nel momento in cui tenta di fare emergere ciò che della storia è stato nascosto: «lo storico deve insistere nei propri sforzi, per raggiungere la consapevolezza che il subalterno è necessariamente il limite assoluto dello spazio in cui la storia è narrativamente trasformata in logica» <529.
Si tratta del limite estremo a cui si può approda attraverso una messa in discussione della storia: il limite per cui lo storico non può aspirare a rappresentare davvero la storia del subalterno, dal momento che il modo in cui si situa all’interno della società glielo impedisce. Si tratta tuttavia di un limite produttivo, che riconfigura il senso del ruolo della scrittura della storia e il valore di una necessaria “strategia” storiografica.
Prendendo atto dell’impossibilità di una presa di parola effettiva da parte del subalterno, si arriva a postulare un non-detto che è caratteristica ontologica della storia. Il subalterno risulta essere in qualche modo simile al “musulmano” dei campi di concentramento, descritto da Levi. Entrambi sono ampiamente parlati. L’idea che la narrazione della storia sia necessariamente legata alla voce dei vincitori, dei sopravvissuti o dei “salvati”, mostra dunque uno statuto dei testi storici del tutto contraddittorio.
[NOTE]
522 Catherine Gallagher, Stephan Greenblatt, Practicing nwe historicism, 2001, University of Chicago Press, Chicago, 2000, p. 74.
523 Gayatri Chakravorty Spivak, A critique of postcolonial reason. Toward a history of the vanishing present, Harvard University Press, Cambridge-Londra, 1999, p. 203.
524 «Language is the instrument of mediation between the consciousness and the world that consciousness inhabits», Hayden White, Tropics of Discourse. Essay in cultural Criticism, in Gayatri Chakravorty Spivak, A critique of postcolonial reason. Toward a history of the vanishing present, Harvard University Press, Cambridge-Londra, 1999, p. 202-203.
525 Gayatri Chakravorty Spivak, A critique of postcolonial reason. Toward a history of the vanishing present, p. 203.
526 Edward W. Said. “Introduzione”, p. 7-17, in Ranajit Guha, Gayatri Chakravorty Spivak, Selected Subaltern Studies, Oxford University Press, New York-Oxford, trad it. Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo, Verona, Ombre Corte, 2002, p. 20.
527 Ivi, p. 20-21.
528 Gayatri Chakravorty Spivak, “Subaltern studies. Decostruire la storiografia”, in Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo, Verona, Ombre Corte, 2002, p. 115 .
529 Ibid., p. 120.
Paolo La Valle, Raccontare la storia al tempo delle crisi, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2015