Il villaggio Anic a Ravenna

Nel 1954 l’Eni scoprì un grande giacimento di metano nei pressi di Porto Corsini di Ravenna e così l’Anic (Azienda nazionale idrogenazione combustibile), società del gruppo Eni, decise di costruire sul posto una raffineria per la produzione di gomma sintetica e fertilizzanti. A questa decisione seguì, pochi anni dopo, l’entrata della stessa società sul mercato italiano dei fertilizzanti, il quale era dominato quasi esclusivamente da due giganti, l’Edison e la Montecatini. L’Anic impose una politica di mercato del tutto innovativa. Il sistema dei prezzi della società Anic seguì lo schema impostato dal gruppo Eni, riducendo notevolmente i prezzi dei prodotti offerti sul mercato nazionale, così come avevano fatto anche l’Agip con la benzina e la Snam con il metano. “Fin dall’inizio, l’Anic offrì i suoi fertilizzanti ad un prezzo unico per tutto il paese, inferiore del 15% alla media praticata sul mercato. L’unificazione del prezzo fece scomparire lo svantaggio di cui avevano sofferto le regioni meridionali, che in precedenza avevano dovuto sopportare spese di trasporto più elevate per la loro maggior distanza dai centri di produzione” <48. Anche in questo caso, insomma, la dinamica iniziativa di Mattei rompeva posizioni da tempo consolidate, nel tentativo di condurre a forti ribassi e a cospicui allargamenti del mercato.
Come nel caso di Gela, l’Eni cercava di stabilire un rapporto culturale e una continuità storica tra la tradizione locale e il nuovo polo industriale: “Lo stabilimento sorge sulle rive del canale Candiano, che collega la città al mare, dove sarebbero affluiti i materiali per la costruzione e sarebbero partiti i prodotti finiti. Ritornano attuali le antiche vie commerciali che già, al tempo in cui fu costruita la Basilica di S. Apollinare in Classe, fecero la grandezza di Ravenna. Il sottosuolo di questa terra oggi racchiude una ricchezza nuova; il metano.” <49
L’intervento dell’Eni nella zona di Ravenna venne interpretato come una possibilità unica per la città di riallacciarsi alla gloria e alla fama dei tempi passati, attribuendo all’Eni il ruolo del Redentore. “Nella città famosa per memorie di storia e d’arte, fino ad oggi vissuta della propria agricoltura, è scoccata l’ora della grande industria moderna, che la toglierà dal secolare isolamento.” <50
Tra il 1957 e il 1958, poco prima dell’inaugurazione dello stabilimento, l’Anic si premurò di far produrre un filmato per spiegare ai dipendenti le tecniche all’avanguardia adottate nel nuovo complesso industriale. Il documentario “Il Gigante di Ravenna”, realizzato dal regista Ferdinando Cerchio, mostra i tre fasi del ciclo di produzione: disboscamento dei terreni, imballo e spedizione dei prodotti ottenuti attraverso la trasformazione chimica del metano.
Per la costruzione del nuovo polo, ubicato lungo il Candiano, il canale che collega la città al mare, vennero incaricati gli architetti Bacigalupo e Ratti che dovettero ampliare il progetto più volte a causa dei giacimenti di metano rivelatesi più consistenti di quanto non fosse sembrato inizialmente.
Il nuovo polo industriale fu inaugurato con una grande cerimonia nell’aprile del 1958.
[…] Nello stesso anno in cui l’Anic decideva di costruire una industria petrolchimica a Ravenna, Mario Bacciocchi progettava un insediamento da realizzare nei pressi dello stabilimento. L’idea di erigere un villaggio per gli operai e i dipendenti risultava quindi sin dall’inizio fondamentale all’interno del programma pensato dall’Eni per Ravenna, anche se il villaggio avrebbe visto la luce solo qualche anno più tardi, portato a termine da altri progettisti.
Nel disegno di Bacciocchi il villaggio sorgeva in prossimità allo stabilimento ed era accessibile da un’entrata meno pomposa ed importante di quella per l’area industriale, contraddistinta da colonnati ed edifici amministrativi. Si possono riscontrare numerosi paralleli tra l’insediamento di Ravenna e quello di Metanopoli: si pensi alla particolarità della spina alla quale è praticamente “appeso” il quartiere e allo strano fatto che questa corre senza un vero e proprio punto di arrivo. Altre analogie nella concezione di Metanopoli e del complesso ravennate sono rappresentate dalla griglia stradale rigorosamente geometrica che ripete sempre il medesimo modulo e dall’uso che Bacciocchi fa delle tipologie di edilizia residenziale: il palazzo condominiale a più piani su pianta rettangolare e la casa plurifamiliare di due piani su pianta a L, che si collocano lungo la spina.
Evidentemente la proposta di Bacciocchi non ottenne il dovuto riscontro negli uffici dell’Eni. A causa, però, della necessità impellente di creare degli appartamenti per i dipendenti, l’ente costruì nel 1956 il cosiddetto “Residenziale”, un complesso abitativo che sarebbe stato presto denominato anche “Modulo Z” per la forma particolare della sua pianta. Il Residenziale, un edificio di tre piani, fu collocato nell’estremità sud-est della zona industriale, diviso dallo stabilimento soltanto da una stretta striscia di verde. L’ubicazione era quella prevista già da Bacciocchi nella sua proposta, che risultava per il momento ridotta ad un unico complesso residenziale. Le tre ali dell’edificio erano percorse da una sorta di corridoi senza fine, che avrebbero dovuto rappresentare in maniera del tutto lecorbusiana l’idea della strada, generando così uno spazio destinato alla vita sociale degli abitanti. Dopo la sua inaugurazione, avvenuta nel 1957, gli appartamenti furono assegnati soprattutto a tecnici, a ingegneri e alle loro famiglie considerando il fatto che il loro ruolo all’interno della fabbrica rendeva necessario la loro disponibilità 24 ore su 24. I dipendenti potevano raggiungere il complesso industriale tramite una piccola porta che si trovava nel muro di cinta dell’Anic assicurando così un accesso veloce e diretto allo stabilimento. Il Modulo Zeta rappresentava però una soluzione puramente transitoria, nata dall’urgenza di offrire un alloggio per i dipendenti. Normalmente la strategia dell’Eni prevedeva di fornire, oltre all’alloggio, anche una completa infrastruttura. Il Residenziale costituì perciò un caso a parte nell’edilizia residenziale dell’Eni, anche se il complesso rimase in funzione fino agli anni ’80.
Poco dopo l’esperienza del Modulo Z, l’ente decise di realizzare un villaggio residenziale autonomo. Già nel 1957 la società Anic acquistò un area di circa 45 ettari, situata a nord-est della città, abbandonando così definitivamente l’idea di un quartiere a ridosso dello stabilimento. Il lotto si trovava a circa un chilometro e mezzo in linea d’aria dal polo petrolchimico, in una collocazione isolata rispetto al resto della città e raggiungibile solamente tramite l’antica via Chiavica Romea.
[…] Il progetto dell’insediamento fu elaborato in quattro tappe successive che si protrassero fino alla sua realizzazione definitiva nel 1964. In un primo tempo furono incaricati gli architetti sinora sconosciuti tra i progettisti dell’Eni, Vito e Gustavo Latis <51, i quali avrebbero dovuto elaborare il piano per il nuovo insediamento. In seguito, dopo i primi lotti, il progetto venne affidato al consueto Studio milanese di Bacigalupo e Ratti. I fratelli Latis, che lavorarono per conto dell’Eni solo a Ravenna, presentarono nel novembre del 1958 un progetto unitario di dimensioni enormi (per circa 12.000 persone) che non fu mai realizzato. Solo i primi due nuclei del nuovo villaggio sono opera dei due architetti <52. Il primo lotto consiste in 5 edifici (1957/58) collocati parallelamente alla strada. I fabbricati in linea, di mattoni a vista a tre piani e su pilotis si contraddistinguono dalle dinamiche linee del tetto a una falda, raggruppandosi intorno alla centrale termica costruita appositamente per il quartiere. Nel biennio seguente altri dieci palazzi condominiali, progettati sempre dai fratelli Latis, vennero portati a termine. Si tratta di edifici a tre piani con una struttura in cemento armato a vista, che riprendono il rivestimento in mattoni degli edifici precedenti e rinunciano, però, agli angoli acuti del tetto. Gli ultimi edifici non sono più disposti ortogonalmente, ma si raggruppano in un andamento più libero intorno a cortili aperti che dispongono di sentieri per i pedoni. Nella tipologia del mattone a vista e nella struttura di cemento armato grezzo si possono cogliere reminiscenze dei principi del brutalismo inglese.
Nella fase successiva della realizzazione avvenne il cambio dei progettisti. Evidentemente i piani e le proposte dei fratelli Latis non erano stati giudicati benevolmente dall’ente. La scelta per i consueti architetti dell’Eni, Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, non fu, però, immediata. Soltanto così si spiega la proposta di Edoardo Gellner nel 1960; l’architetto, ancora immerso nel lavoro per Corte di Cadore e nell’elaborazione dei piani per Gela, presentò su richiesta della Snam alcuni schizzi per il villaggio Anic, limitandosi però a pochi studi preliminari. Dagli schizzi di Gellner si può dedurre ch’egli aveva in mente una completa revisione del programma urbanistico, localizzando i servizi collettivi nell’area centrale mentre le strutture residenziali rimanevano nelle fasce più esterne. Le unità abitative si organizzavano in una configurazione planimetrica ‘a grappolo’ intorno ad uno spazio verde, tipica organizzazione concepita da Gellner. I motivi di questo intermezzo di Gellner non sono del tutto chiari, ma evidentemente il progetto molto razionalista e poco inventivo delle prime due fasi della realizzazione del progetto di Ravenna non corrispondeva alle aspettative dell’Eni. La critica proveniente dall’interno dell’ente e la decisione di affidare l’incarico ad un altro progettista furono probabilmente anche all’origine della fondamentale trasformazione del progetto del villaggio nella quarta e ultima fase della realizzazione, quando lo Studio Bacigalupo e Ratti cambiò completamente rotta a favore di una nuova impostazione urbanistica, con una densità di edifici molto più bassa e più verde.
Tra il 1960 e il 1961, durante la terza fase della realizzazione del villaggio, lo Studio Bacigalupo e Ratti, invece, non aveva ancora abbandonato l’idea di un quartiere abbastanza denso. I palazzi condominiali da loro progettati erano infatti raggruppati intorno ad uno spazio comune che evocava un accentuato carattere urbano. Per il terzo lotto lo studio BR aveva ideato dei palazzi residenziali su una pianta a V molto aperta aggiungendo al punto d’intersezione delle due ali un ulteriore corpo di fabbrica su pianta poligonale. Il tetto sporgente, invece, conferiva all’edificio un’ulteriore accentuazione. I palazzi erano, in poche parole, una spudorata copia delle cosiddette “Case a V” costruite da Nizzoli, Oliveri e Fiocchi qualche anno prima per Metanopoli.
Sempre nel 1961 fu costruita anche una seconda centrale termica più grande, adiacente ai palazzi del terzo lotto.
Nell’ultima fase della realizzazione avvenne poi un’espansione territoriale importante che determinò l’aspetto dell’intero villaggio. Questo adesso si proiettava in direzione nord oltre il viale Enrico Mattei, posto perpendicolare alla antica via Chiavica Romea e rimasto fino al 1989 una strada senza uscita, raddoppiando quasi la sua estensione. Il viale Mattei si trasformava così da un strada delimitante il quartiere ad asse principale dello stesso quartiere. Il nuovo lotto era perimetrato da una via che seguiva un disegno rettangolare. Ai suoi lati più corti si trovavano due edifici di sei piani, posti uno di fronte all’altro quasi in asse simmetrico, che creavano una sorta di punto fermo all’interno della composizione. Due edifici di sviluppo orizzontale, alti solo tre piani, si allineavano invece sul lato lungo del rettangolo e altri due al lato corto settentrionale del nuovo lotto. Questa disposizione particolare creava uno spazio libero enorme destinato ai giochi per bambini, ai sentieri pedonali e al verde. Altri due dei cosiddetti “treni” erano collocati sul lato sud del nuovo lotto, oltre viale Mattei, paralleli all’asse principale e speculari agli altri due edifici in linea che delimitavano il villaggio in direzione nord. Gli architetti avevano ripreso con la tipologia “treno” una soluzione per l’edilizia residenziale, già adottata da loro per l’ampliamento di Metanopoli, a Bolgiano, qualche anno prima.
Quando finalmente l’insediamento venne completato, nel 1964, si resero disponibili alloggi per 2000 abitanti, insieme a un’infrastruttura sociale ricca ma non ancora completa. Già all’inizio degli anni Sessanta gli architetti milanesi avevano costruito la scuola materna e quella elementare, dove la prima, più grande, ospitava anche un locale bar e alcuni negozi. Durante gli anni Settanta furono aggiunte le strutture sportive: un bocciodromo, dei campi da tennis, da calcio e pallacanestro, costruiti e gestiti dall’azienda fino agli anni Ottanta. La scuola materna, con annessi servizi vari, fu demolita in seguito alla privatizzazione del villaggio Anic negli anni Novanta e al suo posto sorge ora un edificio di impronta postmoderna; la scuola elementare ideata con la stessa tipologia che lo Studio Bacigalupo e Ratti avevano adoperato anche per le scuole di Metanopoli e Gela, ha, invece, subito una ristrutturazione che rende praticamente irriconoscibile la sua struttura originaria.
Un altro elemento, tipico per un villaggio Eni, era la chiesa, che a Ravenna, però, fu realizzato solo negli anni successivi alla morte di Mattei (la lunga storia della chiesa e della assistenza religiosa al villaggio sarà riportato più dettagliato in III. 2.5. Il ruolo della religione e le chiese dell’Eni). Le scuole dell’Eni erano naturalmente riservate ai figli dei dipendenti ed erano gestite dalle suore salesiane. Nonostante il numero relativamente basso degli abitanti, le scuole avevano numerosi allievi dato che il villaggio Anic, come tutti gli insediamenti Eni, era decisamente giovane. Gli appartamenti inoltre venivano assegnati attraverso una graduatoria di merito, basata sul numero dei figli del nucleo familiare. Il costo degli affitti per un appartamento era relativamente basso, nel 1964 un appartamento medio costava 22.000 lire al mese, riscaldamento e acqua calda compresi. L’acqua veniva fornita da una centrale idrica realizzata esclusivamente per i bisogni del quartiere, e anche se usciva di color giallo oro per la presenza di alte concentrazioni di ferro e tannino, era comunque potabile e disponibile in quantità abbondante. Lo standard di vita nel villaggio era molto alto rispetto a quello della città (si rammenti che negli anni della costruzione del villaggio l’erogazione dell’acqua in città era limita a 6 ore a giorno). La centrale termica costruita appositamente per il villaggio forniva talmente tanta energia che, come ricordano testimoni del tempo <53, il riscaldamento interrato nel pavimento faceva evaporare l’acqua quando si passava lo straccio per terra. Anche se si possono annoverare tanti vantaggi per la vita all’interno del villaggio Anic, come nel caso di Gela, si presentarono non poche difficoltà nella convivenza tra i ravennati e i nuovi arrivati da tutte le parti d’Italia. Oltre al problema della lingua (la maggior parte della gente parlava il suo dialetto), i dipendenti Anic vivevano una vita tutta loro al di fuori della realtà della città di Ravenna, sia per l’ubicazione isolata del villaggio che per la differenza tra la realtà agricola romagnola e il contesto creato dal nuovo polo petrolchimico. Inoltre, a partire degli anni Sessanta, si crearono non poche tensioni a causa delle proteste sindacali sfociate negli scioperi che si diffusero poco tempo dopo. Essi costituiscono uno degli aspetti più significativi delle lotte operaie, che hanno segnato la storia d’Italia di quel periodo.
[NOTE]
48 M. Magini, L’Italia e il petrolio… cit., pp. 153 sg.
49 Piermaria Paoletti, Il Gigante di Ravenna, “Il Gatto selvatico”, a.6, 1960, n.2, p. 7.
50 Bartolo Ciccardini, Ravena ieri e oggi, “Il Gatto selvatico”, 1957, a.3, n. 3, p.13
51 “Vito Latis architetto ed urbanista, nato a Firenze nel 1912. Attivo a Milano. Opere: La Spezia, Osservatorio Catina; Milano, ricostruzione del Palazzo Borromeo, case in via Dandolo, via Carlo Porta, via Turati e piazza della Repubblica. Inizia a collaborare con il fratello Gustavo, nato nel 1920, nel 1958. I primi due nuclei del Villaggio Anic sono la loro opera più significativa.” Dalla voce Vito Latis del Dizionario Enciclopedico dell’architettura e urbanistica.
52 Angela Maria Longo, Un villaggio operaio: L’Anic a Ravenna, tesi di laurea in geografia, Università di Bologna, relatore Prof. Stefano Torresani, a.a. 2003/04, pag. 118 sgg. L’incarico dei fratelli Latis per il progetto del villaggio Anic viene riportato in questa tesi in modo molto approfondito. Una nota sul progetto anche nel Catalogo Bolaffi dell’architettura italiana 1963-66, op. cit., p. 314.
53 Intervista con i coniugi Franco Ferrozzi e Dea Gennari (giugno 2006) che abitano ancora oggi nel villaggio Anic.
Dorothea Deschermeier, Avventure urbanistiche e architettoniche dell’Eni di Enrico Mattei (1953-1962). Tra progetto e strategia aziendale, Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno Accademico 2006-2007