Segretario di Gramsci, generale sovietico, spia e, forse, disertore negli Stati Uniti

Fonte: Ministero della Cultura art. cit. infra

Sembra ispirata alla trama di un romanzo di Le Carrè, e invece è la vita – vera – di Carlo Codevilla, lo ‘007 italiano di Stalin’. Uno studente piemontese divenne punta di diamante dei Servizi segreti sovietici e generale dell’Armata Rossa durante il secondo conflitto mondiale, sino alla morte misteriosa, avvenuta nel 1949 a New York, forse per mano degli stessi russi a cui aveva voltato le spalle per scegliere il mondo occidentale. Amico personale di Lenin e Trotsky, stretto collaboratore di Antonio Gramsci nell’esilio viennese, primo alto esponente dell’Internazionale comunista in Spagna alla vigilia della guerra civile, Codevilla riparò in Urss nel 1921 per sfuggire alla condanna all’ergastolo che gli era stata inflitta per essere stato implicato nell’assassinio di due militanti fascisti a Castelnuovo Scrivia, paese al confine fra la provincia di Alessandria e quella di Pavia.
Nacque così la storia del ‘Moro’, il tenebroso 007 italiano del Comintern, amato dalle donne e apprezzato dai suoi capi. Tutto, in quei primi anni nella patria del socialismo, pareva sorridergli, mentre il regime leninista studiava le tattiche per scatenare l’ondata rivoluzionaria nel resto d’Europa. I corsi da politruk, l’agente-commissario politico, a Leningrado. Poi le delicate missioni all’estero. Germania, Francia, l’Austria al fianco di Antonio Gramsci, forse anche l’Italia sfidando le ire e la vana caccia della Polizia mussoliniana.
Fra le imprese più rilevanti della sua carriera della ‘spia rossa’, spicca il rapimento di Miller, generale zarista che era riparato a Parigi dopo l’avvento al potere dei bolscevichi. Una missione che gli valse il conferimento dell’ordine di Lenin, la più alta onorificenza sovietica.
Roberto Lodigiani, Carlo Codevilla, la “spia di Stalin”, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, 8 luglio 2016

Per la rubrica “Il libro della settimana”, venerdì 14 maggio alle 17.00, sulla nostra pagina Facebook, presentiamo “La spia di Stalin. La vera storia di Carlo Codevilla” di Roberto Lodigiani (Mursia, 2015). Con l’autore ne parlano Pierangelo Lombardi, Giorgio Gatti e Antonella Campagna.
“Una storia vera che getta una luce inedita sullo spionaggio sovietico nel ventennio cruciale fra l’instaurazione dello stalinismo, la fine del Secondo conflitto mondiale e l’immediato dopoguerra, attraverso le vicende di uno dei suoi migliori agenti: Carlo Codevilla, lo 007 italiano di Stalin”.
Estate 1921. A Mosca, capitale della giovane repubblica dei Soviet, arriva uno studente italiano. Si chiama Carlo Codevilla, ha 21 anni ed è originario di Tortona, cittadina del Basso Piemonte. In Italia è ricercato per l’omicidio di due fascisti, ma se questo ne fa un fuorilegge nel suo Paese, diventa una nota di merito nell’Unione Sovietica.
Viene subito chiamato a lavorare nell’apparato dell’Internazionale comunista e, dopo pochi mesi di apprendistato, è inviato in Germania, con l’incarico di trovare armi da far recapitare clandestinamente in Italia.
Inizia così la sua brillante carriera di agente del Comintern e dei servizi segreti sovietici. Una carriera che lo porterà in Spagna durante la guerra civile fra repubblicani e franchisti, in Francia a caccia del doppiogiochista Eros Vecchi e dell’ex ufficiale zarista Miller, in Messico nei giorni dell’assassinio di Leone Trotsky, per poi indossare l’uniforme di generale dell’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale.
La sua storia viene raccontata in questo libro come in un romanzo, fino alla morte misteriosa a New York nel 1950. Una vita avventurosa ma segnata dai compromessi e dalla bufera delle repressioni staliniane che avrebbe spazzato via anche i suoi vecchi compagni di lotta, scuotendo la sua fede nel comunismo.
Redazione, Roberto Lodigiani, La spia di Stalin. La vera storia di Carlo Codevilla, Ministero della Cultura, 14 maggio 2021

Questi due documenti – il secondo dei quali reca l’intestazione « Solo Ercoli può leggere. Poi distruggere » – meritano molta attenzione: sia per le circostanze singolarissime dell’arresto di Scoccimarro (che poi Scoccimarro raccontò in altro modo facendo scomparire Grieco dalla scena dell’arresto e collocando l’arresto per la strada) sia per le date, alquanto sconcertanti come vedremo, del tentativo di espatrio di Gramsci. Diciamo subito che il dato di fatto fornito dal primo rapporto è che « il passo », cioè il passaggio di Gramsci in Svizzera era fissato per l’11 novembre.
Ma, prima di addentrarci nell’analisi, conviene chiedersi chi sia «Ugo». Un competente di rango quale Tommaso Detti lo ha identificato senz’altro con Carlo Codevilla.
[…] In realtà si può dire con piena ragione che qui si tratta di Codevilla, perché al termine del primo messaggio lo scrivente chiede di ricevere la posta a Parigi, presso Rolland, « busta interna per Ugo Moro » e Moro era uno dei nomi di battaglia di Codevilla.
Quanto a Carlo Codevilla (detto erroneamente Mario sia dalla Ravera nel “Diario di trent’anni” [1973], sia da Pillon [1967], sia da T. Detti [1975]), la sua vicenda e la sua figura sono degne di attenzione. Egli è, tra l’altro, lo sparatore del celebre “incidente” di Sartrouville (1932), cioè della fallita esecuzione capitale di Eros Vecchi (considerato responsabile, per le sue soffiate all’Ovra, dell’arresto di Ravera e dell’intero centro interno, rientrati in Italia nell’illusione dell’imminente spallata rivoluzionaria). Nel ’23 era stato posto dal Komintern accanto a Gramsci come segretario, durante il periodo viennese, e già allora Codevilla era uomo dei servizi segreti sovietici. C’era stato uno screzio epistolare tra Gramsci e Scoccimarro (a nome della direzione) proprio a proposito della nomina di Codevilla come segretario di Gramsci, e il partito aveva comunque inviato a Vienna anche il triestino Zamis. Quanto poco Gramsci avesse familiarizzato col suo segretario viennese Codevilla si ricava da un cenno in una lettera a Giulia: « Sono sempre solo – scrive Gramsci -. Il mio compagno non mi procura invero nessuna comunione di pensieri che vada al di là di una banale conversazione ». Codevilla aveva nelle sue mani tutta l’organizzazione preliminare del III Congresso del PCdI, che avrebbe dovuto tenersi a Vienna e che invece si dovette svolgere a Lione (gennaio ’26), proprio per il venir meno di Codevilla, costretto, sia pure temporaneamente, a uscire di scena per l’aggravarsi in forme estreme della sua tubercolosi. Poi sarà in Ispagna durante la guerra civile, sempre come esponente del NKVD. Rientrato in Francia con altri nomi di battaglia (non piú «Moro» o «Monti», come ai tempi della collaborazione con Gramsci, ma «Carlos» o anche «Pablo») è incaricato dai sovietici del rapimento (finito tragicamente) di un ex-generale zarista impegnato ad organizzare gruppi revanscisti di tipo militare. «Carlos» viene decorato con l’ordine di Lenin, quindi diventa durante la guerra commissario politico dell’Armata rossa col rango di generale. Il colpo di scena si ha nell’immediato dopoguerra allorché lo ritroviamo, con il ruolo di copertura di «commerciante», a New York, passato ai servizi Usa. Venne ucciso nell’agosto 1950 da emissari del servizio da cui aveva disertato.
Un personaggio che ha svolto tali ruoli è difficile dimenticarlo. Sorprende perciò che in appunti preparati per Spriano, in vista del suo lavoro, da Luigi Longo e da Edoardo D’Onofrio quest’uomo venga indicato come « un certo Codevilla » (Spriano, Storia del PCI, cit., III 1970, p. 215 n. 2), e che lumi Spriano abbia tratto, su questo personaggio, unicamente da un cenno fatto da Leo Valiani in una conferenza tenuta a Sesto Fiorentino nel 1975 in un ciclo di lezioni intitolato “Togliatti e De Gasperi, due protagonisti”. invece Giuseppe Berti aveva serbato ottima memoria di Carlo Codevilla (lo chiamava « il famoso Codevilla ») e forní su di lui un’amplissima scheda, con dettagli notevoli sull’incidente di Sartrouville, a Sergio Bertelli, che la riprodusse per intero a p. 36 del suo volume “Il gruppo” (1980).
«Ugo» si esprime come responsabile dell’apparato clandestino, che Ravera chiama «ufficio tecnico» e alla cui testa colloca, ogni volta che lo cita, Grieco.
Il dato sconcertante è che «Ugo» ha predisposto (lo dice chiaro sia nel primo che nel secondo documento) il salvataggio di Gramsci per una data innegabilmente tardiva (11 novembre) rispetto alla riunione di Valpolcevera (1°-3 novembre) a conclusione della quale era stabilito che Gramsci avrebbe dovuto espatriare.
Non regge l’ipotesi di Detti (pp. 159-60) secondo cui quello dell’11 novembre potrebbe essere un secondo tentativo; «Ugo» dice chiaro, nel primo documento datato 9 novembre, che l’espatrio di Gramsci è previsto per giovedí, dunque per l’11: « Antonio farà il passo giovedí ». «Ugo» parla chiaramente del tentativo dell’11 andato a vuoto come del primo e ne prospetta (mostrando di non contarci troppo, pur sminuendo la notizia della «Rote Fahne» sul già avvenuto arresto di Gramsci) un secondo e ultimo.
Luciano Canfora, Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937, Salerno Editrice, 2012

Dopo l’attacco tedesco all’Urss, il 22 giugno 1941 (operazione Barbarossa), Codevilla venne cooptato nell’esercito russo, con i gradi di generale, addetto all’interrogatorio dei prigionieri nemici. Fu così che al suo cospetto vennero portati due militari italiani, uno dei quali era di Tortona: il “Moro” non resistette, rivelò la sua vera identità e liberò entrambi, dopo aver consegnato loro una lettera destinata alla madre, in Italia. Nel 1944, una nuova missione lo condusse negli Stati Uniti, a New York, ma l’entusiasmo giovanile aveva lasciato ormai spazio al disincanto e allo sgomento di fronte ai crimini dello stalinismo, la cui macchina del terrore aveva travolto anche diversi dei suoi vecchi amici tortonesi, che come lui si erano rifugiati in Russia dopo i fatti di Castelnuovo.
Codevilla ruppe con i servizi sovietici? Non è mai stato chiarito, anche se nel 1949, mentre nella “Grande mela” si stava dedicando ufficialmente al commercio di auto, subì un’aggressione che ne accelerò la morte, avvenuta pochi mesi più tardi.
Roberto Lodigiani, Codevilla, il tortonese spia dell’Urss: resta un mistero la morte a New York, la Provincia Pavese, 26 aprile 2020

“Carlos Codevilla – All for the Automobile”. Questa scritta si poteva leggere sull’appartamento 813 di un grattacielo di Wall Street, a New York. Smessi i panni della spia, Codevilla a guerra finita aveva indossato quelli del venditore. Una copertura per proseguire l’attività spionistica negli States, sempre al servizio di Mosca, oppure il segno di una reale svolta nella sua vita e del taglio netto con il suo passato di fedele servitore del regime sovietico? Forse non lo sapremo mai, anche se si ipotizza di suoi contatti con ambienti socialdemocratici di Tortona, che lui avrebbe sondato per preparare il passaggio di campo con l’Occidente e il futuro ritorno in Italia. Sta di fatto che Codevilla non rimise più piede nella “Patria del socialismo”, la sua terra adottiva. Un giorno d’inverno del ’49, uscendo dall’ufficio, fu pugnalato alla schiena da due sconosciuti, forse emissari che volevano punirlo per il suo tradimento. Codevilla riuscì a cavarsela, ma l’aggressione peggiorò le sue già precarie condizioni fisiche. Il 17 agosto 1950, alle nove del mattino, la morte dopo una lunga agonia. L’ultimo suo gesto fu un gesto di generosità: Codevilla, ormai senza parenti prossimi, dopo il decesso del fratello e della madre, lasciò tutti i suoi averi – circa venti milioni di lire dell’epoca – all’orfanotrofio di Tortona.
Roberto Lodigiani, Codevilla, la spia sovietica venuta da Tortona, Schegge di Storia

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