Sulla jeep c’eran due filippini

Il Comando Marte si riuniva nei posti più strani [n.d.r.: di Firenze]. Qualche volta in casa del col. Mazzi, nel viale Regina Vittoria, alla fabbrica di ceramiche di Renato Fantoni, in chiese, in giardini pubblici, per la strada, fino a che non ci trasferimmo definitivamente alla sede della società Larderello che avevamo tenuto in serbo quale sicura e centrale posizione di comando, per il probabile periodo di emergenza.
Il 22 luglio fui chiamato a partecipare alla riunione del CTLN in via Condotta nell’ufficio di Dall’Oppio. In tale occasione svolsi una relazione sulla situazione militare, sulle forze e gli armamenti disponibili, sui piani operativi predisposti per la occupazione e per la difesa della città di Firenze. Il CTLN approvò il piano operativo esposto.
Il 3 agosto andai a far visita a mia sorella a Villa Natalia e fummo invitati a colazione dai Gori Montanelli, invito che accettai di tutto cuore anche per salutare l’amico Francesco, rilasciato pochi giorni prima da Villa Triste.
Prima che la colazione fosse finita, entra un piantone di Villa Natalia gridando: «È stata dichiarata l’emergenza, entro le 17 scoccherà il coprifuoco e nessuno potrà uscire di casa».
Era previsto che alla dichiarazione di emergenza il Comando Marte si riunisse immediatamente alla sede della Larderello, posta all’ultimo piano del cinema Odeon, con ingresso da piazza dello Strozzino n. 2.
Cosicché ringrazio, saluto, scappo gambe in spalla giù per via Bolognese, passo davanti a Villa Triste ed in 20 minuti raggiungo piazza Strozzi. Alle 15 il Comando Marte è in funzione.
Viene disposto che al centro operativo della Larderello rimangano il Comandante Niccoli, il vice Commissario politico Del Poggetto, il Capo di Stato Maggiore Mazzi e l’ufficiale di collegamento Maria Luigia Guaita.
Il Commissario politico Gaiani ed il vice Comandante Tommasi si recano al posto di osservazione situato sulla cupola del Duomo. A mezzo di staffette viene diramato l’ordine di preallarme a tutte le formazioni di città, dopo di che rimaniamo in attesa degli eventi.
Il CTLN ci aveva ordinato di effettuare l’insurrezione non appena i tedeschi avessero iniziato lo sganciamento della città, indipendentemente dai movimenti alleati; ma lasciava al Comando Militare ogni responsabilità sulla scelta del momento, sulla condotta delle operazioni, sul risultato della battaglia.
L’ordinanza tedesca del 29 luglio relativa allo sgombero di una vasta zona prospiciente l’Arno sull’una e sull’altra sponda, aveva mandato a monte il nostro piano previsto per la difesa dei ponti.
La presenza in città di oltre 1000 uomini di SS tedesche forniti di decine di carri armati ed auto blindate, affiancati da reparti di paracadutisti, armati fino ai denti, ci impediva qualunque azione. In tali frangenti non ci rimaneva altro che roderci il fegato ed attendere. Con questi melanconici pensieri e constatazioni ci eravamo appena sdraiati sui nostri materassi, dopo una frugale cena, quando si sentono le prime esplosioni del salto dei ponti.
Dall’alto della terrazza, sovrastante la Larderello, assistiamo ad una scena apocalittica. Via Por Santa Maria fiammeggiava come una fiaccola. Le esplosioni si susseguono ininterrotte sino al mattino; il fumo e le faville dell’incendio ci entrano nei polmoni e negli occhi, ma non possiamo abbandonare questo terrificante spettacolo di distruzione della nostra cara e amata città. E ci sentiamo come fanciullini impotenti a difendere la propria madre minacciata e colpita.
Il ten. Enrico Fischer, comandante la 3^a Compagnia “Rosselli” di città, di cui facevano parte alcuni vigili urbani, sin dal 4 mattina, dopo il salto dei ponti, ispezionando il corridoio vasariano che, partendo dalla Galleria degli Uffizi, unisce Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, constatò che era possibile, nonostante il crollo dell’arcata del corridoio vasariano su via dei Bardi, calarsi mediante una corda sulla riva sinistra dell’Arno.
Di ciò informò il Comando militare, avvertendo che il giorno successivo avrebbe steso un filo telefonico per collegare l’Oltrarno con un posto telefonico partigiano installato in Palazzo Vecchio.
Ragghianti informò di ciò il CTLN ed ottenne l’autorizzazione di recarsi oltre Arno, insieme con me, per conferire con la Delegazione del CTLN, colà dislocata, e per prendere gli opportuni contatti con gli alleati.
Ragghianti, nel suo libro “Una lotta nel suo corso” ha già descritto tale impresa, ma siccome i nostri compiti erano diversi, il suo essenzialmente politico ed il mio esclusivamente militare, credo opera non inutile buttar giù i miei ricordi.
Ragghianti, Fischer ed io partimmo nelle prime ore del pomeriggio. La traversata di Palazzo Vecchio, non ostante che fosse presidiato da un Comando tedesco, avvenne senza difficoltà. Così pure l’attraversamento della galleria degli Uffizi e dell’imbocco del corridoio vasariano. Nel tratto di corridoio sul lungarno Archibusieri vi erano una quantità di mine ancora innescate, che i tedeschi si erano dimenticati di far brillare, e che furono disinnescate e rimosse successivamente dai nostri artificieri. Ma alla fine del Ponte Vecchio avevano fatto saltare l’arcata del corridoio su via dei Bardi ed il Fischer per stendere la linea telefonica, alla fine della parte sana del corridoio, aveva aperto una specie di botola, in corrispondenza col marciapiede del ponte, che si poteva raggiungere per mezzo di una corda di circa dieci metri di lunghezza assicurata al centro di un grosso bastone posto attraverso alla botola. Il primo a calarsi fu Fischer, il secondo io, il terzo Ragghianti, il quale, quando era a circa metà della discesa, per una oscillazione della corda, perse gli occhiali le cui lenti, cadendo sopra delle pietre aguzze, si spezzarono in mille frammenti. Questo costituì un grossissimo handicap per Ragghianti perché non poté trovare una sostituzione provvisoria delle lenti stesse.
Tutto l’isolato fra via dei Bardi, via Guicciardini e piazza S. Felicita era stato fatto saltare dai tedeschi; in una stanza del secondo piano miracolosamente rimasta in piedi era impiantato l’apparecchio telefonico terminale, al cui servizio si alternavano l’architetto Edoardo Detti e l’amico Marcello Ciompi, entrambi del Partito d’Azione.
Sempre viaggiando sulle macerie che arrivavano alle finestre del primo piano della canonica di S. Felicita, raggiungemmo quest’ultima che sul retro si affaccia sul giardino di Boboli. Abbiamo attraversato la canonica e siamo scesi sul giardino per mezzo di una scala a pioli che ci era stata approntata. Via Guicciardini era assolutamente intransitabile e l’unica strada per raggiungere piazza Pitti era quella che ci è stata fatta fare.
Giunti a piazza Pitti vi abbiamo trovato alcuni membri della Delegazione CTLN di Oltrarno che ci attendevano.
Insieme con l’avv. Francesco Berti rappresentante DC della Delegazione stessa abbiamo preso posto su di un automezzo scoperto inviato dal Comando inglese per portarci alla sede del Comando stesso. Piazza Pitti, via Romana, Porta Romana, S. Gaggio (la cui dirittura, perfettamente in vista dei tedeschi, era martellata da proiettili di artiglieria di piccolo calibro ad ogni minimo movimento), Due Strade, Galluzzo. Qui giunti il nostro autista (che comprendeva e masticava un poco l’italiano) si recò ad un posto telefonico militare a contatto con il Comando di Divisione a prendere ulteriori ordini. Ritornò poco dopo dicendo che il Generale comandante mi mandava ad esprimere il suo rammarico per non potermi ricevere personalmente e mi indirizzava ad un comando tattico posto in via del Gelsomino.
Dietro front – avanti march. Giunti a destinazione – una villetta sul rovescio della collina di S. Gaggio – fui ricevuto da un semplice maggiore di Stato Maggiore del quale non ricordo il nome. Il colloquio fu lunghissimo ed assolutamente inconcludente. Dopo avergli fatto un’amplissima relazione dei nostri progetti operativi, delle nostre disponibilità e delle nostre possibilità, della dislocazione e consistenza delle forze nemiche ebbi la dabbenaggine di chiedergli quali fossero le intenzioni degli Alleati. Egli mi rispose che come semplice ufficiale di SM non era al corrente delle direttive operative che dipendevano esclusivamente dal generale Alexander; che ad ogni modo, anche se ne fosse stato a conoscenza, trattandosi di segreto militare, non si sarebbe sentito autorizzato a farmene parte. L’unica informazione che mi poteva dare era che gli Alleati consideravano Firenze “città aperta” e che, per risparmiare danni alla città ed ai suoi cittadini, non l’avrebbero occupata finché i tedeschi non l’avessero abbandonata. Gli replicai che il CTLN aveva ordinato al Comando partigiano di iniziare l’insurrezione non appena i tedeschi avessero dimostrato l’intenzione di abbandonare la città e che io contavo su un rapido intervento degli Alleati, per neutralizzare un eventuale ritorno offensivo dei tedeschi. Temo di non essere stato troppo diplomatico ad usare il termine “insurrezione”,
perché non appena l’interprete gli fece la traduzione, il maggiore si rabbuiò e rispose seccamente che “prima o poi” Firenze sarebbe stata aggirata a nord e a sud, senza danni per la città, che noi si stesse tranquilli, che la guerra si lasciasse fare a loro, facendomi capire che l’alto Comando preferiva che noi ci si muovesse a cose fatte, quando loro fossero stati in grado di disarmarci. Su tre ore circa di colloquio non mi è stato offerto né un bicchiere d’acqua né una sigaretta. Ci siamo così lasciati piuttosto freddi, dopo una mia ultima assicurazione che a mezzo telefono avremmo continuamente tenuto al corrente il Comando alleato delle novità e dislocamento delle truppe e postazioni nemiche… Alle otto della mattina seguente ritorno facendo all’indietro il percorso fatto all’andata. Con la differenza che all’andata il calarmi con la fune sul Ponte Vecchio non aveva presentato alcuna difficoltà; ma il risalire a forza di gambe e di braccia su una fune senza nodi, col rischio di farmi impiombare dai fucilieri che sparacchiavano in continuazione dalle finestre dei palazzi del lungarno di fronte, per me, uomo di 54 anni e in condizioni di forma un po’ precarie, ha rappresentato una impresa di notevole difficoltà. Alle nove ero in via Condotta a rapporto col CTLN.
Nessun particolare ricordo dei giorni seguenti sino alle 5 del mattino dell’11 agosto, quando decidemmo l’inizio dell’insurrezione, facendo suonare a stormo la Martinella di Palazzo Vecchio… Alle sette il Comando Marte si era trasferito in Prefettura – Palazzo Riccardi – poco dopo vi arrivava anche il CTLN.
Verso le undici giunse dall’Oltrarno anche Ragghianti, che da quel momento assunse la presidenza del CTLN, scortato dal maggiore MacIntosh della Special Force, che divenne l’organo di collegamento tra me e il Comando inglese e col quale dopo un primo sentimento di reciproca stima e collaborazione, subentrò una sicura amicizia <2.
Nello Niccoli
[…] L’11 mattina io e Memo, con una Topolino, infilammo la strada diretta verso il fronte. La strada sale tra la collina di Piana Maggio e le montagne, per discendere poi su Massa. Sull’ultimo tornante la Topolino sussultò. Non riusciva a vincere la salita. Scesi. Passò un partigiano in motocicletta e montai di dietro. Arrivammo al valico e ci precipitammo verso Massa. Nel primo tratto di strada minato trovammo un guastatore tedesco morto e le camere di mina intatte. Fin lì arrivava la zona affidata alla Brigata Garibaldi. Ma il secondo tratto di strada minato, quello difeso da Pietro, lo trovammo sconvolto. Occorrevano circa due ore per riaprire il traffico e col lavoro di parecchi uomini. Tornai indietro per avviare a quel punto tutti i cittadini non combattenti. Sul valico, nella strada, incontrai la prima pattuglia alleata. Erano soldati piccoli, con gli occhi a mandorla, muniti di radio. Mi fermai e mi feci riconoscere. Detti loro alcune informazioni, che essi subito trasmisero, parlando nella piccola cassetta con l’antenna. I soldati erano filippini. Dal valico gli indicai le fortificazioni sulle colline, verso occidente, ormai tutte in mano nostra. Il capo pattuglia mi disse che le conoscevano, e così capii che avevano studiato attentamente le fotografie fatte da me, giusto da quel luogo. Erano contenti che le fortificazioni fossero già state prese, la linea gotica era libera. Li invitai a seguirmi in città, ma il comandante mi disse che a lui era stato affidato un obiettivo diverso.
Scesi in città e dissi all’ingegnere del Comune di distribuire badili e carriole a tutti i cittadini non armati, per andare a riassestare la strada. Ne partì una colonna composta di ogni ceto sociale. Non si trattava ora che di attendere. Dopo due ore arriva una jeep. Ero a una finestra del Municipio, quando la vidi girare l’angolo della strada e dirigersi verso di noi. Mi precipitai per le scale. L’automobile era ferma davanti alla porta con i cittadini attorno, curiosi e ammirati. Sulla jeep c’eran due filippini. Li fotografai. Volevo documentare quel giorno, fotografando la prima automobile alleata che era entrata in città. I due soldati annunciarono l’arrivo di una colonna di carri armati. Difatti, questa arrivò subito dopo, mentre compagnie di soldati, sempre filippini, a piedi, sfilavano per la città, tra l’applauso della folla, ora tutta per le strade, eccitata e felice <3.
Nardo Dunchi
[NOTE]
2. Nello Niccoli, Per la battaglia di Firenze, in La Resistenza in Toscana. Atti e studi dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, 8, La Nuova Italia, Firenze 1970. Il Niccoli, nato a Firenze nel 1890, dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, fece parte del gruppo del “Non Mollare!”, costituito da Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini a Firenze dopo l’assassinio di Matteotti e il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925; richiamato durante la Seconda guerra mondiale, dopo l’armistizio evitò di riprendere servizio con la RSI e, avvicinato dai maggiori esponenti del Partito d’Azione di Firenze, divenne il responsabile del Comando militare del CTLN, il Comando “Marte”, che diresse fino alla liberazione della città.
3. Nardo Dunchi, Memorie partigiane, La Nuova Italia, Firenze 1957. Il Dunchi, nato a Carrara nel 1914, scultore, ufficiale degli alpini durante la guerra, l’8 settembre fu tra gli organizzatori delle prime bande partigiane nel cuneese e partecipò ad alcune delle loro più clamorose azioni. Collegato al gruppo informativo “Otto” di Genova, fu trasferito in Toscana, dove, a seguito degli arresti che annientarono la “Otto” si unì alle formazioni partigiane operanti sulle Apuane. Passato il fronte, fu incaricato dai comandi angloamericani di svolgere un regolare servizio informativo e a tale scopo passò ripetutamente le linee. Latore dell’ordine alleato di insurrezione, partecipò alla liberazione dell’Apuania e seguì le truppe alleate fino a Torino.
(a cura di) Giovanni Verni, «Ad incontrare la nostra primavera» in «Fischia il vento, infuria la bufera». Cronologia della resistenza in Toscana, Regione Toscana – Consiglio Regionale, 2005

Anche il Partito d’azione ha messo molta cura nell’organizzazione militare, ma è un tipo d’organizzazione che appare piuttosto complicata. Ha costituito diverse squadre in città, con relativi capisquadra, con compiti però che non sono nè chiaramente militari nè politici: sono squadre inoltre composte da persone entrate nella lotta dopo il 25 luglio, ex ufficiali genericamente antifascisti e antihitleriani, individualisti, spesso impreparati alla lotta clandestina.
Queste squadre hanno un carattere ben diverso dai GAP (Gruppi di azione patriottica) organizzati dai comunisti che con loro non hanno in comune nè la ferrea disciplina nè la tecnica.
Il Partito d’azione ha schedato tutte queste squadre con i nomi dei suoi componenti, e continua a recuperare armi, vestiari, medicinali, che ammassa in depositi. Tutta questa impostazione, imperniata su uno schema e ispirata a criteri tattici e logistici, ha come presupposto una prossima grande offensiva alleata, da coadiuvare e appoggiare entrando direttamente nella lotta al momento fissato. Ma man mano che questa offensiva si fa sempre più sporadica e lontana, più difficile diviene tenere insieme, disciplinare, decifrare, muovere tutto questo macchinoso complesso senza esporsi ai segugi e alle spie della polizia di Carità e senza subire gravi delusioni e demoralizzazioni che pure pesano in una lotta di questo carattere.
Assai utile per la Resistenza è il servizio documenti organizzato dagli azionisti (servizio di cui è dirigente anche Nello Traquandi) per la fabbricazione di documenti falsi, fotografie, timbri, carte annonarie, tessere ed altro da fornire agli uomini che operano illegalmente per circolare e vivere in città. Molto attivi sono gli azionisti anche nel lavoro di protezione degli ebrei, per la raccolta e l’ospitalità dei prigionieri alleati, di quelli che sono fuggiti dal Castello di Vincigliata e dalla Villa La Massa ed altri scampati ai tedeschi.
Una commissione, di cui fanno parte Agostino Dauphine, C. Guidi, Bernardo Sreber, Massimo Orlandini, Margherita Fasolo, Raoul Borin ed altri, lavora alacremente ed è riuscita a costituire un centro clandestino ad Acone e a stabilire collegamenti con altri centri della Toscana. Questo lavoro pecca purtroppo di superficialità ed è esposto continuamente alle infiltrazioni di agenti provocatori, di spie. A stento l’organizzazione del Partito d’azione riesce a difendersi dall’infiltrazione della spia Nello Nocentini e di un falso ufficiale canadese, agente bulgaro della Gestapo: essa deve registrare numerosi gli arresti fra le proprie file.
Assolutamente inesistente è invece l’attività militare della Democrazia cristiana, dei liberali e dei socialisti.
Orazio Barbieri, Ponti sull’Arno, Editori Riuniti, 1958

A Firenze, il 29 aprile 1944, due settimane dopo l’uccisione di Giovanni Gentile, viene giustiziato il comandante provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana, Italo Ingaramo. Si tratta di un’iniziativa ben più ardua della precedente, in quanto viene deciso «di agire al mattino quando il colonnello usciva dall’Hotel Arno, in pieno centro ed in pieno giorno, sulla porta di un albergo pieno zeppo di fascisti e di tedeschi» <118. L’azione «fulminea e micidiale» <119 viene eseguita dagli sparatori Antonio Ignesti e Giuseppe Martini, con Luciano Suisola che ne copre la ritirata tramite il lancio di una bomba.
[…] Franco Calamandrei nasce a Firenze il 21 settembre 1917, figlio unico di una famiglia borghese di condizioni agiate. La madre, Ada Cocci, è una maestra elementare. Il padre, Piero <180, «antifascista, ma ottimamente inserito nei gangli della società che conta: accademico, avvocato di grido, consulente del ministro di Grazia e Giustizia per la riforma dei codici» <181, è una figura che gode di una certa notorietà. Franco, dopo aver conseguito la maturità classica al liceo Michelangelo, si iscrive alla facoltà di legge con l’intento iniziale di seguire il genitore nella professione forense. È nel periodo universitario che il giovane Calamandrei viene influenzato maggiormente dalla propaganda fascista.
[…] In Franco emerge il «bisogno di uscire, di andare, di fare da sé» <186, di lasciare Firenze e la casa paterna. Egli si trasferisce a Roma per conseguire la laurea in lettere. La permanenza nella capitale, «in un ambiente diverso da quello che frequentavo a Firenze, di giovani meglio orientati» <187 comporta in lui un progressivo allontanamento dagli ideali mussoliniani. D’altronde, la descrizione che, anni dopo, Piero Calamandrei fa a proposito di una fetta consistente dei giovani di estrazione borghese cresciuti in epoca fascista, calza a pennello anche per il figlio: “Continuavano a dirsi fascisti, ma erano già, dentro di sé, in polemica contro quell’immobilismo opprimente: quelli che arrivarono nell’Università degli ultimi anni del fascismo furono una generazione di scontenti e di delusi, agitati da casi di coscienza, incerti dell’avvenire, in cerca di sé” <188.
[…] Nell’immediato dopoguerra, Franco è redattore a Roma de «La settimana» <209. Trasferitosi a Milano nel luglio del 1945, in settembre entra a far parte della redazione de «Il Politecnico» <210. Nel settembre del 1946 inizia a lavorare a «L’Unità», con l’incarico di caposervizio della III^ pagina. Dal 1950 al 1953 viene inviato a Londra, come corrispondente del giornale. Con lo stesso incarico si reca in Vietnam e, fino al 1956, in Cina.
È ancora a Pechino quando il padre Piero, nel settembre 1956, muore.
[NOTE]
118 Fagioli, Partigiano a 15 anni, cit., p. 160.
119 Ivi.
180 Piero Calamandrei (1889-1956). Si arruolò volontario nella Prima guerra mondiale. Fu antifascista. Con il consolidamento del regime di Mussolini, per un lungo periodo si dedicò all’insegnamento universitario, agli studi in ambito giuridico e all’esercizio dell’avvocatura. Nel 1941 aderì al movimento Giustizia e Libertà, nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione. Nel dopoguerra, fu eletto come membro dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, in DBI, ad nomen, consultato il 24-07-2019.
181 Alessandro Casellato, Il figlio comunista, in Piero e Franco Calamandrei, Una famiglia in guerra. Lettere e scritti (1939-1956), a cura di Alessandro Casellato, Laterza, Roma 2008, p. XXX.
186 Casellato, Il figlio comunista, in Ibid., p. XXXIII.
187 Calamandrei, Autobiografia di militante, in Ibid., p. 204.
188 Piero Calamandrei, Il tradimento dei giovani, in Ibid., p. 180.
209 Settimanale diretto da Carlo Bernari.
210 Rivista di politica e cultura fondata da Elio Vittorini.
Gabriele Aggradevole, Biografie gappiste. Riflessioni sulla narrazione e sulla legittimazione della violenza resistenziale, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2018-2019

Pur forgiata ed inquadrata dalle forze e dal sistema di interessi del regime fascista, la città di Firenze conobbe una costante opposizione al regime, tenuta viva principalmente da due correnti politiche: quella comunista e quella liberal-socialista.
Il Partito Comunista, che faceva presa soprattutto sugli operai e sugli artigiani dei quartieri popolari, portò avanti una continua opera di diffusione di stampa clandestina e, nonostante i duri colpi inflitti dalla repressione fascista e la perdita di numerosi dirigenti e militanti, seppe mantenere operativa la sua caratteristica organizzazione a cellule per tutto il Ventennio.
Sul fronte liberal-socialista, una delle prime manifestazioni dell’opposizione fu la fondazione, da parte di un nucleo di intellettuali aggregatosi attorno alle figure di Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi e Carlo e Nello Rosselli, di un “Circolo di Cultura” che ben presto si trasformò in vera e propria associazione. Il circolo venne prima devastato dalle squadre fasciste, poi chiuso definitivamente nel 1924. Dalla stessa cerchia di antifascisti nacquero l’associazione Italia Libera, che rivendicava il ripristino della legalità costituzionale dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, e il giornale “Non Mollare!”, primo foglio clandestino contro il regime.
Il rafforzarsi del regime pose però fine anche a queste esperienze. Nel giugno 1925 Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini espatriarono in Francia, Carlo Rosselli fu arrestato e condannato al confino a Lipari. Fuggito in Francia a metà del 1929, fondò assieme a Gaetano Salvemini e Emilio Lussu il movimento Giustizia e Libertà, che divenne una delle più attive correnti antifasciste con adesioni sia tra gli emigrati all’estero che in Italia, e che si riproponeva lo scopo dell’abbattimento del regime fascista in un’ottica repubblicana. Uno dei primi nuclei clandestini di Giustizia e Libertà nacque a Firenze grazie all’opera di Enrico Bocci e Nello Traquandi.
Nonostante la dura repressione, nel 1936 la continuità dello spirito democratico di ispirazione repubblicana ed espressione dell’esperienza di Giustizia e Libertà si condensò nuovamente: attorno a Piero Calamandrei si aggregarono personalità quali Tristano Codignola, Enzo Enriques Agnoletti, Carlo Ludovico Ragghianti, Carlo Furno e Raffaello Ramat, che furono poi tra i protagonisti della Resistenza fiorentina. L’incontro di questo nucleo con quello milanese di Giustizia e Libertà, creatosi attorno a Ugo La Malfa, diede vita nel 1942 al Partito d’Azione.
L’opposizione del mondo cattolico si manifestò invece più compiutamente solo dopo l’emanazione delle leggi razziali nel 1939, in particolare grazie all’impegno di Giorgio La Pira, Adone Zoli e Mario Augusto Martini, e dopo il 25 luglio 1943 la critica alla guerra e al regime di carattere prettamente intellettuale si consolidò in un antifascismo di inspirazione cristiana di indirizzo più coerente <1.
[…] Il confronto con le analoghe esperienze in altre regioni italiane permette di notare aspetti caratterizzanti e originali nell’azione e nelle vicende del CLN toscano. A tale scopo può essere utile ricordare le riflessioni proposte da Federico Chabod sulla complessa e diversificata situazione politica che venne a crearsi nella penisola tra il 1943 e il 1945. Gli sbarchi alleati, il cambio di fronte e l’occupazione tedesca fecero sì che l’Italia risultasse “divisa” in tre parti: il sud liberato dagli alleati immediatamente dopo l’armistizio, in cui si instaurò un legittimo governo italiano riconosciuto nel marzo 1944 dall’URSS e dagli anglo-americani; il centro sotto dominio tedesco fino all’estate del 1944, dove a Roma si costituì e agì il CLN e svolse un ruolo importante l’azione del papato, e in altre zone, in primo luogo a Firenze, tra occupanti e partigiani si diede lotta aperta; il nord, sino all’aprile del 1945 teatro della guerra partigiana contro i tedeschi e i fascisti della RSI, terreno in cui la resistenza armata conobbe il suo più pieno sviluppo tanto militare quanto politico. I profili profondamente differenti di queste partizioni del territorio nazionale ebbero importanti influssi sulle esperienze politiche successive <37.
In Toscana le caratteristiche politiche e militari del movimento di Resistenza furono assimilabili a quelle delle regioni del nord. La Toscana rappresentò in questo senso un’esperienza significativamente avanzata nel contesto del centro, oltre che anticipatrice degli esiti che le istanze di rinnovamento delle strutture statuali e di affermazione politica dei CLN ebbero poi anche nelle regioni settentrionali. Come si è visto, infatti, i CLN avevano da subito avanzato la volontà di porsi come organi di governo effettivi, ponendo fortemente l’accento sulla rottura anche istituzionale con l’esperienza del fascismo. Il loro ruolo, nonostante i riconoscimenti avuti e l’attribuzione di funzioni consultive sotto il governo Parri, istituitosi dopo la liberazione <38, era però destinato a esaurirsi <39. Il pieno avvento della normalità democratica vide affermarsi rapidamente i partiti di massa come protagonisti della dialettica politica. Il 26 giugno 1946, all’indomani delle elezioni per l’Assemblea costituente e del referendum istituzionale tenutisi il 2 precedente, i CLN vennero sciolti.
La questione dell’epurazione
Un breve approfondimento merita infine, anche in relazione alla documentazione presente nell’archivio di Nello Niccoli <40, la questione della defascistizzazione ed epurazione dei diversi settori della vita amministrativa, politica ed economica dello Stato.
Il primo passo istituzionale verso l’epurazione degli apparati statali fu il Regio Decreto Legge del 28 dicembre 1943, “Defascistizzazione delle Amministrazioni dello Stato, degli Enti locali e parastatali, degli Enti comunque sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e delle Aziende private esercenti pubblici servizi o di interesse nazionale”. Il decreto stabiliva che si instaurassero apposite commissioni con poteri di indagine e di pronunciare sentenze, composte dal Prefetto, due magistrati, un cittadino mutilato di guerra e decorato nonché da un perseguitato politico.
Con la liberazione di Roma e la costituzione del governo Bonomi, emanazione del CLN, si ebbe la percezione che si stessero realizzando i presupposti per un consolidamento reale ed effettivo del processo epurativo. Un deciso impulso in particolare all’epurazione dell’amministrazione pubblica si ebbe con l’emanazione del DLL n. 159 del 27 luglio 1944, “Sanzioni contro il fascismo”. Il titolo V del decreto prevedeva la costituzione di un Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, che fu istituito il 30 luglio. Tale commissariato fu organizzato in quattro settori: delitti del fascismo, epurazione, avocazione dei profitti del regime, liquidazione dei beni fascisti <41. A capo dell’Alto
Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo venne nominato il conte Carlo Sforza, repubblicano, coadiuvato da un Commissario Aggiunto per l’epurazione, ruolo a cui venne preposto il comunista Mauro Soccimarro.
Era inoltre stata emanata da Charles Poletti, Commissario Regionale del Governo Militare Alleato, un’ordinanza sull’epurazione che prevedeva tra l’altro la costituzione di una Commissione di dodici membri, due per ogni partito del CLN, alla quale sarebbero dovute pervenire le schede personali degli impiegati e funzionari delle amministrazioni da epurare.
Purtroppo, sebbene la prospettiva della defascistizzazione sembrasse sempre più effettiva, si presentavano condizioni che ne resero l’opera decisamente meno efficace. Si trattava innanzitutto di limiti intrinseci: basti pensare ai rapporti con il Regime della stessa magistratura chiamata o al permanere della legislazione fascista. Sia per gli Alleati che per il governo italiano era poi pressante e difficilmente risolvibile il problema della sostituzione dell’apparato amministrativo a fronte di un tendenziale coinvolgimento con l’esperienza del Ventennio. Mancavano poi precedenti cui fare riferimento, e mettere in piedi velocemente la struttura dell’Alto commissariato creò non pochi problemi. Il tutto in un paese ancora in guerra <42.
Gli indirizzi nazionali ebbero ovviamente riflesso sulle situazioni locali.
Per quanto riguarda la Toscana e Firenze, già nel giugno 1944 il CTLN aveva dato vita, tra le altre, a due commissioni in merito alle questioni epurative: la commissione di controllo civico, col compito di occuparsi di aziende di pubblico interesse e enti pubblici, comprese l’amministrazione comunale e provinciale, e la commissione di controllo della Questura. La prima non aveva compiti deliberativi, ma formulava proposte di allontanamento per categorie di persone, ed era inoltre incaricata di designare le sostituzioni per il personale allontanato. La seconda aveva il compito di vagliare il lavoro svolto dalla polizia, e redigere schedari dei fascisti che erano stati delatori, collaborazionisti o profittatori del regime, onde poterne poi disporne l’arresto <43. Inoltre le altre commissioni costituite nello stesso mese (stampa, cultura, trasporti, alimentazione, ecc…) furono incaricate di occuparsi dell’epurazione dei rispettivi campi di intervento. Il 24 luglio il CTLN nominò una vera e propria commissione di epurazione, che aveva il compito di coordinare e integrare il lavoro compiuto dalle singole commissioni <44. Ai primi di novembre si dispose la costituzione di Delegazioni provinciali dell’Alto commissariato, incaricate di promuovere il processo di epurazione in collaborazione con le istituzioni e le forze politiche e sociali. A ricoprire la carica di Delegato provinciale di Firenze fu chiamato Emilio Gabrielli, consigliere di Corte d’appello, che nominò una commissione appositamente dedicata al vaglio delle posizioni dei dipendenti comunali, composta dal vice-sindaco Mario Fabiani, dagli assessori Rodolfo Francioni e Renato Fantoni, da tre impiegati e da Paolo Barile (costituzionalista fiorentino di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione) <45.
[NOTE]
1 Per una trattazione esaustiva, cfr. PALLA M., Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze, Olschki, 1978, e GABRIELLI P., Antifascisti e antifasciste, in PALLA M. (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, Roma, Carocci, 2006, vol. I, pp. 11-83.
37 CHABOD F., L’Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 2002, pp. 119-127.
38 In giugno Ivanoe Bonomi dette le dimissioni per lasciare posto a un governo che fosse più rappresentativo dell’Italia liberata. A capo del nuovo governo venne posto Ferruccio Parri, leader del Partito d’Azione e comandante militare della Resistenza.
39 SPINI V., Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, cit., pp. 64-66.
40 Niccoli operò infatti per la Delegazione provinciale di Firenze dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, e in particolare per la sezione Agricoltura e foreste. Si veda ISRT, fondo Nello Niccoli, b. 1, filza 3.
41 PIERACCINI P., Guerra, liberazione ed epurazione a Firenze 1939-1953, cit., pp. 212-214.
42 MERCURI L., L’epurazione in Italia 1943-1948, Cuneo, L’Arciere, 1988, pp. 53-54.
43 PIERACCINI P. ,Guerra, liberazione ed epurazione a Firenze 1939-1953, cit., pp. 207-208.
44 Ivi, p. 211.
45 Ivi, p. 220.
Alice Fazzari, L’archivio di Nello Niccoli. Inventario (1924-1977), Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2015/2016