Il consumo della gomma da masticare sollevò anche altre implicazioni

Gli italiani incontrarono inoltre per la prima volta alcuni prodotti che stavano divenendo simboli dell’America, come il chewing gum e la Coca Cola, che attrassero in particolare le seconde generazioni.
Nel 1926 sulle pagine del Corriere d’America apparve infatti la pubblicità della Beech-Nut Gum che promuoveva il lancio di un nuovo gusto del proprio prodotto. La pubblicità – in italiano – e l’assenza di spiegazioni su cosa fosse e come andasse consumato fa supporre che gli italiani lo conoscessero già, o che lo scambiassero per un dolciume.
In un diario di viaggio scritto fra 1907 e 1910 da parte del marinaio Sebastiano Mele, infatti, si può leggere come a San Francisco in alcuni locali pubblici «dalla parte posteriore della spalliera in ogni sedia avvi una scatola metallica automatica contenente un pacchetto di lecornie e basta introdurvi una moneta di 10 sen (0,50) con un foro collocato superiormente alla scatola stessa perché questa vi lasci cadere, di sotto, il contenuto. Da mane a sera, specialmente le ragazze, ruminano una specie di gomma odorosa perché tolga loro il cattivo alito.» <98
Durante la Prima guerra mondiale fu scoperto che il chewing gum poteva essere utilizzato per pulire i denti, placare la sete e distendere i nervi. Per questo motivo nelle fasi finali del conflitto la Croce Rossa Americana spedì in Francia oltre quattro milioni di pacchi di chewing gum per sostenere le truppe nel caso l’esercito tedesco in ritirata avesse avvelenato le acque dei fiumi e dei pozzi.
Il chewing gum iniziò ad essere prodotto industrialmente nel 1852 da John Bacon Curtis, anche se era già conosciuto da secoli perché i nativi masticavano una forma primitiva di gomma che non era però composta da chicle ma da resina di acero.
Trent’anni dopo l’avvio dell’impresa di Curtis vi erano già aziende – come la Adams Brands che lanciò il primo marchio diffuso a livello nazionale, la Tutti Frutti <99 – che contavano più di duecento lavoratori.
Da un rapporto di Paolo Rinaudo del 1914 sulle donne italiane impiegate nelle industrie californiane risultava come alcune di esse fossero impiegate nelle fabbriche di chewing gum di San Francisco. <100
Negli anni Venti, nonostante fosse ancora un prodotto economicamente periferico – se paragonato ai grandi settori come le conserve di frutta o l’industria della carne – esso conobbe un’intensa opera di promozione da parte della Wrigley, che divenne una delle prime cinque aziende inserzioniste del paese e arrivò nel 1929 ad avere introiti superiori ai venti milioni di dollari. Lo scopo della campagna lanciata dalla Wrigley fu soprattutto quello di vincere l’opposizione di gruppi sociali che ancora non accettavano l’uso di masticare in pubblico. Per organizzazioni come la WCTU, infatti, questa abitudine poteva essere foriera di altri vizi, come l’alcolismo e il gioco d’azzardo e non era quindi una pratica rispettabile.
Il consumo della gomma sollevò anche altre implicazioni, perché essendo virtualmente possibile masticare in qualsiasi luogo, aumentò l’attrazione verso un prodotto che incorporava l’idea di una instant gratification into everyday life. Fu attorno alle nozioni di rispettabilità e salute che Wrigley e altri imprenditori riposizionarono un prodotto che avrebbe presto assorbito e rispecchiato allo stesso momento l’immagine e l’idea di americanità che si stava strutturando negli anni Venti.
In un primo momento infatti il chewing gum simboleggiò un’alternativa al consumo di dolci, curava i nervi, aiutava l’igiene orale e una corretta digestione. Era quindi una merce che si posizionava a metà tra i prodotti alimentari e i medicinali, in un periodo in cui le mode dei rimedi naturali conobbero un notevole slancio. Secondo le convinzioni di Horace Fletcher, ad esempio, anche i modi di mangiare e masticare potevano influire sulla salute del corpo, come sostenne nel suo “The A, B to Z of Our Own Nutrition” del 1903, dove promosse un metodo di masticamento più lungo. Fletcher era infatti convinto che molte malattie e dolori fossero provocati da una cattiva ingestione e assimilazione del cibo. Molto presto divenne una celebrità, grazie anche ad alcuni articoli che gli dedicò il New York Times e all’adesione al suo stile di masticamento da parte di personalità come Thomas Edison, Upton Sinclair, Harvey Kellogg e John D. Rockefeller <101.
Se le capacità medico nutrizionali non scomparvero mai nel significato di consumo del chewing gum, Wrigley operò a partire dagli anni Venti un netto riposizionamento del prodotto agendo più che sui consumatori, sui negozianti. Essi infatti tendevano a divenire il punto di riferimento del quartiere e simbolo della rispettabilità della comunità, divenendo centrali nella strategia della Wrigley che iniziò ad associare campioni omaggio di chewing gum a prodotti che richiamavano serietà e rispettabilità sociale, come i rasoi della Gillette che simboleggiavano anche una “progressista” igiene personale <102. Se la strategia comunicativa della Wrigley non puntava direttamente alla costruzione di un immaginario basato sulle categorie di razza, classe e genere, bensì su una sorta di fuga ingenua e nostalgia fanciullesca – in particolare attraverso l’immagine dello Spearman <103 – fu però nella ricerca di una rispettabilità sociale all’interno dell’ideologia americana che entrarono in particolare le categorie di genere e classe. La pubblicità della Beech-Nut sul Corriere d’America, infatti, ritraeva uomini i cui vestiti richiamano inequivocabilmente la middle class intenti a discutere serenamente del nuovo gusto offerto sul mercato.
Il pacchetto di chewing gum, ponendosi quasi in mezzo a questi self made men, aveva un doppio ruolo. Da un lato era l’oggetto della discussione, che passava di bocca in bocca tra gli uomini di una classe sociale che rappresentava la nascente democrazia dei consumi americana, dall’altro poteva essere il mezzo per avvicinarsi a quello status aderendo ai valori di ordine, igiene – gli uomini rappresentati sono tutti senza barba e baffi – ed equilibrio psico-fisico, fondamentali per avere buone performance lavorative e sociali nel quadro del capitalismo americano. Allo stesso modo un’altra pubblicità del 1926 ritraeva un uomo e una donna borghesi mano per mano in un momento di spensieratezza, ponendo quindi la Beech Nut come strumento attraverso il quale si potessero anche instaurare relazioni.
L’uso del chewing gum poteva quindi simboleggiare, in particolare nelle seconde generazioni, il tentativo di uscita dalla comunità etnica ed ingresso nello spazio sociale di quella middle class americana cui i più giovani tendevano ad aderire attraverso i consumi sportivi, ricreativi e musicali.
L’altro prodotto che si stava accreditando come il simbolo della democrazia americana era la Coca Cola. Sebbene non siano presenti numerosi lavori di carattere storico sulla Coca-Cola, ad eccezione dei lavori di Bartow Elmore <104, Mark Pendergrast <105 e Kathryn Kemp <106 di carattere eminentemente giornalistico e divulgativo, è possibile però analizzare quali fossero gli obiettivi dell’azienda di Atlanta nel tentare di conquistare anche il mercato etnico italoamericano, in particolare durante gli anni del proibizionismo.
In questo periodo si intensificarono anche le inserzioni riguardanti le bibite, proposte come sostituti degli alcoolici. La Becker Products di Ogden, Utah, ad esempio, riciclò la propria produzione di birra in bibite ai cereali con il marchio BECCO. Questa bevanda veniva definita «nutritiva come la birra» e come la «bibita ideale per smorzare la sete, fatta coi migliori cereali è altamente nutritiva. Si usa la più pura acqua di montagna.» <107 A differenza della birra però la BECCO era un prodotto rivolto alle famiglie e in particolare alle donne della classe media. Come si può analizzare dalla pubblicità del 1926, infatti, il suo consumo è consigliato in occasione dei pic-nic e nella immagine che riproduce la famiglia la donna è in primo piano ritratta mentre versa la bibita attorno a un pranzo pronto. Il padre con i figli – un maschio e una femmina – rimangono invece sullo sfondo, secondo un altro tipo di divisione di genere. La bambina è presa per mano dal padre mentre gioca e il figlio maschio è più indietro, intento a rimirare l’automobile del padre. In generale, comunque, traspaiono due differenti ruoli dei genitori: la madre che si dedica all’alimentazione della famiglia, mentre il padre occupa lo spazio dello svago e del tempo libero, fuori dalla quotidianità. La Becker quindi, si adattava da un lato alla realtà etnica degli italiani di Salt Lake City traducendo la propria pubblicità, ma dall’altro offriva ad essi un esempio di consumo socialmente rispettabile e dry attorno all’ideologia della moralità familiare americana.
In maniera analoga la Coca Cola propose tramite le immagini destinate agli italiani un consumo connesso alle nozioni di rispettabilità, moralità e democrazia americana. Nel 1926 sempre nel contesto sociale del proibizionismo, Coca Cola propose due immagini che a prima vista ritraevano scene completamente diverse, ma che rivelavano la capacità dell’azienda di riuscire a presentarsi come un prodotto integrato nella vita quotidiana della comunità etnica attorno alle nozioni di genere, classe e generazione.

Corriere d’America, New York, 21 maggio 1926 – Fonte: Federico Chiaricati, Op. cit. infra

[NOTE]
95 «the intentional, exploratory participation in the foodways of another», Lucy Long, Culinary Tourism: A Folkloristic Perspective on Eating and Otherness, in, L. Long (ed by), Culinary Tourism, Lexington, University Press of Kentucky, 2004, pag. 21.
96 Richard Wright, Native Son, New York, HarperPerennial, 1998.
97 Cfr. Camille Bégin, Taste of the Nation. The New Deal Search for America’s Food, Urbana, University of Illinois Press, 2016.
98 ADN, Sebatiano Mele, Note sulla campagna compiuta dalla R. Nave “Puglia” Negli anni 1907-1908-1909-1910, pag. 14
99 Joseph Gustaitis, The Sticky History of Chewing Gum, in, «American History», 33, October 1998, pp. 30 – 34.
100 Paolo Rinaudo, Il lavoro delle donne e dei fanciulli italiani nella California, in, «Italica Gens», 1.2, Gennaio-Febbraio 1914, pp. 28-43.
101 Michael Redclift, Chewing Gum. The Fortunes of Taste, London, Routledge, 2004.
102 Sulla strategia della Gillette cfr Gib Prettyman, Advertising. Utopia, and Commercial Idealism. The Case of King Gillette, in, «Prospect», 24, 1999, 231- 248.
103 Sulla storia della strategia comunicativa della Wrigley cfr. Daniel Robinson, Marketing Gum, Making Meanings: Wrigley in North America, 1890-1930, in, «Enterprise & Society», 5, 1, 2004, pp. 4-44.
104 Bartow J. Elmore, Citizen Coke: An Environmental and Political History of the Coca-Cola Company, in, «Enterprise & Society» 14, 4, December 2013, pp. 717-731; Id. Citizen Coke: The Making of Coca-Cola Capitalism, New York, W.W. Norton & Company, 2016.
105 M. Pendergrast, For God, country and Coca-Cola, New York, Scribner’s 1993.
106 K.W. Kemp, God’s Capitalist: Asa Candler of Coca-Cola, Macon, Mercer University Press, 2002.
107 La Stampa, Salt Lake City, 28 agosto 1926.

Federico Chiaricati, Organizzare gli interessi. Stato, imprenditori e consumi alimentari tra Italia e Stati Uniti: 1890-1940, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2017-2018