Il cappellano della RSI invocò il ritorno dell’eroe del Tembien, Padre Giuliani

L’idea da cui questa tesi prende avvio risale all’inizio del 2007, quando, preparando un seminario su due testate cattoliche pisane («Vita Nova» e «Per il bene») nel periodo della guerra d’Etiopia, mi imbattei in alcuni articoli che catturarono la mia attenzione. Gli ignoti autori tessevano infatti l’elogio funebre di un cappellano militare torinese, Padre Reginaldo Giuliani O.P., caduto a Passo Uarieu nel corso della prima battaglia del Tembien (gennaio 1936) <1. Il personaggio mi sembrò subito degno di approfondimento per via della non comune vicenda biografica: volontario pluridecorato della Grande Guerra (durante la quale aveva prestato servizio con gli Arditi), legionario fiumano, fascista della prima ora, energico predicatore ed infine centurione cappellano delle Camicie Nere in Africa Orientale. Incuriosito dalla pur sommaria e propagandistica presentazione, andai in cerca di ulteriori notizie, rimanendo stupito di fronte all’impressionante sproporzione quantitativa fra le numerose pubblicazioni apologetiche e gli scarsi accenni riservatigli dalla letteratura scientifica. La semplice consultazione del catalogo informatico SBN rese infatti evidente l’esistenza di diverse opere, apparse perlopiù nella seconda metà degli anni Trenta, tese ad esaltare questo «soldato di Cristo e della Patria»; viceversa, il ricorso a strumenti quali l’Enciclopedia cattolica, il Dizionario biografico degli italiani ed il Dizionario storico del movimento cattolico in Italia si rivelò infruttuoso <2. Di ridotta o nulla utilità la voce redatta dal generale del Regio Esercito Alberto Baldini per l’Enciclopedia italiana, che non aggiungeva alcuna informazione a quelle già in mio possesso e risentiva fortemente del clima politico in cui era stata scritta
[…] Setacciando gli studi sul regime fascista ed i suoi rapporti con la Chiesa cattolica, mi resi conto che le nostre conoscenze si limitavano fondamentalmente ai contributi di Mimmo Franzinelli e di Roberto Morozzo della Rocca, che avremo modo di vedere nel dettaglio; in genere, quando non ignorato del tutto, Giuliani veniva ricordato in quanto autore di un fortunato libro sui reparti d’assalto, con una tendenza che accomunava classici quali la monumentale biografia del duce di Renzo de Felice o la “Storia politica della Grande Guerra” di Piero Melograni e opere assai più recenti come il “Dizionario del fascismo” curato da Victoria de Grazia e Sergio Luzzatto <4. Il nome del sacerdote emergeva anche in altre occasioni, ma sempre limitatamente ad un determinato contesto: Fiume (Ferdinando Gerra), l’Etiopia (Enrica Bricchetto) o altro <5.
[…] Nella seconda parte ho cercato di comprendere le modalità attraverso le quali Padre Giuliani divenne un mito fascista e, successivamente, le strategie attuate per perpetuarne la memoria nell’Italia democratica. Fonti privilegiate sono state, a tale proposito, la letteratura celebrativa (monografie, opuscoli, articoli apparsi su giornali e riviste) e l’iconografia: esse meriterebbero un’analisi puntuale ed esaustiva, mentre io mi sono limitato a raccogliere dati ed immagini per fornire un quadro il più ampio possibile del materiale esistente. La ripresa e l’approfondimento di questo aspetto costituiscono sicuramente uno dei potenziali sviluppi del lavoro.
[…] La guerra civile non risparmiò nemmeno l’Ordinariato Militare: mentre il sovrano fuggiva precipitosamente verso il Meridione occupato dagli Alleati, Bartolomasi decise di rimanere nella capitale; non volendo perdere i contatti con il clero castrense dislocato per necessità o per scelta nel Settentrione, l’anziano presule pose Monsignor Giuseppe Casonato alla guida della Seconda Sezione dell’Ordinariato, istituita nel dicembre 1943 e stanziata a Quinzano (Verona) <74.
Emblematica dello stato della penisola la geografia del culto di Giuliani, completamente assente nel Regno del Sud ma ancora vivo nel territorio controllato dai nazi-fascisti. Ad impadronirsi della figura improvvisamente divenuta scomoda, rivendicandone con orgoglio l’eredità, fu infatti il settimanale «Crociata Italica», che iniziò le pubblicazioni nella Cremona di Roberto Farinacci (gennaio 1944). Il periodico, diretto da Don Tullio Calcagno, si fece «paladino di una concezione integralista del cristianesimo coniugata ad un irriducibile dogmatismo fascista», trovando adepti e simpatizzanti «specialmente nell’ambiente dei cappellani militari» <75: sebbene una semplice scorsa riveli che «il nome di Padre Reginaldo Giuliani è quello che ricorre con maggior frequenza» <76, due sono gli articoli d’interesse. Il primo, del 24 gennaio 1944, riportava il testo della commemorazione radiofonica tenuta dal torinese Don Edmondo De Amicis, successore di Padre Reginaldo tra le Camicie Nere di Passo Uarieu. Amare le considerazioni del cappellano della RSI, che dopo aver sottolineato il contrasto tra gli allori imperiali del 1936 ed il «cielo oscurato dalla vergogna di un re fuggiasco», contro la «strapotenza dell’oro giudaico», «il bolscevismo alle porte dell’Europa» e «l’Italia in due campi divisa» invocò il ritorno dell’eroe del Tembien: «Padre Giuliani, la tua figura bianco vermiglia ritorni sull’orizzonte della storia. La tua voce suoni e ridesti i sonnolenti, gli apatici, i corrotti, i vili, gli incerti, imperi ancora una volta. Siamo qui in attesa, noi che già rinserriamo i ranghi dei rinnovellati battaglioni della riscossa. I tuoi morti chiamano con te, e una voce sola risuona per dire che non tutto è perduto, che contro le mire di una congregazione politica, contro la congiura occulta, contro la potenza internazionale dell’oro più vale la potenza di quella fede che crede nella giustizia infinita di Dio e non può lasciare perire i poveri popoli onesti che credono nella potenza della preghiera delle madri e nel valore del sangue innocente dei bimbi macerati dalla barbarie nemica; che crede nel valore dei suoi soldati ritornati alla lotta dopo lo smarrimento di un’ora; che crede al destino di questa Italia favorita da Dio, faro di luce e di civiltà sul mondo egoista e pagano. Padre Giuliani, ritorna con noi e
guidaci alla lotta e alla vittoria!» <77.
Significativamente, erano gli stessi avversari di Calcagno ad utilizzare Giuliani contro «Crociata italica», accusando di imboscamento gli esaltatori del domenicano: come recitava un volantino, distribuito clandestinamente a Bergamo nel marzo 1944, «crederemo a lui e ai vari cappellani suoi colleghi quando sapranno fare quanto hanno fatto sui campi di battaglia Padre Giuliani e Don Mazzoni» <78. Certo non furono episodi simili, rivelatori di un dissenso pure esistente, a interrompere le celebrazioni. Tra le figure gravitanti intorno al periodico cremonese era il celebre Padre Eusebio Zappaterreni, «fascista fanatico, ammiratore dei nazisti e ardimentoso cappellano militare» <79. Questo focoso francescano non mancò di onorare la figura del domenicano nelle sue numerose orazioni, come quando, incitando alla resistenza militari e civili radunati in una piazza di Savona, asserì che «L’esempio di Padre Reginaldo Giuliani, di
Don Felice Stroppiana e di tanti altri fulgidi eroi non può essere tradito!» <80. Queste parole erano ben più di un occasionale escamotage retorico, perché «Il riferimento classico dei cappellani fascisti fu la figura di Padre Giuliani, alla quale le autorità di Salò tributarono postumi onori in ragione della fedeltà a Mussolini e del contributo da lui offerto alla causa della “civiltà cattolica e dell’impero fascista”», ad esempio con l’istituzione, da parte del Partito Fascista Repubblicano, delle Scuole all’aperto Padre Reginaldo Giuliani <81. Gli ecclesiastici più accesamente mussoliniani apprezzarono ed alimentarono, nella scia di Zappaterreni, il culto dell’eroe del Tembien, come fece quel Don Antonio Letta che all’atto di assumere la carica di Ispettore generale dei cappellani della Guardia Nazionale Repubblicana disse ai «confratelli sacerdoti in grigioverde»: «Rispecchiate lo zelo di Santo Francesco, imitate l’eroismo di Padre Giuliani» <82. Questi insistiti richiami accompagnarono le speranze di quanti confidarono prima nel trionfo, poi nel riscatto della Repubblica Sociale; nemmeno la certezza della sconfitta indusse il clero più nazionalista ad abbandonare l’icona del torinese. Dieci mesi dopo la conferenza radiofonica di De Amicis, quando la situazione dei fascisti era ormai disperata, «Crociata italica» ospitò un lungo articolo di Don Fermo Fidenzi, nel quale si immaginava che «L’eroico frate domenicano, già cappellano delle Camicie Nere, Padre Reginaldo Giuliani, medaglia d’oro, salito al cielo dalle gloriose ambe africane di Passo Uarieu il 21 gennaio 1936, angustiato dall’inaudito tradimento settembrino e dalla defezione di parte del suo popolo italiano dalle vie dell’onore, ottenne di poter tornare in pio pellegrinaggio sulla terra e di ripercorrere le vie dei suoi travagli e delle sue glorie». Il domenicano rivedeva così «l’istituto salesiano di Valdocco…pure esso rovinato da quei massacratori che certi beotissimi italianucci osano ancora chiamare liberatori» e si chiedeva «perché mai oggi, a tanti miei confratelli, sembra sporcarsi la bocca a parlare dei doveri verso la Patria», «perché ora i preti non escono a parlare al popolo». Giunto a Roma, rimaneva esterrefatto di fronte a «Un re fuggito e traditore; un governo di larve; stranieri imperanti; un sindaco americano; truppe occupanti e provocanti; negri scompiscianti i sacri ricordi»; non diverso lo spettacolo offerto dall’Ordinariato Militare («anche colà tutto silenzio…tutto “addomesticamento” e tradimento ignobile») e dal Vaticano, frequentato da «Capi stranieri e vescovi anglicani e generali massacratori. Vi fa la spola una eminenza grigia, americana anche essa: Monsignor Spellmann! Onde Cristo…è diventato americano!»). Avvilito, Giuliani ritornava infine in cielo, concludendo il suo «triste pellegrinaggio nell’Italietta del 1944, non più imperiale» <83.
Rabbia, impotenza e disperazione trasudavano dall’articolo, indicativa espressione di un gruppo che percepiva il rapido, inesorabile avvicinarsi della fine: né l’indignazione del defunto cappellano né le armi tedesche impedirono infatti il tracollo dell’Asse e della Grande Italia che Padre Giuliani aveva contribuito a costruire ed a celebrare. Terminata la guerra con un’ignominiosa sconfitta, si prospettarono per l’ex gloria nazionale anni molto difficili, caratterizzati da un imbarazzato silenzio.
Da questa pur sommaria rassegna alcuni dati emergono con chiarezza. Innanzitutto, la celebrazione del Nostro, esplicitamente approvata dall’autorità politica, non si limitò ai domenicani o al Piemonte, ma si estese ai laici ed assunse da subito dimensioni nazionali. Se nella figura del caduto il fascismo celebrò l’esemplare sacerdote-soldato, fedele alla patria fino al sacrificio supremo, i confratelli insistettero più sul carattere apostolico della sua azione, ma la diversità di accenti passò in secondo piano nel clima trionfale della campagna africana, caratterizzato da grande concordia tra Italia e Santa Sede. Il conferimento della medaglia d’oro sancì a livello ufficiale il gradimento del regime nei confronti di Giuliani, che entrò nel novero degli eroi fascisti e fu esaltato con toni e modalità istituzionali fino agli ultimi mesi della dittatura. Varie furono le vie attraverso le quali l’operazione si realizzò (toponomastica, arti figurative, pubblicistica, commemorazioni, ecc.) ma almeno un tratto comune può essere rilevato: chi encomiò a fini politici la figura del domenicano lo fece con la convinzione o comunque l’intento di parlare in nome della Nazione, o meglio della sanior pars che a tutto anteponeva la Patria. Dal fascismo-regime e dall’OMI si passò al fascismo repubblicano ed al clero mussoliniano, ma la sostanza dei discorsi non mutò: Frate Reginaldo, il cui attaccamento alla monarchia sabauda fu taciuto dopo l’armistizio, riuscì sempre funzionale al celebrante, che percepiva il «martire» e se stesso quale avanguardia sorta dal cimento della Grande Guerra e legittimata a ricoprire una posizione di rilievo nella vita del Paese.

[NOTE]
1 Cfr. Padre Giuliani, «Vita Nova», 9 febbraio 1936, p. 1); La Madonnina del Tembien, «Vita Nova», 16 febbraio 1936, p. 1; Padre Reginaldo Giuliani commemorato al Regio Liceo Ginnasio, «Vita Nova», 23 febbraio 1936, p. 3.
2 Enciclopedia cattolica, Ente per l’Enciclopedia cattolica e per il libro cattolico – Sansoni, Città del Vaticano – Firenze, 1948-54; PAVAN, GHISALBERTI, BARTOCCINI, CARAVALE (a cura di), Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1960-; TRANIELLO, CAMPANINI, Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, Marietti, Casale Monferrato 1982-84). Mimmo Franzinelli ha osservato che mentre «sono apparsi alcun contributi su personalità legate al consenso ecclesiastico al fascismo, quali ad esempio Padre Agostino Gemelli e il cardinale Ildefonso Schuster», «Su altri protagonisti dell’avvicinamento cattolico al regime è invece calato il silenzio: Don Paolo de Töth, Monsignor Antonio Giordani, Padre Reginaldo Giuliani» (FRANZINELLI, Il clero fascista, in DEL BOCA, LEGNANI, ROSSI [a cura di], Il regime fascista. Storia e storiografia, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 198-99).
4 DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Einaudi, Torino 1965, p. 477; MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra 1915-18, Laterza, Bari 1969, pp. 111, 295, 531; voce Arditismo, in DE GRAZIA, LUZZATTO, Dizionario del fascismo, Einaudi, Torino 2002-03, volume I, p. 96.
5 GERRA, L’impresa di Fiume, Longanesi, Milano 1974, pp. 155, 238, 274; BRICCHETTO, La verità della propaganda. Il «Corriere della sera» e la guerra d’Etiopia, Unicopli, Milano 2004, p. 132.
74 Sulle vicende dell’Ordinariato dopo l’8 settembre, cfr. FRANZINELLI, Il riarmo dello spirito. I cappellani militari nella seconda guerra mondiale, Pagus Edizioni, Paese 1991, pp. 167-37.
75 Ibid., pp. 225-26.
76 Cfr. DORDONI, «Crociata italica». Fascismo e religione nella Repubblica di Salò, gennaio 1944 – aprile 1945, SugarCo, Milano 1976, p. 77.
77 Padre Reginaldo Giuliani sacerdote di Cristo e combattente d’Italia, «Crociata italica», 24 gennaio 1944, p. 4.
78 FRANZINELLI, Il riarmo…cit., p. 227.
79 Ibid., p. 222.
80 Patriottismo di nostri sacerdoti, «L’Italia cattolica», 31 marzo 1944, riportato in FRANZINELLI, Il riarmo…cit., p. 223.
81 Ibid., p. 320.
82 Ibid., p. 322.
83 FIDENZI, Dal cielo scende il centurione crociato, «Crociata italica», 20 novembre 1944, p. 1.

Giovanni Cavagnini, Un apostolo per «la più grande Italia». Padre Reginaldo Giuliani tra mito e storia, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2007/2008