Circa la storiografia italiana intorno all’omosessualità e la relativa repressione fascista

Il tema più frequentato, tuttavia, dalla storiografia italiana intorno all’omosessualità è quello della repressione fascista. Esistono pregevoli pubblicazioni, fuori dell’ambito accademico, come quella collettanea del Circolo Pink, associazione gay e lesbica di Verona (Le ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo <65). Sono gli atti di un convegno svoltosi nel 1999 che danno spazio, per la prima volta a livello pubblico e nazionale in Italia, alla persecuzione degli omosessuali sotto il fascismo e il nazismo. Corredato da testimonianze di tedeschi sopravvissuti ai campi di concentramento e di reduci dal confino fascista, il libro evidenzia anche, come dice il titolo, le ragioni secondo cui agli omosessuali, come ad altre categorie di perseguitati, non sia stato dato spazio nella memoria, allargando il discorso della discriminazione ben oltre gli anni dei due totalitarismi, fino al secondo dopoguerra, quando le “ragioni di un silenzio” sono ancora individuabili in una pesante discriminazione nei confronti degli omosessuali, che “non fa che garantire […] la solidità delle categorie su cui si fonda l’immagine del vero uomo”, per usare le parole dell’antropologo Giovanni Battista Novello Paglianti <66.
Restando sempre sul tema del fascismo, si segnala ancora, per il caso italiano, la ricerca di Lorenzo Benadusi (Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista, 2005). Benadusi, attraverso una ricerca presso l’Archivio Centrale dello Stato, tira le fila di tutta una serie di ricerche svoltesi nell’arco di vent’anni in Italia, corredandole di una ricca documentazione, non sempre inedita, ma comunque ampia ed esaustiva <67. Il limite dell’opera è tuttavia, come sottolinea lo stesso Gentile nella prefazione, la struttura interpretativa: la teoria del virilismo fascista come chiave che spiega tutte le cose non è infatti sufficiente a definire un fenomeno che coinvolgeva nella costruzione di un uomo, ma anche di uno stato nuovo, fenomeni come la natalità, il sesso, la famiglia, in una richiesta di dedizione del cittadino allo Stato. Ridurre tutto a un “modello di coerenza”, in cui il totalitarismo è un fine, e non una strategia, vuol dire fraintendere il senso stesso delle operazioni di un regime e vedere come fallimenti e contraddizioni tutti quegli eventi che si allontanavano dal progetto sociale dello stato fascista <68.
Stesso periodo storico e stesso tema, il confino fascista, nel libro di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio (La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista, 2006). Si tratta della riscrittura della tesi di laurea presentata nel 1992 da Goretti. La scelta dei due autori si muove in direzione opposta a quella di Benadusi, poiché essi scelgono non di inquadrare la vicenda della persecuzione omosessuale in un orizzonte più ristretto, ma di focalizzare un evento culminante: la serie di arresti compiuta a Catania nel 1938 dal questore Alfonso Molina. Goretti e Giartosio affiancano alla vicenda storica, vista nei suoi rapporti istituzionali, una storia della vita quotidiana dei perseguitati; uno spaccato di vita sociale sul quale i documenti di archivio sono generalmente avari, e che i due autori cercano di ricostruire anche attraverso le testimonianze di quanti, alcuni anni fa, erano ancora in vita. Una documentazione, quindi, in alcuni casi recuperata attraverso varie peripezie quasi vent’anni fa, in un’esperienza non più ripetibile <69. Tra le fonti citate, di notevole interesse per la ricerca, la definizione di “oziosi e vagabondi” usata per definire eufemisticamente gli omosessuali <70 (proveniente dalla legislazione postunitaria e poi ricalcata, nel titolo “Ley de vagos y maleantes” dalla legge antiomosessuale franchista del 1952 <71).
Saggi sul razzismo contro gli omosessuali sono contenuti anche negli studi di Alberto Burgio <72. “Nel nome della razza” raccoglie gli atti dell’omonimo convegno svoltosi a Bologna nel 1998, dove viene affrontato, in un contesto multidisciplinare, il discorso del razzismo italiano, costruito non solo contro gli ebrei, ma anche contro neri, poveri, donne, omosessuali, stranieri, meridionali, in una definizione di razzismo che si amplia fino a inserire, innovativamente, anche il sessismo e che vede il suo sviluppo attraverso un percorso che parte dallo stereotipo per giungere alla naturalizzazione e, alla fine, al razzismo vero e proprio.
Stereotipo, naturalizzazione, razzismo: questa, nel modello di Burgio, la via che porta alla definizione delle razze, dove per “razza” non si definisce solo una caratteristica etnica, ma anche l’appartenenza a un gruppo socio-culturale, religioso o politico: “Tale prospettiva non parte dalla ‘razza’, ma dalle argomentazioni impiegate per costruirla […]. Tale rovesciamento impone di prendere la mosse dal censimento degli stereotipi […] che nei contesti più diversi mediano al naturalizzazione e la valorizzazione di identità storicamente determinate” <73.
Di qui la necessità di trasformare lo stereotipo in condizione innata: “Il collante di questo continuum discorsivo è la riduzione a natura di culture e sistemi di relazione, di forme di vita, funzioni sociali e comportamenti. Qui nascono le ‘razze’; e qui la biologia subentra alle scienze umane come paradigma di analisi” <74.
Per fare ciò, però, bisogna fondere in un unicum biologia e morale: “Ciò impone all’ideologia razzista un onere particolarmente gravoso. Essa deve indicare in modo plausibile il punto di innesto dell’elemento morale nell’elemento fisico (e, possibilmente in qualche carattere somatico visibile). E deve farlo, possibilmente, in modo da soddisfare i requisiti del discorso scientifico. Se ancora nel Settecento è sufficiente il sillogismo che desume l’inferiorità della ‘razza’ dalla sua ‘bruttezza’, facendo leva sull’assunto secondo cui nell’ordine naturale delle cose l’intelligenza si sviluppa in proporzione diretta alla bellezza, via via che il razzismo assume ambizioni di scienza si afferma la necessità di esibire prove più salde, fondate su riscontri oggettivi […] Da questo punto di vista i tentativi dei teorici razzisti di avvalorare il nesso tra caratteristiche somatiche e morali […] rappresentano il cuore del dispositivo razzista. La buona riuscita di questi tentativi – la presentazione di argomenti suggestivi, capaci di operare l’alchimia del passaggio tra psiche e soma, tra storia e natura – costituisce il punto di maggiore forza delle singole versioni del discorso” <75.
Quella di Burgio è una vera e propria rilettura del fenomeno razzista, parte della riflessione in atto, nel corso degli anni Novanta, su razzismo e persecuzione, specie nella società nazista, ma non solo. Un primo esempio di queste nuove riflessioni è il libro di Michael Burleigh e Wolfgang Wippermann (Lo stato razziale. Germania 1933-1945, 1992). Obiettivo di quest’opera è dimostrare che il nazismo, nel suo percorso che portò alla politica di sterminio, intendeva sostituire uno stato basato sulle classi con uno stato basato sulla razza, che doveva essere il più possibile pura; e per far questo, insieme alle politiche procreative attuò un sistema spietato di repressione. La società futura a cui aspirava il nazismo era basata su teorie razziali che non erano intrinseche al nazismo stesso, ma ad esso preesistenti e basate non solo sulla purezza della razza, ma anche su salute fisica e produttività. Secondo gli autori quello che rese veramente unico il nazismo fu la spietatezza con la quale perseguì tali teorie <76.
Per capire la delicatezza del dibattito nel quale si inserivano i due autori, basta leggere la pagina conclusiva in cui si ribadisce l’importanza della Shoah e la conferma del fenomeno nazista come “male assoluto”. Tuttavia era stato aperto un varco nella riflessione storiografica, nel quale anche in Italia si sono inseriti altri autori. Tra questi, Riccardo Bonavita (Spettri dell’Altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea). Il libro di Bonavita pone una relazione tra razzismo e stereotipi, tentando un ponte verso il sessismo, ossia analizza lo sviluppo del razzismo includendovi a margine, cosa abbastanza rara negli studi italiani, il discorso della sessualità come categoria razzizzata e il discorso degli stereotipi. Importante anche il discorso sulla periodizzazione, che fa risalire fino al medioevo riprendendo così una riflessione compiuta anni prima da Foucault <77.
Nello stesso solco si pone Michele Nani (Ai confini della nazione. Stampa e razzismo nell’Italia di fine Ottocento, 2006). La “nazionalizzazione per contrasto” è il tema del libro di Nani, che analizza come il processo di definizione dell’identità nazionale italiana passi attraverso una particolare definizione dell’alterità che vede nell’Africa, nel sud Italia e nell’ebraismo tre fra i suoi principali elementi di differenza: è in questo modo che le alterità, appunto, contribuiscono alla nazionalizzazione e ne sono a loro volta un portato. Le pubblicazioni a stampa diventano così un ottimo punto di osservazione per le dinamiche di definizione della nazione italiana e delle alterità attraverso la costituzione di stereotipi, modellati su base scientifica, ma anche sulla formazione di quel senso comune che rende gli stereotipi verità inconfutabili. Attraverso la stampa si definiscono l’africano, il meridionale e l’ebreo, utili a meglio definire l’identità degli italiani, entro la quale essi non saranno mai assimilabili. Fondamentale il passaggio che porta dalla definizione dell’alterità al razzismo in senso stretto. Pur senza dimenticare che vi è una differenza tra tipizzazione e stereotipo (e che non tutti gli stereotipi sono razzisti), vi è un momento in cui la definizione dell’altro diventa il perno di una politica e di un pensiero razzista <78.
Sul razzismo e sulla persecuzione degli ebrei si ricordano ancora, tra le opere più recenti, i già citati saggi di Theodore S. Hamerow (Perché l’Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all’orrore nazista, 2011) e di Thimoty Snyder <79, già analizzati. Una menzione inoltre, per l’affinità col tema (non dimentichiamo che la crociata contro i gay era anche rivolta alle prostitute e alla pornografia) meritano il lavoro di Peppino Ortoleva (Il secolo dei media, 2010), che affronta tra l’altro il tema della repressione della pornografia in Italia, e lo studio di Véronique Willemin (La Mondaine. Histoire et archives de la Police des Moeurs, 2009) sulla Buoncostume francese e la lotta alla prostituzione <80.
[NOTE]
65 Circolo Pink, (a cura di) Le ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo, Ombre Corte, Verona 2002
66 Ivi, p. 82.
67 L. Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista, Feltrinelli, Milano 2005
68 Per il commento di Emilio Gentile si veda: ivi, pp. XIII-XVI.
69 G. Goretti e T. Giartosio, La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista, Donzelli Roma 2008.
70 Per la definizione di oziosi e vagabondi si veda: ivi, p. 259.
71 A. Arnalte Barrera, Redada de violetas, cit., p. 67.
72 A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, Il Mulino, Bologna 1999;
A. Burgio, L. Casali (a cura di), Studi sul razzismo italiano (Quaderni di discipline storiche – QDDS 10), Clueb, Bologna pp. 89-107.
73 A. Burgio, Nel nome della razza, p. 19.
74 Ivi, p. 24
75 Ivi, pp. 26-27. A proposito di costruzione degli stereotipi negativi, può risultare interessante la lettura di A. Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, Il Mulino, Bologna 2008. Si veda anche l’edizione del 2007.
76 M. Burleigh e W. Wippermann, Lo stato razziale, cit., pp. 253-256.
77 R. Bonavita, Spettri dell’Altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2009.
78 M. Nani, Ai confini della nazione. Stampa e razzismo nell’Italia di fine Ottocento, Carocci, Roma 2006.
79 Th. S. Hamerow, Perché l’Olocausto non fu fermato, cit.; T. Snyder, Terre di sangue, cit.
80 P. Ortoleva Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, Il Saggiatore, Milano 2010; V. Willemin, La Mondaine. Histoire et archives de la Police des Moeurs, Hoebeke, Paris 2009.
Dario Petrosino, La repressione dell’omosessualità nell’Italia repubblicana e nei paesi NATO: Italia e Francia casi a confronto (1952-1983), Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia – Viterbo, 2014