Con Berlinguer segretario del PCI, ufficialmente dal 1972, l’elettorato crebbe esponenzialmente

Alla morte del leader Palmiro Togliatti, nell’agosto del ’64, la carica di Segretario di partito fu affidata a Luigi Longo, che in precedenza era stato il vicesegretario. La posizione di vicesegretario fu ricoperta da un giovane sardo, Enrico Berlinguer. Enrico era nato a Sassari nel 1922, in una famiglia di origini nobili. Il padre era un avvocato e il fratello minore, Giovanni, lavorò anch’esso in politica nelle file del comunismo. Berlinguer si interessò alla politica quando era ancora molto giovane: ad appena 21 anni, nel ’43, fu eletto segretario della gioventù comunista di Sassari. Era un giovane molto attivo e molto partecipativo alla vita politica, tanto che nel 1944 venne arrestato insieme ad altri compagni comunisti dopo aver organizzato e guidato una manifestazione per chiedere generi alimentari di prima necessità, che in quel periodo scarseggiavano. Dopo il suo rilascio, Berlinguer si trasferì a Roma con il padre e il fratello e conobbe Palmiro Togliatti; si fermò poco a Roma, dove lavorava effettivamente nel PCI, perché fu mandato a Milano, dove incontrò Longo. In questi primi anni di carriera politica, Berlinguer si dimostrò un giovane impegnato e nel ’46 fece il suo primo viaggio in URSS, dove incontrò Stalin, per il quale provava ancora ammirazione ed entusiasmo. In questi anni di passaggio dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la posizione dell’URSS, e di tutti i partiti comunisti, si consolidò attorno al dissenso verso il Patto Atlantico e l’imperialismo americano. Per esprimere più nettamente questo dissenso, il PCI decise di ricostruire la Federazione giovanile comunista italiana e Berlinguer fu designato segretario a soli 27 anni. Oltre a questo impegno, dal 1950 Enrico fu anche il Presidente della Federazione mondiale della gioventù democratica e questa posizione gli fornì l’esperienza necessaria nel campo delle relazioni internazionali con i Paesi del “socialismo reale”. Data la sua fervente posizione comunista, Berlinguer visse con profonda delusione la caduta del mito di Stalin, il processo di Destalinizzazione e la repressione sovietica della rivolta ungherese: sulle orme del suo mentore Togliatti, ribadisce e si allinea alla “via italiana al socialismo”. Questa via, come abbiamo visto, non poteva ancora significare una rottura con l’URSS in favore di un processo di social democratizzazione: per questo motivo, e per il veto internazionale sul PCI nella maggioranza di governo, il partito resterà all’opposizione ancora per molti anni. Tuttavia, sarà proprio la via togliattiana al socialismo il primo terreno di scontro con l’URSS, poiché Berlinguer in un discorso al Comitato centrale del PCI rivendica la democrazia interna al partito e l’autonomia dello stesso dalle decisioni e dalle mosse del PCUS. Alla morte di Togliatti, una volta ricevuto il “Memoriale di Yalta” in qualità di testamento politico del leader comunista, sarà di Berlinguer la decisione di pubblicare il promemoria del suo mentore, anche se contro il parere di Mosca: il memoriale sottolineava infatti i punti di divergenza tra il PCI e il PCUS e aprì una nuova strada alla dirigenza di Longo prima e, successivamente, di Berlinguer. Questa fu di certo una manifestazione di autonomia del Partito comunista, ma non fu l’unica: sempre nel 1964 Berlinguer espresse apertamente la sua perplessità al “ritiro volontario” di Chruščëv, cosa che fu poco gradita dal gruppo dirigente sovietico e che la classificò come “ingerenza negli affari di un altro partito”. Questa questione e quella della pubblicazione del Testamento politico di Togliatti costituirono il primo di diversi scontri con Mosca. Un altro scontro importante con l’URSS fu quello del 1969, in seguito all’invasione della Cecoslovacchia: il PCI, tramite l’organo ufficiale di stampa “L’Unità”, espresse sin da subito il proprio dissenso. L’anno successivo alla Primavera e in seguito al conflitto sino-sovietico al confine tra URSS e Cina, l’Unione Sovietica diede inizio alla Conferenza internazionale dei partiti comunisti, da cui si evinse una chiara frantumazione del movimento comunista poiché vide la defezione di diversi partiti comunisti, usciti dalla sfera di influenza sovietica: cinese, vietnamita e jugoslavo primi fra tutti. È importante non tralasciare che nel corso del 1968 il PCI aveva ampliato la sua base elettorale e Berlinguer stesso era stato eletto parlamentare alla Camera dei Deputati; in seguito all’invasione di Praga il vicesegretario si era detto molto dubbioso sulla posizione sovietica e aveva dato sostegno al “Nuovo corso” di Dubček. Alla Conferenza del ’69 Berlinguer dimostrò tutta la sua integrità, rifiutando di sottoscrivere il documento conclusivo per intero poiché tale documento giustificava l’intervento militare in Cecoslovacchia. Nel suo discorso alla Conferenza affermò: «Noi respingiamo il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni. Pensiamo a un sistema politico pluralistico e democratico.» <25 Berlinguer ha affermato più volte il suo carattere comunista, ma era comunista in modo differente dai sovietici. Tuttavia, questo non bastò a discostarsi dall’URSS apertamente, per una serie di motivi: il primo, perché il comunismo sovietico era un argine all’imperialismo americano; il secondo, perché Berlinguer non abbandonò mai la speranza riformista nei Paesi oltrecortina.
Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, il PCI sotto la guida di Berlinguer ottenne un maggiore riconoscimento a livello parlamentare: i partiti della maggioranza di governo, soprattutto la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito socialista italiano (PSI), cominciarono a intravedere la possibilità di collaborare con il Partito comunista. Rimase ferma però l’esclusione del partito dalla maggioranza di governo poiché il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat guadagnava in questo modo l’appoggio americano. Il Presidente Nixon apprezzava l’operato di Saragat, il quale descriveva il PCI come una obbediente pedina per gli interessi dei sovietici, ed era spaventato dalla diffusione del comunismo in Europa. Saragat non godeva dello stesso prestigio in Europa, dove il cancelliere tedesco Willy Brandt, del partito socialdemocratico (SPD), si intendeva meglio con Berlinguer, per una comunanza di vedute, e lo stesso partito laburista inglese di Wilson, alla guida dal governo, disapprovava le ingerenze degli USA nel Paese italiano. Il decennio si concluse in modo caotico, sia politicamente sia socialmente: Saragat viene accusato di aver favorito il tentativo di un colpo di Stato che avrebbe deviato il governo verso destra, e l’Italia intera nel 1969 rimane colpita dalla strage di piazza Fontana. Il pericolo del terrorismo influenza negativamente la politica e i principali partiti, contribuendo a definire due diverse correnti nella Democrazia cristiana: una chiaramente pronta a ribadire il proprio carattere antifascista e l’altra disponibile a ricostruire la maggioranza con la destra di Ugo La Malfa (Partito repubblicano). Nel marzo del 1970 Mariano Rumor presenta un governo composto dal quadripartito Democrazia cristiana, Partito repubblicano (PRI), Partito socialista (PSI) e Partito socialista unitario (PSU): le tensioni tra i vari esponenti politici dei partiti erano molto alte, la DC per suo conto stava subendo diverse pressioni da parte della Chiesa Cattolica per la legge di divorzio e il PCI non era favorevole alla prospettiva del quadripartito, collaborava invece con la parte della DC più riformista, guidata da esponenti quali Giulio Andreotti e Aldo Moro. Nel ’70 le violenze dei gruppi terroristici di destra non accennano a smettere, creando un ulteriore crisi di governo (la terza nell’anno) che si risolverà con un altro governo del quadripartito guidato da Colombo. Il governo Colombo dimostrò di essere più aperto alle richieste del PCI, che denuncia la mancanza di una ben definita politica economica sul modello degli anni ’50. In questo governo i rapporti tra i partiti sono abbastanza buoni, c’è dialogo con i socialisti di De Martino e Mancini e con la DC, in effetti il vero ostacolo di un’apertura a sinistra si rivela essere il quadro internazionale. <26
L’inizio degli anni ’70 si rivelò quindi molto instabile: la complicata situazione politica italiana si unì a quella internazionale quando nel 1971 gli USA decisero di rendere il dollaro incontrovertibile in oro, mettendo fine agli accordi di Bretton Woods e lasciando il mondo in una situazione finanziaria complessa. La situazione economica peggiorò con la svalutazione della lira, dando inizio a una fase di stagnazione nell’economia, e mise in difficoltà il governo di Colombo, che diede le dimissioni nel 1972, e il neoeletto Presidente della Repubblica Giovanni Leone sciolse le camere e affidò l’incarico ad Andreotti di formare un governo monocolore. Con l’avvicinarsi delle elezioni politiche, Berlinguer preparò la campagna elettorale focalizzandosi su alcuni punti principali, tra i quali il principio della produttività nazionale che doveva essere rilanciata attraverso il connubio tra sviluppo di agricoltura, urbanistica e industria, oltre che del Mezzogiorno. Con Berlinguer segretario del PCI, ufficialmente dal 1972, l’elettorato crebbe esponenzialmente: alle elezioni il partito era secondo solo alla DC, ma ovviamente la maggioranza di governo che si andò a formare comprendeva DC, Partito socialista e democratico (PSD) e Partito liberale (PLI), con l’appoggio del PRI. La parte della DC guidata da Moro restò esclusa da ogni tipo di incarico e questo, secondo Moro, andò a rafforzare le file del PCI. In effetti, in questi anni la DC stava vivendo degli scontri al proprio interno ed era divisa tra Fanfani e Moro, che veniva giudicato inadeguato per la sua apertura alla discussione con la sinistra. Per tutti gli anni ’70 Moro e Berlinguer saranno due politici chiave nelle trattative politiche del Paese, accomunati dal loro carattere forte e per la loro posizione di leadership nei rispettivi partiti: nessuno dei due aveva l’intenzione di abbandonare le radici ideologiche che caratterizzavano i partiti, ma spingevano per una collaborazione al fine di sanare la condizione di instabilità che si era creata da tempo nel Paese. La via per l’autonomia si rivelava essere un lungo processo, rallentato anche dai dubbi che esistevano all’interno del partito: non per questo, però, le scelte di Berlinguer possono essere giudicate meno coerenti. La via percorsa era tracciata anche dallo spostamento della società intera verso sinistra, spostamento interpretato da Aldo Moro che con la sua “strategia dell’attenzione” instaurò un dialogo e un confronto con il PCI sul piano dei problemi che la società italiana stava attraversando. Per il Partito comunista seguire questa via significava anche, e soprattutto, cominciare una lunga riflessione sulla rinuncia dell’identità comunista, considerata imprescindibile ma necessaria per diventare un partito di governo. Fu il comunista Pietro Ingrao a esprimere bene il concetto affermando che il rapporto che si era venuto a creare tra Stato e società era per certi aspetti contraddittorio e che questo comportava che: «Stare al di fuori non solo non garantisce autonomia, ma non sembra nemmeno possibile.» <27
[NOTE]
25 Fasanella G., Incerti C., 2014, Berlinguer deve morire, Milano, Sperling & Kupfer, p.119
26 Barbagallo F., 2006, Enrico Berlinguer, Roma, Carrocci, pp.137-143
27 Guerra A., 2009, La solitudine di Berlinguer. Governo, etica, politica. Dal “no” a Mosca alla “questione morale”, Roma, Ediesse, pp.96-97
Serena Nardo, Il ruolo del Partito comunista italiano nella Guerra Fredda: lotta per l’autonomia dalle superpotenze, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022