Esempi di repressione poliziesca a Verona nella prima metà del Novecento

Alfonso Cavarzere, materassaio, viene arrestato dopo aver inviato nel 1937 una lettera al federale di Verona contenente insulti e minacce: reduce dall’Africa orientale italiana, si lamenta di essere disoccupato e di dover pernottare presso i dormitori pubblici. A suo carico si registrano alcuni precedenti per insubordinazione e rifiuto di obbedienza durante il servizio militare: si era recato come volontario in Africa per non scontare la pena cui era stato condannato. Indicato come soggetto «ozioso» che «conduce vita randagia», gli vengono comminati tre anni di confino a Spezzano Albanese (CS).
Giuseppe C. viene posto sotto sorveglianza nel 1937 perché invia lettere minatorie e di protesta al prefetto e al podestà di Verona. Arrestato una prima volta per oltraggio a pubblico ufficiale e successivamente inviato al confino (due anni a Toro, CB), è un giovane disoccupato senza fissa dimora assistito dall’Ente di assistenza comunale, già arrestato nel 1937 per mendicità e ricoverato in manicomio in Svizzera. Trasferito a Pisticci (MT), viene ricoverato in ospedale per un controllo psichiatrico e infine inviato in manicomio a Miano (NA) nel 1939. Dimesso perché ritenuto mentalmente sano e rinviato a Toro, alla fine del 1940 torna a Verona avendo terminato di scontare il periodo di confino. Non se ne hanno altre notizie fino al 1952, quando risulta ricoverato nell’Ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere (MN) <125.
Il conflitto con i cattolici per il monopolio sui giovani.
Nel quadro del conflitto con la Chiesa per il monopolio delle organizzazioni giovanili si inseriscono due fascicoli aperti nel 1930 a carico di altrettanti noti esponenti cattolici veronesi, ex popolari, in occasione della loro iscrizione da parte della Questura in un «elenco dei dirigenti ostili al regime ed alle sue organizzazioni giovanili». Si tratta del conte Francesco De Besi, notaio, che è all’epoca presidente della Giunta diocesana veronese per l’Azione cattolica, e di Corrado Liverani, dapprima proprietario della tipografia Zenoniana e in seguito viaggiatore di commercio per l’Unione editoriale d’Italia, presidente della Federazione giovanile cattolica veronese <126. In seguito, nel 1932, la Prefettura chiede informazioni alla Questura a proposito di De Besi perché viene proposto per l’onorificenza di commendatore dell’Ordine equestre di San Silvestro Papa. Il questore ricorda che «Non è stato molto favorevole al fascismo» ma non è più un elemento ostile, quindi «merita di usare» l’onorificenza proposta. Viene radiato dal novero dei sovversivi nel 1934 in considerazione della sua età avanzata (all’epoca ha 76 anni), anche se non è iscritto al PNF. Di Corrado Liverani si dice, nel 1930, che «fu ardente popolare» e che «conserva tuttora la sua fede popolare ed è ritenuto un avversario del Regime, sebbene non si abbiano elementi concreti per comprovarlo, essendo di gesuitico temperamento chiuso e taciturno». Negli anni successivi risulta mantenere le sue idee ma non dà luogo a “rimarchi”. Richiamato alle armi, combatte nella Seconda guerra mondiale come capitano di complemento anche durante la RSI, pur continuando a non avere la tessera del partito. Nel dopoguerra lavora come impiegato presso la Sovrintendenza ai Monumenti, e il suo fascicolo viene definitivamente chiuso perché risulta simpatizzante della DC.
Altre motivazioni.
In taluni casi, la motivazione che porta all’attivazione della sorveglianza non è agevolmente riconducibile a nessuna di quelle fino a qui elencate. Nonostante ciò, alcune di queste vicende “particolari” risultano comunque interessanti da citare.
Il fascicolo di Augusto Battisti, nato a Verona nel 1873 e schedato come anarchico, viene aperto nel 1894 da una richiesta di informazioni che la Questura di Verona rivolge al Tribunale. Dedito «all’oziosità, al vagabondaggio ed ai furti» fin «dalla fanciullezza», è cresciuto in vari collegi e ha già alle spalle alcuni brevi periodi di carcere. A vent’anni frequenta i componenti del gruppo anarchico veronese e partecipa alla manifestazione cittadina di solidarietà con i moti di Sicilia: è questo che gli vale, all’origine, la schedatura tra i sorvegliati politici. Dopo il 1894, infatti, il suo pur ricco fascicolo non contiene più nulla che sia riconducibile a una qualche attività politica. Dal 1895 lavora come falegname per un’“altalena americana” e si sposta di località in località con un gruppo di giostrai ambulanti. Arrestato e condannato per tentato furto nel 1898, non se ne hanno notizie fino al 1923, quando risulta senza fissa dimora (dorme presso i dormitori pubblici) ma viene fermato di continuo per misure di P.S. e condannato in più occasioni per oltraggio, ubriachezza, questua vessatoria. Nel 1932 è arrestato dai militi della MVSN per una frase contro Mussolini pronunciata in un’osteria. Assegnato per tre anni al confino come pregiudicato comune «siccome pericoloso per la sicurezza pubblica, ozioso, vagabondo, contravventore abituale alle disposizioni di legge sull’accattonaggio», viene inviato alle isole Tremiti. Anche se dichiarato inidoneo per ragioni di salute al regime di confino, vi rimane comunque fino alla fine del periodo, nel 1936. Arrestato nel 1937 per ubriachezza, subisce fermi di P.S. ed altri arresti anche in seguito, vivendo in alloggi di fortuna presso le casematte di San Giorgio e di San Zeno. Nel 1940 un agente lo segnala per la proposta di radiazione in quanto elemento vecchio e innocuo, misero e mendicante, ma viene sorvegliato perlomeno fino al 1942.
Antonio Faccioli, nato a Soave nel 1896, frenatore delle Ferrovie schedato come comunista, viene sorvegliato dal 1923 perché l’Ufficio di P.S. del compartimento di Venezia delle Ferrovie dello Stato informa la Questura che ha ricevuto un consistente vaglia dal Sindacato ferrovieri di Bologna dopo essere stato licenziato per aver partecipato a scioperi e per propaganda sovversiva. Successivamente si reca in Francia ma, espulso dal Paese, rientra in Italia nel 1926 e spedisce una lettera al direttorio del Fascio di Soave (pubblicata anche dall’«Arena», il 6 marzo 1926) in cui dice di aver abbandonato la «via sbagliata» e dichiara che avrebbe cercato di attirarsi «la simpatia» del direttorio. Viene quindi nominato segretario del Sindacato dei fornaciai di Castelletto (Soave) ma nel 1927 emigra di nuovo, clandestinamente, con il pretesto di un pellegrinaggio a Lourdes. All’estero non risulta più attivo in politica, ma viene segnalato anche in seguito come profondamente avverso al Regime.
Alba Molteni, nata a Verona nel 1899, sarta e poi impiegata, denuncia nel giugno 1940 alla Milizia il suo padrone di casa, Giovanni Martini, che le aveva intimato lo sfratto, per offese al duce e al fascismo. Martini, arrestato, viene poi rilasciato mentre è la Molteni ad essere successivamente arrestata perché la polizia non crede alla sua versione. Inoltre, poiché è sospettata di dare alloggio nella sua abitazione a coppie clandestine, viene trattenuta in carcere per due mesi e ammonita.
Di Fulvio Cabella, chimico industriale, nato a Verona nel 1904 ed emigrato in America latina nel 1937, si interessa nel 1941 il Ministero dell’Interno perché risulterebbe di razza ebraica. Mentre il sospetto non viene confermato, Cabella, che si era trasferito ancora bambino da Verona ed era stato impiegato alla Carlo Erba di Milano, viene sorvegliato anche in seguito durante la guerra perché segnalato dal consolato come appartenente all’associazione “Italiani liberi” che sarebbe in relazione con gli inglesi.
Alma Maria Ferrarese, nata a Caldiero nel 1904, viene sorvegliata dal 1936 perché vive separata dal marito, «condurrebbe vita equivoca e farebbe parte di un gruppo di persone politicamente sospette». Oltre a vantare conoscenze altolocate e ad «accompagnarsi» a ufficiali, sostiene di avere un incarico per conto del Ministero della Guerra. Perquisita e interrogata, dice di aver fornito a un capitano dei carabinieri del Servizio investigazioni militari informazioni sul fidanzato inglese di Maria Vittoria Lo Faso. La Lo Faso, figlia di Camilla Milani (amante del luogotenente generale della MVSN Vittorio Raffaldi e indicata nelle carte di polizia come «nota avventuriera e sospetta di spionaggio militare»), è anche nipote da parte di madre dell’ingegnere Paolo Milani (progettista dell’omonimo canale) ed è oggetto di attenzioni da parte del controspionaggio per la sua relazione sentimentale <127. Di tutta questa intricata vicenda dai contorni oscuri e circondata da sospetti rimane, però, solo un fatto apparentemente del tutto limpido e comune: il fidanzato inglese, rappresentante della Glaxo, sposa infine Maria Vittoria Lo Faso, la quale si trasferisce con lui in Inghilterra acquisendo la cittadinanza inglese. Dal canto suo Alma Maria Ferrarese, nonostante venga diffidata, l’anno successivo richiede un compenso per i servizi da lei prestati allo spionaggio militare. Il questore la chiama a colloquio e, in un appunto a margine di un foglio, scrive semplicemente: «È matta!». Si era infatti presentata in Questura dicendo di possedere informazioni su una spia russa: nonostante la polizia non le dia credito, la presenta comunque al centro di controspionaggio del Ministero della Guerra, ma le sue informazioni risultano poi infondate. Nel 1939 viene inviata a Caldiero con un foglio di via, ma si stabilisce poi a Bologna. Successivamente, nel marzo del 1943, è arrestata a Terni per aver scattato fotografie ad alcune installazioni militari. Dopo la Liberazione viene arrestata per collaborazionismo, presa in consegna dal CIC (Counter Intelligence Corps) dell’esercito americano e internata a Terni. Trasferita in stato d’arresto a Verona nell’aprile 1946, è condannata nel settembre 1945 dalla Corte d’Assise straordinaria a 14 anni di reclusione per collaborazionismo e ad una multa per millantato credito. Scarcerata nel settembre 1946 per amnistia, nel 1950 viene spiccato nei suoi confronti un nuovo mandato d’arresto per furto e truffa, reati per i quali risulta condannata a 5 anni e 8 mesi di reclusione.
Il fascicolo di Giuseppe De Girolamo, falegname nato a Reggio Calabria nel 1896 ma residente a Verona dal 1946, viene aperto nel 1958 per una richiesta di informazioni alla Questura da parte del Ministero dell’Interno dopo che lo stesso De Gerolamo aveva presentato domanda di accedere ai benefici previsti dalla legge sui perseguitati politici antifascisti. Dichiara infatti di essere stato più volte percosso e costretto a bere olio di ricino, e di essere stato internato nel campo di concentramento di Manfredonia dal 1940 al 1942, fatti e circostanze che risultano confermati. Negli anni Venti era stato segretario della sezione comunista di Reggio Calabria, più volte fermato per misure di P.S. Viene radiato all’atto della sua morte, nel 1963.
[NOTE]
125 Cfr. ivi, b. Cam-Cao.
126 Per entrambi, cfr. Colombo III, ad indicem.
127 Su Maria Vittoria Lo Faso e Camilla Milani cfr. i rispettivi fascicoli in ASVr, Questura, A8 Radiati, ad nomina.
Andrea Dilemmi, «Si inscriva, assicurando». Polizia e sorveglianza del dissenso politico (Verona, 1894-1963), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Verona, 2010