La procedura penale era discriminante nei confronti di etiopici, somali ed eritrei

Se dal punto di vista scientifico nessuno studio particolare è finora stato fatto sulle sentenze dei tribunali militari dell’Africa orientale italiana, la narrativa si è comportata diversamente anticipando di gran lunga la ricerca storica. Nel dopoguerra Ennio Flaiano scrisse “Tempo di uccidere”, <3 fortunato romanzo ambientato in Etiopia durante l’occupazione italiana, il cui protagonista venne volontariamente, negligentemente o involontariamente a trovarsi in un turbine di irregolarità crescenti: una diserzione prolungatasi per paura della condanna; un omicidio colposo ai danni dell’amante; diverse alienazioni di munizioni da guerra sparate per difendersi da un animale selvatico; caccia abusiva; furto in danno di ufficiale medico; tentato omicidio; porto volontario di arma. Per tracciare la trama del romanzo sembra che l’autore abbia attinto direttamente dalle sentenze, estrapolandone le vicende più comuni per poi attribuirle ad un individuo unico, in verità piuttosto sfortunato e incapace di dominare gli eventi.
La ricerca storica sulla giustizia militare in Italia ha prodotto assai pochi studi.
[…] Giorgio Rochat in una recente pubblicazione ha fornito le linee essenziali per meglio decifrare le evoluzioni della giustizia militare dal 1940 al 1943. <6 Lo studio si basa su 120 promemoria sulla giustizia militare redatti per Mussolini e non sulle sentenze, perciò non prende in considerazione aspetti particolari legati a microeventi o alla più diversa soggettività. È un utile saggio per ricostruire la giustizia militare nel suo complesso nel triennio 1940/1943: dalla costituzione, funzionamento e locazione delle singole corti, alla tipologia ed effettiva applicazione dei bandi.
[…] Il funzionamento della giustizia militare nelle colonie italiane venne sancito in periodo fascista e non precedentemente. Tra i possedimenti libici e quelli dell’Africa orientale vennero introdotte differenze sostanziali. <9 In Libia i tribunali vennero concepiti come tribunali militari territoriali con organi permanenti, cioè strutture stabili per amministrare in tempi lunghi e non in un’ottica emergenziale la macchina militare: la commissione d’inchiesta non era prevista, il giudice relatore era un civile nominato anno per anno dal governatore. Il personale militare – ridotto all’osso – comprendeva solamente l’avvocato militare, il giudice istruttore e il cancelliere, tutti nominati dal ministro della guerra d’intesa con quello delle colonie.
[…] Anche il tribunale militare della Somalia poteva apparire come una struttura piuttosto stabile, aveva una sola sede, con una immensa competenza territoriale, e un esiguo numero di giudici, cancellieri e funzionari.
[…] Erano soggetti alla giustizia militare in colonia i soldati di truppa, i sottufficiali e gli indigeni del corpo delle guardie coloniali e delle guardie carcerarie colpevoli di determinati reati. Gli ufficiali – conclusa l’istruttoria in colonia – venivano giudicati in patria da un tribunale militare di volta in volta designato dal Tribunale supremo militare di Roma.
I tribunali esercitavano una giustizia disciplinata dai codici militari, oppure utilizzando i dispositivi della legislazione coloniale non in vigore in patria come i decreti e i bandi dei governatori. Inoltre vi erano casi particolari, sintomatici del grado di fascistizzazione delle istituzioni nelle colonie, come l’applicazione della legge sulla difesa dello Stato. Per i reati previsti da questa legislazione i procedimenti si tenevano in Italia, in Eritrea e Somalia venivano svolti solamente i primi accertamenti.
[…] Dal 1936 il fascismo dovette estendere a nuovi territori tutta l’organizzazione della giustizia, non solo quella militare. La politica utilizzata in questa nuova fase fu nettamente discontinua rispetto alla precedente: nei fatti non furono riconosciute le differenze fra le forme di diritto locale e di diritto consuetudinario. Ai governatori venne concessa la facoltà di introdurre progressive modifiche al diritto indigeno allo scopo di raggiungere una graduale assimilazione giuridica della società locale a quella bianca. <12
In merito ai tribunali militari, il processo di assimilazione fu notevole perché centinaia di sudditi vennero processati da corti composte da soli militari italiani, le quali applicarono norme che non riconoscevano la tipicità della situazione locale. Anche le pene di tipo occidentale/moderno come carcere prolungato e fucilazioni – limitazione della libertà individuale e diritto di vita e morte sull’individuo – non corrispondevano alla consuetudine. La procedura penale era discriminante nei confronti di etiopici, somali ed eritrei: ad esempio, l’aspetto non secondario della lingua metteva in una posizione di inferiorità i locali, considerando l’endemica esiguità degli interpreti e la scarsa diffusione delle lingue locali tra gli ufficiali.
Processi militari in Aoi: i numeri
Dagli inventari conservati all’Archivio centrale dello Stato di Roma risulta che i tribunali militari dell’Africa orientale italiana, dal maggio 1936 al dicembre 1940, celebrarono un numero complessivo di 8336 processi nei confronti di cittadini italiani, di stranieri e di sudditi coloniali, ma è opportuno osservare che la loro numerazione ufficiale è leggermente inferiore a quella reale perché non tiene conto delle numerose sentenze con numeri doppi seguiti da indicazioni come bis, ter o quater. Le sentenze, raccolte in 26 volumi, nella maggior parte dei casi sono lunghe tre pagine scarse.
[…] soldati furono la maggioranza delle persone sottoposte a processo (1213); dato questo prevedibile, ma è sorprendente il fatto che, nel 1938, essi siano stati superati dalle camicie nere. Operando una comparazione tra la proporzione di Ccnn e soldati delle forze armate in Africa orientale e le denunce a loro danno, risulta che le guardie della rivoluzione fascista adottarono in taluni frangenti comportamenti illegali più dei subalterni delle forze armate, più di qualsiasi altra componente della società coloniale.
[…] Una rielaborazione delle sentenze a partire dalla tipologia delle accuse non presenta sorprese rispetto alle iniziali aspettative sulla percentuale dei crimini. Il reato più diffuso tra gli italiani fu il furto che coinvolse 891 persone. <23 In questa cifra vengono calcolate le ruberie a danno dell’amministrazione militare e di singoli sia estranei che membri delle forze armate. Le denunce di alienazione di effetti militari e munizioni, corruzione, concussione, prevaricazione e truffa furono 251. Sempre a danno dell’amministrazione militare, vennero consumati reati come danneggiamenti e incendi colposi o volontari (68), distruzione di oggetti, armi e munizioni (13). Altri reati di tipo economico furono la ricettazione (172), l’incauto acquisto (29) e l’usura (1). Disertarono in 555 e abbandonarono il posto altri 69. La denuncia per abbandono di posto scattava immediatamente, mentre per la dichiarazione di diserzione dovevano passare cinque giorni dal momento della scomparsa. Questi tipi di reati nella maggioranza dei casi coinvolsero gli operai. Furono pochi i militari che disertarono espatriando allo scopo di lasciare l’impero e il fascismo. Molti di più lasciavano gli accampamenti per raggiungere i villaggi indigeni per concedersi solamente un periodo di svago e non come dissenso attivo verso il regime coloniale. Vi furono casi di diserzioni protrattesi per vari mesi, ma furono un’eccezione perché solitamente si risolvevano in un breve periodo. Invece le accuse di insubordinazione (211), rifiuto di obbedienza (264), violazione di consegna (86), rivolta (6), resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale (19) e ammutinamento (12) sanzionavano comportamenti che erano più conflittuali della diserzione per le modalità in cui si manifestavano. Le vicende comunque – anche nei casi di rivolta e ammutinamento – erano sempre di natura minore e non possono essere utilizzate come indicatore per valutare nel complesso dell’esercito il rispetto delle gerarchie e degli ordini. I differenti tipi di reati di violenza furono 221, <24 gli omicidi 135. <25 Poche furono le denunce per autolesionismo, mutilazione volontaria e simulazione e procurata infermità (22). Furono diverse le violazioni di domicilio e le minacce a mano armata consumate ai danni degli indigeni. Numerosi furono i casi in cui gli italiani stuprarono e violentarono le indigene, ritenendole indiscriminatamente prostitute anche in presenza di figli e mariti. Se si prendono in considerazione il secondo e terzo capo d’imputazione oltre al primo, i reati di tipo economico rimangono i più presenti (446), <26 al secondo posto rimangono i provvedimenti legati alla disciplina (227). <27
[…] A partire dal 1940, i tribunali militari dell’Africa orientale italiana incominciarono ad applicare la legislazione antiebraica, da pochi mesi entrata in vigore in patria, che si dimostrò un ulteriore provvedimento per rafforzare lo spartiacque tra colonizzatori e comunità autoctone. Il magistrato non ricorse più ai capi d’imputazione così come erano stati legiferati in colonia ma, come nel caso delle leggi speciali di polizia, impiegò le norme del patrio legislatore. Nonostante le norme facessero parte dei dispositivi atti a reprimere le comunità ebraiche, nell’impero gli atti lesivi della razza riguardarono sudditi etiopici, eritrei o somali e mai cittadini italiani di religione ebraica.
[NOTE]
3 Di questo romanzo nel 1989 venne fatta dal regista Giuliano Montaldo una versione cinematografica (Tempo di uccidere, Italia, colori, 110 minuti). Tra gli attori presero parte al film Nicolas Cage, Ricky Tognazzi e Giancarlo Giannini.
6 Giorgio Rochat, Duecento sentenze nel bene e nel male. La giustizia militare nella guerra 1940-1943, Udine, Gaspari, 2002.
9 Ernesto Cucinotta, Istituzioni di diritto coloniale italiano, Roma, Istituto coloniale fascista, 1930, pp. 217-220.
12 Gennaro Mondaini, La legislazione coloniale italiana nel suo sviluppo storico e nel suo stato attuale, 1881-1940, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1941, p. 404.
23 Questa cifra e le successive includono il concorso di reato, il tentativo, l’associazione.
24 Ferimento in rissa (14), lesioni colpose o volontarie (153), percosse (14), rissa (8), strage (2), stupro violento (8), violenza carnale (2), violenza privata (20).
25 Omicidio colposo (92), volontario (41) e per eccesso nell’esecuzione della consegna (2).
26 Alienazione di oggetti militari e munizioni (77), appropriazione indebita (26), commercio abusivo (24), contrabbando (14), corruzione (8), furto (184), prevaricazione (24), rapina (11), ricettazione (10), truffa (68).
27 Abbandono di posto (17), insubordinazione (135), oltraggio a pubblico ufficiale (11), resistenza a pubblico ufficiale (12), rifiuto d’obbedienza (24), violata consegna (28).
Matteo Dominioni, I tribunali militari dell’Africa orientale italiana 1936-1940, Israt