Sartre nell’ultimo decennio della sua produzione mira a trovare un senso alla storia umana senza rendere il singolo sacrificabile in nome di un’ideologia

Dopo anni di silenzio o di dibattito confinato a un ristretto gruppo di fedeli lettori, si torna a parlare pubblicamente di Sartre, ad assistere alle sue pièces teatrali, a leggerlo e a studiarlo dentro e fuori i confini del mondo accademico. L’interesse suscitato dall’occasione della celebrazione, nel 2005, del primo centenario della nascita del filosofo e scrittore francese sembra non essersi sopito e questo, a mio avviso, è il segno rivelatore di un’esigenza più profonda rispetto alla superficiale moda delle ricorrenze, un’esigenza imposta dal particolare momento storico-culturale che stiamo attraversando in questo primo scorcio di XXI secolo segnato dalla crisi economica e dalla perdita di centralità di un’Europa in cui lo stesso modello del welfare State che l’aveva contraddistinta come possibile “terza via” tra il liberismo senza regole e l’economia pianificata viene rimesso in discussione.
Nel corso del tempo che ci separa dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1980, la filosofia di Jean-Paul Sartre ha indubbiamente resistito ai tentativi di normalizzazione e di oblio, oltreché a diverse modalità di misconoscimento. Attualmente, però, la consistenza teoretica di alcuni temi vitali del pensiero sartriano si è di nuovo imposta all’attenzione degli specialisti e del pubblico. Sartre viene riscoperto come classico, nel senso in cui Calvino scriveva che classica è quell’opera «che non ha mai finito di dire quel che ha da dire» e «che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso».
La riflessione sartriana sulla dialettica che si instaura tra la libertà ontologica costitutiva dell’esistenza umana e la necessità di una Storia pesantemente condizionata dal pratico-inerte, in cui in virtù della controfinalità, l’energia della nostra praxis è ritorta contro di noi, è senz’altro di stretta attualità: essa abbraccia un lungo arco di tempo, dagli anni della drôle de guerre in cui Sartre dichiara di aver conosciuto per la prima volta la Storia e di aver “scoperto il sociale” fino alla fine della vita di Sartre, quando il filosofo dichiarava che “ribellarsi è giusto”. In particolare il periodo più significativo per l’evoluzione in senso storico-dialettico del suo esistenzialismo è quello compreso tra il 1960, data di pubblicazione del primo volume della “Critique de la raison dialectique”, dedicato alla teoria degli insiemi pratici, e il 1972, quando uscì “L’Idiot de la famille”, monumentale ricostruzione della biografia di Gustave Flaubert in cui viene applicato il metodo progressivo-regressivo teorizzato nelle “Questions de méthode” e banco di prova di “cosa si può conoscere di un uomo”. In questi anni (1958-1962) Sartre scrive la parte del secondo tomo della “Critique” pubblicata postuma e dedicata al problema dell’intelligibilità della storia e tiene, nel 1961 e nel 1964 le due conferenze di Roma sulla questione della soggettività e sulle possibilità di un’etica nel pensiero marxista.
[…] L’indagine è compiuta sulla scorta delle testimonianze autobiografiche e biografiche (da “Les Mots” all’”Autoportrait à soixante-dix ans”, passando per le numerose interviste e le testimonianze di Simone de Beauvoir e Michel Contat), delle opere letterarie (specialmente la raccolta di racconti “Le Mur” e il romanzo “la Nausée”, ma anche le opere teatrali come “Les Mouches” e “Le Diable et le Bon Dieu”), degli scritti di matrice fenomenologica e, soprattutto, dei “Carnets de la drôle de guerre”, documento in presa diretta dell’incontro di Sartre con la Storia. L’individualista d’anteguerra, l’autore de “La nausea” che sognava una morale della redenzione tramite l’opera d’arte, viene congedato per far spazio a un Sartre più responsabile, socialmente consapevole e politicamente impegnato, consapevole del suo posto nella storia e dell’enormità degli eventi in cui si trova coinvolto.
Su queste nuove basi Sartre innesta la riflessione sull’ambiguità della Storia, centrale nei “Cahiers pour une morale” e preparatoria rispetto alle “Questions de méthode” e al confronto con il marxismo.
Quando la possibilità di una struttura intersoggettiva aperta alla sola trascendenza (cioè capace di infrangere la catena delle alienazioni che costituiscono la storia) si rivela infondata, l’unica autentica possibilità di liberazione sarebbe l’eliminazione dell’alterità in tutte le sue forme, impossibile per la struttura esistenziale dell’uomo: «Non si può fare la conversione da soli. In altre parole, la morale è possibile solo se tutti sono morali». È proprio da questa sorta di impasse che matura in Sartre la necessità di interrogarsi sulle possibilità della propria filosofia, interamente basata sul concetto di libertà assoluta dell’individuo, di dar conto della logica opprimente della storia. La sua riflessione avrà come esito l’abbandono del progetto di pubblicare un saggio compiuto sulla morale e l’avvio di un’impresa sistematica per fondare una dialettica della storia per il XX secolo.
[…] Seguendo l’esempio di Marx che, nella “Tesi su Feuerbach”, aveva sintetizzato l’intuizione feuerbachiana della natura concreta dell’uomo con quella hegeliana della sua storicità, Sartre nell’ultimo decennio della sua produzione filosofica tenta l’impossibile: mira cioè a fondare il sistema salvando l’individuo, trovare un senso alla storia umana senza rendere il singolo sacrificabile in nome di un’ideologia, pensare una rivoluzione che non trasformasse il gruppo in fusione in serialità e che determinasse un rinnovamento anche ontologico dell’essere umano, finalmente liberato dall’orizzonte della penuria.
Con il passaggio dai “Cahiers” alla “Critique de la raison dialectique”, l’impostazione globale di Sartre è cambiata, divenendo più complessa. In particolare, il suo punto di vista sulle tematiche dell’oppressione e della rivolta ormai include anche la realtà socio-economica. Ogni filosofia viva è azione ed implica l’impegno pratico di uno o più uomini che tentino di realizzarla; da questo consegue che la sola ragione analitica non può più essere, per il Sartre della “Critique”, lo strumento adeguato per una ricerca attiva della verità umana. Soltanto una ragione dialettica permette di oltrepassare il livello della mera accumulazione di conoscenze parziali, al fine di tentare di comprendere la realtà concreta nel suo significato globale per poi migliorarla. Il metodo da seguire per giungere alla costituzione di una tale antropologia strutturale e storica è ugualmente un metodo dialettico, l’unico a giudizio di Sartre in grado di tener conto della complessità dei rapporti che legano gli uomini fra loro e con il mondo.
Chiara Pasquini, Storia e libertà. Hegel e Marx nel pensiero dialettico di Sartre: una lettura delle conferenze di Roma, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2013