Sei un uomo che è vissuto sugli alberi per me, per imparare ad amarmi…

Italo Calvino ed Elsa De Giorgi. Fonte: Biagio Riccio, art. cit. infra

Tuttavia, se la De Giorgi, dopo essere stata Claudia, Cinzia, Delia, rivive perfettamente anche e soprattutto nel personaggio di Viola, grazie a queste caratteristiche positive, c’è anche un altro elemento che ugualmente le determina e caratterizza entrambe: fu il dramma vero dell’assenza di Sandrino per la De Giorgi che ricondussero lo scrittore agli schermi di vuoto imposti dalla civetteria di Viola “civetta, vedova e duchessa”, “imprevedibile e fiera”, assenza suprema. È irrimediabile la sua inafferrabilità che esaspera la gelosia di Cosimo fino al parossismo e, come Cosimo, Calvino si trovava costantemente di fronte a questa instabilità: “Imparo che la tensione massima dell’amore non è possedere una donna, ma conquistarla… La tensione di un uomo moderno non è nello sfuggire un amore difficile, ma una donna come te è il massimo premio per un intellettuale moderno perché lo affranca dalla viltà”. <180 “E questo tuo ghiribizzo di civettare che ora ti ripiglia non mi piace per niente, lo giudico un’intrusione di un motivo psicologico completamente estraneo all’atmosfera che deve regnare tra di noi”. <181 “E poi cos’è questa cosa che non mi dici per filo e per segno cosa fai in tutte le ore della tua giornata e chi vedi e con chi vai a colazione e a cena e a teatro e al cinema? Non credere che qui il tono scherzoso sia un tono scherzoso”. <182 “Dov’era stata Viola? cos’aveva fatto? Cosimo era ansioso di saperlo ma nello stesso tempo aveva paura del modo in cui lei rispondeva alle sue inchieste (…)” [ (Italo Calvino), Il barone rampante pag.189]
Proprio quando è più se stesso, Calvino sembra un altro, un anticalvino: è irrazionale, irragionevole e geloso per le «tentazioni di civetteria» dell’amata, l’accusa di «civettare» troppo, di amare la mondanità, che è «la gente insieme quando non c’ è uno scopo funzionale e pratico»; addirittura fa le ore piccole per aspettare che rientri «la nottambula romana» e poterla sentire al telefono <183. Gelosia dunque; “Il barone rampante” descrive le furie ariostesche di Cosimo per gelosia di Viola, quando batte la testa contro i muri, quando si mette a sorvegliare Donna Viola corteggiata dai suoi rivali, così come Calvino si firmava “il televigilante tuo”: [ Il barone rampante pag. 179]
Riguardo al romanzo, Elsa De Giorgi racconta che il comportamento del baroncino Cosimo “dice abbastanza di quanto ariostesco fu l’amore di Calvino, l’amore di quella ‘io’. Assoluto, totale, assorbente, umile devoto fino a concepirlo come destino, missione: l’amore di un eroe da roman de geste”, fornendo così un’interpretazione del libro imprescindibile dal ruolo amoroso del suo autore. Quando Cosimo diventa matto per la perdita di Viola, anche il suo rapporto con la natura cambia; la sua violenza si riverbera proprio contro gli alberi che prima vengono spogliati delle loro foglie e poi vengono spezzati fino ad essere scorticati: si tratta palesemente di un omaggio alla furia dell’Orlando ariostesco <184. Anche Cesare Cases, nella sua “Postfazione” <185 al “Barone rampante”, si ricollega all’Ariosto, non tanto però per la pazzia amorosa di Cosimo, definita innocua e incapace di modificare il personaggio, quanto per il rinomato pathos della distanza. Quando Viola gli chiede “sei un uomo che è vissuto sugli alberi per me, per imparare ad amarmi…” <186 inserisce il loro amore all’interno di quella protesta d’altera solitudine ambita dallo scrittore, ma evoca di nuovo anche tutte quelle favole che hanno narrato dell’amore precario che ricongiunge i mondi separati degli amanti incongiungibili che informa le Fiabe italiane. Quegli amanti che si ritrovano proprio nel momento in cui si perdono e che vivono nella trepidazione della distanza e dell’assenza. Viola, “d’oro e miele” ed Elsa, “cara, piccola, rosa, bionda, celeste e d’oro”, sono entrambe eroine coraggiose, dalla forte ostinazione amorosa, ed Elsa è proprio come Viola “donna raffinata, capricciosa, viziata di sangue e d’animo cattolica”. Il Cosimo di Calvino amava invece, l’amore naturale, “era un amante insaziabile, uno stoico, un asceta, un puritano” e cosa ancora più importante è che proprio come Calvino, il barone era vittima delle stesse intemperanze sentimentali che abbiamo rivisto finora nelle lettere: come le disperazioni erano clamorose, in Cosimo anche le esplosioni di gioia erano incontenibili. Quando nel “Barone rampante” si racconta dei litigi tra Cosimo e Viola, in cui lui si dispera e si butta tra i rami incerti per inseguirla, la Duchessa veniva accesa di pietà e di amore repentinamente da una delle tante follie che Cosimo faceva per riconquistarla. Così come Viola, la De Giorgi racconta di un simile episodio in cui Calvino, per farsi perdonare dopo un dispettoso litigio, da fuori la porta cominciò a implorare perché l’amata gli aprisse. Lei non rispose. Poco dopo Calvino infilò sotto la porta una serie di foglietti, uno dopo l’altro: erano sette pagine di parole strabilianti di implorazioni perché lo accogliesse, lo ascoltasse, interrompesse il silenzio consentendogli di farsi perdonare.
Ritorna ancora il tema dell’indicibilità e dell’incomprensione tra gli amanti; nel “Barone”, a Cosimo d’un tratto mancano le parole per esprimere il culmine di felicità che sente di aver raggiunto e Viola ugualmente, nel momento in cui deve dire ciò che prova, sprofonda in quel silenzio che c’è al fondo di ogni amore difficile. Viola con il viso di statua – come quello ironico di Delia e come quello struggente “di statua impassibile” di Elsa De Giorgi – decide di partire allora con i due corteggiatori disposti a sacrificare sé stessi, e dice addio a Cosimo che non era disposto a sacrificare nulla perché “non ci può essere amore se non si è se stessi con tutte le proprie forze” <187 e promette di non fare più ritorno ad Ombrosa. [HPT pag. 175] [HPT: Elsa De Giorgi, Ho visto partire il tuo treno]
[NOTE]
180 HPT [HPT: Elsa De Giorgi, Ho visto partire il tuo treno]
181 Paolo Di Stefano, L’amore poi l’addio: non odiarmi ne Il Corriere della Sera del 5/08/2004
182 ibidem
183 ibidem
184 C. Mongiat Farina, I nostri antenati postumani. Storie di formazione e metamorfosi nella trilogia di Calvino in ‹‹Strumenti critici››, Anno 2014 , n.1, pag. 84
185 Postfazione di Cesare Cases in I. Calvino, Il barone rampante, Mondadori Milano 2015 pag. 249
186 I. Calvino, Il barone rampante, Mondadori Milano 2015, pag. 178
187 I. Calvino, Il barone rampante, Mondadori Milano 2015 pag. 200
Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l’itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015

Quando si conobbero sembravano già amanti, perché “giocarono” prima di volersi bene.
Recitare significa anche possedere il senso del gioco e dell’ironia, molto caro a Lei, Elsa De Giorgi, donna bellissima, attrice affermata, scrittrice raffinata e padrona di casa con stile rinascimentale, come Isabella d’Este, di tutti gli intellettuali alla fine degli anni cinquanta ed all’inizio di quelli del boom: Cecchi, Palazzeschi, Gadda, Pasolini, Moravia, Carlo Levi, Guttuso, Eduardo De Filippo, Anna Magnani, Fellini, Luchino Visconti, Cesare Pavese.
Lui, invece, Italo Calvino era un giovane che aveva un posto di redattore e correttore di bozze e manoscritti nella casa editrice Einaudi.
Prima di conoscere Elsa aveva sempre pensato che l’amore fosse un accessorio non essenziale nella vita di un poeta, un elemento esistenziale vissuto nell’ambito della nostalgia e del desiderio; ora, diceva, sapeva che solo l’amore colmava la vita senza toglierne anzi aumentandone la sete.
Le ha scritto numerosissime lettere che non hanno visto la luce; parte di esse si rinvengono nel libro scritto dalla De Giorgi “Ho visto partire il tuo treno”, dedicato alla loro storia d’amore.
“Il treno sobbalzando si porta via le mie parole d’amore che diventano come se le gridassi, come se dovessi scrivere più forte … corrono sui binari…ma lontano da te, unica parte di luce e di calore, è come scrivere al buio”.
“I miei pensieri hanno bisogno di un fuoco che li riscaldi, che li faccia scoppiettare”.
Da quando amava Elsa era portato a muoversi in un mondo e una morale più alti che contrastavano con tutte le abitudini, i gravami, i patteggiamenti della sua vita di prima. “E’ inestimabile quello che tu mi hai dato e continui a darmi. Cara, solo il mio amore è più grande della mia gratitudine”.
Si sono amati di un’intensità penetrante e pervicace.
Il loro viaggio d’amore e di silenzio avveniva sul mare a scrutare il fondo limpido, godere dei suoi spazi, delle meraviglie colorate, nuotando misteriosi come i pesci curiosi che guizzavano accanto.
Vivevano sino all’ultima stilla di entusiasmo l’amore immenso.
Calvino con Elsa De Giorgi conobbe il primo amore.
“Imparo che la tensione massima dell’amore non è possedere una donna, ma conquistarla … La tensione di un uomo moderno non è nello sfuggire un amore difficile, ma una donna come te è il massimo premio per un intellettuale moderno,perché lo affranca dalla viltà”.
“Il mio Infinito – le diceva – non è l’aureola mistica,ma è una perfetta finitezza di contorni che deve contrassegnare le immagini più alte dell’arte e della vita, è la piena concretezza nella vertiginosa esaltazione che deve caratterizzare il nostro amore”.
Quando si amarono ricorda Elsa “la notte fu lunga, smemorante. Lui aveva l’avidità di un assetato, ma anche il fervore di un innamorato che non voleva uscire dal sogno”.
Il sentimento dominante in cui si era affilato nei suoi rapporti col mondo era l’odio per la limitatezza della gente mediocre, tema continuo della sua polemica e opposizione verso la società, nei suoi scritti e nella vita. “Ma sapessi quanto pesa su di me – scriveva ad Elsa – il logorio di vivere in un mondo limitato, in cui occorre continuamente diffidare, difendersi, corazzarsi dell’amaro senso di chi è pronto a prendere dalla vita il male come il bene, senza perdere la nozione della limitatezza d’ogni cosa.” Elsa fu decisiva a far comprendere la larghezza del mondo, anche da un punto di vista politico. Si allontanò dal partito comunista dopo i fatti di Ungheria nel 1956.
L’amore per Elsa rappresentava per Calvino aver trovato la soluzione di un antico gorgo d’inquietudini, d’inappagamenti, d’aspirazioni sempre deluse.
Era felice che questa sua vita naturale di inseguimento, l’avesse portato a esprimersi nell’amore come in una creazione della fantasia. “Come può il tempo delle regine conciliarsi con quello d’un funzionario d’una industria, sia pur poeta?” scrisse un giorno in cui tentava di studiare le mosse per realizzare la propria libertà nel disegno della sua vita attiva.
“Il nostro – diceva lui – è un amore grande come tutte le ragioni dell’intelletto e della vitalità che è in noi.”
Calvino scriveva ed Elsa rappresentava il suo “Raggio di Sole” che si rifrange in una goccia di pioggia o in una lacrima trasformata in un segno multicolore di trionfo attraverso tutto il cielo.
Viveva periodi di una esaltazione intellettuale sconfinata: “ho la mia stabilità in te, in questo terremoto che mi travolge, sei la vela maestra che spinge la mia nave, l’unica vela gonfia di vento e corro corro inclinato sulle onde… Tu sei la fantasia, cara, sei la bellezza, sei la fortuna…”
“Sono tanto innamorato di te che lo spasimo supremo di possederti è nulla per esprimerti quanto tendi il mio desiderio… come se la tua bellezza visibile e invisibile andasse più in là del muro del suono del godimento umano”.
“Puoi leggere negli sbalzi forse indecifrabili di queste righe la velocità del treno, ma puoi leggervi anche l’ansia affannosa di continuare a sentirmi vicino a te, ora che il non averti mi fa apparire come dilaniato, sbranato, da chiedermi come non grondi di sangue”.
Si lasciarono anche per la paura del ritorno del marito di Elsa, Sandrino, che scomparve dalla sua vita all’improvviso, anche se ebbe a dire, quando invitò Calvino a casa sua alla presenza di Elsa, che entrambi già fossero amanti: prima di allora non si erano mai incontrati.
Calvino pianse amaramente in quel albergo quando Elsa chiuse la porta della sua camera.
L’aprì solo dopo che Calvino sotto la porta conficcava biglietti di implorazione e pietà.
Ma conobbe l’amore e scrisse per Elsa “Il Barone Rampante”, una fiaba struggente che porta il protagonista a vivere sugli alberi per sempre, lontano dalla vita comune: come Calvino che aveva toccato il cielo con Elsa De Giorgi, nome che anagrammato significa Raggio di Sole. Lo scrisse nelle ‘Fiabe’ che le dedicò: perché la loro fu la fiaba più bella del novecento.
Biagio Riccio, Il Raggio di Sole di Italo Calvino, Gli Stati Generali, 28 luglio 2019