Si possono qui intravedere le origini del progetto Gladio

Dallo stesso 1947 circa, in periodo preelettorale, e definitivamente nel 1949 con l’ingresso nel Patto Atlantico, si presentò l’occasione per iniziare ad ampliare i numeri delle Forze Armate nonostante la ratifica del Trattato fosse imminente. Le decisioni di politica militare presero una chiara piega atlantica, a seguito soprattutto della rottura dei governi definiti di unità antifascista ad opera di De Gasperi, dietro pressioni statunitensi, per aver accesso ai finanziamenti del piano Marshall; fu infatti in quelle prime elezioni repubblicane, che possiamo probabilmente considerare tra le più importanti per la svolta che hanno rappresentato e che avrebbero potuto rappresentare in senso opposto, che gli Stati Uniti decisero di scendere in campo per scongiurare un’infiltrazione comunista nel cuore dell’Europa Occidentale. Essi si schierarono non solo politicamente, ad esempio con l’annuncio della nota tripartita neanche un mese prima della scadenza elettorale, ma anche economicamente. Truman inviò milioni di dollari per la campagna elettorale, a favore del blocco degasperiano, in netta opposizione ai partiti del Fronte, anch’essi ben finanziati dall’altro polo politico mondiale ovvero da Mosca. Per gli Usa la Democrazia Cristiana (DC) rappresentava l’alleata perfetta per la formazione di un governo solido e amico che escludesse le sinistre da un Paese di importanza fondamentale nello scacchiere geopolitico per la sua posizione privilegiata nel cuore del mediterraneo. La sfida tra DC e PCI, con tutto l’apparato finanziario e segreto straniero alle loro spalle, altro non era che una sfida per il possesso politico dell’Italia tra Washington e Mosca. La posta in gioco era talmente alta da mettere in pericolo la presenza stessa degli Stati Uniti nel Mediterraneo, inoltre le truppe alleate non sarebbero state presenti sul territorio alla data delle elezioni vista la ratifica ormai imminente del Trattato di Pace: per tale motivo i servizi segreti americani, il Dipartimento di Stato e quello della Difesa, elaborarono dei piani da mettere in atto in caso di una risoluzione violenta da parte dei comunisti, ma non è da escludere che anche in caso di vittoria democratica del Fonte non ci sarebbe stato un qualche tipo di intervento, che escludeva comunque l’utilizzo di militari statunitensi <10 a meno ovviamente di una azione sovversiva. Al contempo la CIA lavorava sottotraccia, incoraggiando la formazione di gruppi armati autonomi che dessero una qualche garanzia di presenza pronta a reagire in caso di necessità. In tal modo l’Italia, accettando i finanziamenti del piano Marshall e alla luce del risultato delle elezioni, venne a trovarsi ad essere parte sempre più integrante del meccanismo di difesa dell’occidente, entrò in un percorso che l’avrebbe portata nel giro di pochi mesi a divenire un membro della Nato. Questa svolta, inevitabilmente, ebbe delle ripercussioni sulla vita delle Forze Armate che si videro gradualmente introdotte in un sistema militare, del tutto nuovo come concezione, a carattere sovranazionale. Il percorso iniziò in realtà già qualche mese prima delle elezioni. Risale difatti al gennaio 1948, la prima embrionale proposta della creazione un organismo politico-militare che unisse alcuni Paesi occidentali: si trattava del “Patto di Bruxelles” <11. Sebbene l’Italia non facesse parte dei firmatari ovviamente la discussione intorno alla questione entrò a far parte degli elementi di propaganda, in negativo e in positivo a seconda del punto di vista, e circa un anno dopo la netta affermazione della DC l’Italia poté essere ammessa tra i firmatari <12 dell’alleanza nordatlantica che andò a sovrapporsi, sostituendo nei fatti, il precedente trattato. L’Italia venne quindi a trovarsi in una condizione di totale anomalia. Con la ratifica del Trattato di Pace, doveva rispettare una serie di clausole limitanti, le più importanti dal punto di vista militare le abbiamo citate in precedenza, ma parallelamente con l’ingresso nella sfera politica filo statunitense e atlantista ebbe il via libera per un primo embrionale riarmo. Infatti i finanziamenti ottenuti con la creazione del Mutual Defence Assistance Program (MDAP) e la trasformazione del Patto in uno strumento militare come la Nato consentì, anche se nel rispetto dei limiti imposti dal Trattato, all’Italia di trovarsi nella condizione di poter avviare un primo riarmo. Il tutto, ovviamente, era dettato dagli interessi
degli alleati atlantici i quali non avrebbero avuto alcun vantaggio dalla presenza di un partner strategico incapace di difendere sé stesso da eventuali aggressioni straniere e quindi di non poter assolvere i compiti di barriera mediterranea in caso di necessità.
Allo stesso modo l’Italia operò una scelta in un certo senso a metà strada tra l’opportunismo e l’obbligo. Con la firma del Trattato e l’uscita dalla condizione armistiziale l’Italia aveva poche opzioni alla luce della situazione geopolitica del tempo, sostanzialmente si trattò di decidere tra la neutralità armata, il disarmo totale e lo schieramento in uno dei due blocchi. Se le prime due opzioni si sarebbero tradotte, in caso di conflitto mondiale, in un invito all’occupazione del territorio per le potenze straniere, vista la posizione strategica nel cuore del Mediterraneo occupata dall’Italia, non restava che inquadrarsi in uno dei due blocchi. Dal punto di vista militare gli Stati Uniti fornivano maggiori garanzie e sicurezze, oltre alla possibilità, collegata, di accedere a una larga serie di aiuti economici <13.
In quest’ottica si decise già l’anno precedente di procedere con i primi investimenti nell’Esercito, furono ben 126,5 miliardi (marina 64,7 e aereonautica 37) che, come detto, maggiormente si prestava, vista la sua natura, alla difesa interna. Venne quindi stabilita la ormazione di due nuove divisioni di fanteria, “Aosta” e “Granatieri di Sardegna”, e una brigata corazzata, “Ariete”, da portare a compimento entro il 1948 <14. Tutte e tre le nuove unità dovevano in teoria avere compiti di difesa territoriale e quindi di gestione dell’ordine pubblico, probabilmente per questo motivo si cercò di averle a disposizione prima delle elezioni del 18 aprile 1948, difatti l’Aosta venne spedita in Sicilia per controllare la tesa questione separatista e l’Ariete andò al confine orientale, ovvero nella zona più calda e ricca di tensioni. Dopo il trionfo elettorale, il nuovo governo a guida democristiana poté imprimere un’accelerazione al riarmo iniziando a porre le basi per costituzione di ulteriori divisioni. A guidare le operazioni fu Randolfo Pacciardi che ricoprì l’incarico di Ministro della Difesa per cinque anni, dal 1948 fino al 1953. L’avvio dell’ampliamento portò alla creazione di una nuova divisione di fanteria la “Avellino”, che si sarebbe andata ad affiancare alle due (Aosta e Granatieri di Sardegna) formatesi pochi mesi prima; la possibilità di investire maggiori risorse portò anche alla conclusione dei lavori che riguardavano l’Ariete, che beneficiò dei carri armati Sherman statunitensi e infine si procedette a costruire la prima brigata alpina, la “Julia”.
Si procedeva quindi ad un deciso, se pur progressivo, aumento della spesa nel settore della difesa. Va però ricordato che l’allestimento dell’Esercito aveva in quel momento ancora finalità prettamente difensive e a stretta dipendenza dagli Alleati. Da ciò si evince come le Forze Armate italiane siano passate in maniera pressoché diretta dal periodo di dipendenza armistiziale, caratterizzato dalla presenza di truppe di occupazione sul proprio territorio e di subordinazione a organi militari stranieri, a quello di subordinazione e dipendenza atlantica, che da un punto di vista dell’operatività non si discostava di molto dal precedente, considerando l’impiego pressoché esclusivo delle varie Forze Armate in missioni con contingenti misti. L’Esercito, anche se, come visto, stava incontrando un primo ampliamento, si ritrovò ad operare in ambito di ordine pubblico al fianco di Carabinieri e Polizia, ma in una condizione di anomalia che perdurerà almeno sino al 1950, dovuta all’incremento incredibile delle forze di Ps e dei Carabinieri, che supereranno per numero tutto l’Esercito <15 nonostante i grandi investimenti che vennero attuati a partire dal 1947. Tale anomalia era dettata dalla preoccupazione degli Alleati in primis, ma anche delle forze politiche nazionali, per la gestione dell’ordine pubblico legato a possibili fenomeni sovversivi ed eversivi. A ciò va aggiunto il fatto che la Polizia era in una situazione di profonda difficoltà. A fronte della preoccupazione di essere pronti a reagire ad eventuali tentativi insurrezionali c’era la realtà di una Ps “inquinata” da elementi legati ad ambienti comunisti e neofascisti. Infatti, una volta terminata la guerra un numero notevole di partigiani, per lo più comunisti e socialisti venne immesso nelle fila della polizia. Fu Scelba, uno dei fedelissimi di De Gasperi, durante la sua lunga permanenza al Ministero degli Interni, a quantificare in circa 8.000 unità tali immissioni; successivamente venne presentato un decreto che consentì la sostituzione progressiva di agenti eccessivamente legati alle sigle politiche. Anche per questi motivi per i compiti di Pubblica sicurezza e difesa dei confini Ps e CC vennero affiancati dall’Esercito.
A dare manforte all’Esercito e alle forze di Ps al confine orientale, in caso di crisi improvvisa, ci sarebbero state una serie di organizzazioni paramilitari. Le strutture cui si fa riferimento nacquero nella quasi totalità dei casi durante gli anni di occupazione tedesca nel panorama dei movimenti partigiani con l’obiettivo unico di liberare l’Italia e garantirle un futuro democratico. Quindi la maggior parte di queste già erano esistenti sin dagli ultimi anni di guerra con una propria struttura operativa, si andò in questi anni semplicemente verso una ristrutturazione in funzione anticomunista e di difesa del territorio di quelle sulle quali i vertici militari sapevano di poter contare vista la particolare composizione marcatamente anticomunista. Probabilmente buona parte di queste, con lo scemare della tensione interna e l’allontanamento della possibilità di attività sovversive, fu smantellata e fatta confluire in “Gladio <16”, se pur non ufficialmente e messe alle dirette dipendenze dei vertici militari e non del Ministero degli Interni. Questo almeno per quanto riguarda le più affidabili che sopravvissero sino agli anni Cinquanta e Sessanta, dal momento che si procedette prima a prendere le distanze e poi a sciogliere quelle più incontrollabili e pericolose, date le posizioni estremiste e violente che andavano assumendo.
È inoltre nell’alveo di queste organizzazioni che prenderà forma anni dopo la nota organizzazione “Gladio” al centro di infiniti e in parte insoluti dibattiti politici e legali. Dal momento che le notizie relative all’attività di queste organizzazioni sono ridotte all’osso, le prove del loro impiego sono scarsissime così come il loro collegamento con le strutture ufficiali dello Stato, risulta essere di grandissimo interesse la documentazione portata alla luce e prodotta dall’Esercito attestante non solo i rari momenti in cui sono entrate in azione ma anche in grado di far luce sulla loro struttura organizzativa.
[NOTE]
10 ANTONIO VASORI, La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Edizioni universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano, 1993, pp.178, 185.
11 Il trattato di Bruxelles del 1948 prendeva il posto del trattato militare di Dunkerque (1947) tra Francia e Inghilterra con l’obiettivo di estendere l’assistenza a più stati, l’Italia venne inizialmente esclusa da quest’alleanza ma ammessa alla Nato (1949). Ciò consentì di giocare un ruolo strategicamente importante quando nel 1954 venne invitata ad entrare insieme alla Germania nel trattato di Bruxelles, per l’Italia si trattava di una modifica irrilevante dato che faceva già parte della Nato, ma in tal modo si riabilitava la figura della Germania all’interno dello scacchiere difensivo europeo in funzione anticomunista, difatti un anno dopo quest’ultima venne ammessa anche nella Nato.
12 La ratifica avvenne il 1° agosto 1949 a seguito di una lunga seduta parlamentare.
13 CAPPELANO FILIPPO e CRESCENZI ANDREA a cura di, La ricostruzione dell’Esercito italiano 1945-1955, SME Ufficio Storico, Roma 2022, pp.30-31.
14 ENEA CERQUETTI, Le Forze armate italiane dal 1945 al 1975 strutture e dottrine, Feltrinelli edizione Milano, 1975, p.47
15 Ibid. p. 26.
16 Sull’argomento si veda in particolare: PACINI GIACOMO, Le altre Gladio, Einaudi, Torino, 2014; PACINI GIACOMO, Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana (1945-1991), Prospettiva Editrice, Roma, 2008; SERRAVALLE GERARDO, Gladio, Edizioni Associate, Roma 1991; FLAMINGHI SERGIO, Dossier Gladio, Kaos Edizioni, Milano 2012; GANSER DANIEL, Gli Eserciti segreti della Nato. Operazione Gladio e terrorismo in Europa Occidentale, Fazi, Roma 2005.
Junio Valerio Tirone, Il ruolo dell’Esercito nella gestione dell’ordine pubblico ai confini d’Italia nel secondo dopoguerra (1945-1954), Tesi di dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2021-2022

La contiguità con la stipulazione del patto del Nord Atlantico (ratificato in parlamento il primo di agosto 1949) e la sua relativa Organizzazione è l’elemento da tenere in maggiore considerazione. All’interno della vasta rete di alleanze degli Stati Uniti (Nato, Cento, Seato, Patto di Colombo, ecc.), anche la Nato agiva per mantenere lo status quo politico nei paesi aderenti, ma scelse di tenere segreta questa finalità per le ovvie proteste che avrebbero presentato i partiti comunisti italiano e francese. <11 Il governo americano aveva già predisposto dei piani di possibile intervento militare in Italia. Nel documento Foreign Relations of the United States (1948) del National Security Council, la sezione dedicate all’Italia prevedeva che, nell’ipotesi di una vittoria elettorale del Pci, bisognasse “iniziare una pianificazione militare congiunta con azioni selezionate” e che si dovesse “fornire ai clandestini anticomunisti italiani assistenza finanziaria e militare”; ancora più significativo il passo: “un efficace appoggio degli USA può incoraggiare elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo, anche a rischio di una guerra civile, per prevenire il consolidarsi del controllo comunista” <12. “Per prevenire”: infatti, nonostante il risultato rassicurante delle elezioni, le direttive degli Usa sull’Italia non cambiarono affatto di orientamento; al contrario, le misure furono sempre più intensificate, dato il progressivo aumento dei consensi che il Pci registrò in ogni tornata elettorale per ancora trent’anni. In un’altra riunione del National Security Council, del 5 gennaio 1951, era stato previsto un piano per “dispiegare forze in Sicilia o Sardegna o in entrambe le isole, col consenso del governo italiano, in forze sufficienti a occupare queste isole contro l’opposizione comunista indigena”, direttiva approvata da Truman l’11 gennaio <13. Si possono qui intravedere le origini del progetto Gladio <14. Il documento, consultabile dal 1985, è tuttavia coperto da omissis nelle parti più delicate; in un passo, che riteniamo significativo, si dice che: “[…] nel caso che [il governo italiano] cessi di mostrare determinazione a opporsi alle minacce comuniste interne ed esterne, gli USA dovrebbero iniziare misure [omissis] … progettate per impedire la dominazione comunista e per ravvivare la determinazione italiana di opporsi al comunismo” <15. Il “ravvivare la determinazione”, con il senno di poi, ci può far ritenere che si potesse già trattare di iniziative in linea con quella che poi verrà chiamata “guerra psicologica” (v. cap. 3). Per completare il quadro delle relazioni tra il Sifar e gli apparati di intelligence americani e la massima fedeltà dimostrata dal primo verso i secondi, menzioniamo la funzione dell’ente del dipartimento di difesa americano National Security Agency (NSA), un’agenzia specializzata nello spionaggio delle telecomunicazioni; questa struttura governativa allestì un “pool internazionale delle informazioni”, comprendente i servizi segreti di molti paesi alleati degli americani. La rete di collaborazione, che era sostanzialmente un insieme di patti firmati dai servizi segreti per conto dei governi, funzionava a senso unico, c’era in sostanza una gerarchia per la quale il cosiddetto primo firmatario (appunto, il Nsa) e i secondi firmatari (il GCHQ per la Gran Bretagna, il CBNRC per il Canada e il DSD per Australia e Nuova Zelanda) avevano l’obbligo di scambiarsi tutte le informazioni senza restrizioni; mentre i terzi firmatari (tra cui il Sifar per l’Italia) erano semplicemente tenuti a inviare materiale al primo e ai secondi, in un rapporto impari. Un ex agente del NSA rivelò nel 1972 il funzionamento di questa catena: “I terzi firmatari non ricevono quasi nulla da noi, mentre noi riceviamo quasi tutto da loro. In pratica è un trattato a senso unico. Noi lo violiamo anche con i secondi firmatari, sorvegliando costantemente le loro vie di comunicazione.” <16
[NOTE]
11 Giuseppe De Lutiis, op. cit., pg. 40
12 Ibidem, pg. 41
13 Citata in G. De Lutiis, op. cit., pg. 41
14 Per Gladio, tra la vasta letteratura in proposito, rimandiamo a …
15 Citato in G. De Lutiis, op. cit., pg 42
16 Cfr. Marco sassano, SID e partito americano, Padova, Marsilio, 1975, p. 47; Citato in G. De Lutiis, op. cit., pg 43
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020-2021