Un ragazzino libico tra i partigiani

Italo Caracul “Tripolino”
Fonte: The Vision cit. infra

Aden Shire, “Carletto” Abbamagal e gli altri africani della Banda Mario non sono però gli unici casi di partecipazione nera alla Resistenza. Dopo essere stato portato in Italia dai militari del Reggimento Sabrata, l’undicenne libico Italo Caracul divenne la mascotte della Brigata Garibaldi, mentre lo studente dell’Università di Roma Isahac Menghistu fu il primo eritreo a essere condannato al confino fascista nel 1936, perché aveva “esternato accaniti sentimenti antitaliani”, gioendo per la decapitazione del tenente Tito Minniti durante la guerra d’Etiopia.
La giornalista Stefania Ragusa ha raccontato la storia di queste persone su Africa Rivista, e a The Vision dice di essere in linea con la posizione di Petracci, che si è sempre detto felice di aver riesumato questa vicenda proprio in questo periodo storico […]
Manuel Santangelo, L’incredibile storia dei partigiani africani che aiutarono gli italiani a liberarsi del fascismo, The Vision, 17 giugno 2020

[…] abbiamo ribattezzato questi partigiani provenienti dalle colonie italiane “Liberatori d’Oltremare”, e per quanto il loro sia un caso piuttosto raro, non smettiamo di trovarne: a parte l’ormai famoso Giorgio Marincola, italo-somalo, ci sono infatti Italo Caracul, un ragazzino libico di 11 anni, portato in Italia dai militari del reggimento “Sabrata”, di ritorno dalla campagna d’Africa, che entrò nella Resistenza dalle parti di Gandino (BG), e Brahame Segai, partigiano eritreo della 175ª Brigata Garibaldi Sap Guglielmetti, in Liguria. Di lui purtroppo non sappiamo altro, ma conosciamo invece la vicenda di Isahac Menghistu, studente di Ingegneria all’Università di Roma e unico eritreo a sperimentare il confino fascista, nel 1936, prima a Ustica e poi a Ventotene, per “aver esternato accaniti sentimenti antitaliani”, arrivando a gioire per la decapitazione del tenente Tito Minniti durante la guerra d’Etiopia. […]
Wu Ming 2, Partigiani migranti. La Resistenza internazionalista contro il fascismo italiano, Giap, 15 gennaio 2019

[…] La mia presenza viene segnalata e mi rifugiai a Lovere. Il 14 luglio 1944 (estate) mi aggregai alla 53a Garibaldi. Era la banda del Brasi, dal mese di giugno era riconosciuta dal C.L.N. e diventata una Brigata Garibaldi a tutti gli effetti. Prima di partire per la montagna, lascio un biglietto alla mamma, dove spiego le ragioni del mio gesto e mi scusavo per il dispiacere che le arrecavo, chiedendo di perdonarmi e promettevo che quando tutto sarà finito e il Signore mi farà la grazia di poterci ritrovare, passerò il resto della mia vita con lei e il fratellino Mario. In seguito, nella Brigata partigiana diventai caposquadra e quando il Tripolino, Italo Caracul arrivò dai partigiani, venne destinato dal Brasi al mio gruppo. Riguardo il Tripolino, è poco credibile che fosse portatore della parola segreta che, annunciava un lancio alleato, come si raccontava nell’intervista. Come si può credere che un ragazzino di 11 anni, proveniente da Predore sul Lago d’Iseo, dove si trovava con la sua famiglia adottiva, arrivato di sua iniziativa dai partigiani, possa portare una notizia così importante. Non dimentichiamo che, il lancio ricevuto a Villa Facchinetti sull’altopiano di Bossico, la notte del 3-4 di agosto 1944, era un lancio destinato alle Fiamme Verdi, il C.2 della vicina Valle Camonica. Dopo averlo raccolto noi questo lancio lo abbiamo battezzato “Lancio sgraffignato” e il Brasi disse che era la manna caduta dal cielo, ma avremo non poche polemiche con i veri destinatari . Polemiche appianate con la visita del Generale Luigi Masini (Fiori) alla colonia Rudelli, dove ci eravamo trasferiti, per non dovere restituire i materiali ricevuti con il lancio. Poi, non raccontate che un paracadute, quello contenente i soldi sia andato perduto, i paracadute con relativi container recuperati furono 21, proprio quello con il danaro abbiamo smarrito? […]
Giuliano Fiorani, Giorgio Paglia dall’Aldilà, Lo storico e la principessa, 4 giugno 2020

 

«Ci fosse stato il Tripolino, forse la storia della Malga Lunga andrebbe riscritta». Così dice chi ancor oggi ricorda Italo Caracul, che a metà degli Anni ’40 aveva 11 anni. È lui – il Tripolino –, uno dei personaggi del saggio sulla Resistenza scritto, su iniziativa del Comune di Gandino, da Ludovico (detto Iko) Colombi, che verrà presentato giovedì alle 20,30 in biblioteca, in occasione delle celebrazioni per il 25 Aprile.
«Italo era arrivato – spiega Colombi – come “mascotte” dei nostri soldati impegnati nelle guerre coloniali. Orfano dei genitori, si era aggregato ai militari e alla fine, forse al seguito di qualche disertore, si era aggregato alla lotta partigiana».
Il saggio non offre rivelazioni sconvolgenti, quanto un «affresco letterario» raccolto con pazienza, attraverso un lavoro durato molti mesi, direttamente da alcuni testimoni ancora viventi, recandosi con loro nei luoghi che furono teatro di episodi tragici.
Già nel 2006 Iko Colombi, 68 anni e appassionato di storia locale, autore tra l’altro di un film sulla storia di Gandino e curatore di uno studio per raccontare le famiglie gandinesi (una trentina) che avevano ospitato gli ebrei inseguiti dalla furia nazista. Alcuni, nel 2005, furono insigniti del titolo di «Giusti fra le nazioni» dallo Stato d’Israele.
«Ho titolato quest’ultimo saggio “I giorni bui degli Anni ’40” perché, nonostante si sia a volte privilegiata l’enfasi, resta sullo sfondo l’immane tragedia di un periodo nel quale si sono trovati, su fronti opposti, componenti di una stessa famiglia. Gandino non fu nemmeno in questo caso “periferia della storia”, anche per la posizione ai piedi dei monti, che ne faceva punto di riferimento per quanti avevano scelto di andare in montagna. Tutti conoscono la Malga Lunga (per pochi metri è nel territorio di Sovere, ndr), ma non meno importanti sono per esempio Valpiana, al “Roccolino delle monache” di proprietà della famiglia Rudelli, alla “Montagnina”, dove pure vi furono episodi efferati. Sulla corona dei monti, dal Farno a Croce di Leffe, operava la 53ª brigata Garibaldi – Tredici martiri, del comandante Giovanni Brasi detto Montagna. Era fotografo professionista e a lui si devono moltissime immagini del tempo».
I particolari che emergono dai racconti dei testimoni sono a volte curiosi. Lo studio non intende confutare o integrare la storiografia già copiosa, ma raggruppare tutto quello che riguarda Gandino e i gandinesi.
«Il caso del Tripolino è emblematico, sottolinea Colombi: tanti lo ricordano ancora. Qualcuno arriva a dire che con lui presente forse l’accerchiamento della Tagliamento che portò ai tragici eventi della Malga Lunga non sarebbe avvenuto. Perlustrava di continuo il territorio, senza sosta. Appariva e scompariva fulmineo: il mitra a tracolla, radente il terreno. Ma quel giorno purtroppo non c’era. Era privo di un occhio e di una manina, lasciati a un ordigno quando ancora viveva nella sua terra».
Visse, dopo la guerra, in Val Cavallina, ma nel 1969 morì in tragiche circostanze, schiacciato dalla depressione e, forse, da tanti terribili ricordi. Riposa nel cimitero di Sovere. Fra i partigiani gandinesi si ricordano Giovanni Cazzaniga (nome di battaglia Maistrak) e Antonio Forzenigo (Cacciatore). A entrambi è dedicata in paese una via. I loro nomi e quelli di altri civili morti negli Anni ’40 sono stati aggiunti negli ultimi anni alle lapidi commemorative dei Caduti che si trovano in piazza Vittorio Veneto, sulla facciata del Salone della Valle. Cazzaniga fu ucciso in paese in un’imboscata, nella zona definita della Pianta Sales, dove transitavano gli operai diretti verso gli opifici.
«Ho inserito nel racconto le memorie di don Francesco Ghilardi, che recuperò il cadavere e dovette poi sottrarsi alle ire dei gerarchi, che volevano lasciarlo in vista quale monito per tutti».
Ci sono anche i racconti delle gesta della «Partigiana» (questo il suo nome di battaglia) Rosa Bonazzi, di Giacomo Caccia «Mino», di Giuseppe Salvatoni «Tempesta», Antonio Fiori «Stavro» e di molti altri che il 25 aprile furono in prima fila per festeggiare la Liberazione.
«Nel racconto ho inserito un’ampia citazione della cronaca minuziosa che il bollettino parrocchiale “La Val Gandino” fece di quei giorni, grazie probabilmente a don Paolo Bonzi, che ne era il responsabile». Nello studio c’è spazio per particolari curiosi, come il ricordo della «vacca», la sirena del municipio che annunciava il pericolo imminente e che veniva paragonata nel gergo popolare al muggito di una mucca, oppure di «Pippo», il ricognitore bombardiere che solcava minaccioso il cielo gandinese dopo il coprifuoco.
«Si tratta di un lavoro di grande interesse – conferma il sindaco Gustavo Maccari –, che siamo orgogliosi di proporre a tutti i gandinesi. Verrà pubblicato integralmente sul notiziario comunale Civit@s in uscita questa settimana, mentre nel salone biblioteca una serie di immagini illustreranno luoghi e personaggi di quei tempi. I valori fondamentali per i quali questi uomini e donne hanno combattuto sono troppo preziosi per essere relegati a polverosi archivi e in qualche caso all’oblio». […]
Autore: Giambattista Gherardi
Il Tripolino, partigiano a 11 anni, Eco di Bergamo, 22 aprile 2008, ripubblicato in data 25 aprile 208 su gandino.it

Ma torniamo al 29 novembre [1944]: Lauro [Cassiolari] sale verso la cascina dei nonni. Si ferma alla casa dei Bonetti, una famiglia di antifascisti che conoscevano bene Lauro fin da ragazzo, quando passava l’estate dai nonni.
I Bonetti sanno che su alla cascina, lì vicino, ci sono due partigiani in casa dei nonni di Lauro. La tirano in lungo, non arrivano a dire al ragazzo la verità, avrebbe potuto avvisare i militi della Tagliamento, ci sarebbe stata un’altra retata, altri morti. Ma Lauro ha fretta, arriva alla casa di nonno Giacomo. Qui ci sono Alessandro Marello (nome di battaglia Wolff) e Italo Caracul Sabrata chiamato “Tripolino” perché originario della Libia che in seguito tornerà in Italia menomato e finirà impiccato (è sepolto nel cimitero di Sovere). I due alla vista del legionario in divisa, armato, fingono di essere degli sbandati, di volersi arrendere. Mangiano insieme e vanno a dormire.
Ma il mattino Lauro ha un brutto risveglio, alla Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi. Si trova i fucili puntati addosso. E’ prigioniero.
I due partigiani lo portano agli altri come un trofeo di guerra. Infatti seguirà i superstiti della Garibaldi, caricato come un mulo, su per la Val Seriana, fino ad arrivare a Maslana di Valbondione dove verrà ucciso, a 18 anni, l’8
dicembre.
Piero Bonicelli, Quel ragazzo ucciso sui monti di Maslana…, Araberara, quindicinale, anno XXIX n. 1 16 gennaio 2015