A parere delle strutturaliste, la partecipazione attiva delle donne nella sfera pubblica è stigmatizzata dalle stesse istituzioni scolastiche

L’osservazione dei sistemi scolastici, in particolare mostra come le scuole riproducano un sistema che non garantisce ad uomini e donne pari accesso alla conoscenza e pari opportunità di collocazione nella struttura del mercato del lavoro.
Ad esempio, per Gaskell (1986) il termine skill è una costruzione sociale e non una semplice conseguenza di una istruzione formale: il contenuto delle competenze, infatti, è concepito dagli uomini per gli uomini. Secondo la studiosa la strutturazione delle competenze per le posizioni più qualificate è stata formulata in modo tale da limitare, di fatto, l’accesso delle donne a determinate occupazioni in cui servono delle specifiche conoscenze e delle specifiche pratiche. Di contro, i lavori di segreteria sono considerati naturalmente adatti per le donne e dati, erroneamente, come semplici da apprendere: il risultato, secondo l’autrice, è un surplus di domanda che porta ad un costo minimo di retribuzione per i datori di lavoro. La scuola ha in questo una responsabilità precisa nel decidere quali competenze trasmettere a ragazzi e ragazze e nello stabilire la possibilità di orientare verso percorsi in grado di garantire carriere alternative. Nell’analisi di Gaskell si vuole evidenziare chiaramente come i processi che regolano i flussi dall’educazione di tipo scolastico verso il mercato del lavoro, portino un gran numero di ragazze verso settori malpagati. Del resto il sistema meritocratico tende sempre e comunque a favorire il gruppo al potere: quando una minoranza riesce a superare nelle performance e quindi quando riesce ad inserirsi in un gruppo di posizioni privilegiate, vengono rivisti i criteri in modo tale o da impedire nuovamente l’accesso a coloro che fanno parte di un gruppo discriminato o facendo in modo che quelle posizioni perdano prestigio sociale ed economico. È questo il discorso di alcuni sociologi che si occupano di tematiche relative al lavoro i quali sostengono che una progressiva femminilizzazione delle professioni (si pensi ad esempio al caso degli insegnanti) comporti una svalutazione e una perdita di riconoscimento sociale dell’importanza della professione e, accanto a ciò, una riduzione della retribuzione (Bianco 1997; Saraceno 1992).
La riproduzione del sistema ad opera delle istituzioni scolastiche non interessa solo la sfera pubblica ma anche quella privata: come si è accennato in precedenza le studiose strutturaliste hanno concentrato la propria attenzione su quest’ultima.
A parere delle strutturaliste, la partecipazione attiva delle donne nella sfera pubblica è stigmatizzata dalle stesse istituzioni scolastiche le quali contano sul coinvolgimento delle madri degli studenti per il funzionamento delle stesse scuole; in questo modo però l’immagine delle madri lavoratrici finisce per essere vista con sospetto rispetto alle donne che non lavorano. Anche se non consapevolmente le scuole sono orientate a riprodurre e perpetuare il modello tradizionale di divisione dei ruoli nell’ambito del lavoro domestico (David 1984).
Esiste una corrente di pensiero, collocabile all’interno delle teorie strutturaliste degli studi sull’educazione, definita “femminismo radicale” la quale teorizza la netta differenza tra uomini e donne nelle aspirazioni, nei comportamenti e nelle attitudini. Se le teorie liberiste e i più generali approcci strutturalisti sostengono una sostanziale uguaglianza con gli uomini, le teoriche radicaliste credono invece in una profonda ed inconciliabile diversità tra i generi (Jagger 1983; Einstein 1984). In linea con gli approcci strutturalisti, le teoriche radicali ritengono necessaria l’abolizione sia del sistema sociale sia della riproduzione che questo comporta: ciò su cui si soffermano particolarmente è lo studio dello stato di oppressione e la riproduzione della dominazione degli uomini sulle donne che negano la possibilità dell’accesso alla conoscenza e alle risorse. L’attenzione è meno centrata sulle possibili relazioni che intercorrono tra sistemi scolastici e mercato del lavoro o sfera familare ma è volta ad evidenziare le dinamiche di strapotere della “cultura maschile” e il disagio femminile nelle scuole.
Anche questo approccio dedica particolare attenzione al monopolio della cultura in una prospettiva volta ad evidenziare la discriminazione femminile. È mostrato come le minoranze femminili, in linea con quanto sostenuto anche dalle teoriche della differenza sessuale, siano state sistematicamente sottorappresentate nel mondo scientifico, letterario, storico e politico perché l’accesso alle posizioni di leadership è stato negato dall’universo maschile: in particolare, da un punto di vista storico, ciò che è stato ritenuto importante trasmettere alle giovani generazioni nei curriculum scolastici, si è focalizzato su figure di spicco appartenenti agli ordini militari e politici con il risultato che le donne hanno avuto poche chance di poter emergere ed essere rappresentate perché sistematicamente escluse (Spender 1980, 1981, 1982). Il contributo alla conoscenza dato dalla sfera del lavoro e privata delle donne, degli schiavi o in generale del personale di servizio è stato ignorato o più semplicemente non ritenuto importante tanto da non aver lasciato tracce significative considerate come “storia” (Lerner 1979).
L’altro aspetto al quale le teoriche radicaliste volgono la propria attenzione è lo studio delle politiche sessiste nella vita scolastica quotidiana: da un lato viene sostenuta ed argomentata la diversa attenzione che gli insegnanti dedicano (specialmente se uomini) ai ragazzi e alle ragazze a sfavore di quest’ultime e un clima scolastico complessivamente a loro sfavorevole; dell’altra, come diretta conseguenza del primo aspetto, vengono studiati i potenziali vantaggi che una scuola che divide per genere può apportare allo sviluppo socio-educativo delle ragazze (Spender 1982).
In merito alla necessità di scuole suddivise per genere, sono state condotte una serie di ricerche volte a dimostrare il grave stato di soggezione e di maltrattamento sia psicologico che fisico delle ragazze in alcune scuole secondarie nelle quali si assiste ad una amplificazione della violenza maschile. Il problema quindi non è solamente la inferiore quantità di tempo che viene dedicata alle ragazze dal corpo insegnante ma è il più generale clima di classe che sistematicamente vede i ragazzi denigrare e ridicolizzare le ragazze (Jones 1985).
Relativamente al se una classe completamente femminile o completamente maschile possa apportare miglioramenti alle prestazioni medie di ragazze e ragazzi rispetto ad una classe mista, è possibile osservare come questa sia una questione ancora oggi molto dibattuta e molto studiata da pedagogisti, psicologi e sociologi. Nell’analisi che verrà condotta nella seconda sezione della tesi si terrà presente questo aspetto controllando come la maggiore o minore presenza di ragazzi nelle classi abbia effetto sui risultati di performance.
2.3.2 L’analisi decostruzionista
La prospettiva decostruzionista discende dal pensiero dei filosofi francesi Foucault (1971; 1976) e Derida (1967; 1969). Sia l’analisi strutturalista sia quella decostruttivista concepiscono il potere in termini relazionali, ma l’analisi del potere è significativamente differente nei due approcci: i teorici decostruttivisti sostengono che il potere sia una caratteristica dell’interazione stessa e non un possesso o qualcosa che un gruppo o una persona detengono sopra un altro gruppo o persona.
Foucault e Derida sostengono la necessità dello smontaggio del sistema di linguaggi, discorsi e pratiche culturali che sono l’unica causa dell’esistenza del genere: quando si riuscirà a smantellare questa complessa struttura che ha visto nel tempo un progressivo consolidamento di simboli e di significati alla base dei due generi verrà rivelato il carattere fittizio della dimensione concettuale del genere (Piccone Stella, Saraceno 1996).
Il genere è qui concepito come costruzione sociale “pura” che, in quanto tale, non comprende elementi biologici di cui tenere conto ma si fonda su una continua e costante stratificazione di simboli e di attribuzioni di significato che ha comportato il consolidamento dei due generi. Le donne e gli uomini possono quindi decostruire il complesso sistema di simbologie e significati e mostrarne le caratteristiche di costruzione sociale. Se e quando l’operazione di smontaggio e di disvelamento del carattere di costruzione alla base del genere venisse messa in atto, quest’ultimo smetterebbe di esistere. La questione non è quindi se gli uomini e le donne sono diversi ma se sono percepiti come diversi.
La percezione è quindi la chiave del potere (Sadker, Sadker 1994). Il genere è un concetto che ha senso perché si è deciso di iniziare a disquisire intorno ad esso: prima degli anni settanta ad esempio, affermano gli autori decostruzionisti, il concetto di genere era pressochè assente ed inesistente proprio perché non è stato caricato di significato, simbologia e discorso.
È necessario sottolineare come la teoria decostruzionista non si ponga l’obbiettivo di affermare una nuova verità: tutto ciò che è possibile fare è decostruire, offrire visioni alternative e discorsi.
L’esistenza di un sistema di potere è ineliminabile: Foucault sostiene che il potere è qualcosa che circola e gli individui sono i veicoli attraverso cui il potere agisce non il punto dove questo trova applicazione (Gordon 1980). Dal momento che il potere, veicolato dalle interazioni sociali, è però un flusso in continuo movimento di costruzione e decostruzione, non è preclusa la possibilità di avere nuove configurazioni dei sistemi di potere. In particolare, le donne hanno la possibilità di mostrare il carattere fittizio della costruzione di genere e di liberarsi delle etichette che sono state costruite su di loro dal pensiero logocentrico occidentale (Piccone Stella, Saraceno 1996).
I decostruzionisti si concentrano in primo luogo sul modo in cui la percezione è organizzata e, successivamente, sui livelli di consenso che in un determinato sistema sociale sono cruciali nell’istituzione e nella regolazione di specifici sistemi di relazioni di potere e di privilegi. Le analisi decostruzioniste non mirano tanto a sostenere che alcuni approcci sono sbagliati, quanto a svelare le conoscenze false e quelle vere. Dal momento che l’approccio decostruttivista vede tutte le conoscenze come mediate dal sistema discorsivo e testuale non è quindi al contenuto della conoscenza in sé ciò a cui ci si riferisce ma è alla struttura del discorso e del testo che lo supporta che si va a guardare. La questione è relativa al come il linguaggio o un particolare framework naturalizza e nasconde ciò che noi chiamiamo realtà e le modalità secondo cui vengono accettate identità, relazioni o relazioni che si arrivano a considerare come naturali o normali (Thompson 2003).
Il consenso di un determinato gruppo sociale non è visto nei termini di assunzioni e affermazioni supportato da prove evidenti ma il vedere comune è reso tale da una rete di riferimenti visti come qualcosa in opposizione a qualcos’altro che non rappresenta l’ideale: essere bianchi è l’opposto dell’essere neri, la mascolinità è il contrario della femminilità, l’eterossessualità in opposizione alla omosessualità (Morrison 1992). Sia la prospettiva decostruttivista sia quella strutturalista hanno presente come il gruppo delle donne possa essere eterogeneo al suo interno: se però la teoria strutturalista evidenzia il vantaggio di un particolare gruppo di donne su un altro come potere esercitato dalle prime su queste ultime, la teoria decostruttivista mette in luce come la specifica immagine di femminilità basata sull’innocenza, la purezza, la benevolenza viene costruita per contrasto in riferimento alle donne meno privilegiate. Ad esempio lo stereotipo della donna afroamericana con forte richiamo alla sessualità permette alle donne bianche anglosassoni di apparire sessualmente pure, innocenti e vulnerabili così come essere donne non bianche in condizioni di bisogno economico consente alle donne bianche dell’upper-class di apparire benevolenti e caritatevoli. Per i decostruzionisti, per riassumere, la coerenza di un assunzione è raggiunta per esclusione e contrasto dove quindi è impossibile parlare di un ideale femminile applicabile a tutte le donne (Smith 1998).
Gli ideali vanno visti e inseriti nel contesto di implicazioni oppressive che li hanno fatti sorgere: questi infatti non possono essere considerati come valori assoluti, astorici e decontestualizzati ma vanno compresi nelle loro connessioni con altri valori (Thompson 2003). Dimensioni come il genere e la razza non assumono significato di per sé stessi ma diventano significativi attraverso la rappresentazione del linguaggio e di altre forme di comunicazione: il proprio significato e valore non è naturale ma è costruito sul contrasto di ciò che non è ideale dove quindi non esiste un riferimento primario per il consenso.
Per la teoria decostruttivista il significato di una interazione non è mai pienamente determinato o considerabile come non problematico, il focus della teoria è sulla continua riproduzione del sistema di significato simbolico (Ibidem 2003). Il concetto dicotomizzato maschio/femmina non può essere una semplice descrizione di quella che è l’esperienza ma è la base di partenza per l’indagine discorsiva sul genere.
La teoria decostruttiva offre alcuni strumenti ai sistemi di istruzione per promuovere l’equità di genere tuttavia le metodologie proposte da questo approccio hanno il limite (che allo stesso tempo ne è il punto di forza) di essere in continua ridefinizione e di non offrire quindi proposte risolutive.
In realtà, come sostiene Martin (2000), tutto il lavoro femminista è decostruzionista perché mira a scardinare stereotipi e aspettative sulla costruzione dei generi.
Le ricerche decostruzioniste applicate ai sistemi di istruzione riguardano prevalentemente analisi e riflessioni rivolte ad insegnanti ed educatori; vengono analizzate le ragioni per cui la visione di miglioramento assoluto non può essere una soluzione all’eliminazione del sessismo, ci sono poi strumenti che problematizzano la costruzione di genere ed analisi che uniscono i valori legati al genere ad altri ambiti quali l’etnicità, la sessualità e la classe. Gli insegnanti nello svolgimento del proprio ruolo devono trasformarsi in intellettuali che occupano posizioni politiche e sociali e che hanno il compito di aiutare gli studenti a decostruire il discorso e liberarsi dall’oppressione.
Si assiste ad un grosso lavoro decostruzionista relativamente ai libri di testo e al linguaggio utilizzato in esso.
Il progetto “Polite” (Pari opportunità nei libri di testo) condotto tra il 1998 e il 2001 è un programma rivolto alle case editrici per promuovere l’ideazione e la produzione di testi scolastici e didattici che mostrino sensibilità alle tematiche di genere e alle relazioni che contraddistinguono uomini e donne.
Il progetto Polite propone una serie di iniziative:
1) Un codice di autoregolamentazione sensibile alla prospettiva di genere che sostenga una visione equa di uomini e donne e in grado di aiutare studenti e studentesse nella costruzione di una identità di genere adattata alla propria personalità.
2) Su ispirazione di quanto previsto dal principio di pari opportunità, un censimento su base europea degli strumenti pedagogici e dei materiali relativi ai testi scolastici.
3) Un Vademecum per coloro che costruiscono i testi
4) Seminari di aggiornamento per insegnanti
5) Confronti delle esperienze tra Italia, Spagna e Portogallo
Un altro progetto che si muove nella stessa direzione è il progetto “Quante donne puoi diventare. Nuovi modelli per bambine e bambini nelle scuole di Torino” promosso dalla Regione Piemonte per gli anni 2000-2006, si rivolge ai disegnatori ed agli autori dei libri per l’infanzia, genitori, insegnanti ed educatori per liberare i testi e le interpretazioni delle immagini dalle visioni stereotipate.
2.3.3 Le critiche alle teorie strutturaliste e decostruttiviste
Sia le analisi strutturaliste sia quelle decostruzioniste sono state oggetto di una serie di critiche mosse dagli approcci teorici post-modernisti. Si inizierà con le principali contestazioni che sono state rivolte alle teorie strutturaliste:
1. La maggior parte dei lavori delle teoriche strutturaliste consistono in ricognizioni storiche, trattazioni di tipo teorico e analisi politiche: gli studi empirici sono relativamente molto pochi e le proposte applicative di soluzione al problema delle differenze di genere si limitano quasi solo al sostenere che il sistema vada completamente rivisto. I problemi della mancanza di proposte applicative sono riconducibili alla difficoltà di testare, con i metodi scientifici classici, le ipotesi di riproduzione sociale delle disuguaglianze (Hargreaves 1982). Il “codice di genere” rappresenta uno dei tentativi di formulazione di un quadro concettuale proposto dai teorici strutturalisti che più si avvicina alla possibilità di condurre uno studio di tipo empirico (MacDonald 1980): si tratta di un modo di operare ed agire da parte degli attori sociali coinvolti “eticamente corretto”. Inoltre sono state svolte alcune ricerche volte a rendere evidenti le relazioni distorte tra orientamento scolastico al futuro professionale e configurazione del mercato del lavoro (Connell 1982; Russell 1986). Rimane, però, la notevole difficoltà di ricollegare il piano macrosociologico con quello micro delle ricerche operative sulle scuole dove l’assunto che le scuole operano forme di riproduzione sociale delle disuguaglianze non è di fatto dimostrato e probabilmente non si può dimostrare (Acker 1987).
2. Come per le teorie liberiste, un limite fondamentale è che la ricerca sullo studio delle differenze di genere rimane prevalentemente descrittiva e poco esplicativa. (Middleton 1985; Collins 1988).
3. Le teorie strutturaliste, sebbene riconoscano che l’universo femminile non sia omogeneo e compatto al suo interno quanto ad interessi, ambizioni e desideri, non tiene in grandissima considerazione l’esistenza di altri sistemi sui quali si struttura la disuguaglianza come la classe sociale, l’etnia, la nazionalità e l’età i cui effetti possono sommarsi o in ogni caso interagire con le disparità di genere (Connell 1985; Murphy & Livingston 1985)
La teoria del femminismo radicale merita un discorso a parte proprio per il clamore che è riuscita a suscitare tra gli addetti ai lavori nel corso degli anni ottanta e novanta e per le numerose critiche che le sono state rivolte. Indubbiamente l’approccio radicalista è riuscito a sollevare un acceso dibattito su un tema che era stato sistematicamente ignorato in precedenza, quello delle disuguaglianze di opportunità nelle scuole e riesce a mettere la questione femminile al centro del discorso degli studi educativi (Weiner 1986). Anche le critiche, così come il clamore sollevato, sono state considerevoli: è stato molto criticato l’assunto tale per cui la dominazione degli uomini sulle donne trova le sue radici nelle irriducibili differenze tra questi. Il timore espresso da un numero rilevante di studiosi è relativo al rischio di valorizzare una cultura specificamente maschile e una cultura specificamente femminile.
Il radicalismo femminista, così come accaduto alla teoria delle differenze sessuali, è stato accusato di riduzionismo biologico o essenzialismo (Jagger 1983; Einstein 1984). Inoltre è criticato il rafforzamento della rigida dicotomizzazione tradizionale dei due generi proprio in un periodo in cui questo assunto considerato “naturale” inizia a mostrare segnali di cedimento (Griffiths 1995).
Come gli strutturalisti, anche i decostruzionisti ritengono che si è portati ad accettare o quantomeno a tollerare una struttura di potere perché c’è un sistema ideologico prevalente che ci insegna che le ineguaglianze sono naturali ed inevitabili. Per cambiare la condizione prevalente, è necessario mettere in discussione questo sistema e smascherare i miti e le menzogne che vengono fatte passare come indiscutibili.
Anche l’approccio decostruttivista, per quanto abbia contribuito in modo significativo a legare il dibattito sul soggetto contemporaneo a quello sulla dimensione femminile, subisce numerose critiche.
1. L’attacco principale è quello di ritenere questo approccio poco ancorato al reale: le differenze di genere sono reali e non si decostruiscono in modo simbolico. Le teoriche delle differenze di genere e della socializzazione, in particolare, hanno accusato i decostruzionisti di essere accademici, astratti ed astrusi (Diamond, Quinby 1988).
2. Gli strutturalisti sostengono che un’eccessiva enfasi sulla percezione oscura il sistema di oppressione di cui alcuni gruppi sono vittime: la povertà, le carestie, le malattie sono condizioni che coinvolgono l’esperienza corporale delle persone non solo il sistema simbolico e discorsivo. I decostruzionisti non negano l’esistenza di situazioni di povertà e dolore ma vedono queste così intrinsecamente legate alla costruzione discorsiva e simbolica da non poter considerare le cose come separate. Quando i decostruttivisti dicono “discorso”, intendono il modo in cui l’esperienza è organizzata e strutturata narrativamente (Lather 1988; Martin 1988).
3. L’approccio decostruzionista non offre molte soluzioni per il cambiamento: questa prospettiva scoraggia il soggetto donna dal fondarsi come autonomo, in grado di elaborare sistemi di significato e pratiche politiche proprie (Piccone Stella, Saraceno 1996).
Brunella Fiore, I ragazzi sono più bravi in matematica? Interpretare la relazione tra genere e competenze matematiche con il supporto dei dati Pisa 2003, Università degli Studi di Milano Bicocca, Anno Accademico 2006/2007