Fondamentale riconoscere le dissomiglianze fra queste tre figure chiave della vicenda di Goliarda Sapienza

La vicenda biografica di Goliarda Sapienza è ormai nota, ed è stata ripresa da chiunque si occupi di lei come tassello fondamentale per comprendere i suoi libri di natura autobiografica.
Attrice di teatro e cinema, scrittrice a tuttotondo, era nata il 10 maggio 1924 a Catania nel quartiere di San Berillo, in una famiglia socialista [n.d.r.: la madre era Maria Giudice, il padre Giuseppe] con tendenze anarchiche, ed è vissuta dal 1940-1941 a Roma dove ha pubblicato quattro romanzi. La sua «soggettività fuori dai canoni» (Rizzarelli) di “carne e di lava” ma anche da “princesse hérétique”, com’è stata definita in Francia da René de Ceccatty, la pone come una figura particolare nella letteratura del suo tempo, costantemente divisa tra tradizione e ‘motivi libertari’ che impregnano la vita e l’opera spingendola verso i margini della cultura ufficiale.
[…] L’opera di Sapienza non è composta solamente da “spazi di libertà” ma è nutrita da più “generi” letterari che determinano una “libertà” espressiva non sempre decifrabile. In base a quanto affermato sinora da Angelo Pellegrino circa i volumi postumi, il sistema scrittorio di Sapienza si è avvalso della poesia, del teatro, delle sceneggiature e delle scritture private a intersecare la prosa, a più riprese, fino alla sua scomparsa.
Anche in “Una voce intertestuale” il paragrafo dedicato alla vita dà inizio al saggio, per procedere poi in un’analisi del testo mai lontana dal vissuto. Lì non si seguiva pedissequamente la narrazione di Giovanna Providenti ma si faceva luce su particolari che avrebbero potuto ampliare l’interpretazione dell’opera. Uno tra questi, specialmente legato agli anni siciliani della nascita in una famiglia antifascista durante il ventennio e della prima formazione culturale (1924-1941 circa), riguarda l’etimologia del nome “Goliarda” legato al coté socialista-anarchico e umanitario di casa Giudice-Sapienza: «Mi chiamarono Goliarda in ricordo del fratello ucciso […] e poi era un nome che piaceva tanto a papà. Un nome gaio, che apparteneva alla tradizione anarchica, che rievocava i clerici vagantes» <11 ricordava lei dopo l’esperienza carceraria.
[…] La digressione familiare resterà sempre in primo piano per lei. Nel citato documentario di Onorato e Amendola scopriamo che tre fratelli morirono nel passaggio fra padronato e fascismo; una famiglia diversificata: «c’era il leninista sanguinario, Ivanoe, che insultava mio padre e mia madre perché erano socialisti utopici e anarchici. Poi c’era il conservatore, che diceva che l’unica strada era la via di mezzo come dicono adesso. Io ho vissuto in una piccola società.» <15
[…] Nel 2019 è Angelo Maria Pellegrino a scandire la formazione autoriale dell’“atea e materialista” Sapienza (come lei si definiva), attraverso un percorso fitto di dati, riferimenti e letture: dall’esperienza extrascolastica e libertaria, all’interno di una famiglia per l’appunto anarcosocialista-umanitaria, segnalando inoltre l’inclinazione del tutto vitale dell’autrice. La puntualizzazione annuncia la necessità di ‘tenere insieme’ sia le prove dolorose sia quelle che portarono a significativi slanci, ancora una volta cercando di leggere la complessità della vicenda umana di Goliarda sullo sfondo storico e familiare del suo tempo. L’apprendistato incomincia nella Catania tra 1924 e 1936 circa, nei primi dodici anni di vita, quando «aveva ormai letto tutto Dostoevskij, Tolstoj e ‘I miserabili’. Ma furono soprattutto ‘La fossa’ di Kuprin e ‘Sanin’ di Artsybashev che la colpirono tanto […] i suoi numi tutelari però rimasero Shakespeare e Dostoevskij [con] ‘I fratelli Karamazov’». <19
[…] Nel secondo capitolo l’analisi di “Lettera aperta” porterà di nuovo all’attenzione i contenuti familiari, che tuttavia Pellegrino riassume con efficacia, riferendo che «Il padre poi le faceva leggere ad alta voce le testimonianze contro i suoi assistiti. […] Influirono su di lei anche i numerosi pomeriggi passati nell’anticamera dello studio dove i familiari degli assistiti di ogni ceto si sfogavano con la figlia dell’avvocato in racconti di vita vissuta.» <22 Sempre secondo l’erede: «Questa anticamera si può considerare l’incubatrice della sua vocazione letteraria». <23 L’ascolto, l’allenamento della memoria, così come lo studio musicale (suonava il pianoforte, come narra nel primo romanzo) e la presa diretta del sistema della recitazione – cui si univa quello del gioco con i fratelli – risultano pratiche di iniziazione alla cultura a tuttotondo fino all’approdo a Roma.
Nella visione di Pellegrino il rapporto con il mondo – così come con il corpo e con gli altri – può essere visto come una derivazione di quello avuto a Catania negli anni del fascismo, da un lato con gli amati fratelli che avevano scoperto il suo talento e «sostenevano che doveva averlo assorbito tutte le volte che da bambina erano stati costretti a lasciarla sola in qualche palco del Teatro Bellini dove la portavano quando i fascisti occupavano e mettevano a soqquadro lo studio del padre»; <24 loro stessi avevano preparato il suo fisico ad essere quello di una “creatura preindustriale”, come spesso lei si autodefiniva.
E d’altronde durante la resistenza romana, già negli anni di apprendistato alla Regia Accademia d’Arte Drammatica di Silvio d’Amico (secondo Providenti dal 1939-1940 al 1946-‘47) affrontò da partigiana, anche esponendosi alle insidie, un tempo storico difficile, che le lasciò dei solchi profondi sull’elaborazione del dopoguerra, <25 come si vedrà esposti in un articolo del 1981 (oggetto del paragrafo I.3).
Il “Ritratto”, come le cronache precedenti, concede ora di indagare i nessi culturali e politici genitoriali e anche di estendere lo sguardo ad altre figure pedagogiche, tra cui quella di Angelica Balabanoff (1869-1965). Sebbene Providenti approfondisca sia il ruolo di Carlo Civardi, primo compagno di Giudice, <26 sia dell’amica citata, in questa sede si può presupporre un’inferenza maggiore di quella espressa nella biografia dal momento che Balabanoff visse e morì a Roma nel 1965 (dove aveva studiato, a inizio Novecento, con Antonio Labriola), e risiedette nella stessa città in cui Sapienza aveva vissuto con la madre sin dall’inizio della sua stagione d’attrice: il 1941. In effetti, la citazione di Balabanoff e della sua “intelligenza” ne “L’arte della gioia” <27 fa intendere un tributo al personaggio molti anni dopo la loro conoscenza; come testimonia Laura Ferro, Sapienza possedeva, nella sua biblioteca, una copia di “Ricordi di una socialista” in un’edizione del 1946 fittamente annotata. <28
Nel diario dell’8 Agosto 1989, <29 l’autrice faceva riferimento a uno scritto che lo storico statunitense Philip V. Cannistraro stava completando su Maria Giudice che, di lì a breve, sarebbe stata ricordata anche sulla rivista «Minerva», con la quale anche Sapienza collaborò per un breve periodo tra il 1986 e il 1988, guarda caso in veste di ‘giornalista’ come la madre. <30
Lo studioso, che già nel 1978 si era occupato della militanza della socialista pavese anche dal punto di vista del suo impegno a favore delle donne, <31 ha proseguito nel 2003 (era allora docente al Queens College/CUNY) la ricerca su di lei pubblicando (dieci anni prima il successo di “The Art Of Joy” del 2013) un articolo che chiarisce la relazione Balabanoff-Giudice-Peppino Sapienza-Goliarda Sapienza. La militante russa era vissuta negli Stati Uniti dal 1936 e 1947 circa, e a New York aveva pubblicato alcune sue raccolte poetiche; <32 Cannistraro evidenzia che, in “Memorie di una rivoluzionaria”, uscito negli anni trenta (a Parigi, nel 1931, per la casa editrice Avanti!, trasferitasi lì dopo l’inizio del ventennio) e dunque in pieno fascismo, non si faceva mai per iscritto il cognome di Maria al fine di tutelarla dalle persecuzioni politiche. Lei, che fu partigiana insieme al compagno Peppino e alla figlia Goliarda nel 1943 – durante l’occupazione di Roma -, credette di poter dare vita, nel secondo dopoguerra, a uno stato democratico e, pur non avendo la statura intellettuale di Gramsci o di altri compagni di partito, si era distinta per aver guidato alcuni scioperi degni di nota.
Cannistraro ha scritto infatti: «La sua importanza risiede nella coerente vita di sacrificio e di lotta che straordinariamente portò nella causa della rivoluzione socialista». <33 Non si può ignorare, come ricorda Maselli, che Giudice e Peppino Sapienza avevano condiviso numerose imprese insieme, tra cui la fondazione del giornale «L’unione» <34 e che, come sottolinea Angelo Pellegrino, furono «figure storiche del socialismo italiano di prima della scissione del Partito socialista a Livorno nel 1921, da cui nacque il Partito comunista d’Italia, scissione che favorì il fascismo nella sua marcia verso il potere». <35
A fine conflitto, i genitori di Goliarda erano divisi tra Roma e la Sicilia. Nel 1947 il padre Giuseppe detto Peppino (1881-1947), dopo essere stato eletto nelle liste del PSIUP all’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana, in seguito alla svolta di Palazzo Barberini aderirà alle liste del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) rappresentando il collegio di Catania, sua città d’origine; sarà inoltre deputato del II Governo della Regione Sicilia, ricoprendo la carica di Assessore alla Pubblica Istruzione fino alla sua scomparsa, il 31 dicembre dello stesso anno. <36 Se Giuseppe prese parte alla Costituente (con, tra gli altri, Terracini e Nenni) Maria Giudice non fu chiamata ad aderirvi, probabilmente a causa del suo precario stato di salute. Tra le 21 donne lì presenti, molte delle quali insegnanti e pubbliciste come lei, le esponenti per il Partito Socialista – che contava 115 membri – furono Bianca Bianchi, Angelina Merlin e Angiola Minella Molinari, forse distanti dalle posizioni di Giudice. Nel frattempo lei si era impegnata con altre anche per la nascita dell’UDI mentre Balabanoff aveva pubblicato “Il traditore Mussolini” (New York, Giuseppe Popolizio 1942-1943), volume che era stato corredato da una postilla di Giudice nell’edizione italiana (Avanti 1945). Le due avevano fondato insieme il giornale delle proletarie socialiste «Su, Compagne!» (1904-1906 circa) durante l’esilio svizzero, partecipando poi dal 1912 a «La difesa delle lavoratrici» diretto da Anna Kuliscioff – con cui entrarono talvolta in conflitto – ed erano state fianco a fianco nella redazione dell’«Avanti!» nel 1913, anno in cui si verificò una rottura definitiva con Mussolini per cause politico-giornalistiche. Durante gli ultimi anni del secondo conflitto mondiale Balabanoff si trovava negli Stati Uniti e riuscì a rintracciare l’amica Maria solo nel dopoguerra; lei, negli anni, aveva parlato alla figlia Goliarda, allora allieva alla Regia Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, di quella «“zia russa” tanto buona, coltissima, dall’intelligenza fulminante». <37 Nel 1946 le due sono di nuovo in contatto
[…] Nel 1947, Angelica e Maria sostennero la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini voluta da Saragat e da altri, i quali non condividevano le posizioni filocomuniste di Nenni; se si rammenta quanto già descritto, Peppino Sapienza aveva intrapreso allora un’altra rotta, con il PSLI.
È fondamentale riconoscere le dissomiglianze fra queste tre figure chiave della vicenda di Goliarda Sapienza, poiché i soggetti che contribuirono alla sua educazione libertaria erano istruiti in un’epoca di alto tasso d’analfabetismo e, oltre ad essere impegnati in una propaganda contro il regime, scrivevano e le insegnavano a rapportarsi a una cultura di tipo alto e di taglio politico. In pieno fascismo, inoltre, lei non frequentò la scuola – come narrerà in “Lettera aperta” – per ragioni che non riguardavano la sua salute ma per motivi ideologici (viene in mente la coetanea Cristina Campo e l’educazione che ricevette in casa). Il suo non era un nucleo borghese ma, come nel caso di quello di Francesco Maselli detto Citto (compagno di vita di Sapienza per diciotto anni dal 1947-1948) «[una di] quelle famiglie meridionali evolute, non proprio intellettuali, ma gente evoluta, che si stava affermando» <41 nel secondo dopoguerra. Benché Maria Giudice e Peppino Sapienza avessero affrontato la prigionia politica e la Resistenza, il loro status di insegnante e avvocato legati da una relazione libera (non erano infatti sposati) appariva socialmente connotato.
In un recente contributo si è avuta l’opportunità di vagliare alcune singole pubblicazioni di Maria Giudice uscite tra il 1903 e il 1932 e conservate in archivi di varie biblioteche italiane (non esistendo un Fondo a lei dedicato), presentandola come ‘inedita letterata’ in grado di ispirare l’opera poetica e teatrale della figlia Goliarda. <42 Si è ugualmente proposta la figura del Professor Francesco Marletta – intellettuale socialista, conoscitore delle lingue classiche e maestro di Libero e Carlo Sapienza (figli di Peppino), Ivanoe e Cosetta Civardi (figli di Maria) – come frequentatore di casa Sapienza, pedagogo che potrebbe aver affiancato il Professor Jsaya nell’educazione di Goliarda o, se non altro, esser stato un volto amico. In quella casa, infatti, Maria studiava greco e latino; inoltre: «amava molto Dostoevskij, l’Iliade e l’Odissea che leggeva in greco. Alla figlia Goliarda, invece che le fiabe, raccontava la storia di Ulisse e i miti greci. Le leggeva “Il Circolo Pickwick” di Dickens». <43 Peppino, invece, portava la bambina all’Opera dei Pupi e a teatro, mentre i fratelli, come già verificato, le trasmettevano un certo gusto per il cinema, la musica e l’opera.
[NOTE]
11 C. PILOLLI, Finalmente scopriranno che ho scritto un bel libro, in «Gente», 17 ottobre 1980. Cfr. A. TREVISAN, «fermare la fantasia», cit., nota 10.
15 In V. ONORATO, A. AMENDOLA, Storie vere – Goliarda Sapienza, in «Rai Teche», 1994.
19 A. PELLEGRINO, Ritratto di Goliarda Sapienza, Milano, La Vita Felice, 2019, p. 18.
22 A. PELLEGRINO, Ritratto di Goliarda Sapienza, cit., p. 22.
23 Ibidem.
24 Ivi, p. 71.
25 Ivi, pp. 36-38. Cfr. F. MASELLI, Goliarda nella storia di quegli anni, prefazione in Lettera aperta, Torino, UTET, 2007, pp. IX-XVI. Come constata Providenti in La porta è aperta, p. 321, Sapienza è stata partigiana gregaria nella Brigata Vespri dal 9/9/1943 al 4/6/1944 e la sua qualifica è stata riconosciuta dalla Presidenza del consiglio dei Ministri con certificato del 13/12/1947.
26 G. PROVIDENTI, La porta è aperta, cit., pp. 29-35. Il riferimento alle missive di Carlo Civardi è Lettere dal fronte, 128 regg. fanteria, brigata Firenze, Stradella, F.lli Vecchio, succ. P. Salvini, 1937; grazie alla digitalizzazione a cura della Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma, sono disponibili per una lettura online. Providenti, nel volume La porta della gioia, Roma, Nova Delphi, 2016, ritorna sulla vita di Maria e Peppino, a pp. 99-126. A oggi quella di Providenti resta la più completa narrazione dei movimenti familiari e sarà recuperata nel secondo capitolo.
27 G. SAPIENZA, L’arte della gioia, ed. integrale Stampa Alternativa, 1998, p. 355.
28 Cfr. L. FERRO, Contro la donna «intelligente come un uomo». Il femminismo di Goliarda Sapienza, in AA. VV, Femminismo e femminismi nella letteratura italiana dall’Ottocento al XXI secolo, a c. di S. Parmegiani e M. Prevedello, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2019, p. 211.
29 Cfr. Dal capitolo Attraverso il Nord Europa in G. SAPIENZA, Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1976-1989, a c. di G. Rispoli, Torino, Einaudi, 2011, p. 175; la datazione è di G. PROVIDENTI, La porta è aperta, cit., p. 87.
30 Cfr. (s.a.), M. Giudice, A. Zanetta, M. Goia: tre maestre per l’emancipazione femminile, in «Minerva: l’altra metà dell’informazione», A. 7, n. 2, febbraio 1990, p. 22.
31 P. V. CANNISTRARO, Maria Giudice, Revolutionary Feminist, in «La parola del popolo», n. 143, mar/apr 1978, pp. 50-52.
32 A. BALABANOFF, Tears, New York, E. Laub Publishing, 1943; sempre a New York per La fiaccola (senza anno di edizione) uscì Caduti per noi, caduti per voi: raccolta di poesie. Per quanto concerne la sua biografia si legga A. LA MATTINA, Mai sono stata tranquilla. La vita di Angelica Balabanoff, la donna che ruppe con Mussolini e Lenin, Torino, Einaudi, 2011.
33 P. V. CANNISTRARO, Who was Angelica Balabanoff’s “Maria”? A note on historical identification, in «Science & Society», Vol. 67, No. 3, Fall 2003, pp. 349-352 (traduzione mia).
34 F. MASELLI, Goliarda nella storia di quegli anni, cit., p. X.
35 A. PELLEGRINO, Ritratto di Goliarda Sapienza, cit., p. 50.
36 Cfr. Si vedano i documenti relativi alle attività svolte nell’ambito della Costituente sul sito della Camera: <http://legislature.camera.it/chiosco.asp?cp=1&position=Assemblea%20Costituente\I%20Costituenti&content=altre_sezioni/assemblea_costituente/composizione/costituenti/framedeputato.asp?Deputato=1d28470> (link verificato al 16/01/2019).
37 A. LA MATTINA, Mai sono stata tranquilla, cit., p. 286.
41 Cfr. La testimonianza di Citto in L. MICCICHÉ (a c. di), Gli sbandati di Francesco Maselli, Torino, Lindau, 1998, p. 16.
42 Cfr. A. TREVISAN, La “voce” di Maria Giudice tra giornalismo e letteratura, in Querelle des Femmes. Male and female voices in Italy and Europe, a c. di D. Cerrato, A. Schembari, S. Velásquez Garcia, Szczecin-Polonia, Volumina.pl Daniel Krzanowski, 2018, pp. 161-172. Questo paper è stato presentato al discusso al XV Congresso Internazionale del Gruppo di Ricerca “Escritoras y Escrituras”: Voci maschili e femminili tra Italia ed Europa nella Querelle des Femmes tenutosi all’Università di Siviglia, in Spagna (il 12, 13 e 14 novembre 2018).
43 J. CALAPSO, Una donna intransigente. Vita di Maria Giudice, Palermo, Sellerio, 1996, p. 33. Conosciamo invece dal volume di Providenti che anche Maria aveva letto Zola, Hugo e Dickens per volere materno (p. 22).
Alessandra Trevisan, Per una ricerca sugli inediti di Goliarda Sapienza: nel «baule mentale» della “personaggia”, Tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari di Venezia, 2020

A dieci anni dalla morte di Goliarda Sapienza, e a fronte di notevoli successi di pubblico nell’ultimo periodo, sia in Italia che all’estero (soprattutto in Francia), sembra opportuno occuparsi di questa scrittrice, anche perché la memoria gioca un ruolo importante nella sua opera. Dei sei testi editi, infatti, ben quattro riguardano la memorialistica e fanno parte di una sorta di vero e proprio ciclo autobiografico. Il libro su cui mi soffermo si intitola “Lettera aperta” ed è il primo incentrato sul recupero della memoria. L’opera, iniziata nel 1963, viene pubblicata per la prima volta nel 1967, due anni dopo la sua conclusione, ed è riedita dalla casa editrice Sellerio nel 1993. Il segmento temporale indagato è quello più lontano, ma più determinante per la formazione dell’individuo: l’infanzia.
“Lettera aperta” è il discontinuo snodarsi delle prime volte di Goliarda, nata a Catania nel 1924, bambina intelligente, creativa e problematica, figlia dell’avvocato sindacalista Giuseppe Sapienza (detto Peppino) e della storica sindacalista Maria Giudice, segretaria della camera del lavoro di Torino negli anni Venti. La famiglia della piccola Goliarda è una famiglia sopra le righe: anticonformista, liberale, colta, allargata, ma, come tutte, accompagnata da qualche mistero e contraddizione, di cui la scrittrice non nasconde l’esistenza.
Anzi è proprio con tali contraddizioni che l’autrice deve fare i conti. Questo libro non è, infatti, un’autocelebrazione delle proprie origini; l’autrice non intende, per così dire, “lustrare la facciata”. Goliarda si immerge nel recupero memoriale e ci offre quanto riemerso così come ella riesce a portarlo alla luce, attraverso un flusso continuo di memoria.
[…] Da un altro punto di vista, quello che si trovava ad affrontare Goliarda è probabilmente un lacerante conflitto culturale tra i sessi, amplificato dal modello femminile innovativo che aveva sotto gli occhi in casa e dal grado superiore di cultura che caratterizzava l’intera famiglia della scrittrice.
L’emancipata Maria, dal giudizio generale della gente che emerge nel testo, è «impareggiabile, intelligente più di un uomo e coraggiosa più di un uomo» <26. A lei «la troppa intelligenza non la fa dormire mai» <27. Di lei sappiamo che guidava le lotte sindacali e che, mentre fomentava le folle, lasciava i suoi numerosi figli al giovane Gramsci. «Fu condannata e chiusa in prigione assieme ad altri prestigiosi socialisti come Pertini e Terracini dopo la famosa rivolta operaia del 1917. Fu anche direttrice de giornale “Il popolo”» <28. Venne, infine, mandata in Sicilia per riorganizzare il partito socialista, in quanto elemento di spicco del sindacato. Le altre donne, a suo confronto, sono delle «donnette che non sanno fare altro che aspettare un marito». Ecco perché Goliarda afferma: «io non volevo un marito, volevo un compagno, come lei […]. Sarei stata come mia madre. Avrei parlato come lei con gli uomini» <29. La donna è vista in chiave costantemente negativa. Gli uomini si riferiscono prevalentemente a lei come all’«animaletto femmina» <30 e la considerano un essere per sua natura inferiore. Goliarda stessa si sente dire: «anche se intelligente sempre femmina sei» <31 oppure si vede prospettare dal misogino e colto professor Isaya che sarà «una donna imbecille come tutte le altre, ma molto carina» <32. Anche le donne, però, hanno scarsa considerazione di sé e si arrendono al ruolo ad esse preposto, arrivando a percepire, nel migliore dei casi, che «nascere femmina» sia una «disgrazia», perché vuol dire essere dipendenti dagli uomini; come sostiene la zia Grazia: «si ha sempre bisogno di loro» <33.
Il confronto tra la realtà storico-culturale della Sicilia degli anni Venti e Trenta e quello della famiglia di appartenenza della scrittrice è, dunque, stridente: «casa nostra era considerato luogo di perdizione: “le donne studiano e in luoghi pubblici, anche!”» <34 L’uomo e, dunque, il suo rappresentante maschile per eccellenza nei bambini, cioè il padre, ne esce come persecutore. Se a questo si aggiunge l’intuizione del fatto che Peppino Sapienza aveva degli atteggiamenti biasimabili sul piano personale, ancora una volta a danno del sesso femminile, attraverso il suo inguaribile dongiovannismo <35, si comprende bene il risentimento di Goliarda nei confronti del padre.
[NOTE]
26 GOLIARDA SAPIENZA, Lettera aperta, cit., p. 138.
27 Ivi, p. 144.
28 DACIA MARAINI, Ricordo di Goliarda Sapienza, in GOLIARDA SAPIENZA, Lettera aperta, cit., p. 10.
29 GOLIARDA SAPIENZA, Lettera aperta, cit., p. 110.
30 Ivi, p. 63.
31 Ibid.
32 Ivi, pp. 22-23.
33 Ivi, p. 56.
34 Ivi, p. 62.
35 Pare che Peppino Sapienza avesse concepito fuori dal matrimonio numerosi figli, alcuni dei quali tardivamente riconosciuti, come Nica.
Susanna Vitali, La memoria “aperta” di Goliarda Sapienza in Tempo e memoria nella lingua e nella letteratura italiana, Atti del XVII Congresso A.I.P.I. – Associazione Internazionale Professori di ’Italiano, Ascoli Piceno, 22-26 agosto 2006, Vol. IV: Poesia, autobiografia, cultura, 2009