Al battaglione, unico caso nella storia della Resistenza, fu concesso il rimpatrio con l’onore delle armi da parte delle autorità albanesi

Il battaglione “Antonio Gramsci” nacque dalla volontà di un ristretto gruppo di fanti ed artiglieri appartenenti al 127° ed al 128° reggimento della Divisione Firenze, l’unica che riuscì a combattere fin dall’armistizio l’occupante nazista, unendosi al fronte di liberazione nazionale albanese per combattere insieme il nazi-fascismo, riscattando l’onore dell’Italia e contribuendo attivamente alla liberazione dell’Albania.
L’annuncio dell’armistizio diffuso l’8 settembre 1943 colse di sorpresa gli alti comandi italiani evidenziando i limiti di quelle personalità e l’impreparazione a reagire con fermezza ad un avvenimento di portata storica senza precedenti. Alla fine del 1943 l’Italia vantava un corpo di spedizione in Albania di 150000 effettivi che ricadevano sotto la guida del Generale Rosi comandante del GAE (Gruppo Armate Est) che venne fatto prigioniero dai tedeschi. Successivamente alla sua cattura, il Generale Dalmazzo comandante del IX Corpo d’armata assecondò ogni richiesta da parte dell’ex alleato, contribuendo di fatto al disarmo delle divisioni presenti sul campo. L’impreparazione generale decretò una reazione lenta e disarticolata da parte di ciascuna divisione, chenell’impossibilità di confermare quanto proclamato nell’armistizio “la guerra continua” come annunciato dal Maresciallo Badoglio, restarono paralizzate e incapaci di reagire all’aggressione nazista che in sole 48 ore occupò l’intera Albania.
Delle divisioni appartenenti al GAE solo la divisione “Firenze” ebbe la forza di reagire alla violenza tedesca, altre furono annientate senza pietà: questo fu il destino toccato alla divisione “Perugia”, “Arezzo” e al reggimento “Monferrato”: pochi soldati ebbero salva la vita.
La battaglia di Kruja decretò la fine dell’esercito d’occupazione italiano e allo stesso tempo calò il sipario sui legami che tenevano unite l’Albania e l’Italia, ma rappresentò anche l’inizio della resistenza italiana nel paese schipetaro.
Un primo timido tentativo di rappresentare la resistenza italiana sotto il comando di ufficiali del regio esercito avvenne con la creazione del CMTM (Comando Militare Truppe della Montagna) subito dopo l’armistizio da parte del tenente colonnello dell’areonautica Mario Barbi Cinti, che dopo i fatti di Kruja passò il comando proprio al generale Azzi.
Il 10 Ottobre 1943 venne fondato il primo battaglione di soli italiani incorporato nella I brigata d’assalto albanese, nata appena 40 giorni prima, al quale fu concesso il privilegio di chiamarsi con il nome di “Antonio Gramsci”. Il battaglione Antonio Gramsci scrisse pagine epiche della resistenza albanese, partecipando a numerosi conflitti e mettendo le proprie conoscenze militari al servizio della causa comune: la sconfitta totale del nazi-fascismo.
Dell’ormai defunto esercito italiano sopravvissero anche le batterie d’artiglieria guidate rispettivamente dai tenenti Cotta e Modestini. Queste, incorporate nella I brigata albanese, andarono a costituire l’artiglieria dell’E.L.N.A.(Esercito di Liberazione Nazionale Albanese).
Il battaglione italiano fu un tassello fondamentale dell’esercito partigiano albanese prendendo parte ad alcune delle più importanti operazioni di guerra come la difesa della città di Berat nel novembre ’43, il tentativo di liberare un campo di prigionia italiano nei pressi di Belsh e nella regione del Dibrano dove cadrà lo storico comandante Terzilio Cardinali.
L’ultima azione di rilievo alla quale prese parte la Gramsci fu la liberazione di Tirana.
Nel corso della resistenza il battaglione subì una lenta metamorfosi, trasformandosi in brigata e successivamente in divisione. Grazie al contributo della Gramsci, dopo la liberazione dell’Albania, fu possibile la creazione del circolo “Garibaldi”, il primo strumento adoperato poi dal governo italiano per il rimpatrio di civili e militari presenti in Albania.
Nelle prime settimane di marzo del 1945 fu inviata a Tirana la missione dell’onorevole Mario Palermo, sottosegretario alla guerra, incaricata di riallacciare i rapporti diplomatici tra Italia e Albania. L’eroismo della Gramsci e l’ammirazione che la popolazione e i partigiani albanesi tributarono a questo battaglione italiano rappresentarono un valido deterrente alle richieste, a “tratti pretenziose”, avanzate dal governo Hoxha in merito alla questione delle riparazioni di guerra.
Al battaglione, unico caso nella storia della Resistenza, fu concesso il rimpatrio con l’onore delle armi da parte delle autorità albanesi che richiesero fino all’ultimo la consegna delle armi. Ma se tale riconoscimento fu sottolineato dalle autorità albanesi ben diversa fu l’accoglienza in patria: giunti nel porto di Brindisi, nessuna autorità ufficiale era lì ad attenderli. Ai partigiani della Gramsci furono sequestrate le armi e vennero sottoposti a regime detentivo per due settimane. Da parte italiana non fu tributata alcuna onorificenza al battaglione; solo alcuni membri ebbero dei riconoscimenti a distanza di molti anni.
I partigiani della “Gramsci” persero così la grande occasione di contribuire alla liberazione totale dell’Italia per la quale con tanto coraggio si batterono in Albania.
[…] La struttura gerarchica nel suo complesso rifletteva il modello dell’esercito partigiano jugoslavo dove comandante e commissario politico avevano lo stesso grado di autorità nei confronti dei propri subalterni. A completare l’organico sotto la dicitura “Sherbime Te Ndryshme” sono elencati i vari servizi di cui disponeva il battaglione: intendente, due portaordini “Korire”, un infermiere, un barbiere ed un calzolaio. La caratteristica che destò maggior stupore e curiosità tra i partigiani italiani fu certamente la figura del commissario politico come il partigiano Arturo Foschi in “Liri Popullit”: “il comandante si interessava particolarmente dei problemi militari mentre il commissario politico si interessava di tutti i problemi da quelli militari ed educativi, a quelli di rifornimento delle armi e dell’approvvigionamento dei viveri” <66.
Il tempo libero a disposizione del battaglione come nelle restanti formazioni partigiane doveva essere assorbito da attività culturali e dalle conferenze “durante le quali i comandanti e i commissari politici facevano il punto della situazione militare e politica” <67.
Durante queste conferenze circolavano opuscoli e giornaletti auto prodotti: quello stampato dal battaglione italiano si intitolava “La Catapulta arma elegante”, un nomignolo dato dal commissario politico Bruno Brunetti per ironizzare sul materiale bellico a propria disposizione.
Questo giornaletto ciclostilato a cadenza quindicinale è uno strumento di analisi prezioso per indagare l’universo partigiano dall’interno.
[…] L’articolo intitolato “Terra d’Albania ” testimonia <75 un tentativo di avvicinare i partigiani della “Gramsci” alla storia nazionale albanese e un esempio rudimentale di descrizione etnografica con la finalità di giustificare lo stato di miseria e povertà che portarono l’Albania da un’occupazione all’altra nel corso della sua storia nazionale; intravvedendo nella nascita di un governo popolare l’unica ancora di salvezza per una nazione intera. L’Albania mantenne la percentuale più elevata di mussulmani rispetto ai restanti stati balcanici che riuscirono con successo nel loro processo di emancipazione dall’impero ottomano. Ancora una volta il fattore religioso viene richiamato come simbolo della debolezza umana, dimenticando però come l’eroe nazionale Giorgio Castriota Skanderberg fosse un principe cristiano definito dalla Chiesta come un paladino della cristianità. Le restanti cause sono da ricondursi alla scarsità di risorse
naturali unite ad un territorio montuoso in cui il punto di forza restava l’allevamento del bestiame e la piccola agricoltura. L’assenza di vie collegamento portava molti albanesi ad abbandonare le proprie casa espatriando nella terra dei sultani: la Turchia, dove ritrovavano costumi ed usanze a loro familiari. Il popolo albanese ha ereditato dalla tradizione musulmana il senso dell’ospitalità, ma anche il senso della vendetta, la famigerata legge del kanun che imponeva all’offeso o ai parenti di questo di rifarsi sul colpevole o sui suoi familiari diretti. Questa “barbara usanza” fu uno dei punti nodali con i quali i partigiani comunisti si scontrarono ripetutamente durante la liberazione dei villaggi, il comunismo avrebbe cancellato ogni forma di ingiustizia o giustizia privata <76.
Come in tutti gli articoli stampati dalla catapulta la parte politica prende consistenza fino a catalizzare il lettore riportandolo sulla situazione attuale dell’Albania. Dall’occupazione turca si passa in rapida successione al regno di Zog che tradì il popolo albanese abbandonandolo prima al fascismo e poi all’occupazione nazista.
Un ultimo articolo che rientra nella sfera dell’indottrinamento politico “Da un discorso di Stalin si stralcia” in cui i partigiani comprendono il significato profondo della dottrina marxista-leninista: “questi uomini pensano sicuramente che il socialismo chiede l’egualitarismo, l’eguaglianza, il livellamento dei bisogni della vita privata per i membri della società. E’ inutile dire che questa ipotesi non ha niente da fare col Marxismo né con il Leninismo. Con la parola “uguaglianza” il Marxismo intende non l’egualitarismo nel campo delle necessità della vita, ma la liquidazione delle classi” <77.
Molti partigiani italiani sapevano leggere ed erano avvantaggiati rispetto ai partigiani albanesi in genere analfabeti, ma come loro carenti di nozioni politiche spesso potevano confondere socialismo con marxismo. Per questo motivo è ragionevole pensare che l’articolo mirasse a fare chiarezza su un concetto chiave riguardante le caratteristiche distintive e le finalità della dottrina marxista- leninista attraverso una serie di operazioni mirate: il raggiungimento della libertà per tutti i lavoratori dopo aver abbattuto la casse capitalista, la cancellazione della proprietà privata e dei mezzi di produzioni messi al servizio della società e non contro di essa.
[NOTE]
66 cit. in Liri popullit. Partigiani italiani in Albania : un esempio di internazionalismo proletario, a cura del Circolo di Firenze dell’Associazione Italia-Albania, Firenze, editrice Cultura, 1974, pp. 163-165
67 cit. in Da oppressori a combattenti per la libertà, p. 40
75 doc. La catapulta, n.6, p. 2
76 Ivi, p. 6
77 doc. La catapulta, copia n.6, p. 8
Alessandro Renzi, L’occupazione fascista e la resistenza in Albania: il battaglione “Antonio Gramsci” (1939-1945), Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 2015