Agli inizi dello scandalo Lockheed

Nel febbraio 1976 una commissione parlamentare americana indagò sulla Lockheed, un colosso dell’aviazione che pagò tangenti per vendere i suoi aerei. Nei Paesi Bassi venne coinvolta la stessa monarchia, mentre nella Repubblica Federale Tedesca, in Giappone e in Italia i corrotti dalla Lockheed furono le strutture preposte alle valutazioni tecnico-militari dei Ministeri della Difesa, i Ministri della Difesa, e in Italia e Giappone anche i Primi Ministri. In tale vicenda risultarono coinvolti diversi politici italiani. A partire dal 1969, infatti, la società americana Lockheed si assicurò la vendita di aerei militari Hercules C-130 grazie alla corruzione di uomini del governo vicini al presidente, tra i quali vi sarebbe stato Antonio Lefebvre.
“Leone non ha più altra possibilità. Coinvolto fin troppo spesso in affari di regime – chi non ricorda le ville, gli alberghi, i residence a Capri, nel napoletano e sulla Cassia, le sue amicizie speciali per i Rovelli? -, criticato per le vertiginose carriere pubbliche dei suoi rampolli e per le loro vistose mondanità, il Presidente della Repubblica è scivolato sulla buccia di banana Lockheed. Quando il nome di Antonio Lefebvre <167, squarciati i veli dell’omertà di regime dal quale proprio questa agenzia l’aveva sottratto, invase le pagine di tutti i giornali, fu molto chiaro che il grande protettore di Tannò non avrebbe più potuto nascondersi dietro ad un dito. Come mai e grazie a chi Lefebvre era potuto diventare nel giro di pochi anni il supermediatore di stato; grazie a chi può operare oggi quasi in regime di monopolio con i paesi arabi; grazie a chi ha potuto introdursi con autorevolezza fino ai vertici delle Forze Armate; grazie a chi ha potuto evitare tutte le rigide regole del Fisco? Fin dal suo primo apparire sulla ribalta nazionale, lo scandalo Lockheed ci ha fatto assistere ad un tragico tiro alla fune. Perché mentre la forza delle cose tirava tutto dalla parte dello studio Lefebvre, una ben robusta mano strattonava l’altro capo della corda verso centri di potere e fatti marginali. Questo braccio di ferro ha fatto così cadere più di una testa ai vertici della Repubblica” <168.
Con lo scandalo della compravendita degli aerei, «Osservatore politico» passò ad attaccare direttamente il presidente Leone.
“Oggi è di scena il tenore… Tocca al Presidente dire la sua. Il Presidente che, guarda caso, è anche l’intimissimo del manutengolo della corruzione Lockheed in Italia, quell’Antonio Lefebvre per le mani del quale sono passati $ 1.760.000 di bustarelle rimaste presunte. Lo stesso Presidente che in una rosa di altri improbabili candidati, è indicato dal dossier di Church <169 come quell’Antelope Cobbler che avrebbe ispirato tutto il malaffare degli Hercules. Certo, quel che finora sappiamo non basta a dire se Giovanni Leone è perseguibile a termini di legge. Basta e avanza però per far nascere più di una riserva morale sulla figura che oggi siede al Quirinale. Basta e avanza per gettare ulteriore
discredito, a livello internazionale, sulla nostra Italia. Giunto a questo punto, un uomo d’onore non ha più alternative: Giovanni Leone rassegni oggi stesso le sue dimissioni da Presidente” <170.
Dalle carte dell’azienda americana emersero riferimenti al presunto destinatario delle tangenti il cui nome in codice sarebbe stato Antelope Cobbler. A distanza d’anni non vi sono prove certe sebbene i sospetti ricadano sulle figure di Mariano Rumor, Camillo Crociani, Giulio Andreotti o Aldo Moro. Alcuni giornali, tra i quali l’«Espresso», sostennero che Cobbler fosse stato trascritto in maniera erronea, scambiando una G per una C; la versione corretta sarebbe dunque stata Antelope Gobbler, ossia «mangiatore di antilopi», cioè Leone.
Anche Pecorelli fu convinto del coinvolgimento di Leone: lo si legge nell’articolo del 24 aprile 1976 “Indovina indovinello non è uomo non è uccello…”:
“A proposito dell’affare Lockheed, e in relazione al misterioso Antelope Cobbler, val forse la pena ricordare che lo stesso presidente della società statunitense riferì – dinnanzi alla sottocommissione Church – che fu «un senatore Dc a indirizzarlo verso lo studio d’Ovidio Lefebvre». È anche noto che «con quello di un’altra “premiata ditta romana”, il nome di Lefebvre era stato suggerito agli americani dalla sede italiana della First National City Banks». Quella stessa sede ove ha di recente trovato soddisfacente impiego proprio all’ufficio valuta uno dei giovani leoni della repubblica; figlio – caso strano – anche lui di un noto senatore Dc. Chi sarà mai?” <171
Il giornalista di «Op» tornò a parlare delle dimissioni del presidente e lo fece nel successivo articolo del 27 aprile 1976, “La grande illusione di Giovanni Leone”.
“Avrebbe potuto telefonare a Castelli <172. Avrebbe potuto convocarlo al Quirinale o a Castelporziano. Avrebbe potuto spedirgli un emissario. Tutte cose che probabilmente sono anche avvenute. Leone invece ha inviato una lettera, e ha passato subito il testo alle agenzie. Ha ritenuto con quella lettera di sollecitare alla Commissione Inquirente un giudizio immediato – come se fosse possibile – allo scopo precipuo di suscitare un coro di consensi e di solidarietà tra i presenti alla riunione Dc, tale cioè da sortire l’effetto d’ottenere una dichiarazione di sostegno, immediata e all’unanimità, da parte del massimo organo di partito. Povero illuso! C’è rimasto male, a tarda sera, quando ha appreso che a Piazza del Gesù aspettavano a braccia conserte le sue dimissioni” <173.
Sempre nello stesso numero di «Op», Pecorelli descrisse i possibili scenari italiani nel caso fossero avvenute le immediate dimissioni di Leone o, come seconda ipotesi, se Leone avesse deciso di mantenere la carica. La prima riflessione politica, dal titolo “Se Leone si dimettesse”, esprime gli interessi di determinati gruppi politici a mantenere il Presidente della Repubblica in carica. Da questo articolo si evince come Carmine Pecorelli fosse convinto che l’Antilope fosse proprio il presidente Leone. Nell’ultima parte dello scritto infatti, il giornalista, passò direttamente a definirlo in questa maniera.
“Col Parlamento eletto nel ’72 cioè quello attuale – 256 Dc, 55 Msi, 20 Pli – l’elezione di un Presidente della Repubblica anticomunista o comunista sarebbe cosa possibile, dati i tempi e la fame, in tre sole sedute; cioè in ventiquattro ore. Perciò il Pci dorme sullo scottante problema e non ha trasmesso ordini alla piazza […]. Se Leone si dimettesse, sarebbe non solo difficile l’elezione di De Martino, ma anche quella di Moro o di Zac. Senza voler far ricorso al solito nome di Fanfani, che si mette sempre avanti senza essere invitato, l’elezione invece di uno Scalfaro o di uno Spagnolli sarebbe gioco da ragazzi. Per queste ragioni Moro non si appassiona alla vicenda Lockheed, e le sinistre interne non fanno chiasso […]. Se si dimettesse Leone, salterebbero in aria per altri sette anni la promessa fatta da Berlinguer a De Martino di portarlo in Quirinale. E morirebbe pure la speranzella di La Malfa di poter essere l’uomo di risulta al posto di De Martino. E quella di Moro di poter battere la concorrenza di De Martino e La Malfa. Ecco i veri alleati, in questo momento, di Antilope Cobbler!” <174
Al contrario, se Leone non si fosse dimesso:
“Se Leone non si dimette, per Berlinguer il gioco è fatto. In settimana lo scioglimento delle Camere e poi via alla conquista dell’Italia. Se Leone non si dimette, Moro è provvisoriamente salvo insieme al suo governo sgangherato e screditato. Se Leone non si dimette, Zac e compagni possono continuare ad illudersi in una campagna elettorale basata sulla paura borghese […]. Se Leone non si dimette, De Martino tira un sospiro di sollievo. Il Psi nel dopo elezioni potrà essere l’ago della bilancia per fare maggioranze con i comunisti o con gli altri. Se Leone non si dimette, il destino del paese è segnato. La campagna elettorale rappresenterà un inutile massacro dei partiti anticomunisti ed a luglio Berlinguer sarà il vero arbitro dello Stato” <175.
[NOTE]
167 Antonio Lefebvre d’Ovidio, soprannominato Tannò, agente italiano della Lockheed. Coinvolto nello scandalo venne condannato nel 1979 a due anni e due mesi di reclusione.
168 Dimissioni, «Osservatore politico», 23 aprile 1976.
169 La Commissione Church è l’abbreviazione comune che denota la Commissione del Senato statunitense per esaminare le operazioni governative legate alle attività della CIA e dell’FBI. Durante lo scandalo, la commissione venne presieduta dal Senatore democratico Frank Church.
170 Dimissioni, «Osservatore politico», 23 aprile 1976.
171 Indovina indovinello non è uomo non è uccello…, Ivi, 24 aprile 1976.
172 Pecorelli si riferì al senatore democristiano Angelo Castelli, che presiedette la Commissione Parlamentare Inquirente nel 1976.
173 La grande illusione di Giovanni Leone, «Osservatore politico», 27 aprile 1976.
174 Se Leone si dimettesse, Ibidem.
175 Se non si dimette Leone, «Osservatore politico», 27 aprile 1976.
Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012/2013