Allorquando ci fu lo spostamento delle truppe americane in Italia dall’Austria

Il ruolo che ha la politica estera nell’orientare le scelte militari è fondamentale. Ed è proprio attraverso lo studio di quest’ultima e della nuova fase interna che stava vivendo la democrazia italiana che si vuole arrivare a capire quali furono gli aspetti e le opzioni che la politica di difesa attuò. Infatti, come scrive Leopoldo Nuti: “alcune delle scelte più importanti compiute dai governi italiani in merito ai problemi dell’alleanza atlantica […] furono fortemente influenzate dal desiderio di rallentare il graduale sviluppo del dialogo con il PSI di Nenni o di assicurarsi che un suo eventuale successo non andasse a scapito della collocazione internazionale dell’Italia” <14.
Esempio evidente di ciò fu lo spostamento delle truppe americane in Italia dall’Austria. Tale decisione, che prese corpo dopo la firma del Trattato di Stato austriaco nel maggio del 1955, fu presa dai vertici istituzionali italiani (Stato Maggiore, Ministero della Difesa, Ministero degli Affari Esteri) poiché convinti che un’eventuale offensiva sovietica avrebbe potuto minare il fronte meridionale dell’Alleanza atlantica e della penisola stessa visto il varco che si sarebbe aperto nell’Europa centrale a causa del ritiro delle truppe alleate dal territorio austriaco.
Da questi eventi prese poi corpo alla fine del 1955 l’accordo che posizionava sul territorio italiano due battaglioni di missili a testata nucleare tattica insieme alla SETAF.
Lo stesso valga per la decisione presa da Fanfani nell’estate del 1958 di schierare in Italia missili balistici a raggio intermedio, i Jupiters. Motivi di ordine internazionale e interno giustificarono una simile decisione: da una parte, l’Italia avrebbe ricevuto una maggiore visibilità a livello internazionale – diveniva una “potenza semi-nucleare” – dall’altra, visto che il II Governo Fanfani era orientato e posizionato su una linea riformista – in grado di creare le basi del dialogo tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista – si voleva ribadire la lealtà filo-atlantica dell’Italia e non accrescere i sospetti a Washington circa la possibilità di indebolire il vincolo politico e ideale che saldava l’Italia al blocco occidentale <15.
In seguito, i dibattiti dell’estate-autunno del 1963 intorno alla Forza Multilaterale Nucleare (MLF) furono la dimostrazione palese di come alcuni politici italiani (in modo particolare Segni e Andreotti) utilizzassero le proposte di sicurezza e di difesa strategica per l’Alleanza atlantica provenienti dall’amministrazione Kennedy come baluardi ideologici al fine di ostacolare la costruzione del I Governo presieduto da Aldo Moro nel dicembre del 1963 <16.
È chiaro che la periodizzazione testé presentata, focalizzata su tre momenti fondamentali della politica militare ed estera dell’Italia repubblicana, rappresenta esclusivamente un percorso concettuale in grado di definire un’analisi capace di far emergere i punti nodali delle strategie per la sicurezza nazionale elaborate dalla classe dirigente. Gli anni prima considerati, 1955, 1958 e 1963, non vogliono stabilire delle cesure temporali bensì, al contrario, costituire una base d’appoggio sulla quale far scorrere gli eventi che delinearono l’impostazione della politica di difesa. Si tratta di osservare e considerare non tanto le fratture, quanto la continuità e la forza politica che le proposte in materia di sicurezza militare riuscirono a soddisfare. Una continuità che in questa ricerca non si vuole né vedere né percepire come un blocco monolitico, omogeneo fino al punto da non permettere nessun tipo di flessibilità storica e storiografica.
Sarà proprio l’eterogeneità politica e ideale del periodo in questione soprattutto se ci riferiamo alla politica militare – a caratterizzare attraverso il filo della linearità le scelte delle istituzioni e di coloro che ne facevano parte. Il 1955, il 1958 e il 1963 non rappresentano delle faglie, delle rotture all’interno del sistema democratico italiano. L’accordo, siglato nel 1959, di installare sul territorio nazionale i missili SM 78 a testata nucleare non si riesce a decifrare se non si guarda all’intensa attività diplomatica che caratterizzò il periodo precedente, nonostante diverse fossero le motivazioni che condussero a tale opzione. È quindi fondamentale ai fini della ricerca che si vuole compiere inquadrare il suddetto periodo storico attraverso le lenti di un dinamico e variegato tempo politico nel quale si riesce a scorgere una certa continuità ideale, quest’ultima in tensione perenne con il panorama politico internazionale e interno.
La visione di alcuni fondi presenti all’Archivio Centrale dello Stato rivestono un ruolo primario nel dare corpo alle interpretazioni che sono state qui descritte. In modo particolare l’analisi delle numerose buste proveniente dal fondo della Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM), Ufficio del Consigliere Diplomatico – che coprono un periodo di tempo fondamentale per questa ricerca, 1957-1964 – dimostrano quanto fluida fosse l’attività svolta dalla diplomazia italiana, dagli organi delle alte cariche dello Stato e dai soggetti governativi. Il rilevante valore storico di questo fondo risiede nel fatto che riesce a presentare in modo organico gli sviluppi più importanti della politica estera e militare dell’Italia durante i Governi Zoli, Segni e Fanfani. Il materiale a disposizione si sofferma in modo particolare sulle riunioni del Consiglio NATO (1957-1963), sui viaggi dei Presidenti del Consiglio e dei Ministri degli Affari Esteri in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia e URSS, sulle visite in Italia effettuate dai Comandanti in Capo della NATO, dai suoi Segretari Generali, dai Primi Ministri europei e dalle varie amministrazioni americane (Eisenhower e Kennedy).
Il fondo del Ministero della Difesa Aeronautica presente all’Archivio Centrale dello Stato costituisce un’altra ottima fonte da cui partire per ricostruire non solo la politica militare della Repubblica tra la seconda metà degli anni cinquanta e i primi anni sessanta ma, soprattutto, anche il differente ruolo tattico che le Forze Armate dell’Aeronautica andavano acquistando con lo sviluppo a livello internazionale dei nuovi armamenti e delle nuove dottrine strategiche sia della NATO che dello Stato Maggiore della Difesa dell’Italia <17. La parte del fondo presa in esame rientra nel settore di competenza dell’Ufficio del Segretariato Generale (Affari Generali) per gli anni 1956, 1957, 1958, 1959 e 1960. Oltre ad essere un fondo ben strutturato, la consistenza del materiale documentale offre notevoli spunti di riflessione circa l’impatto rilevante avuto dal settore dell’aviazione militare nel dialogo fra le diverse Armi e nella definizione dei rapporti politici, militari ed economici con i paesi europei e atlantici. Ancora una volta emerge con estrema limpidezza la funzione primaria che le relazioni internazionali italiane rivestono nel delineare le linee guida delle politiche di difesa e sicurezza nazionale.
Infine, le dichiarazioni politiche raccolte negli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati – nel nostro caso sono stati consultati i volumi aventi come arco cronologico la I, II e III Legislatura repubblicana, 1948-1963 – rappresentano una traccia d’indagine considerevole allo scopo di riuscire a coprire i vuoti che le carte d’archivio non riescono a colmare. Inoltre, molto spesso, i resoconti parlamentari costituiscono una valida fonte secondaria anche perché delineano e confermano in modo estremamente puntuale non tanto le pressioni politiche che hanno influenzato gli orientamenti dei ministri o dei deputati, quanto gli atti dei Governi, le decisioni e le realizzazioni degli stessi. Emerge quindi da tali documenti una vivacità di posizioni e orientamenti che convalidano di nuovo ciò che annotavamo prima: un energico dinamismo della classe politica italiana nelle questioni inerenti la politica militare della Repubblica.
Grazie allo spoglio delle fonti testé citate si riesce a sviluppare un paradigma interpretativo capace di evidenziare l’intensa attività politica e diplomatica che caratterizzò gli anni in questione. Emerge con forza il ruolo avuto dalle istituzioni italiane nel delineare e nel creare una politica militare in grado di rispondere sia alle richieste di evoluzione strategica e difensiva provenienti dalla comunità occidentale, sia alla logica bipolare che la guerra fredda imponeva. Il dinamismo che contraddistinse parte notevole degli attori politici e delle élite intellettuali italiane contrasta in modo evidente con quella parte di storiografia italiana che vede la penisola aderire passivamente alle iniziative e alle sollecitazioni che provenivano dal Patto Atlantico e dalla principale nazione che di tale alleanza era il soggetto essenziale, gli Stati Uniti d’America. L’efficace attività che caratterizzò a livello internazionale sia i principali organi militari italiani, sia gli esponenti politici e diplomatici che meglio seppero rappresentare le nuove esigenze della Repubblica democratica nel momento in cui la stessa si affacciava con una certa dignità e capacità operativa nel sistema delle relazioni internazionali, manifesta ed esprime – come ha più volte scritto Ennio Di Nolfo – “il recupero di ruolo internazionale autonomo in un ambito integrato” <18 dell’Italia contemporanea.
[NOTE]
14 L. NUTI, Politica estera e politica interna negli anni del centro-sinistra, in A. GIOVAGNOLI, L. TOSI (a cura di), Un ponte sull’atlantico. L’alleanza occidentale 1949-1999, cit., p.172.
15 Per quanto riguarda la questione dei Jupiters si veda l’ormai fondamentale scritto di L. NUTI, Dall’operazione Deep Rock all’operazione Pot Pie: una storia documentata dei missili SM 78 Jupiter in Italia, in «Storia delle Relazioni Internazionali», 1996/1997, n.XI-XII, pp.95-140 e pp.105-149. Cfr. anche P. NASH, The Other Missiles of October. Eisenhower, Kennedy and the Jupiters, North Carolina University Press, Chapel Hill, 1997. Proprio sull’importanza strategica e ideale che rivestiva la Nato si leggano le parole dell’on. democristiano Giuseppe Bettiol in un discorso alla Camera dei Deputati nel giugno del 1956: “La NATO rimane il pilastro fondamentale della nostra politica estera, perché è su di esso che riposa la nostra sicurezza. Vi potremo rinunziare solo quando avremo trovato nuovi, chiari, precisi sistemi collettivi di sicurezza, operanti in una riconquistata fiducia internazionale. Oggi tutto appare molto lontano e il pilastro acquisito deve rimanere saldo sulle sue fondamenta […]”, in AP, II Leg., Discussioni dal 5/6 al 22/6 1956, vol.XXVII, Camera dei Deputati, Roma, p.25830. Seduta del 12/6, discussione DDL: Bilancio del Ministero degli Affari Esteri per l’esercizio finanziario 1956-1957.
16 A dimostrazione di quanto detto si noti il discorso dell’on. democristiano Lucchesi (relatore di maggioranza) nel 1962: “Onorevoli colleghi dell’estrema sinistra, niente è cambiato, niente poteva cambiare, almeno nel senso nel quale lo pretendereste voi, perché questa non è la politica del centro-sinistra né di qualsiasi altra formula di governo; questa è la politica dell’Italia, condizionata non dalle nostre scelte sul piano della politica interna, ma dalla situazione internazionale, dalla realtà della guerra fredda tra i due mondi, dal muro di Berlino ancora minacciosamente in piedi, dagli scarsi […] progressi della conferenza per il disarmo, dalle armi russe a Cuba […]”, in AP, II Leg., Discussioni dal 4/10 al 24/10 1962, vol.XXXV, Camera dei Deputati, Roma, p.34200. Stato di previsione della spesa del Ministero della Difesa per l’esercizio finanziario dall’1/6 1962 al 30/6 1963.
17 Queste le parole dell’ex Ministro della Difesa Pacciardi: “[…] come è concepibile che l’era atomica non abbia influenza sull’organizzazione dell’esercito? Noi parliamo sempre […] in termini di divisioni, anzi di grosse divisioni, rinforzate al cento per cento nella linea di frontiera, […], di complicati comandi territoriali statici. Ma tutto ciò ha colore di antiquato […]. L’impiego di mezzi atomici strategici e tattici impone, se mai, la rarefazione delle forze e la possibilità di concentramento rapido per sfruttare le circostanze favorevoli […]. Il traffico terrestre è inadeguato. Occorre una mobilità aerea. L’esercito USA […] sta organizzando decine di compagnie di elicotteri da trasporto da sostituire alle normali compagnie di autocarri. Lo stesso […] sta facendo l’Unione Sovietica. Noi parliamo in termini di linee di difesa: Isonzo, Piave, linea gotica […]. Ma un tipo di aereo da trasporto in costruzione per l’Occidente ha già la capacità di trasportare 400 tonnellate di materiale o mille uomini equipaggiati, alla velocità di 700 chilometri l’ora […]. Dov’è la linea di difesa? Può essere dovunque: ad Avezzano, a Roma, sull’Isonzo, in Sicilia […]. Quel che occorre è una leggerissima copertura e la possibilità di interventi rapidi […] Senza scendere in dettagli […] mi pare che la parola d’ordine debba essere: sfrondare, snellire i pesanti meccanismi che servivano forse per le guerre passate, ma che non servono più nella rivoluzione attuale degli armamenti, degli ordinamenti, dei comandi, degli impieghi del personale, dei concetti tattici e strategici, del materiale logistico”, in AP, II Leg., Discussioni dal 5/6 al 22/6 1956, vol.XXVII, Camera dei Deputati, Roma, p.26224. Seduta del 19 giugno 1956, discussione del DDL: Stato di previsione della spesa del Ministero della Difesa per l’esercizio finanziario 1956-1957.
18 E. DI NOLFO, La politica estera italiana tra interdipendenza e integrazione, IN A. GIOVAGNOLI, S. PONS (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta. Tra guerra fredda e distensione, cit., p.24
Iacopo Piccinini, La politica di difesa della Repubblica Italiana nelle carte dell’Ufficio del Consigliere Diplomatico della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 1957-1963, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2009-2010