Ci furono, poi, quei volantini che riguardavano le vittime del regime fascista

Con un atto di forza, il governo fascista tolse di mezzo gli ostacoli e i pericoli che ancora potevano intralciare o minacciare la sua permanenza al potere e il suo consolidamento. Venne fatta cessare di colpo, e completamente, la libertà di stampa.
Restarono però presenti, malgrado tutto, molte forze coraggiose che continuarono la lotta contro la dittatura. Man mano che si ricostruirono clandestinamente le organizzazioni politiche e sindacali che il fascismo aveva soppresso, rinacque anche la stampa veramente libera, sotterranea e illegale.
Questa stampa, con sacrifici immensi fece sentire al popolo italiano la voce della libertà; salvò l’onore, il prestigio, la dignità del pensiero italiano e della sua espressione, rifiutando ogni compromesso con la dittatura e incitando alla lotta contro gli oppressori.
Mussolini finse d’ignorare che questa pretesa unità era solo apparente e che un’altra stampa, libera, viveva “alla macchia” e si diffondeva e si leggeva di nascosto. La libertà di stampa non era morta; essa si rifugiò, come tutte le organizzazioni antifasciste, nei rischiosi e difficili anditi della clandestinità.
Per quanto riguarda la resistenza, si trattò fondamentalmente di volantini e di giornali. I primi, prodotti autonomamente dai singoli gruppi militari o dai partiti o dalle strutture di comando unificate, si può dire che svolsero una funzione d’informazione per le popolazioni, di denuncia dell’agire dell’occupante e dei suoi alleati, di propaganda presso i militari arruolati nell’esercito repubblichino al fine di ottenerne la diserzione.
Erano materiali poveri, di scarsissima per non dire nulla qualità grafica.
I testi erano generalmente divisi in due categorie: quelli ampi e articolati dei comandi che erano dei veri e propri comunicati, e quelli brevi e immediatamente operativi che contenevano indicazioni di lotta.
Un capitolo a parte era costituito dai volantini di denuncia o di avvertimento per singole persone che si ponevano il duplice obiettivo di intimorire e di demoralizzare l’avversario ma anche di sottolineare come la rete della resistenza fosse diffusa e articolata.
Lo stile che contraddistingue la stampa clandestina, era molto semplice e diretto, in antitesi alla retorica della propaganda di regime.
Si cercò di far leva sulle problematiche che venivano vissute quotidianamente, come le difficoltà economiche ed i problemi legati al mondo del lavoro.
Inizialmente, gli oggetti di questi stampati erano non solo le già citate difficili condizioni di vita, ma anche, la vera e propria lotta antifascista e le varie pratiche di questa, dal boicottaggio all’ostruzionismo, fino al sabotaggio.
Ci furono, poi, quei volantini che riguardavano le vittime del regime e l’avversione nei confronti del Tribunale Speciale.
Si susseguirono appelli contro la guerra e contro l’Asse, ma anche inviti alla disobbedienza civile e richieste di pace. <43
Molti dei materiali prodotti dalla resistenza, e in particolare i giornali, ebbero una scarsissima diffusione giustificata dalle difficili condizioni materiali oltre che al rischio della repressione feroce.
La stampa clandestina ebbe diverse epoche: Epoca della Pietra: così chiamata perché nel primo periodo, ad eccezione dei principali giornali a carattere nazionale, che venivano spesso stampati in piccole tipografie clandestine, gli altri giornali erano riprodotti su pietre litografiche (opalografi) veramente primitive, che avevano il vantaggio di essere facilmente trasportabili; Epoca del Ferro e del Piombo: quando si usò la composizione a mano con i caratteri di piombo; la composizione veniva poi legata con dello spago e la tiratura si effettuava senza macchina piana e senza pedalina, soltanto passando sopra i caratteri un rullo inchiostrato a mano; Epoca dello Zinco: contraddistinse la fase più avanzata di sviluppo, quando i giornali, gli opuscoli e i manifestini venivano stampati all’estero in tipografie moderne e riprodotti in cliché di zinco, i quali, sistemati poi nei doppifondi delle valige, venivano trasportati nelle diverse località d’Italia, dove, o col sistema del rullo inchiostratore a mano, o, in casi più fortunati, su macchine a pedale, si effettuava la tiratura. <44
Sarebbe però errato intendere il susseguirsi delle tre epoche in senso strettamente cronologico. Infatti anche nell’epoca più avanzata, la mancanza di collegamenti con l’esterno, l’esigenza di avere fogli di carattere locale, spinse le varie organizzazioni clandestine provinciali, cittadine o di fabbrica a procurarsi uno dei tanti sistemi elementari della pietra al ciclostile, al poligrafo, per poter stampare un proprio giornaletto o manifestino. La stessa macchina da scrivere, con più battiture, fu spesso un valido strumento di riproduzione di fogli clandestini.
Piccole tipografie improvvisate furono sistemate in una cantina, in un solaio, oppure nel retro di un negozio artigiano; più raramente in qualche abitazione; pochi militanti conoscevano l’ubicazione della tipografia, solo quelli che vi lavoravano.
Appena tirati, i giornaletti venivano trasportati altrove, da dove venivano smistati, in pacchi talvolta camuffati, verso altre città. A questo provvedevano i corrieri, chiamati in gergo comunista anche “fenicotteri”.
Il trasporto della stampa clandestina da una località all’altra, sia pure all’interno del paese, presentava notevoli difficoltà e rischi.
In quegli anni, in ogni stazione vigeva il controllo daziario ed i viaggiatori, uscendo erano obbligati ad aprire le valige per permettere la verifica del contenuto. Bisognava ricorrere a mille sotterfugi, ad astuzia, ad audacia, per riuscire a sfuggire a tali controlli e non sempre i corrieri potevano farla franca.
Essere scoperti, “bruciati”, significava arresto, bastonature in questura e poi il processo al Tribunale speciale con l’immancabile condanna a otto, dieci e più anni di carcere.
Ancor più rischioso era il compito del corriere che fungeva da collegamento tra l’Italia e l’estero. Occorreva superare la prova del passaggio di frontiera con documenti falsi e il controllo della dogana: i documenti erano falsificati alla perfezione e il materiale nascosto altrettanto bene, di modo che “cadute” alla frontiera si verificarono molto raramente e solo in caso di segnalazioni di provocatori e spie.
Si trasportò materiale stampato in quantità limitata e occupando pochissimo posto; in generale si spedivano cliché in zinco, in primo luogo l’Unità in piccolo formato. Con poche borse, valige, dieci o dodici pezzi in tutto, si poteva mandare in Italia una quantità notevole di materiale propagandistico.
Il partito comunista utilizzò anche, specie quando si trattava di accreditare un compagno presso un’organizzazione in cui non era conosciuto, piccoli pezzi di seta che venivano ricuciti nei vestiti e su cui i messaggi erano scritti e firmati da mano nota.
I volantini vennero distribuiti nei modi più svariati e sempre impunemente, lanciandoli da automobili in corsa o dall’alto di qualche muro o persino legandoli alle ali dei volatili. <45
La stampa clandestina antifascista, con la caduta della dittatura, il 25 luglio 1943, non fu più merito e appannaggio di coraggiose minoranze; diventò lotta di popolo, di tutto il popolo italiano che scese in campo contro il nemico interno, il fascismo e i suoi alleati nazisti.
La produzione e la distribuzione della stampa clandestina corrisposero alle diverse fasi della lotta partigiana: una prima grande diffusione dall’8 settembre a tutto il dicembre 1943, nel periodo della formazione delle bande e dei primi rastrellamenti; una seconda nel settembre-ottobre 1944, dopo l’offensiva dell’estate; infine una terza nella primavera del 1945, con la ripresa delle iniziative partigiane.
I rallentamenti e il rigoglio della stampa erano quindi strettamente legati alle controffensive nazifasciste e dipendevano dagli arresti e dalle deportazioni che ne derivavano. <46
Nonostante i numerosi ostacoli tecnici e logistici, la tiratura effettiva di ogni testata veniva potenzialmente decuplicata grazie al fatto che i fogli clandestini passando di mano in mano, venivano letti (e talvolta ulteriormente riprodotti) da un numero molto elevato di persone.
Ogni partito del CLN aveva il suo periodico, che veniva prodotto, stampato e distribuito in clandestinità.
I bollettini e i giornali dei partiti del CLN uscirono in edizioni diverse a seconda dei luoghi e generalmente non ebbero solo uno scopo politico, ma servirono anche a fornire informazioni e direttive pratiche per la lotta resistenziale (in particolare i periodici comunisti).
[NOTE]
43 Fondazione G. Di Vittorio, L’informazione contro il fascismo, Ediesse Roma, 2006, p. 32
44 A. Dal Pont, A. Leonetti, M. Massara, Giornali fuori legge, ANPPIA Roma, 1964, p. 247
45 A. Dal Pont, A. Leonetti, M. Massara, Giornali fuori legge, ANPPIA Roma, 1964, p. 248
46 www.stampaclandestina.it
Amanda Antonini, Il potere della comunicazione tra regime e resistenza, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2018