Nella repubblica di Salò si formarono reparti di controbanda

Come vedremo nel prossimo capitolo, a partire dalla primavera-estate 1944 la repubblica di Salò istituì specifici corpi armati destinati alla repressione del movimento partigiano. Ma anche nell’ambito delle due prime divisioni ad essere rimpatriate in Italia – la Monterosa e la San Marco – si formarono reparti di controbanda, la cui missione istituzionale era quella di combattere il «ribellismo» imitando alla perfezione le sue modalità di comportamento e le sue tecniche di lotta. Uno dei primi militari della RSI a teorizzare una «controguerriglia attuata con piccoli reparti mobili, audaci, spregiudicati e svincolati da qualsiasi soggezione logistica e disciplinare» era stato il generale Michele Lotti, comandante militare della regione Umbria, che, nel corso della primavera del 1944, aveva messo a punto un modello di controbanda estremamente vicino a quello che nei mesi successivi troverà effettiva applicazione nelle file dell’esercito di Salò. «La controbanda deve essere composta da elementi volontari scelti dal comandante. Inizialmente la forza potrà aggirarsi sui 30 uomini, ma potrà poi essere sensibilmente aumentata quando l’azione da essa svolta indurrà altri a seguirne l’esempio e a far parte di essa. Organizzazione logistica sciolta – qualche scatoletta e galletta in tascapane – niente corredo – abiti in parte civili ed in parte militari. La banda vive sfruttando le risorse locali; spende la quota rancio in contanti e presenta il rendiconto rimborsabile per ciò che spende di più: non deve assolutamente razziare ma pagare. (…..) La controbanda deve essere svincolata da qualsiasi dipendenza tattica, da qualsiasi itinerario prefissato, da qualsiasi collegamento se non occasionale. Cioè deve essere una banda lanciata allo sbaraglio che quando può dà informazioni sui risultati conseguiti e sulla dislocazione. Il comandante agisce a suo criterio, adattandosi alle esigenze variabili della situazione e disponendo di sua iniziativa senza le pastoie delle autorizzazioni. Naturalmente all’atto della partenza riceve un indirizzo di massima sugli scopi da raggiungere e la zona da battere. Armamento e munizionamento devono essere curati al massimo». <183 La potenza di fuoco restava certamente importante, ma, sembra di capire, ancora più importanti dovevano essere la libertà di manovra e la mobilità, associate ad un’efficace attività di ricognizione in territorio nemico.
A qualche mese di distanza unità di controbanda simili al modello descritto dal generale Lotti furono istituite nella divisione Monterosa: in seno al battaglione Bassano si formò il reparto comandato dal tenente Benedetto Capece Galeota. Nato a Napoli nel 1917, in virtù dell’esperienza di controguerriglia acquisita in Montenegro, a Capece Galeota fu conferito il comando dell’ottava compagnia, a cui fu assegnato lo specifico compito di dare la caccia alle formazioni partigiane. Teatro delle gesta compiute da Capece Galeota, che fu poi condannato a trenta anni di reclusione dalla corte d’assise straordinaria di Cuneo, e dai suoi uomini fu soprattutto la val Maira, in provincia di Cuneo.
Sempre in seno al battaglione Bassano e sempre in provincia di Cuneo, ma più che altro in val Varaita, fu operativa la banda Pavan, l’unità di controbanda più famosa della divisione Monterosa, che prese il nome dal suo comandante, il tenente Adriano Adami, detto Pavan. Nato a Perugia nel 1922, dopo essersi vista respinta la domanda di ammissione all’Accademia militare di Modena, Adami si era arruolato volontario nel regio esercito, interrompendo gli studi universitari di giurisprudenza. Combatté in Croazia con il grado di sottotenente presso la 537ª compagnia mitraglieri. Quando il 9 luglio 1943 cominciò lo sbarco alleato in Sicilia, pur trovandosi ricoverato all’ospedale militare di Perugia, volle raggiungere il proprio reparto al fronte. Due mesi più tardi, il 9 settembre 1943, Adami si arruolò nei ranghi della 16ª divisione corazzata tedesca stanziata nella zona di Avellino, partecipando ai combattimenti di Eboli e Salerno. Fu poi trasferito nel settore di Pescara per combattere contro gli inglesi che stavano avanzando lungo la costa adriatica. Nel gennaio 1944 fu chiamato dal generale Gambara presso lo stato maggiore dell’esercito della RSI. Il suo desiderio principale era però quello di combattere e, dopo essere stato per qualche tempo ufficiale di ordinanza del generale Lotti, comandante militare della regione Umbria, nel giugno 1944 Adami partì alla volta della Germania, per raggiungere la divisione Monterosa. Inquadrato nel battaglione Vestone e rientrato in Italia, quando la maggior parte del battaglione disertò ai primi di novembre del 1944, Adami fu uno dei pochi ufficiali che decisero di restare fedeli alla repubblica di Mussolini. Dopo lo scioglimento del battaglione Vestone, Adami fu assegnato al battaglione Bassano, comandato dal maggiore Mario Molinari, che, secondo il parere del capo di stato maggiore dell’esercito, Archimede Mischi, aveva saputo «dare ai suoi reparti un alto spirito di corpo ed una nota di forte aggressività». Non a caso Mischi proseguiva dicendo che il battaglione Bassano, «che ha una forte percentuale di fascisti e squadristi», era considerato anche dal generale Schlemmer <184 il miglior battaglione alle sue dipendenze. <185
A metà dicembre la squadra antipartigiana del tenente Adami comprendeva circa 90 uomini scelti dalla VI, IX e X compagnia, dispensati dai servizi ordinari e capaci di applicare alla perfezione le tecniche della controguerriglia. Le pattuglie erano composte in genere da una trentina di uomini, specificatamente addestrati, che, come tutte le unità di controbanda delle divisioni della RSI, dismettevano la divisa e si mettevano in borghese, inoltrandosi nelle aree di pertinenza partigiana, al fine di raccogliere informazioni e catturare prigionieri. Nel racconto di coloro che subirono l’efficacia della sua azione, la banda Pavan operava preferibilmente di notte, avvicinandosi furtivamente ai distaccamenti partigiani per sorprenderli nel sonno ed attaccarli in modo improvviso e violento. Dopo numerosi atti, che ne accrebbero la fama di ufficiale «tanto feroce quanto abile e coraggioso», <186 Adami rimase implicato nell’eccidio di Valmala (6 marzo 1945), in cui trovarono la morte nove partigiani. <187 Sul finire della guerra, catturato dalla 15ª brigata Saluzzo, Adami restò in carcere cinque giorni prima di essere processato. Il 2 maggio 1945 fu giudicato, insieme ad altri militari della Monterosa, da un tribunale popolare composto da appartenenti alla 11ª divisione Garibaldi ed alla 2ª divisione alpina Giustizia e Libertà, con l’accusa di «aver condotto con particolare accanimento e crudeltà la lotta antipartigiana incendiando case, procedendo al denudamento di donne, maltrattando prigionieri e civili e commettendo crudeltà varie sia nei confronti di partigiani che di borghesi». <188 Condannato alla pena di morte mediante fucilazione nella schiena, Adriano Adami, detto Pavan, morì, insieme ad altri quattro sottufficiali della divisione Monterosa – il maresciallo Marco Mario Frison, il sergente Guglielmo Lanza, il sergente Alberto Alongi e il sergente Giorgio Geminiani – il 2 maggio 1945.
Il 4 aprile 1945 il comandante della divisione San Marco, Amilcare Farina, scriveva una lettera di biasimo per stigmatizzare la linea di condotta di «alcuni giovani ufficiali comandanti di reparti in rastrellamento», che aveva portato quali indesiderati effetti collaterali a «lutti inutili; rinforzo alle idee contrarie; fornitura di argomenti solidi alla propaganda avversaria; spargimento del terrore in molti», con l’unico risultato di gettare «disdoro alla divisione e al paese». La lettera si chiudeva con il richiamo al maggiore Giorgio De Zorzi, comandante del III battaglione del 6° reggimento, a considerarsi «responsabile avvenire dei reparti extraorganico creati nel suo territorio». In queste parole è possibile scorgere un preciso riferimento alla “controbanda”, l’unità operativa della divisione San Marco specificatamente addestrata per la controguerriglia, comandata dal tenente Costanzo Lunardini (1919-1945). Costituito tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, il reparto era composto da circa 40-50 militari, accasermati a Calice Ligure. Dopo la brillante azione a Pian dei Corsi, <189 che Farina nel suo diario definì la «più intelligente operazione sin qui condotta da un ufficiale subalterno», <190 Lunardini fu decorato con la medaglia di bronzo e cinque dei suoi marò con la croce di guerra. Il reparto assurse ad una certa celebrità anche grazie ad un articolo pubblicato dalla rivista delle forze armate, «Gladio», che, in termini pittoreschi ma capaci di restituire al lettore i metodi spregiudicati della controguerriglia, così ne sintetizzava il modus operandi: «Gente in gamba, tremendamente in gamba questa della San Marco che combatte sotto l’insegna della controbanda. Uomini che viaggiano con strisce di caricatori intorno al collo, giù in collina, fin sul petto alla guisa di un guerrillero, con tute mimetizzate, con frasche sugli elmetti, con armi leggere ma prontissime e con un certo fulgore negli occhi, uno scatto nei movimenti ed un fuoco di giovinezza nei volti che affascina ed incanta. Uomini di controbanda. Ragazzi che, con un loro comandante giovanissimo ed audacissimo alla testa, rubando le ore al sonno, fanno una loro guerra a parte ai margini del servizio normale e pesante e ripuliscono i bordi e i margini della loro divisione. Si infiltrano con puntate rapide e sottili, improvvise e mordenti fino al cuore dei dispositivi avversari; vanno, tornano, appaiono – balenando – per poche ore, spostandosi poi nel cuore della notte per riapparire all’alba in tutt’altro luogo; beffeggiano ed osano, piombano come falchi e se ne scompaiono come fantasmi, così, secondo un loro concetto garibaldino e ardente e generoso che non ha leggi tattiche né sistemi strategici, ma solo un impulso: quello dettato dal coraggio e dalla spregiudicatezza». <191 Alla fine della guerra Lunardini fu catturato dagli alleati e, seguendo le sorti di molti soldati di Salò, rinchiuso nel campo di concentramento di Coltano, in provincia di Pisa. Rimase ucciso la notte del 14 luglio 1945, durante un tentativo di evasione, per effetto dei colpi sparati dalle sentinelle di guardia presso il reticolato che delimitava il campo di concentramento. <192
L’unità della divisione San Marco che, però, si dimostrò più efficiente e spietata nella lotta antipartigiana fu sicuramente il III gruppo esplorante. Due elementi lo qualificano come un reparto atipico rispetto a quelli che erano inquadrati nell’esercito della RSI. A differenza di quanto accadeva abitualmente nelle file dell’ENR, si trattava di un reparto ben equipaggiato e, soprattutto, meccanizzato, il che consentiva ai suoi uomini una eccezionale rapidità nei movimenti e negli spostamenti, requisito indispensabile per lo svolgimento ottimale dei compiti loro assegnati. Inoltre, la maggior parte degli uomini che lo componevano aveva prestato servizio nel II battaglione del 10° reggimento arditi del regio esercito e aveva seguito il proprio comandante, maggiore Vito Marcianò, sotto le insegne della repubblica di Salò. Nel caso del gruppo esplorante di Marcianò ci si trova quindi di fronte ad uno dei rari esempi di passaggio organico di un reparto dell’esercito monarchico a quello fascista. Nato a Palermo nel 1899, Marcianò aveva preso parte alla Prima guerra mondiale per intraprendere poi una brillante carriera come ufficiale dell’esercito regio. Aveva prestato servizio in campo coloniale – prima in Libia (1929-1933) e poi in Africa orientale (1933-1939) – e, durante la Seconda guerra mondiale, in Grecia. Promosso maggiore per meriti di guerra all’inizio del 1941, <193 due anni più tardi, dopo lo sbarco angloamericano in Sicilia, Marcianò, alla testa del II battaglione del 10° reggimento arditi, si batté risolutamente per la difesa dell’isola, distinguendosi soprattutto nella battaglia di Primosole, svoltasi in provincia di Catania. Dopo l’8 settembre Marcianò ricostituì il suo battaglione a Vercelli, da cui il 30 marzo 1944 raggiunse Grafenwöhr per aggregarsi alla divisione San Marco. Al momento di partire per la Germania inviò un vibrante messaggio a Mussolini a cui esprimeva «la volontà di combattere e di morire per le rinnovate glorie della Patria», chiedendo che il suo gruppo venisse «lanciato contro il nemico, come i vecchi reparti d’assalto della Grande Guerra». <194 Una volta rientrato in Italia, il reparto di Marcianò, insieme ad un gruppo del 3° reggimento di artiglieria, fu posto sotto il comando della 34ª Infanterie Division, diretta dal generale Theo von Lieb. Il III gruppo esplorante, che poteva disporre di circa 700 uomini, <195 venne inviato nell’area di Imperia, con il compito di ripulire la zona dalle bande partigiane che minacciavano la sicurezza delle retrovie tedesche. Pur non essendo stricto sensu una vera e propria formazione di controbanda, tuttavia gli uomini di Marcianò applicarono brillantemente i principi della controguerriglia. Attacchi notturni con squadre non troppo numerose (venti o trenta uomini al massimo). Spostamenti continui. Incursioni a sorpresa nei paesi frequentati dai partigiani. Anche se non fu risparmiato dalle diserzioni – 79 alla data del 5 settembre 1944 <196 – il III gruppo esplorante dimostrò comunque una coesione disciplinare e uno slancio combattivo nettamente superiori al resto della divisione. A partire dal settembre 1944 gli uomini di Marcianò si installarono nel territorio al confine tra le province di Asti, Cuneo, Savona ed Alessandria, ma l’eccesso di autonomia e lo spirito di indipendenza che ne caratterizzavano il comportamento rappresentarono per il generale Farina, comandante della divisione San Marco, una costante fonte di preoccupazioni. <197 Il 26 dicembre 1944 Farina scrisse a Marcianò la seguente lettera di rimprovero: «Il vostro contegno non risponde da qualche tempo ad una linea precisa. Vi ricordo che siete il battaglione arditi della divisione San Marco. Vi ripeto che siete il battaglione arditi della divisione San Marco. Nei rastrellamenti dovete tenere una linea di condotta unica. Le norme di guerra dicono chiaro cosa aspetta agli avversari catturati con le armi alla mano; sempre che voi catturiate gente con le armi effettivamente in pugno. Se voi non avete la forza per applicare le norme di guerra e vi rimettete ai tribunali dovete accettare il giudizio degli stessi, così come lo accolgo io. Sia esso di mio gradimento o no. Ma non ammetto vie traverse per riavere ufficiali, uomini e materiali. Voi state alimentando nel battaglione uno strano spirito di indipendenza. Può essere pericoloso. (…..) La famiglia della San Marco non può avere che un solo padre. Cercate di capire. Accoppiate alla vostra opera di soldato quella di comandante che prevede ed impedisce le debolezze dei suoi dipendenti. Le castiga e non le copre. Cercate di essere ufficiale superiore che guida quattro compagnie e che comprende che nella divisione battaglioni e gruppi devono essere guidati tutti alla stessa maniera. Vi riconosco il lavoro da soldato: lo lodo. Pretendo che siate uno dei miei dieci ufficiali superiori nei combattimenti e non un capo a sé stante. Ve lo ricordo e ve lo ordino».198 La dura reprimenda del suo comandante non sembra abbia indotto Marcianò e il suo vice, il capitano Romolo Paradisi, che i partigiani consideravano un vero e proprio criminale di guerra, a modificare il loro comportamento nella fase finale della guerra. «L’efficacia dell’unità era tale che, nonostante le minacce di Farina, il reparto non fu mai ritirato ed il suo comandante non subì richiami ufficiali, anzi fu promosso tenente colonnello: questo induce a pensare che l’autonomia “contestata in pubblico” sia stata invece ben accetta “in privato”». <199 Finita la guerra, Marcianò fu rinchiuso nel campo di concentramento di Coltano e condannato il 15 aprile 1947 a quindici anni di reclusione dalla corte d’assise straordinaria di Asti, ma successivamente la sentenza fu annullata dalla corte di cassazione. Scarcerato il 2 marzo 1948, Marcianò rimase a disposizione del ministero della Difesa in attesa di discriminazione. Il procedimento disciplinare si concluse con l’assegnazione alla 3ª categoria degli ufficiali, di cui «facevano parte coloro che avevano agito in contrasto coi doveri della situazione contingente e con le leggi dell’onore militare», <200 e con la rimozione dal grado il 24 ottobre 1950. <201
Per fronteggiare il nemico interno il dispositivo militare della RSI fu quindi costretto a creare, all’interno delle divisioni allestite in Germania, specifiche unità di controbanda, dotate di ampia autonomia decisionale e di grande libertà di manovra sul piano operativo, che finirono per imitare metodi, pratiche e sistemi di guerra della guerriglia partigiana. Pur di debellare la Resistenza, il fascismo repubblicano e i suoi apparati militari finirono per fare proprio quel tipo di guerra che, fin dai tempi dell’occupazione del territorio jugoslavo, l’Italia fascista aveva sempre condannato e stigmatizzato. <202
[NOTE]
183 AUSSME, I 1, b. 53, f. 1831, costituzione di reparti per la guerriglia ai partigiani, s. d. (ma, presumibilmente, marzo 1944).
184 Il generale Hans Schlemmer era il comandante del LXXV corpo d’armata, alle cui dipendenze agivano, a partire dall’autunno del 1944, la maggior parte delle unità della divisione Littorio più il battaglione Bassano e il gruppo di artiglieria Vicenza della divisione Monterosa. Cfr. P. P. Battistelli, Storia militare della Repubblica Sociale Italiana cit. p. 251.
185 ACS, SPD CR, RSI, b. 39, f. 347, sf. 10 (Divisioni Littorio e Italia), rapporto del capo di stato maggiore dell’esercito, 29 dicembre 1944. Al momento del suo arrivo in Piemonte (settembre 1944), il battaglione Bassano poteva disporre di una forza effettiva di 26 ufficiali, 101 sottufficiali e 1.061 tra graduati e militari di truppa. Cfr. M. Ruzzi, La guerra partigiana e la guerra di Salò, p. 223 in M. Calandri – M. Ruzzi (a cura di), Con la guerra in casa. La provincia di Cuneo nella Resistenza 1943-1945, Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Cuneo, Cuneo 2016, pp. 103-247.
Sul battaglione Bassano della divisione Monterosa si veda anche M. Bertolotti, Storia del battaglione Bassano divisione alpina Monterosa. RSI 1943-1945, Lo Scarabeo, Bologna 2007. Tuttavia, più che a questo lavoro, viziato da un palese approccio apologetico, per comprendere la reale natura delle gesta del battaglione Bassano si rinvia al pionieristico studio di M. Calandri, Quale «onore e fedeltà» della divisione Monterosa della RSI? Il battaglione Bassano nelle valli Maira e Varaita cit.
186 G. Bocca, Storia dell’Italia partigiana (settembre 1943-maggio 1945), Feltrinelli, Milano 2012, p. 380.
187 Su questo episodio della guerra partigiana cfr. M. Flores – M. Franzinelli, Storia della Resistenza cit. p. 308.
188 C. Bertolotti, Storia del battaglione Bassano cit. p. 251.
189 Così l’operazione è descritta nel diario storico della divisione San Marco: «Controbanda del III/6° fanteria ha effettuato, questa mattina all’alba, un attacco di sorpresa all’accampamento della banda Tigre nella zona di Pian dei Corsi. Perdite ribelli: 16 morti, 6 prigionieri. Bottino: 6 mitragliatrici, delle quali 3 M. G., fucili e materiale vario in numero non ancora confermato. Incendiato accampamento. Lo stesso capobanda Tigre è stato ferito da due pallottole. Perdite nostre: un ferito leggero». Cfr. P. Baldrati, San Marco, San Marco….. cit. vol. I, p. 336.
190 Ivi, p. 337.
191 Uomini di controbanda in «Gladio», 15 marzo 1945.
192 G. Pansa, I figli dell’Aquila cit. p. 317.
193 Questa la motivazione ufficiale della promozione: «Valoroso combattente della Grande Guerra e della campagna etiopica, partecipava alle operazioni belliche sul fronte greco, distinguendosi per capacità di comando e sprezzo del pericolo. A Tagliari-Suka, comandante di un battaglione di formazione e di retroguardia ad una colonna operante, con rara e pronta decisione attaccava il nemico e gli infliggeva sensibili perdite, concorrendo efficacemente ad assicurare protezione all’intera colonna. Esempio di comandante avveduto e di combattente ardimentoso. Fronte greco, gennaio- febbraio 1941». Cfr. ACS, MD, Direzione generale degli ufficiali dell’esercito. Libretti degli ufficiali, b. 2236, f. ad nomen.
194 P. Baldrati, San Marco, San Marco….. cit. vol. II, documento 35, p. 744.
195 Ivi, documento 104, allegati 2, 3 e 4, pp. 856-858. Alla data del 5 settembre, il reparto di Marcianò poteva contare su 732 uomini, così ripartiti: 32 ufficiali, 50 sottufficiali e 650 soldati di truppa.
196 Ivi, documento 104, allegato 6, p. 860. Dei 79 militari che risultavano disertori alla data del 5 settembre, quattro erano sottufficiali e 75 soldati di truppa.
197 Il 26 dicembre 1944 Farina annotò sul suo diario: «Rientrando a sera ad Altare, mi presentano un grosso incartamento. Il 3° gruppo esplorante sta dando seri grattacapi, vi si è instaurato uno spirito di autonomia che investe tutti i campi. Vi si pensa di essere indipendenti dal comando di divisione e di avere quale unico comando superiore quello settoriale di Nizza Monferrato. Si ritiene di sollevare critiche contro il tribunale di guerra che ha passato (dopo lievi condanne) degli uomini al battaglione raccolta. Vi sono poi altre cose quali requisizioni, fermi, perquisizioni. Si è disposto dei prigionieri in modo difforme da quanto si fa alla divisione». Cfr. P. Baldrati, San Marco, San Marco….. cit. vol. I, p. 284.
198 Ivi, vol. II, documento 187, p. 1032.
199 M. Ruzzi, Presenza ed attività delle forze della RSI in provincia di Asti, p. 87 in «Asti contemporanea», 1999, n° 6, pp. 63-102.
200 Cfr. A. Argenio, L’epurazione e la discriminazione degli alti gradi dell’esercito italiano (1943-1948), p. 643 in «Clio», 2005, n° 4, pp. 617-651.
201 ACS, MD, Stato maggiore dell’esercito, commissione per l’epurazione, b. 64, f. 680.
202 Sulla demonizzazione della guerriglia condotta contro l’esercito italiano dal movimento partigiano in Jugoslavia si veda T. Sala, Guerriglia e controguerriglia in Jugoslavia nella propaganda per le truppe occupanti italiane (1941-1943) in «Il Movimento di liberazione in Italia», 1972, n° 108, pp. 91-114.
Stefano Gallerini, “Una lotta peggiore di una guerra”. Storia dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021