Dal punto di vista economico l’Italia nel 1945 si trovava in condizioni che erano di per se stesse quanto mai pesanti

L’emigrazione avviene principalmente nei paesi che attraversano momenti di forti cambiamenti sociali ed economici. Si emigra difficilmente da società estremamente povere o in economia di sussistenza. Piuttosto si decide di emigrare quando gli equilibri sociali si sono disgregati creando una frattura tra i vari strati sociali della popolazione. Non ci si accontenta più della mera sopravivenza, s’inizia a desiderare “altro”, per se e per la propria famiglia. Si decide di prendere in mano il proprio destino sopratutto quando le aspettative sociali ed economiche si fanno più pressanti. Alla fine del conflitto mondiale, gli italiani provavano di nuovo queste esigenze. Non solo le perdite umane e materiali erano pesanti, ma per la prima volta, dall’avvento del Fascismo, gli equilibri sociali si erano fortemente incrinati. Rispetto al passato prefascista mutava lo scenario dell’emigrazione. Nella maggioranza dei cittadini rinasceva la speranza di un futuro diverso, possibilmente migliore.
“Ben altro è l’atteggiamento di coloro che emigrano dopo la seconda guerra mondiale, attratti dalla domanda di manodopera che proviene dai paesi industrializzati del Nord Europa. I partenti hanno combattuto nella resistenza, nella guerra di liberazione, hanno partecipato alla scelta democratica del sistema repubblicano, hanno ben radicato in sé il senso di nazione, dell’unione dei lavoratori nei movimenti sindacali, della pluralità dei partiti e delle idee, dell’autodeterminazione.” <7
Dal punto di vista politico e civile l’Italia “rinasce” e per la prima volta vengono organizzate libere elezioni democratiche a suffragio universale. Dopo il breve governo Parri (giugno-dicembre 1945), il primo governo De Gasperi vede la restituzione amministrativa dei territori dell’Italia del Nord alla sovranità dello Stato (benché ancora in formazione). Questo permise a De Gasperi di sostituire prefetti e questori garantendo, di fatto, il potere allo Stato centrale. Rilevanti furono le prime elezioni amministrative libere, avvenute tra marzo e aprile 1946, che permisero il rinnovo di tutte le amministrazioni locali (comunali e provinciali). Sono altrettanto importanti le prime elezioni libere politiche e il referendum repubblicano del 2 giugno 1946. Queste elezioni, fortemente politicizzate, permetteranno inoltre la “nascita” dei grandi partiti di massa e la loro partecipazione all’agire civile nazionale. Anche l’Italia “economica” riprende vita grazie agli aiuti monetari del U.N.R.R.A. ponendo progressivamente rimedio al fenomeno inflazionistico, che aveva raggiunto proporzioni tali da annullare quasi ogni valore alla lira.
“Dal punto di vista economico l’Italia nel 1945 si trovava in condizioni che, pur essendo di gran lunga migliori di quelle di molti altri paesi europei (ad esempio la Germania e la Polonia), erano di per se stesse quanto mai pesanti. Le distruzioni belliche avevano portato alla perdita di circa il 20% del patrimonio nazionale.” <8
Insieme alla rinascita politica, si avverte la necessità di promuovere e dare nuovo impulso allo sviluppo di tutte le attività economiche, con qualsiasi forma d’investimento. L’economia italiana postbellica deve tuttavia tenere conto delle scarse disponibilità di risorse, sia alimentari che di materie prime. Inoltre, la struttura economica produttiva del paese è stata notevolmente modificata nel periodo prebellico dalla politica autarchica e dalle esigenze della lunga preparazione alla guerra. L’economia dei primi anni della ricostruzione viene allora consolidata da tre fattori principali: la regolarità dei rifornimenti, lo sviluppo della produzione e l’aiuto consistente del piano Marshall. Avrebbe affermato Alcide De Gasperi: “L’attuazione del “Piano” vuol dire il ritorno all’ordine nelle nazioni, vuol dire eliminare ogni causa di guerra. (…) Questo è il calcolo interessato dell’America, ma questo interesse coincide con il nostro interesse, con l’interesse delle nazioni europee e con l’interesse di tutto il mondo che aspira alla pace.” <9
Nell’anno finanziario 1948-49 arrivano infatti merci per un valore complessivo di circa 422 milioni di dollari (equivalenti a 242 miliardi di lire dell’epoca). Nei mesi successivi (luglio-dicembre 1949) arrivano ulteriori merci per un valore complessivo di 128 milioni di dollari. <10
La regolarità dei rifornimenti di prodotti essenziali si manifesta soprattutto con l’importazione dall’America di cereali che integrano la rinnovata produzione nazionale. Il consumo interno viene così finalmente soddisfatto. Per quanto riguarda le principali materie prime, l’importazione di carbone raggiunge i 9 milioni di tonnellate, circa l’80% in più rispetto al 1938. L’importazione del petrolio greggio arriva a quota 2 milioni di tonnellate, circa il 35% in più del 1938. <11 Anche le materie prime non strettamente destinate all’industria pesante vengono nuovamente importate (cotone, lana greggia, legnami e fertilizzanti). La produzione agricola nazionale, nel 1949, aumenta del 6% rispetto al 1948. Quasi tutti i settori raggiungono i livelli di produzione del periodo antecedente la guerra. La produzione industriale aumenta del 7,5% rispetto al 1948. In questo periodo si attenua il livellamento delle remunerazioni, anche se rimane importante la differenza tra l’aumento dei salari e degli stipendi nominali delle singole categorie rispetto all’anteguerra. Mentre per i salari il potere di acquisto è in media superiore a quello del 1938, per gli stipendi questo potere di acquisto si aggira sull’80% di quello prebellico. <12
Il Reddito Lordo Nazionale (Fig. 1) è in costante aumento. <13 I consumi alimentari, pur se aumentano rispetto agli anni precedenti, soprattutto per quanto riguarda latte, latticini e zucchero, rimangono comunque bassi.
La produzione di energia elettrica arriva a 19,8 milioni di Kwh. In totale, le fonti di energia vengono valutate circa al 101,1% rispetto al 1938. La potenza degli impianti idroelettrici aumenta di anno in anno: 4,7 milioni di Kw nel 1938, 5,6 milioni di Kw nel 1942 e 6,3 milioni di Kw nel 1949. Anche per quanto riguarda i trasporti le cose migliorano. Durante la guerra, la rete ferroviaria era stata ridotta a 15.506 km (rilevamento del 1946) dai 16.981 km originali del 1938. A luglio del 1949 raggiunge la lunghezza di 16.350 km. Se le merci incominciano a sentire la convenienza del trasporto su gomma, i passeggeri preferiscono il treno. Il traffico passeggeri è addirittura raddoppiato dal periodo anteguerra. Nel 1949, il traffico passeggeri supera del 5% quello dell’anno precedente. Anche il traffico mercantile navale riprende il ritmo. Nel 1949, nell’insieme dei porti italiani viene sbarcata merce per 31 milioni di tonnellate, circa il 10% in più rispetto all’anno precedente.
Riassumendo, durante il biennio 1948-49, primo anno di attuazione dell’E.R.P., arrivano in Italia circa 17 milioni di quintali di cereali, 6 milioni di tonnellate di carbone, quasi 2 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi, notevoli quantità di cotone greggio e di prodotti siderurgici. Il totale delle merci in arrivo nel 1948-49 rappresenta il 28% delle importazioni totali.
Ma tutti questi fattori materiali, simboli di una volenterosa ripresa economica e di una rinata fiducia nello Stato non eliminano il problema della povertà e della mancanza di lavoro. Ha osservato Federico Romero: “Pesava infatti sul paese lo storico divario tra intenso sviluppo demografico e relativa scarsità di capitali, a cui si era anche aggiunto l’accumulo di manodopera sottoutilizzata in seguito alla mancata emigrazione degli anni 30 e alle scelte autarchiche e ruraliste del fascismo. Nelle élite economiche e politiche era opinione comune (anche a sinistra) che non fosse immaginabile un riassorbimento di lungo periodo della disoccupazione senza una consistente emigrazione. La programmazione economica dei primi governi della Repubblica contemplavano perciò l’emigrazione come “necessità vitale” del paese, e Alcide De Gasperi sollecitava gli italiani a «riprendere le vie del mondo»”. <14
Ci sarà anche utile segnalare quale sia la situazione mineraria italiana, dopo la guerra, in modo da poterla confrontare con la situazione Belga dello stesso periodo. In Italia, nel 1949, sono occupati nelle miniere nazionali, cave (e officine annesse) 100.000 lavoratori; 70.000 operai lavorano nelle miniere e nelle officine e 30.000 sono impiegati nelle cave. <15
La popolazione attiva, per il 1949, è stimata a 14.000.000 unità e la proporzione dei 100.000 operai del settore minerario rappresenta soltanto lo 0,7% del totale. Per il 1949, esclusi gli operai delle officine, la situazione lavorativa in miniere nazionali (Fig. 2) vede un numero importante di unità occupate in Sardegna.

La maggioranza delle ditte sono piccole o medie imprese (Fig. 3), spesso a conduzione famigliare, con pochissimi operai e con una relativa economia di sussistenza. <16 Si estrae principalmente ferro (Val d’Aosta, Isola d’Elba, valli Lombarde, Sardegna), piombo e zinco (Sardegna, Bergamasco, Tarvisio, Vipiteno), bauxite (Gargano), mercurio (Toscana), antimonio (Sardegna e Toscana), zolfo (Sicilia, Marche, Romagna, Calabria e Irpinia), pirite di ferro (Grossetano, Sardegna) e carbone (Sardegna).
L’analisi della situazione industriale siderurgica chiarifica ulteriormente la grande necessità di materie prime, senza le quali tutto il compartimento industriale si ferma e la produzione non può avere luogo. In Italia esistono, all’epoca, due modalità di produzione dell’acciaio. La produzione “a ciclo integrale” che utilizza minerali di ferro o di carbon-coke (ottenuto dalla distillazione del carbone fossile) caricati contemporaneamente nell’alto forno. Ne deriva della ghisa che inserita, ancora liquida nei forni speciali insieme ad una certa quantità di rottami, produce acciaio. La produzione “a carica fredda” invece usa una minore quantità di ghisa fredda, in pani solidi, e maggiori quantità di rottami. In entrambi i casi l’acciaio finale è pressoché identico. La convenienza dipende unicamente dal prezzo dei minerali e dei rottami e della loro disponibilità sul mercato.

Al 1949, esistono 70 stabilimenti siderurgici in Italia attrezzati per la produzione di laminati. La maggioranza di questi sono produttori di acciaio e laminati vari. (Fig. 4) Esistono inoltre una quarantina di piccole aziende, la metà delle quali inattive dovute ai danni di guerra, che producono solo ghisa, ferroleghe o getti di acciaio. <17

La produzione per il 1948 (Fig. 5) è rappresentata principalmente dalla produzione di laminati. Esistono al 1949, ben 45 micro-stabilimenti che producono meno di 20.000 tonnellate annue di acciaio, che costituisce meno del 11% della produzione totale. Il settore siderurgico italiano soffre di questo eccessivo frazionamento produttivo. Questo fattore non permette agli imprenditori di investire sull’ammodernamento dei loro impianti. Inoltre, per causa del precedente regime autarchico, non hanno potuto seguire la notevole evoluzione tecnica degli ultimi 20 anni. Questo spiega, in parte, il costo elevatissimo di produzione dell’acciaio italiano. A questi costi si aggiunge il pessimo rendimento dovuto agli impianti fatiscenti e i costi elevati delle materie prime. Oltre ad essere antiquate, le fabbriche non sono abbastanza specializzate. Ciò rende il prodotto finito troppo debole per affrontare il mercato mondiale.
La produzione nazionale di carbone non riesce dunque a soddisfare le richieste di consumi per quanto riguarda l’industria pesante e per questo motivo le importazioni dagli Stati Uniti d’America si fanno sempre più ingenti.
La conseguenza diretta di queste importazioni è l’aumento del prezzo del carbone europeo, in modo da farlo coincidere con il prezzo americano, includendo i costi di trasporto. Il profitto dei rivenditori europei arriva fino al 50% in più rispetto al prezzo reale di mercato. <18 Si sperava infatti in quegli anni che il carbone europeo potesse raggiungere le necessità del vecchio continente, eliminando di fatto l’importazione e i prezzi “americani”. Sappiamo invece che le produzioni europee andranno via via scemando, sostituite da altri paesi produttori e da altre fonti di energia, come il gas naturale e l’elettricità.
[NOTE]
7 Mangione S., Cocco G., Viva l’Italia! (… o No?), Ital-U.I.L., Roma, s.d., p. 29.
8 Salvatori M., Corso di storia: L’età contemporanea, vol. 3, Loescher, Torino, 1990, p. 506.
9 Citato in Legnani M. (a cura di), L’Italia dal 1943 al 1948, Loescher, Torino, 1973.
10 Bretoni B., La situazione dell’economia italiana e la situazione del bilancio italiano, “Quaderno 21 Centro di Alti Studi Militari”, Roma, 1949, p. 5.
11 Bretoni B., Op. cit, p. 4.
12 Bretoni B., Op. cit, p. 6.
13 Ibidem.
14 Romero F., “L’emigrazione operaia in Europa (1948-1973)”, in AAVV, Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., vol. 1, Partenze, Donzelli, Roma, 2001, pp. 400-402.
15 Binetti A., L’organizzazione mineraria italiana, “Quaderno 43, Centro di Alti Studi Militari”, Roma, 1949, p. 15.
16 Ibidem.
17 Sinigaglia O., Situazione attuale della siderurgia italiana e prospettive per l’avvenire, “Quaderno 9, Centro di Alti Studi Militari”, Roma, 1949, p. 3.
18 Sinigaglia O., Op. cit, p. 4.
Anna Caprarelli, Lo schermo e lo specchio. Migranti italiani nei mass-media belgi (1946-84), Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, 2010