Di fatto, per chi vive nei borghi rurali, la vita continua a procedere senza modificazioni di rilevo ancora per tutta l’estate del 1943

A partire dall’8 settembre del 1943 il mondo rurale marchigiano conosce, seppur con intensità, modi e tempi decisamente diversi da territorio a territorio, un periodo di forti sollecitazioni, venendo a trovarsi, senza alcun segnale di preavviso, al centro di una serie di avvenimenti che ne scuotono e ne alterano, a volte con effetti notevoli e duraturi, come si avrà modo di verificare nel secondo dopoguerra, i consueti di ritmi di vita e i tradizionali atteggiamenti mentali, sia individuali che collettivi.
Il primo di tali eventi, in ordine di importanza e spesso anche in ordine cronologico, è rappresentato dal ritorno degli uomini chiamati in precedenza alle armi e che ora, con lo sfaldamento dell’esercito, tentano di rientrare a casa, seguiti dai soldati residenti nel Meridione e che si trovano in quelle settimane a stazionare nelle Marche in attesa di poter rientrare nelle proprie città. Si tratta con ogni probabilità del solo accadimento che viene vissuto in quei mesi con felicità, accompagnata da un forte senso di liberazione che non investe solo la singola famiglia ma tutta la comunità d’origine del soldato: “… vi fu la notizia dell’armistizio […]. In pochi giorni ritornarono moltissimi di coloro che erano stati chiamati alle armi; arrivavano a piedi, stanchi e sporchi, passando per i campi per arrivare prima. E quando si diffondeva la voce del ritorno di qualcuno erano baci e pianti, anche la campana suonava a festa” <413.
Seguono, in ordine sparso, e con differente intensità da luogo a luogo, altri avvenimenti che investono le campagne suscitando perlopiù sentimenti di inquietudine: il passaggio degli ex prigionieri di guerra evasi dai campi di prigionia; la difficoltosa <414 ricostituzione degli organi di governo fascisti successiva alla nascita della Repubblica Sociale di Salò con l’emanazione dei bandi di reclutamento nella milizia repubblichina; la diffusione capillare sul territorio della presenza armata tedesca, con la requisizione forzata di beni di ogni genere e in un secondo momento con l’avvio di rastrellamenti a tappeto e feroci rappresaglie volte a scoraggiare la popolazione da ogni forma di sostegno alla lotta partigiana; il fenomeno dello sfollamento dalle città e dai centri urbani maggiori che, come si è osservato, riguarderà poi, con il passaggio del fronte, anche i centri dei comuni minori e che vede il riversarsi nella campagna di migliaia di persone a cui necessita una qualche forma di sistemazione; la costituzione dei raggruppamenti partigiani in diverse aree della campagna marchigiana, con il conseguente instaurarsi dei rapporti tra i partigiani stessi e i contadini che, almeno inizialmente, sono finalizzati al reperimento di mezzi e viveri necessari al sostentamento delle bande dei “ribelli”, secondo la definizione delle autorità fasciste.
Numerose case coloniche diventano così luogo di rifugio per centinaia di individui diversi tra loro, come si evince dal racconto di un ex partigiano che descrive il suo primo ingresso nella casa colonica in cui troverà rifugio in più circostanze: “…c’era una cucina grandissima, dentro c’era un gran tavolata, una tavolata lunga quanto tutta la cucina. Dentro era semibuio, perché le luci erano basse. C’era tutta ‘sta gente, parlavano tutti e non si capiva niente, perché qualcuno parlava slavo, qualcuno inglese, qualcuno italiano: un gran brusio. Quando apriamo la porta e ci vedono entrare, tutti zitti. Un silenzio assoluto. Improvvisamente non ha parlato più nessuno e si sono voltati tutti a guardare verso di noi che eravamo sulla porta. Allora quella donna che ci accompagnava, era Teresa Verdolini, una contadina che abitava in una casa qua vicino, gli disse: – Questi sono buoni, sono dei nostri! -. E allora hanno immediatamente riabbassato tutti la testa e si sono messi a chiacchierare di nuovo per i fatti loro, come se noi non ci fossimo stati! Erano partigiani di Ancona, di Jesi, della zona qui intorno, poi c’erano gli slavi, gli inglesi, di tutte le razze […] Dopo c’erano loro di casa” <415.
Dopo l’annuncio dell’armistizio, un corteo di volti, divise, lingue, carico di inquietudini e di sentimenti contrastanti, attraversa il mondo rurale marchigiano, forzando il sostanziale isolamento che lo aveva, in qualche modo, perfino preservato da alcuni aspetti drammatici che lo stato bellico aveva presentato ai civili residenti nelle città.
E’ stato osservato <416, sulla scorta di numerose interviste che hanno riguardato uomini e donne allora residenti nelle aree rurali della regione, come, fino all’estate del 1943, l’impatto generale dell’evento bellico sulle zone rurali sia stato tutto sommato contenuto. Nel periodo che va dal giugno 1940 al settembre 1943, la guerra non mostra in quei luoghi il suo aspetto peggiore ed appare ancora come un “evento lontano”: le condizioni di isolamento di molte famiglie, specie di quelle che abitano le zone più interne, e di incomprensione degli avvenimenti, non favoriscono infatti una piena coscienza della realtà. La guerra viene vissuta dai contadini con preoccupazione solo quando arriva a coinvolgere il nucleo familiare attraverso la chiamata alle armi dei familiari, anche se la preoccupazione per la sorte di questi ultimi viene soffocata dalla necessità di far fronte alla nuova emergenza, rimodulando gli equilibri interni relativi ai carichi di lavoro, al fine di garantire la sopravvivenza del gruppo familiare. Dai racconti degli intervistati si ha così l’impressione che, nonostante l’assenza delle braccia da lavoro più forti – compensata ancora
una volta, come durante la grande guerra, dall’aumento dell’aggravio di fatica e di responsabilità di cui si fanno carico le donne -, e nonostante alcune crescenti difficoltà legate al reperimento di prodotti importanti per l’economia agricola (concimi, carburanti, foraggio, mangimi, sale, carburo, anticrittogamici) <417, la regolarità dei ritmi di vita che definiscono la quotidianità, proceda secondo i moduli consueti.
Non meraviglia dunque il fatto che in qualche caso, la notizia della caduta di Mussolini (25 luglio 1943), diffusasi velocemente ovunque, non dia vita a festeggiamenti che vadano aldilà di semplici considerazioni di soddisfazione espresse rapidamente per non sottrarre tempo alla raccolta del grano condotta in quelle settimane.
Complessivamente, le condizioni di vita quotidiana nelle campagne, sia a livello materiale che psicologico, risultano migliori di quelle riscontrate all’interno delle città: nelle zone rurali, in misura minore, rispetto alle città, è sentita la mancanza dei generi alimentari di prima necessità, essendoci una diversa possibilità di ottenere dei surrogati, come pure in misura minore che nei maggiori centri urbani si vive il dramma dei bombardamenti aerei e delle sfortunate vicende militari che interessano le forze armate italiane, la cui conoscenza è per l’appunto collegata ai mezzi e alle modalità dell’informazione <418.
Di fatto, per chi vive nei borghi rurali, la vita continua a procedere senza modificazioni di rilevo ancora per tutta l’estate del ’43 <419. Isolamento fisico e arretratezza culturale continuano a costituire due dei caratteri principali della vita quotidiana nelle campagne.
Agli occhi di un giovane soldato inglese in fuga, Raymond Ellis, ospitato da una famiglia di mezzadri residente nel fermano, quella società appariva come la riproposizione della società feudale: “Ero ritornato al Medioevo; in realtà stavo vivendo tra le pagine dei miei vecchi libri di storia. Niente impianti igienici, niente orologi, niente elettricità, niente macchine, niente radio, né giornali o acqua corrente. Scoprii, con mia grande sorpresa, che avevano un vero e proprio signore feudale […] Il signore feudale era chiamato “il padrone”. Viveva in un casa molto grande, visibile a distanza, dall’altra parte della valle. Quell’uomo facoltoso possedeva quasi tutta la terra dei dintorni. C’erano numerosi poderi come il nostro ed egli reclamava per sé la metà di tutto ciò che producevamo. Inoltre pretendeva che almeno due membri di ciascuna famiglia andassero a lavorare nella sua tenuta un giorno alla settimana. Per questa
prestazione essi non ricevevano alcun compenso. Era un sistema iniquo […] Vivere in una zona culturalmente depressa comportava un isolamento quasi totale dal mondo esterno. Non avevamo notizie degli eventi bellici. Non udimmo mai una trasmissione radiofonica, né vedemmo mai un giornale. Ero naturalmente ansioso di sapere se le armate alleate erano sbarcate in Italia e se stavano avanzando. La resa del governo italiano deve essere avvenuta più o meno in quel periodo, ma non ne ricevemmo notizia. Non che avesse grande importanza in quell’angolo d’Italia, dove eravamo sotto il dominio dei nazisti e dei fascisti […] Cominciai ad adattarmi a vivere un’esistenza che sarebbe stata più naturale per un servo del dodicesimo o del tredicesimo secolo […] Tutto era duro e semplice; non c’erano fronzoli di alcun tipo. Conoscevano solo il duro lavoro, cibo sempre uguale e spesso insipido e poi ancora duro lavoro” <420.
Un quadro, sostanzialmente statico, che muta di segno in maniera repentina ed improvvisa all’indomani dell’8 settembre.
Il mondo “esterno”, quello delle città, ma anche quello dei luoghi lontani e sconosciuti, quello di uomini diversi, “strani personaggi” come li definisce un testimone entra prepotentemente all’interno del mondo contadino. Sulle colline e i campi della campagna marchigiana, si incrociano i destini di centinaia di migliaia di donne e uomini, giovani e anziani che si muovono freneticamente alla ricerca di qualcosa: la pace, la salvezza, l’identità personale, il cibo, i parenti, gli amici. O per sfuggire a qualcosa: la guerra, la fame, il nemico, il pericolo. E’ ancora una volta la “guerra di tutti” <421, che passa su paesi e gruppi di uomini, su boschi e dirupi, su strade bianche di polvere e piccoli fiumi, suscitando sentimenti e comportamenti in qualche caso contrapposti, ma trasformando anche paesaggi e volti immutabili e statici in cose e individui che finalmente si muovono. Destini, sentimenti, vicende personali si intrecciano
così, talvolta inestricabilmente, allo scorrere incessante della storia pubblica e collettiva, anche se gli eventi attraverso i quali quest’ultima si snoda non sempre vengono chiaramente riconosciuti e metabolizzati. Nelle comunità rurali, l’8 settembre non viene inteso nell’immediato come il dissolvimento delle istituzioni, lo sfaldamento pressoché generalizzato dell’esercito italiano, la fine di una classe dirigente, quanto piuttosto per le conseguenze che queste dinamiche generarono e che non si ha il tempo di riconoscere <422.
Improvvisamente e disordinatamente, un nugolo di soggetti nuovi e situazioni inedite si ammassano sulle aie antistanti le abitazioni dei contadini disseminate lungo il territorio: i partigiani, i tedeschi e i fascisti repubblichini, quali manifestazioni viventi di strutturazioni normative, di natura prevalentemente militare, del tutto inedite, con le quali, in qualche misura, i contadini sono chiamati a fare i conti; gli ex prigionieri di guerra e gli sfollati, che disegnano una complessa geografia umana di sofferenze alle quali il mondo contadino tenta di offrire tutela e sollievo; i giovani del luogo, che hanno smesso la divisa con l’8 settembre e sono tornati a casa, ma devono ora essere nascosti e sostenuti per sfuggire ai bandi di arruolamento del fascismo repubblichino; infine la presenza, ineludibile, anche se non sempre chiaramente percepiti sul piano strettamente ideologico e politico, di stimoli fortemente contrapposti quali il fascismo e l’antifascismo.
La storia della Resistenza marchigiana, intesa come “resistenza armata”, è stata oggetto di diverse analisi e ricostruzioni, alcune delle quali di indubbio spessore <423, che hanno permesso di evidenziarne i caratteri precipui in relazione all’esperienza nazionale della guerra di Liberazione. In particolare, è stato rilevato che la brevità del periodo coperto con la guerra partigiana, di circa dieci mesi, meno di un anno, e soprattutto di circa nove mesi meno di quella nazionale, non ha consentito alla resistenza marchigiana di strutturarsi su solide basi operative militari, né di radicarsi su tutto il territorio regionale <424; nel complesso, il partigianato regionale è apparso “più spontaneo che organizzato, più individualista che unitario, poco incline ad accogliere supinamente gli indirizzi dei Cln e gli orientamenti dei partiti” <425.
Eppure, nonostante i limiti di un’organizzazione piuttosto carente, espressasi soprattutto nella difficoltà a creare e far rispettare il comando unico proposto dal Cln regionale, sul piano militare la resistenza oppone una continua ed efficace azione di disturbo nei confronti del nemico <426.
Ma aldilà degli aspetti più propriamente militari (e politici), è importante riflettere in questa sede sull’impatto che la resistenza, nella sua complessità, resistenza con armi e resistenza senz’armi (“resistenza civile”), ha avuto sulla società marchigiana, con particolare riferimento alle zone rurali. In questo modo le considerazioni che seguono non si riferiscono alle sole aree geografiche in cui le bande partigiane si sono formate e hanno operato.

[NOTE]
413 Testimonianza di Diva Papiri, riportata in F. Ieranò, Antigone nella valle del Tenna. L’accoglienza dei prigionieri alleati e degli ebrei in fuga dopo l’8 settembre 1943 nella valle del Tenna come forma di disubbidienza civile al nazifascismo, Quaderni del consiglio regionale, Ancona 2002, p. 55.
414 S. Bugiardini, I sergenti dell’informazione. Stampa e giornalisti del fascismo repubblicano nelle Marche, in S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana, Roma, Carocci 2006, p. 100: “Nelle Marche, il fascismo repubblicano ricompone le fila con grandi difficoltà, senza un consistente seguito e contando su pochi elementi di spicco del passato regime”. Sulle difficoltà e sui limiti della organizzazione della Rsi nelle Marche si veda anche V. Paolucci, La Repubblica Sociale nelle Marche, Argalia, Urbino 1973, pp. 14-59.
415 Testimonianza di Luciano Taglianini, contenuta in D. Pela, Una notte che non passava mai. cit., pp. 254-255.
416 D. Pela, Una notte che non passava mai, cit., in particolare il cap. II, La guerra, pp. 141-179.
417 L. Segreto, Economia e società di una regione in guerra, cit., p. 19.
418 S. Donati, J. Pojaghi, La guerra nei ricordi dei maceratesi, in M. Papini (a cura di), La Guerra e la Resistenza nelle Marche, cit., pp. 115 e 118.
419 Questo è il giudizio anche di Giorgio Pedrocco sulla scorta delle indagini effettuate in due comuni rurali del pearese: Mombaroccio e Sant’Ippolito (cfr. G. Pedrocco, I comuni dell’entroterra pesarese di fronte ai problemi della guerra, cit., p. 270).
420 R. Ellis, Al di là della collina. Memorie di un soldato inglese prigioniero nelle Marche, a cura di M. Grazia Camilletti, Ancona, Affinità elettive 2001, pp. 92-106.
421 P. Sorcinelli, Prefazione, in S. Severi, Il Montefeltro tra guerra e liberazione 1940-1945, cit., p. 7.
422 Per una ricostruzione dei fatti che precedono e seguono l’annuncio dell’armistizio nelle Marche, si vedano i contributi pubblicati in P. Giovannini (a cura di), L’8 settembre nelle Marche. Premesse e conseguenze, cit.
423 Per un quadro d’assieme della bibliografia e della storiografia sulla Resistenza nelle Marche, si veda R. Giacomini e S. Pallunto (a cura di), Guerra di resistenza. Le Marche dal fascismo alla liberazione, Irsmlm, Falconara, 1997; M. Papini, La Resistenza nelle Marche: un bilancio storiografico, in V. Conti e A, Mulas (a cura di), Nuovi contributi per la storia della resistenza marchigiana, Ancona, Affinità elettive 2002, pp. 31-63; più recentemente, M. Fratesi e M. Papini, Il ruolo della Resistenza nella Liberazione delle Marche, cit., pp. 90-94.
424 M. Fratesi e M. Papini, Il ruolo della Resistenza nella Liberazione delle Marche, cit., pp. 90-91.
425 P. Giovannini e D. Pela, Marche, in E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geografia della Liberazione, Torino, Einaudi, p. 431.
426 Per una ricostruzione della resistenza armata nelle Marche, si veda il già citato volume di R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Ancona, Affinità elettive 2005.

Luca Gorgolini, Un lungo viaggio nelle Marche. Scritti di storia sociale e appunti iconografici dal web, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2005-2006