A Savona e Santuario agiva la Brigata “Falco”

Dintorni di Bergeggi (SV) – Foto di Eleonora Maini

Il Distaccamento “F. Calcagno”, nelle costituende Brigate d’Assalto Garibaldi <142, nacque il 26 febbraio ’44, ma si rese operativo nella zona di Monte Alto verso la metà del mese di marzo, riunendo insieme i primi nuclei di partigiani che durante l’inverno ’43-’44 avevano operato separatamente <143.
Sui monti sopra la Valle di Vado nasceva in tal modo la prima formazione partigiana con assetto militare, raccogliendo i diversi gruppi di “Osiglia, Tagliate, Montenotte, Roviasca, Cascina Donea, Bormida, S.Giulia” <144.
In occasione della prima riunione le parole di benvenuto furono espresse da Piero Molinari (Vela), il quale, senza nascondere le difficoltà e i pericoli ai quali tutti sarebbero andati incontro, precisò come fosse ormai giunto il tempo di passare alla fase più aspra della lotta di Resistenza. Poi con una lunga marcia notturna di trasferimento, passando da Montagna al colle del Termine, i partigiani salirono verso il Monte Alto alla ricerca di una zona più adatta alla nuova attività militare. Circa venti giorni dopo sul Monte Alto si riunirono tutti per eleggere democraticamente gli uomini cui sarebbe stato affidato il comando del Distaccamento “F. Calcagno”. Furono eletti: G.B. Parodi (Noce), comandante, Angelo Gin Bevilacqua (Leone), commissario, Libero Bianchi (Emilio), vice-comandante, Piero Molinari (Vela), vice-commissario <145.
Ai comandanti del reparto si affiancarono volentieri giovani e anziani; fra questi, alcuni persero anche la vita in combattimento e molti ricoprirono in seguito incarichi in altri distaccamenti: Ernesto, Mario, Lillo, Gelo, Moro, Piccolo, Renna, Jean, Alfredo, Latta, Pippo, Chicchi, Mirto, Cuneo, Staffetta, Aldo, Boro, Romolo, Bepi, Lauri, Delicato, Gin, … <146.
Il primo periodo di attività del Distaccamento non fu privo di difficoltà; le rappresaglie che le città e le fabbriche avevano subito, la scarsa efficienza organizzativa, la difficoltà nei collegamenti con i comitati militari, le speranze disattese di rifornimenti da parte degli alleati resero dura la vita dei partigiani in montagna <147.
[NOTE]
142 Si confrontino i documenti riportati in “Supplemento” al capitolo 2°, n.1, relativo ai : Documenti del C.L.N., Corpo Volontari della Libertà, a firma del Comandante IIa Zona Ligure, col. R. Zinnari, relativi a “Relazione sull’Attività Partigiana”, “Relazione della IVa Brigata d’Assalto Garibaldi “C.Cristoni”, e “Relazione del Distaccamento “Calcagno” IVa Brigata d’Assalto Garibaldi Cristoni, circa l’attività svolta fra l’8 settembre e la data di Liberazione del rispettivo territorio”. Nella terza relazione del Distaccamento del C.L.N. si legge che il Distaccamento Calcagno venne costituito il 1º marzo 1944, mentre dal “Rapporto del Distaccamento Calcagno” di Vela (Pierino Molinari) si apprende che il Calcagno fu costituito il 26 febbraio 1944. Il rapporto di Vela del Distaccamento, datato “26 febbraio 1944”, a noi sembra avere però più forza della successiva Relazione del Distaccamento del C.L.N. perché fatta dal diretto interessato e perché ha trovato subito conferma nella Relazione dei gruppi di montagna fatta dal responsabile dei gruppi Fioretto (Pietro Carzana). D’altra parte, l’apparente incongruenza cade se si tiene conto delle modalità burocratiche di trasmissione e di registrazione degli atti, per cui la differenza di pochi giorni può apparire plausibile. Allo stesso modo la testimoninza di Leti circa l’insediamento del Distaccamento a metà marzo sul Monte Alto non introduce affatto un altro elemento di incongruenza: la realizzazione operativa del Distaccamento richiedeva, rispetto alla sua formale nascita, un tempo diverso per l’attuazione. Cfr. IG, Arch., BG, V, 1, 1, c. 09944, edita in Le Brigate Garibaldine, I, p. 295, riferita in G. Malandra, I caduti savonesi per la lotta di Liberazione, Tipolitografia “La Stampa”, Vado Ligure, 2004, p. 386.
143 G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, op. cit., pp. 165,166. Dalla testimonianza di S.Leti si apprende: “Dopo lo sciopero generale del 1° marzo, verso la metà del mese nacque il Distaccamento F.Calcagno. erano presenti Ernesto, Leone, Vela, Sambuco, Pes, Renna e forse Emilio, Martin e il sottoscritto Gin. Su consiglio di Ernesto ci dirigiamo oltre il Termine per salire il Monte Alto alla ricerca di una postazione sicura. Giunti quasi alla sommità ci diamo da fare per costruire una baracca in grado di contenerci tutti (7/8); in seguito ne abbiamo fatta un’altra molto più grande per contenere tutti quelli che erano venuti a formare il Distaccamento. (circa 40/44)”.
144 Dalla Testimonianza di Aiello Armando (Piccolo) in Incontro a ricordo dei partigiani del Distaccamento Calcagno, si apprende: “Sui monti di Vado Ligure la prima formazione con assetto militare fu il Distaccamento “Calcagno”, sul monte Alto. Eravamo a marzo ’44, prima di tale periodo agivano tanti gruppi di ribelli sparsi in varie zone… A comandare il Distaccamento “F.Calcagno” vennero designati i partigiani Leone quale commissario politico, Noce Comandante militare, Ernesto ufficiale d’operazione. Parlare di questi compagni non è cosa semplice per descrivere le loro capacità, la loro abnegazione di fede politica, la semplicità, il coraggio, l’attaccamento alla lotta di liberazione, la serietà nello svolgere i loro compiti”.
145 G. Gimelli, Cronache militari, op. cit., p. 166.
146 Testimonianza di Della Rosa Lorenzo (Lillo) e Miniati Angelo (Gelo).
147 Cfr. Cap. II, Supplemento: Relazione sull’Attività Partigiana sui mesi critici per gli uomini del Calcagno in Marzo, Aprile, Maggio.
Almerino Lunardon, La Resistenza vadese, Comune di Vado Ligure, Istituto Storico della Resistenza e dell’età Contemporanea della provincia di Savona, 2005

Un ulteriore elemento che contribuì a rafforzare i reparti alle dipendenze di “Bacchetta” fu l’arrivo, tra agosto e settembre, di una cinquantina di savonesi capitanati da Giacomo Astengo “Mimmo”, che fino allora avevano combattuto agli ordini del maggiore “Mauri” (alias Enrico Martini, ufficiale del Regio Esercito e capo indiscusso della Resistenza autonoma nel basso Piemonte) nella zona di Marsaglia, tra Alba e Mondovì, e che erano stati messi in libertà “essendo loro unico scopo e desiderio combattere direttamente per la liberazione della città natale” <126. Non è illogico né offensivo per alcuno pensare che questi giovani siano stati inviati nel Savonese anche per rinsaldare i legami con le Langhe, fulcro delle forze di “Mauri”, e quindi per sancire definitivamente l’appartenenza “maurina” dei partigiani di “Bacchetta”.
Con tali premesse si apriva il periodo più intenso e fruttuoso della lotta di liberazione in Seconda Zona.
126 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 293
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

Fonte: Almerino Lunardon, Op, cit.

Con tutte le difficoltà del momento, i garibaldini savonesi ritennero giunta l’ora di raggruppare le brigate in una divisione, anche in vista di un futuro incremento numerico. Già in novembre si era pensato ad una soluzione di questo tipo, ma i rastrellamenti prima, e una serie di arresti che a partire dalla fine del ‘44 avevano colpito gravemente lo stesso Comando militare regionale fino a costringerlo a ricostitutirsi, non avevano giovato alla causa.
Pertanto l’11 gennaio 1945 fu il Comando Brigate Garibaldi Liguria ad indirizzare a “Fioretto” (Pietro Carzana) una nota in merito che recava la seguente raccomandazione: “L’essenziale è che vi sia un Comando superiore che eserciti le sue funzioni e che sia composto da elementi in gamba, i migliori” <75. La Prima Divisione d’Assalto Garibaldi “Gin Bevilacqua”, inizialmente forte di circa 500 uomini <76, nacque ufficialmente il 30 gennaio 1945, con “Enrico” per comandante e “Vela“ (Pierino Molinari) per commissario politico; il Comando si appoggiava momentaneamente al distaccamento “Maccari”, ma avrebbe sempre mantenuto la sua base alle Tagliate <77.
Frattanto continuavano con immutata intensità le azioni dei sapisti, numerosi e ben insediati in tutti i centri della costa nonché attivi anche in taluni paesi dell’entroterra. Le SAP, presto organizzate nella divisione “Gramsci” sotto la guida di Carlo Aschero “Maurizio” e in seguito di Angelo Aime “Giorgio” <78, stavano ormai assumendo lo schieramento che sarebbe rimasto quello definitivo fino alla Liberazione. Da levante a ponente, la situazione delle varie brigate era la seguente: 1) ad Albisola (Marina e Superiore) si era formato un piccolo ma deciso nucleo di sapisti di cui facevano parte alcuni partigiani scesi dalle montagne. Organizzatisi in una brigata dedicata a Gin Bevilacqua (e, dopo la sua morte il 5 aprile, a Carlo Aschero), i sapisti albisolesi iniziarono la loro attività facendo saltare una riservetta di munizioni presso una batteria antisbarco tedesca, per poi spingersi con le loro azioni fin verso Celle, Varazze e Santuario <79. 2) A Savona e Santuario agiva la Brigata “Falco”, forte di 95 uomini e comandata da Giovanni Rebagliati “Boris”. Si segnalò per il coraggio un giovane diciottenne, Piero Parisotto “Alce”, comandante del distaccamento “Gatti” <80. 3) La Brigata “Colombo” (140 uomini), insediata nel centro storico del capoluogo, compiva disarmi, lanci di manifestini, sabotaggi vari <81. 4) La Brigata “Bertola”, costituita in gennaio con 90 uomini e guidata da Mario Galleano “Primula”, operava a Zinola, Valleggia, Quiliano, Montagna e Roviasca, una zona “calda” e strategica. I suoi volontari erano sempre in contatto con i garibaldini della Quarta Brigata <82. 5) I sei distaccamenti della “Corradini” erano così disposti: il “Caroli” nella Valle di Vado, il “De Litta” a Porto Vado, il “Faggi” a Bergeggi, il “Grillo” a Segno, il “Marcenaro” a Sant’Ermete ed il “Rocca” a Vado centro <83. Si trattava di più di cento sapisti in strettissimo contatto con la Quarta Brigata <84; nonostante i minuziosi rastrellamenti condotti dalle Brigate Nere, riuscì a rendere buona parte della zona letteralmente impraticabile per il nemico. 6) La Brigata “Pes”, anch’essa in costante collegamento con i partigiani di montagna, schierava i suoi cento volontari nel triangolo Vezzi Portio – Noli – Spotorno <85. Il 30 gennaio il distaccamento SAP “Lanzoni”, insediato a Vezzi Portio, attaccò una colonna della “San Marco” causando un morto e tre feriti <86. 7) La Brigata “Perotti”, forte di 161 uomini e cinque distaccamenti, agiva tra Finale e Loano e nella zona di Calice Ligure, spesso in sinergia con i garibaldini del “Bonaguro” <87. Un’ottava brigata SAP, la “Volpi”, sarà creata il 15 marzo per gestire separatamente i distaccamenti del Finale <88.
Tornando al mese di gennaio, va ricordato che un duro colpo fu inferto dalle polizie nazifasciste alla Resistenza cittadina con l’arresto di vari esponenti del CLN tra cui Carmelo Speranza, nella cui abitazione si tenevano le riunioni del Comitato dopo la cattura del giudice Panevino <89.
I nuclei autonomi rimasti alla macchia avevano compiuto varie azioni durante il mese di gennaio: disarmi e catture di “marò” a Dego e Cairo (24 prigionieri a Rocchetta), distruzione di ponti tra Cengio e Saliceto <90. Queste ultime azioni erano opera degli uomini della brigata “Val Bormida”, prima unità autonoma a ricostituirsi nel territorio della Seconda Zona ligure. Il reparto, formato da volontari appartenuti alla brigata Savona “Voarino” e alla Prima Divisione Langhe, operò inizialmente in territorio cuneese, tra il Belbo e le Bormide, per poi spostarsi verso Montenotte <91. Ne facevano parte uomini come “Mimmo” Astengo (vicecomandante), “Mimmino” Montalbetti (comandante) e il dottor Angelo Salomone “Katia” <92. La sua costituzione diede il la alla rinascita della Resistenza autonoma tra le Langhe ed il Mar Ligure, che si concretizzò nella riunificazione di vari gruppi nei pressi di Pezzolo, sancita il 1° febbraio 1945. La ricostituita brigata fu dapprima chiamata “Uzzone”, dal nome della valle in cui era nata, ma il rapidissimo afflusso di sbandati e reclute indusse dopo pochi giorni i comandi a trasformare le sue quattro compagnie in altrettante brigate: la “Montenotte – Giovanni Chiarlone”, la “Uzzone” (poi intitolata a Bruno Lichene), La “Savona – Furio Sguerso” e la già citata “Val Bormida” <93.
Queste unità, considerate operativamente come battaglioni, formarono la Divisione “Eugenio Fumagalli” (dedicata ad un partigiano caduto il 25 gennaio) comandata da “Bacchetta” (Giuseppe Dotta), che aveva Ettore La Perna “Neni” per vice e Carlo Drommi “Dinamico” come capo di stato maggiore <94. La figura del commissario, inutile per gli autonomi, fu abolita in tutti i reparti. I volontari della “Fumagalli” erano in gran parte gli stessi che avevano militato con “Bacchetta” prima dello sbandamento autunnale; vi erano tuttavia situazioni particolari come quella della “Montenotte – Chiarlone” i cui partigiani, fino allora comandati dal “Biondino” (Matteo Abbindi), avevano in molti casi militato con i garibaldini fino a settembre, seguendo poi il capo nel suo passaggio con “Mauri” <95. Matteo Giovanni Abbindi detto il “Biondino” venne fucilato il 1° febbraio a Cairo <96: ancora oggi da parte garibaldina si sostiene che la sua cattura a San Massimo, in gennaio, da parte di un plotone di “marò” messo sulle sue tracce da una spiata, fu causata dal risentimento di alcuni abitanti di Santa Giulia, e che “Mauri” in persona, contattato da ufficiali della “San Marco” per organizzare uno scambio di prigionieri, lo abbia volutamente lasciato giustiziare per liberarsene (ma chi frappose ostacoli non fu “Mauri”, bensì l’avvocato Emilio Botta “Bormida”, le cui bande GL operavano nella stessa zona ed inquadravano molti ex compagni dell’Abbindi) <97. Comunque sia andata in realtà, si tratta di una vicenda oscura che si affianca a quella di Marzola, e, come questa, non fa onore a nessuno. Il “Biondino” fu catturato perché gradualmente isolato da un lato dall’odio mortale dei garibaldini e dall’altro dal desiderio di autonomi e giellisti di mettere le mani su i suoi uomini. Sapeva essere feroce, ma quelli che combatterono al suo comando lo ricordano con affetto: non sempre ne condividevano i metodi sbrigativi e sommari ma sapevano di poter contare su di lui quando si trattava di attaccare tedeschi e fascisti. Morì povero come era vissuto, nonostante le numerose estorsioni e rapine compiute per finanziare la lotta armata. In definitiva, come scrive lo storico Franco Canessa, dovunque la Resistenza è stata attiva c’è stato un qualche “Biondino” <98. Per colmo d’ironia il suo successore come comandante degli autonomi locali, ora inquadrati dalla brigata “Montenotte – Chiarlone”, fu Enrico Chiarlone “Enrico”, ex volontario fascista in Spagna, che mesi prima l’Abbindi aveva risparmiato solo perché suo vecchio amico e, soprattutto, fratello del suo autista personale. “Enrico”, nonostante queste premesse, si rivelò un buon comandante, scaltro ma leale <99.
[NOTE]
75. Maurizio Calvo, Eventi di libertà. Azioni e combattenti della Resistenza savonese, Savona, ISREC Savona, 1995, p. 197.
76. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 336.
77. Ibidem, p. 197.
78. Cfr. ibidem, p. 225 e G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 340.
79. M. Calvo, op. cit., p. 228.
80. Cfr. Ibidem, p. 232 e R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 245.
81. Cfr. M. Calvo, op. cit., p. 238 e R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 245.
82. Cfr. M. Calvo, op. cit., p. 245 e R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 245 – 246.
83. M. Calvo, op. cit., p. 249.
84. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 245.
85. Cfr. M. Calvo, op. cit., p. 259 e R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 245.
86. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 333.
87. M. Calvo, op. cit., p. 269.
88. Ibidem, p. 264.
89. Colloquio – intervista con Lelio Speranza registrato il 31/3/2000, in appendice.
90. Cfr. M. Calvo, op. cit., pp. 291 e 309 e R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 304.
91. Colloquio – intervista con Lelio Speranza registrato il 31 marzo 2000, in appendice.
92. M. Calvo, op. cit., p. 311.
93. Ibidem, p. 286.
94. Ibidem, pp. 285 e 293.
95. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 307.
96. F. Sasso, Folgore…cit., pp. 103 – 105, 153 – 154.
97. Ibidem, pp. 156 – 157. Colloquio – intervista con Enrico De Vincenzi registrato il 31 marzo 2000, in appendice.
98. F. Sasso, Folgore…cit., pp. 102 – 105, 179 – 180; F. Sasso, Il Biondino…cit., p. 74.
99. F. Sasso, Il Biondino…cit., pp. 77 – 79.
Stefano d’Adamo, Op. cit.

Nell’estate del ’44, nel periodo dei grandi lavori per la costruzione di fortificazioni operate dall’impresa tedesca Todt sull’arenile di Bergeggi, a fianco del villino “Millelire” che si apre sul mare, nasceva il I gruppo SAP costituito da una decina di uomini che in passato avevano già operato con i volontari della Valle di Vado. Per un breve periodo comandò la SAP Tullio Rovere (K2) ed esercitò la funzione di commissario politico Giuseppe Asteggiante (Volpe).
Non era facile certo muoversi in un territorio cinturato dai tedeschi dal mare alla sommità del paese, con la minaccia di 4 cannoni puntati che fuoriuscivano dai terrazzi militarizzati della fortezza San Sebastiano, con un reparto tedesco accampato a ponente sull’Aurelia nel ripiano scavato nella cava e con un blocco stradale permanente posto a levante del paese in prossimità di Capo Vado. L’unica via di fuga era rappresentata dal sentiero che si inerpica attraverso i boschi oltre la sommità del colle verso il passo di S. Elena. Era questa la via che molti partigiani prendevano per fuggire durante i rastrellamenti alle perquisizioni, specie dei militi della controbanda di Calice, e scendere poi verso la Valle di Vado.
Nonostante queste difficoltà oggettive a Bergeggi si formò egualmente un C.L.N. al quale presero parte gli uomini più rappresentativi del paese e la cui sede venne fissata nel castello “Millelire”. Gli uomini del comitato agirono sempre a contatto con i volontari del Distaccamento SAP col quale condividevano lo stesso edificio. Fino all’avvento della Liberazione nel C.L.N. locale operarono e a turno presiedettero: Asteggiante Giuseppe (Presidente), Bruzzone Giacomo, De Salvo Francesco <316, Gambetto Pietro, Giriadi Luigi <317, Peluffo Genesio <318, Rossello Mario, Spezialetti Alberto.
Le azioni militari del gruppo erano all’inizio per lo più determinate dalla particolare collocazione strategica del Comune: esse consistevano in operazioni di recupero armi, compiendo agguati sui militari nemici di passaggio sull’Aurelia; in agguati per disarmare e recuperare automezzi in transito; in azioni di prelievo di materiale bellico da trasportare in montagna dalle caserme e dalle fabbriche viciniori come la Riot, la Vacuum Oil, l’Agip; in azioni di sequestro e di trasferimento dei disertori al comando Brigata Sap nella Valle di Vado <319.
Più tardi anche le azioni del Distaccamento SAP di Bergeggi divennero sempre più pericolose. Si trattava infatti di colpire reparti di repubblichini e di preparare agguati pericolosi insieme al Distaccamento “E. De Litta” contro le camicie nere della banda di Calice per le continue e tremende spedizioni che frequentemente essi facevano a Vado e a Bergeggi <320.
Fu proprio in questa fase di maggiore reazione agli atti crudeli che le camicie nere compivano, che giunse improvvisa in paese la sconcertante notizia della morte del giovane Alfredo Faggi, sapista della prima ora. Alfredo Faggi con altri due giovani compagni Renato Sombrero e Michele Ratto fin dal maggio ’44 per sfuggire alla leva e per meglio servire la libertà e la democrazia e così lottare i nazifascisti era salito in montagna.
Dal Distaccamento SAP di Bergeggi, da cui inizialmente dipendevano e per il quale compivano ancora delle azioni militari, verso la fine di agosto i tre sapisti erano partiti per raggiungere la II Brigata Garibaldi (Liguria).
Arrivati nei pressi di Osiglia, prima di proseguire la strada che li avrebbe portati al “Camulera” (comando) pernottarono in un cascinale della zona <321 insieme ad altri 4 partigiani.
L’indomani, svegliati dall’abbaiare dei cani, benché si fossero gettati nel bosco in fretta, incorsero in una brutta sorpresa. Un gruppo di tedeschi all’improvviso saltarono loro addosso sparando raffiche di mitra: seguì un combattimento furioso e incrociato, poi un fuggi fuggi generale. Purtroppo Alfredo venne raggiunto da pallottole che gli trafissero un polmone per cui cadde a terra sanguinante. Ritornata la calma i suoi amici lo raggiunsero subito, capirono che le sue condizioni erano gravi. In fretta lo portarono al comando di Brigata al “Camulera” e poi per decisione del dottore al Distaccamento “Giacosa”. Ma tutto fu inutile: qui venne deciso di ricoverarlo immediatamente all’ospedale San Paolo di Savona <322. Portato a spalle dai suoi più fidati amici, Renato e Michele, e dal fratello Pierino (Falco) che era subito accorso a trovarlo, raggiunse, dopo enormi traversie e sofferenze indicibili, l’ospedale S. Paolo, ove moriva:
era il 22 settembre del ’44.
La sua morte fece scalpore a Bergeggi come a Vado: Alfredo era molto conosciuto e stimato e il modo come essa avvenne servì da stimolo per tanti. Nel borgo di Bergeggi, nonostante i risultati conseguiti dalla SAP locale, c’ erano ancora diversi che per “opportunismo” o per un “malcelato conservatorismo” si trinceravano dietro l’indifferenza o l’ignavia. Le incomprensioni avute nel passato tra il parroco e gli attivisti rossi sopravvivevano ancora <323.
Dalla morte di Alfredo ci fu invece un rifiorire di nuove adesioni. Anche il parroco Don Badoino Emanuele <324 si era dimostrato sensibile verso i giovani che mettevano così a repentaglio la loro esistenza e in più occasioni si era addirittura prestato per aiutare gente in difficoltà e per nascondere in chiesa persone ricercate esponendosi così in prima persona <325.
In questa nuova apertura sociale trovò valido aiuto e collaborazione tra le suore della Purificazione incaricate allora dell’Asilo e della scuola elementare di Bergeggi, che senza timore alcuno si schierarono apertamente a favore della resistenza partigiana <326.
In omaggio ad Alfredo Faggi i sapisti decisero di dare il suo nome al loro Distaccamento: così nasceva l’indomani della morte il Distaccamento “Alfredo Faggi” di Bergeggi.
Per l’occasione si rinnovò pure il Comando: Gatto Giuseppe (Zor) e Anaclerio Francesco (Alì) divennero rispettivamente comandante e commissario politico.
Continuarono pertanto le azioni del gruppo per recuperare armi dalle caserme in particolare dal forte San Sebastiano, per vendicare le aggressioni della controbanda di Calice sempre più frequenti e per individuare e punire le spie a servizio dei nazifascisti <327.
Per volontà del Comando di Brigata “C. Corradini” era stata emanata la direttiva di catturare il maggior numero di soldati nemici da utilizzare come scambio per riavere indietro partigiani fatti prigionieri. La cosa appariva seria e importante perché nelle mani nemiche erano finiti, a seguito dei grandi rastrellamenti di fine ’44, molti volontari della libertà. Il Distaccamento “A. Faggi” si distinse anche per questo: avendo il controllo di un lungo tratto scoperto della via Aurelia e trovandosi spesso mescolati tra la gente che lavorava nelle saline davanti al Merello, crocevia di ufficiali tedeschi, non gli era difficile incontrare qualche graduato <328.
Fino alla Liberazione la SAP di Bergeggi restò mobilitata riuscendo a portare a compimento molte altre azioni in collaborazione con la SAP di Porto Vado, come il fermo in Via Aurelia di una decina di militari che poi inviò al Comando Brigata, il recupero ingente di armi in quel di Varazze con un motocarro da lavoro, lo scoppio di una carica di tritolo sulla salita che porta a Bergeggi per ostacolare il transito di reparti tedeschi <329.
Il lavoro comunque non era facile anche se al Distaccamento i giovani volontari erano in aumento <330. Alle azioni dei volontari i militi della San Marco facevano seguire sempre dure rappresaglie. E fu ancora in un rastrellamento dei tedeschi a tappeto sulle alture di Bergeggi che il giovane sapista Luigi Faggi, forse per allontanarli dal paese e per disperderli nel mezzo di quei boschi che conducevano alla sughereta della colla di S. Elena, veniva colpito prima alla mano e poi al busto da una violenta raffica: era il 4 aprile del ’45.
Un altro uomo della famiglia Faggi veniva in tal modo a mancare ucciso da mano nemica: ai sapisti di Bergeggi non fu difficile decidere di intitolare il Distaccamento ai Fratelli Faggi.
Per la riuscita delle varie operazioni il Distaccamento “FF. Faggi” si avvalse di molte giovani donne. Esse spontaneamente svolgevano un lavoro di preparazione e di supporto alle azioni militari, spesso non meno rischioso anche perché si esponevano a contatto quasi diretto col nemico. Così fu per “Paola” allorquando si diede da fare per far trasportare Alì ferito all’ospedale di Savona, così fu per “Irene” quando suo malgrado riuscì ad adescare un giovane sergente di artiglieria, così fu per “Giuliana”, “Amalia” e “Matilde” che incuranti collaboravano per trasportare armi e ordini ai partigiani di Montagna, così fu per “Jolanda”, “Celestina”, “Margherita” e “Paola” che per dare al partigiano Luigi Faggi una degna sepoltura il 9 aprile ’45 andarono con un carretto a recuperare il corpo straziato e ancora insanguinato sotto gli occhi dei carnefici <331.
Il dolore tra la popolazione di Bergeggi non si era ancora spento che, di lì a 4 giorni dalla morte di Luigi, un altro giovane, Baiardo Orazio (Greco), fu arrestato e quindi trucidato barbaramente dai San Marco a Spotorno (8.04.45).
La SAP di Bergeggi con alcuni elementi del Distaccamento “F. Calcagno” aveva attaccato pesantemente un automezzo militare portando sconcerto e rabbia <332.
La reazione della controbanda di Calice non fu da meno: una quarantina di persone furono prelevate con la forza e portate a Spotorno ove era il comando tedesco. Il giovane Baiardo ne uscì massacrato, aveva trentuno anni <333.
Fortunatamente questa lotta che ormai metteva in evidenza solo aspetti violenti e tragici stava per concludersi.
Il 24 aprile, mentre il Distaccamento “FF. Faggi” si era piazzato sulle alture per ostacolare la ritirata dei tedeschi sull’Aurelia, il parroco, per ordine ricevuto dal Comando, realizzava, almeno in parte, la missione di far arrendere i San Marco dell’Istituto Merello <334.
L’indomani, il 25 aprile, il Distaccamento “FF. Faggi” poteva scendere sull’Aurelia, raggiungere Savona insieme a tutti i volontari della Brigata “C. Corradini” e partecipare così alla grande adunata per il giorno della Liberazione.
[NOTE]
316 Diventerà vice prefetto della Liberazione.
317 Era conte e colonnello dell’esercito.
318 Diventerà sindaco della Liberazione a Bergeggi.
319 G. Saccone, La valle rossa, op. cit., p. 159
320 Cfr. Relazione militare di Porto Vado.
321 Qui nel cascinale della zona qualcuno parla della presenza di traditori. Cfr. Appunti di G. Amasio.
322 Appunti di G. Amasio.
323 Testimonianza di amici della famiglia Faggi, in doc. G. Amasio.
324 Il parroco di Bergeggi dal 1926 fino al 1966 fu Don Badoino Emanuele: durante il periodo della lotta partigiana in molte occasioni si distinse nel dare aiuto e soccorso ai partigiani e alle loro famiglie.
325 R. Ricci, Bergeggi, un’isola davanti a un’isola, op. cit., p. 80
326 Testimonianza di amici della famiglia Faggi in doc. G. Amasio.
327 Relazione militare “E.Delitta”, Porto Vado, 8.10.44 – 10.11.44
328 Con questo stratagemma Zor e Alì fermarono un ufficiale della San Marco (metà di marzo); dopo la morte di L. Faggi giovani della SAP prelevarono sulla via Aurelia un sergente della San Marco (primi di aprile); la giovane bergeggina Irene “adescava” al Faro di Vado un militare in bicicletta (metà di aprile).
Cfr. G. Saccone, La valle rossa, op. cit., p. 158-162.
329 Relazione militare “E.Delitta”, Porto Vado, marzo-aprile ’45.
330 Testimonianza di amici della famiglia Faggi in doc. G. Amasio.
331 G. Saccone, La valle rossa, op. cit., pp. 160,161
332 L’attacco era stato preparato bene e con armi adatte: oltre alla normale dotazione avevano anche bombe da mortaio, mitra. Nell’azione erano riusciti anche a prelevare un sergente dei San Marco.
333 Intervista a D. Bolla.
334 La missione sarà portata a termine solo in parte perché alcuni comandanti se ne erano già andati rendendosi irreperibili. Cfr. Intervista a D. Bolla.
Almerino Lunardon, Op. cit.