Due scritti di comandanti partigiani sulla strage nazista di Gena Alta

Giovanna De Donà di Gena Alta. Foto scattata alcuni mesi dopo l’incendio. Fonte: Maria Cristina Ladini, Op. cit. infra

All’Isbrec (Istituto storico bellunese della Resistenza e dell’eta contemporanea) sono conservate le relazione della Brigata “Pisacane” situata nella zona della Valle del Mis. In data 25 novembre 1944 il Comandante “Camillo” scrisse questo rapporto per confermare al Comando partigiano della Divisione “Belluno”, quanto accaduto a Gena Alta:
“Sabato 18 novembre 1944 verso le ore 8.30 circa trecento tedeschi entrano in Valle del Mis ed iniziano un rastrellamento contro la nostra Brigata. Si divisero subito in squadre ed attaccarono con bombardamento di mortaio tutte le casere dove erano installate le nostre formazioni. Dopo un saporito bombardamento, con guida borghese in testa, incominciarono l’ascesa alla montagna. Le nostre formazioni si trovavano nell’impossibilità di accettare battaglia causa l’abbondante neve che qualche giorno prima era caduta, perché si sarebbero trovati nell’impossibilità di ripiegare con la velocità che l’azione richiedeva, anche perché la maggioranza dei garibaldini erano malvestiti e quasi scalzi, perciò prima di trovarsi allo scoperto sotto le raffiche delle armi automatiche tedesche, ai primi colpi di mortaio ripiegarono sulle cime. I tedeschi, arrivati alle casere non seguirono le tracce lasciate dai garibaldini e si accontentarono di sparare a grande distanza sulle formazioni che continuavano il ripiegamento. Qualche garibaldino rimase ferito lievemente da schegge di mortaio e la garibaldina Leonessa rimase ferita da una pallottola alla gamba destra. Alla sera del giorno stesso i tedeschi finirono il rastrellamento, però prima di ritirarsi bruciarono tutte le casere della valle, inoltre bruciarono completamente il paese di Gena Alta, lasciando la popolazione con la sola roba che indossava e trucidarono barbaramente cinque uomini borghesi del paese. I nostri viveri che si trovavano in detto paese andarono distrutti. La popolazione civile è terrorizzata dove i fatti avvenuti e si pensa di fare la riunione dei capifamiglia della zona. La sera del 20 novembre ci trovammo di fronte ad una quarantina di persone ed ognuno poté dire le sue ragioni e darci i suoi consigli per risolvere la situazione che era divenuta critica. Ognuno dichiarò che sarebbe stato ancora disposto ad aiutarci però ci misero la condizione di non fare azioni contro i tedeschi, ciò che noi accettammo provvisoriamente dichiarando di dover prima aver disposizioni superiori. Il Comandante Camillo” <133.
Nessuno dei testimoni intervistati mi parlò mai di questa presunta riunione con i padri di famiglia che i partigiani organizzarono dopo l’incendio di Gena Alta per prendere accordi direttamente con la popolazione. Va specificato però che attualmente non è in vita nessun padre di famiglia superstite dell’eccidio, pertanto non potrò mai avere conferma delle affermazioni riferitemi dagli intervistati, che allora erano dei ragazzini e che quindi forse non vennero avvisati dai genitori di simili questioni.
Un’altra relazione riguardante ciò che avvenne a Gena il 18 novembre 1944 è data 11 febbraio 1945, indirizzata sempre al Comando partigiano della Divisione “Belluno” e scritta da Paolo Vigne (“Campanella”) che in quel momento era il capitano della Brigata “Pisacane” e dal commissario “Elio”:
“Oggetto : Relazioni varie
11 febbraio 1945
Al comando divisione “Belluno”
Aiuto ai sinistrati collaboratori vari.
Sono state date in totale circa 30.000 Lire.
Vittime tra la popolazione:
Nel rastrellamento del 18 novembre i tedeschi hanno trucidato cinque cittadini di Gena Alta e sono: CASANOVA Servilio, CASANOVA Marcello, CASANOVA Mario, BALZAN Antonio e FANT Riccardo di Sospirolo.
Persone deportate: CASE Primo, ROLDO Giovanna, GIANNI Giselda, MANOLLI Francesco moglie, DE SALVADOR Bruno, DE SALVADOR Pietro, PALLA Corinna, PALLA Mafalda, la moglie dell’Ingegner ZASSO, FANT Vittorio, FANT Bruno, FANT Claudio, FAI Bruno, VIGNI Giustina, VISENTINI Paola, VISENTINI Giuseppe, TROIAN Luigi, CASAL Aldo e mancano altri che non sappiamo.
CASE BRUCIATE E BENI ASPORTATI: Nel rastrellamento di Gena venne bruciato il paese, tredici case. Tutti i beni vennero distrutti dal fuoco e gli animali asportati dai tedeschi. Sempre nello stesso rastrellamento vennero asportati Q.li 30 di fieno al Sig. SPERANZA Carlo e bruciato un fienile di TIBOLLA Carlo, vennero pure bruciate diverse casere in valle, ignoriamo il nome dei proprietari.
In seguito al rastrellamento in zona del 25 gennaio 1945 venne bruciata la casa del Sig. FAI Carlo padre del garibaldino Poeta (?), con arredamento per dieci persone asportando tutti i beni. Il giorno 1 febbraio 1945 venne svaligiata la casa del Garibaldino Campanella asportando fieno e bestiame e mobili.
La casa del Garibaldino Croda, Battiati e Aldo venne saccheggiata e distrutta con tutto l’arredamento interno. L’abitazione vicina venne saccheggiata. Lo stesso giorno venne bruciata la casa dei MANOLLI, asportati tutti i beni e quelli del suo colono DE SALVADOR Bruno.
Venne pure bruciata a Mis una casa disabitata che conteneva qualche mobile e del fieno.
A California in rastrellamento venne bruciata la casa di BISSOLI Carlo e asportato tutti i beni. Al Peron vennero bruciate tre abitazioni. A Paderno la casa del sig. CASANOVA Carlo venne bruciata con tutti i beni.
Durante queste rappresaglie è da rendere noto il comportamento esemplare della mamma del Garibaldino Poeta, perché si rifiutava di dare indicazioni del figlio, venne bastonata a sangue e ferita gravemente.
Pure la mamma del Garibaldino Croda Battisti e Aldo venne bastonata.
Per i prigionieri Garibaldini e per tutte le altre informazioni che mancano faremo un foglio complementare che comprenderà tutte le notizie che mancano alla presente relazione.
Morte al nazi- fascismo!
Libertà ai popoli
Il commissario (Elio) ed il comandante (Campanella)” <134.
Questa relazione presenta degli errori: tra l’elenco delle vittime compare un Fant Riccardo, presumibilmente confuso con la vera vittima dell’eccidio Riccardo Casanova.
Si tratta sommariamente di un resoconto su quanto fecero nella Valle del Mis e dintorni i tedeschi, concentrandosi su maltrattamenti subiti anche da parenti di partigiani della brigata.
L’ultima volta che Gena Alta viene nominata tra i rapporti redatti da membri della Brigata “Pisacane” datata 21 gennaio 1945 e indirizzata al Comando di Divisione di Belluno (Brigate Pisacane) con un resoconto di tutte le spese affrontate negli ultimi mesi. Tra le voci compare anche il paese della Valle del Mis. Nello specifico: “In base alla sopraesposta relazione potrete constatare che il nostro fondo è scarso e ne abbiamo molto bisogno per le spese della nostra brigata; per lo più crediamo opportuno soccorrere i 63 sinistrati di Gena Alta dando loro almeno L. 500 = ciascuno. Voi immaginate quale vantaggio possa avere tale parte dei suddetti la desiderosa attesa di un aiuto da parte nostra”.
Anche qui compare un errore: i sinistrati non furono sessantatre ma trentatre, quasi la metà. Il mittente di questa relazione non si firmò e il fatto più strano risulta che questo denaro raccolto, secondo i racconti dei testimoni oggi <135, non venne mai percepito da coloro a cui sembrerebbe essere stato destinato. I superstiti dell’eccidio di Gena Alta, come mi dissero Mario e Teresa Casanova, pare ricevettero del denaro raccolto dal comune di Sospirolo, assieme all’autorizzazione di poter ricostruire le loro case a partire dal gennaio 1945 nello stesso luogo dove si trovarono prima della loro distruzione. Questo particolare sembra una contraddizione, poiché in quel periodo il comune venne amministrato dal CLN, quindi dalle forze partigiane. Teresa e Mario Casanova aggiunsero entrambi che venne chiesto al comune il permesso di costruire le case a Sospirolo, per essere più vicino alle comodità del fondovalle. Ma non venne mai concesso.
Non posso sapere con esattezza se i soldi raccolti dai partigiani della Valle del Mis vennero mai dati ai destinatari, ma tra i pensieri confidatimi dai superstiti che ho potuto intervistare il risentimento verso i “banditi” è grande anche per il mancato soccorso dopo la tragedia.
A mio parere col passare degli anni questo sentimento negativo si è intensificato e ha portato i famigliari delle vittime a deformare i ricordi e trovando quasi forzatamente un “colpevole” a cui attribuire la responsabilità dell’accaduto. Come è umano fare, quando succede un evento così traumatico come la perdita di un parente stretto, la ricerca di un capro espiatorio è inevitabile. E, come scrive Klinkhammer: “È facile comprendere che gli eventi, nella loro atrocità, sono stati vissuti dalle comunità cui appartenevano le vittime come vere e proprie catastrofi. Tra le vittime dirette degli eccidi pertanto dobbiamo annoverare non solo le persone assassinate dai tedeschi, ma anche quanti furono colpiti dagli eventi emozionalmente, mentalmente e anche materialmente (anche se questo aspetto in un primo momento è passato in secondo piano): dunque soprattutto i famigliari, i parenti, gli amici, le comunità che sono state teatri di massacri. […] Le persone scampate agli eccidi hanno in genere vissuto quanto era accaduto come un evento apocalittico e tale percezione si è mantenuta fino ad oggi” <136.
I sentimenti dei superstiti vanno rispettati, ma va tenuto conto che il dolore spesso modifica i ricordi realmente accaduti. Quel giorno gli assassini non furono i partigiani, ma i soldati tedeschi. È difficile da comprendere – però questo particolare viene completamente omesso dai famigliari delle vittime – come viene negata qualsiasi possibile collaborazione tra paesani e componenti delle bande. E questo è veramente difficile per me da comprendere ma, come già detto, è un comportamento ricorrente tra i superstiti di eccidi simili a quello di Gena o più gravi col coinvolgimento di molti più civili.
[NOTE]
133 Tratto da copia originale conservata all’Isbrec (Istituto storico bellunese della Resistenza e dell’età contemporanea) consultata in data 9 aprile 2019.
134 Tratto da copia originale conservata all’Isbrec (Istituto storico bellunese della Resistenza e dell’età contemporanea) consultata in data 9 aprile 2019.
135 A confermarmelo, su mia diretta domanda, furono Mario, Luigi, Olvina e Teresa Canova (classe 1931, 1934 e 1935).
136 Cit. L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia, p. 17.
Maria Cristina Ladini, Gena Alta: dalla guerra all’abbandono, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2018-2019