Per gestire l’ordine pubblico furono utilizzati i Reparti Celeri

Uno dei primi provvedimenti di Badoglio fu la militarizzazione della polizia, disposta con regio decreto legge 31 luglio 1943 n. 687. I poliziotti, indossando le stellette, furono integrati nelle forze armate, al pari dell’Arma dei Carabinieri Reali, pur rimanendo alle dipendenze del Ministero dell’Interno. La militarizzazione del Corpo determinò la competenza del Tribunale Miliare a giudicare in caso di violazione della legge penale da parte degli appartenenti alla polizia <411. L’inserimento tra le forze armate era poi garanzia di fedeltà al re.
Il regio decreto legge 31 luglio 1943 n. 687 fu convertito nella legge 5 maggio 1949 n. 178. A nulla valse la protesta di 200 funzionari di polizia che si dimisero. «Il disegno politico che vuole la pubblica sicurezza impiegata come strumento di repressione antipopolare diventa un fatto compiuto» <412.
All’indomani della guerra, il Corpo delle Guardie di P.S. aveva un organico (31.000 unità) non idoneo a sopperire alle necessità dell’ordine pubblico e, proprio per renderlo più efficiente, venne riorganizzato <413. Furono immessi dapprima ex partigiani, poi il personale del disciolto Corpo della Polizia dell’Africa Italiana e infine si aprì agli arruolamenti, fino a raggiungere le 82.000 unità.
Gli anni tra il 1948 e il 1955 furono caratterizzati anche dallo stretto collegamento tra polizia e gli «ambienti padronali». Venivano inviati alle segreterie delle aziende formulari per la raccolta dei dati sulla morale e sulla buona condotta dei lavoratori. Il potere politico non mancò di proteggere la polizia. Di fronte agli eccessi compiuti dalle forze dell’ordine, in piazza così come durante l’attività di polizia giudiziaria, non furono presi provvedimenti disciplinari contro i responsabili. In questi anni non si può di certo parlare di approccio «liberale» nell’attività di polizia <414.
La militarizzazione attuata da Badoglio garantì, in un momento di «conflittualità permanente» una forza da utilizzare contro le masse popolari in piazza e nelle fabbriche <415.
Dal febbraio 1947 al luglio 1953 Scelba fu di nuovo ministro dell’Interno e utilizzò la polizia in chiave antidemocratica. La «sua» polizia si caratterizzò per la durezza con cui venne represso il dissenso arrivando persino a far uso delle armi contro la folla inerme <416.
A. Bernardi, con toni un po’ parziali, osserva che tutti i governi che si avvicendarono, piuttosto che combattere la criminalità, privilegiarono il mantenimento dell’ordine pubblico, consentendo così alla classe dominante di accrescere il potere economico, favorendo così la separazione della polizia dalla società.
“Tutto ciò ha sollevato gli organi responsabili dall’onere di dare ai poliziotti una preparazione tecnica e una formazione culturale accettabili, necessari in caso di utilizzazione in compiti specifici di polizia giudiziaria, non invece per combattere con la forza e l’uso delle armi le popolazioni inermi. Così si spiega l’alleanza tra polizia e proprietà privata, là dove quest’ultima rappresenta la garanzia della conservazione di un certo assetto di potere e la difesa dell’intoccabilità della ineguale distribuzione della ricchezza; così si spiega ancora come mai i caduti per mano della polizia hanno solitamente il volto della miseria, portano i segni profondi delle secolari sopraffazioni, esprimono la disperazione di chi lotta per un barlume di giustizia sociale” <417.
Con lo sviluppo delle grandi fabbriche nel Nord del Paese, fu favorita l’occupazione di quanti, emigrarono dal sud per lavorare come operai, attratti da un orario di lavoro prestabilito e da un salario sicuro <418. Ci si avviò pian piano verso il boom economico, che caratterizzò gli anni 60. Aumentò la ricchezza, le periferie delle grandi città si ampliarono sempre più dotandosi di fabbricati-dormitorio per far fronte alle accresciute richieste di alloggio, ma aumentò anche la criminalità <419.
Gli anni della contestazione studentesca e delle manifestazioni operaie videro la polizia far ricorso ai manganelli per sgomberare le facoltà occupate, e degli idranti per liberare le piazza. L’uso della forza in quegli anni divenne uno strumento costante per reprimere sul nascere qualsiasi contestazione e rivendicazione <420.
Per gestire l’ordine pubblico furono utilizzati i Reparti Celeri. Si trattava di reparti costituiti ad hoc per fronteggiare e reprimere i disordini, particolarmente attrezzati, dotati di mezzi veloci per garantire un più tempestivo intervento. Nel dicembre 1944 era già stato istituito a Roma il I Reparto Celere e successivamente ne nacquero a Milano, a Padova e a Cesena. Erano «reparti inquadrati militarmente a carattere nazionale» composti da militari421, «una forza d’urto e di contenimento mobile e preparata […] disciplinatissima e ben addestrata», utilizzata per contrastare le manifestazioni studentesche, contadine e operaie <422.
Nel corso del tempo furono potenziati i reparti celeri e smistati su tutto il territorio nazionale. La Celere, benché nata prima dell’ascesa a Ministro dell’Interno di Mario Scelba, trovò in lui «il più fedele assertore della necessità del suo impiego» <423
“La Celere è una creazione postbellica basata su una tradizione fascista… La sua funzione secondo le direttive segrete è quella di garantire l’ordine pubblico allo stato presente e in prospettiva… Nel loro compito preventivo questi reparti sono autorizzati a entrare attivamente in azione laddove una qualsiasi altra polizia riterrebbe sufficiente tenere gli occhi aperti… Essa organizza preventivamente nei minimi particolari le cariche e le sparatorie; anche preventivamente vengono preparate a uso della stampa governativa e indipendente le versioni relative alle armi in possesso dei lavoratori, versioni che dovranno poi giustificare l’uso delle armi da parte della polizia” <424.
Nell’ambito della polizia giudiziaria l’inidoneità degli strumenti per contrastare la criminalità e la scarsa preparazione culturale e professionale, fecero sì che le forze dell’ordine continuassero ad usare mezzi brutali per estorcere confessioni. La ricerca della verità venne spesso «oscurata» dalla volontà di offrire subito un «colpevole», qualunque esso fosse. Quest’uso distorto della polizia generò «un’avversione viscerale» <425 verso la stessa da parte del cittadino comune vanificando ogni possibile interazione. Dal 1947 al 1968 fu un susseguirsi di momenti in cui alle confessioni estorte con la violenza si contrapposero le assoluzioni dei rei confessi <426.
[NOTE]
411 A. BERNARDI, La Riforma della Polizia. Smilitarizzazione e sindacato, Torino, Einaudi, 1979, p. 28.
412 Ivi, p. 37.
413 R. CANOSA, op. cit., p. 183.
414 Ivi, pp. 186-188.
415 A. BERNARDI, op. cit., p. 8.
416 Ivi, p. 15.
417 Ivi, pp. 17, 18.
418 A. SANNINO, Le forze di polizia nel dopoguerra, Milano, Mursia, 2004, p. 175.
419 Ivi, p. 176 L’autore riporta i dati tratti dal periodico Lo Specchio del 12 gennaio 1975 e relativi all’anno precedente «anno in cui furono consumati 41 sequestri di persona, mentre l’ISTAT rilevava che su 100 colpevoli di reato, solo 26 venivano assicurati alla giustizia. Le rapine erano aumentate tra il 1969 e il 1973 del 199 per cento, le estorsioni del 75 per cento, i sequestri di persona, addirittura, del352 per cento».
420 A. BERNARDI, op. cit., pp. 18-20.
421 R. CANOSA, op. cit., pp. 182-184.
422 A. BERNARDI, op. cit., p. 10.
423 Ivi, p. 21.
424 Ivi, p. 22 Bernardi trascrive in nota che «il passo attribuito al giornalista inglese Solon, è riportato da D’ORSI, Il potere repressivo, pp. 46 sg».
425 Ivi, p. 21.
426 Ivi., pp. 22, 23.
Maria Antonietta Pisano, Il percorso storico della polizia in Italia. Dal periodo fascista alla legge 121/1981, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2021-2022