Con la guerra del 1936-1939 la Spagna irrompe nella storia politica europea del XX secoloantifascisti

Tra il 1936 e il 1939, la Spagna fu teatro di un sanguinoso conflitto (noto in Italia come guerra civile spagnola o anche semplicemente come guerra di Spagna) che avrebbe portato alla caduta della neonata Seconda Repubblica e alla salita al potere del generale Francisco Franco, segnando l’inizio di una dittatura che si sarebbe conclusa solo nel 1975 con la morte dello stesso caudillo.
[…] L’inizio della guerra di Spagna viene identificato con il colpo di Stato del 17 luglio 1936; la dinamica e la portata del conflitto – nonché le caratteristiche del regime franchista instaurato al termine dello stesso – possono tuttavia essere comprese solo in funzione delle tensioni che pervadevano la società iberica sin dal crollo dell’Impero coloniale spagnolo, tramontato definitivamente nel 1898 <1.
[…] Tra i fattori più significativi è opportuno ricordare un divario sociale elevatissimo tra aree urbane e le zone rurali. Nelle prime <2, l’avvento dell’industrializzazione aveva gettato le basi di una società moderna, in cui l’emergere di nuove categorie sociali (la classe operaia, i lavoratori specializzati), sempre più desiderose di una rappresentanza politica, si configurava come una minaccia per lo status quo. Nelle seconde, i costumi e la vita quotidiana risultavano legati a doppio filo ad una forma di cattolicesimo rigidamente conservatrice, la quale rappresentava il sostrato non solo della cultura e dei valori, ma anche della stessa economia rurale <3; lo stretto legame tra società e religione cattolica, tra i tratti più caratteristici dell’ideologia del futuro regime, esercitava di conseguenza una fortissima influenza sulla coscienza politica degli abitanti delle aree rurali (i quali rappresentavano la maggior parte della popolazione della Spagna): “The reciprocal desire of Church and community to protect the other stemmed from a common fear of dull-rumoured change and an identification with an older cherished world of order and hierarchy. Many identified specifically with monarchy as the form of government best able to protect this order. The Church hierarchy clung to it not least to stave off the consequences of encroaching political liberalism and cultural pluralism – both of which profoundly challenged its own monopoly on truth”. (2005: 4)
Non sorprende, quindi, che sin dalla proclamazione della Seconda Repubblica, nel 1931, la Chiesa percepisse in quest’ultima un’entità ostile, identificandola immediatamente come il trionfo del peccato. Ma in Spagna vi era anche un’altra classe sociale che si sentiva gravemente minacciata dalle riforme che i repubblicani si ripromettevano di mettere in atto: quella militare. L’ostilità nei confronti della Repubblica non era dovuta soltanto al fatto che le politiche di democratici e socialisti, volte ad istituire delle forme di controllo civile ed istituzionale sull’esercito, avrebbero intaccato in maniera significativa i privilegi economici dell’élite militare, la quale ricordava per certi versi una vera e propria casta <4; essa possedeva profonde radici ideologiche, irrobustitesi, tra l’altro, nel corso dell’impresa coloniale in Marocco avviata nei primi anni Venti: “When in 1927 Franco took charge of Spain’s main military academy at Zaragoza, he put in place a teaching staff dominated by these colonial officers, the Africanistas. The academy became the forcing ground for ideas of imperial rebirth, of the military as the guardian and saviour of Spain, and was thus an integral part of an emergent politics of the ultra-nationalist right. The idea of a squad of soldiers ‘saving civilization’ would be given its final and most extreme form by European fascism in the 1930s”. (2005: 9)
[…] Queste, dunque, le dinamiche sociali che sottendevano il colpo di Stato del luglio 1936, all’indomani del quale il conflitto esplose con istantanea violenza. A dispetto delle sfaccettature appena menzionate, tuttavia, la guerra di Spagna si presentò immediatamente come la manifestazione di uno scontro dicotomico, totalizzante, in cui si apparteneva al fronte repubblicano oppure a quello dei ribelli. Una contrapposizione che, se da un lato riuscì ad incanalare tensioni di varia matrice – religiosa, sociale, ideologica – dall’altro non risparmiò la popolazione civile, da subito protagonista del conflitto e al contempo vittima di atroci violenze.
Nelle aree controllate dai repubblicani, ad esempio, furono numerosi gli episodi di violenza nei confronti di coloro che erano identificati come esponenti di quell’ordine che le riforme si riproponevano di sovvertire (membri del clero, poliziotti, proprietari terrieri), mentre fin dalle prime fasi del conflitto i ribelli misero in atto una spietata repressione ai danni di chiunque fosse riconducibile al fronte nemico: “The impulse to kill was driven even more clearly than it was in Republican territory by a manichaean mindset historically associated with certain forms of Catholic culture and practice. The perpetrators in the rebel zone would have perceived their own motivations to be completely different from those of the Republican ‘enemy’. But the driving force of violence was similarly the annihilation of the other. While in Republican territory the objective for some individuals was millenarian – killing as a means of achieving tabula rasa and with it a brave new world – in rebel areas killing was widely perceived as a cleansing action designed to rid the community of sources of ‘pollution’ and the dangers they supposed”. (2005: 29)
Circa l’avanzata dei nazionalisti va ricordata, ancora una volta, l’importanza della campagna coloniale degli anni Venti: a contrapporsi al Fronte Popolare fu infatti proprio l’Esercito d’Africa, il quale comprendeva tanto i soldati della legione straniera quanto un cospicuo numero di mercenari marocchini <5 ed era comandato proprio da Franco, la cui carriera militare doveva molto all’esperienza in Africa settentrionale <6.
Non mancarono, inoltre, violenze perpetrate nei confronti dei civili da parte di altri civili, a riprova del fatto che l’inappellabile divisione tra fronte repubblicano e fronte reazionario non avrebbe risparmiato alcun settore della società: è questo un aspetto osservabile in particolare nelle zone controllate dai ribelli, in cui “a crucial complicity was created between the rebel authorities and those sectors of the population that engaged in or connived at the repression of their friends, neighbours, and family members. […] When the coup occurred there was a strong belief among those who felt threatened that if they could get back to their place of origin, their village, their patria chica, there they would be safe from the vicious fall-out of national political divisions. So many of the victims of extra-judicial killing in rebel territory – whether famous or anonymous – died Rebellion, revolution, and repression precisely because they went home. Only there they discovered that ‘home’ no longer existed: the originary violence of the military coup meant precisely that nothing could exist outside the brutal political binary it had imposed”. (2005: 31-32)
Fu già in questa fase, inoltre, che la guerra di Spagna vide la cosiddetta “internazionalizzazione del conflitto”: un contributo decisivo all’avanzata dei ribelli fu infatti apportato da Germania e Italia, le quali fornirono truppe, carri armati e aerei militari in grandi quantità ai franchisti, determinandone di fatto la superiorità sul campo di battaglia: “The Army of Africa seemed unstoppable. This should not surprise us, however, since what it faced was not a ‘militia’ force, as is often claimed, but rather the civilian population armed with whatever they could lay their hands on. They were pitted in open country against troops, artillery, and German and Italian air bombardments”. (2005: 35)
Sul fronte repubblicano, d’altra parte, gli aiuti internazionali furono molto meno tempestivi, a causa della posizione problematica del Regno Unito: quest’ultimo, nonostante una vittoria della Repubblica avrebbe scongiurato l’avverarsi di un quadro internazionale particolarmente nefasto <7, optò per un accordo di non intervento, che fu firmato anche dalla Francia <8; tale decisione fu motivata dal fatto che “Britain’s governing elite was connected to conservative Spain by class, politics, commerce, and friendship. Its distaste for the Republic’s socially reforming agenda was palpable in its snobbish disparagement of Spain’s new political class. Soon this hostility could be publicly justified by reference to the anticlerical violence that erupted in some parts of Republican territory in the aftermath of the coup”. (2005: 38)
L’asimmetria che caratterizzava la situazione favorì dunque i ribelli, i quali si imposero facilmente sul nemico nel giro di pochi mesi. Emblema dell’inesorabile avanzata dell’Esercito d’Africa fu la presa di Toledo: in quell’occasione fu realizzato un filmato che mostrava Franco marciare vittorioso tra le macerie della città, in un rimando alla Reconquista <9 dall’elevatissimo valore simbolico e propagandistico.
Nell’ottobre del 1936, tuttavia, i ribelli giunsero alle porte di Madrid, città che rappresentava l’obiettivo finale della campagna franchista e che sarebbe stata teatro di un assedio che si sarebbe protratto fino al marzo 1939.
[NOTE]
1 La fine dell’Impero spagnolo è normalmente identificata con la guerra ispanoamericana, combattuta in merito alla questione cubana. A quello stesso conflitto viene fatta risalire, inoltre, l’origine dei campi di concentramento.
2 Tra le città simbolo dell’emergere dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione in Spagna vanno citate Siviglia, Saragozza e Valencia.
3 Non di rado le istituzioni ecclesiastiche fungevano da istituti di credito, ricoprendo un ruolo di cruciale importanza per gli agricoltori, per i quali rappresentavano un’opzione assai più rassicurante degli usurai in caso di stagioni sfortunate o altri problemi.
4 Ne è esempio il fatto che i figli degli ufficiali fossero spesso favoriti all’interno delle accademie militari, mentre le figlie finivano spesso per sposarsi con altri militari.
5 Può sorprendere che la Chiesa (e in generale il Movimiento) si alimentasse e lodasse le azioni di gruppi di mercenari di fede islamica: la contraddizione fu risolta presentando questi ultimi come impegnati in una “crociata” contro i nemici della Spagna, e quindi in un’impresa di natura essenzialmente cristiana.
6 Ad esempio, Franco richiese spesso all’Italia di fornirgli scorte di gas velenoso da impiegare nel corso della guerra civile: armi di questo tipo, che non furono effettivamente impiegate durante il conflitto, rappresentano una chiara reminiscenza della campagna coloniale spagnola in Marocco.
7 Se la guerra di Spagna fosse degenarata in un conflitto generalizzato a tutto il continente europeo, il Regno Unito si sarebbe ritrovato costretto a difendere i propri interessi coloniali su svariati fronti, contrapposto a Germania, Italia e Giappone.
8 L’accordo fu firmato anche da Italia e Germania, anche se questo non trattenne le due potenze dell’Asse dal fornire sostegno a Franco durante la guerra civile.
9 Nel Medioevo, Toledo fu la prima città strappata ai Mori dalle forze cristiane impegnate nella liberazione della penisola iberica dalla presenza musulmana.
Luca Astolfi, I campi di concentramento nella Spagna franchista, Tesi di laurea magistrale, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno Accademico 2015-2016

Duchet (1986: 109) sostiene che tutte le problematiche sulla guerra civile spagnola ruotino attorno al fatto che molti di coloro che vi presero parte la confusero con una rivoluzione. Il dato è interessante nella misura in cui, da entrambi gli schieramenti, la partecipazione straniera alla guerra era mossa da motivi ideologici. La differenza sostanziale risiede nel fatto che allo schieramento franchista era garantito l’appoggio da due Stati con i loro eserciti, mentre quello repubblicano era aiutato da singoli individui, a causa della politica di non-intervento adottata da Francia e Inghilterra. Ciò può far scorgere un certo idealismo nei volontari delle Brigate Internazionali, ma di fatto non muta la sostanza della questione, che è la seguente: la guerra civile spagnola, più che sul fronte della politica, si combatteva su quello delle ideologie. <13 Non solo tra i due schieramenti, ma anche all’interno dello stesso fronte repubblicano. Scrive Ane Roche (ivi): “La guerre d’Espagne fonctionne pour les écrivaine «comme un déplacement du mithe révolutionnaire», particuliérment, pour les Français du moins, en ce qu’elle fournit «au Front populaire français l’événement héroïque, sanglant, et pour finir, catastrophique qui lui manqué”.
Con la guerra del 1936-1939 la Spagna irrompe nella storia politica europea del XX secolo: “Es importante detenerse a considerar lo que ello significa. El concepto que se tenga de la guerra civil depende del modo en que se enjuicie esta irrupción violenta de España en el mundo político europeo”. (Schwartz, 1999: 28)
Il conflitto si può osservare da due punti di vista, che sono poi quelli da cui i fatti vennero guardati all’epoca: uno interno alla Seconda Repubblica e uno esterno. Secondo il primo punto di vista la guerra sarebbe una questione nazionale, quindi inerente unicamente alla Spagna. L’altra prospettiva, invece, restituisce un’immagine internazionale del conflitto, partendo dal presupposto che le conseguenze dei fatti accaduti tra il ’36 e il ’39 sul suolo iberico avrebbero coinvolto il resto del continente. Durante le ostilità queste due prospettive tendevano ad escludersi vicendevolmente, mentre oggi è ormai assodato che una delle più interessanti peculiarità della guerra civile spagnola è stata quella di essere, contemporaneamente, una questione interna e una questione internazionale. <14 Il conflitto interno si giocava su due idee opposte di nazione: la prima, repubblicana e democratica, progressista e proiettata verso il futuro. La seconda, invece, autoritaria e cattolica, conservatrice e passatista. Da una parte quindi il governo della II Repubblica, legittimamente eletto, e un sistema che da un lustro portava avanti importanti riforme che proiettavano per la prima volta il Paese nella modernità. Dall’altra parte una buona fetta di Paese, rappresentata in quel momento da quattro generali, che rimpiangeva una Spagna imperiale, cattolica e reazionaria, e che, il 18 luglio 1936, dopo una serie di avvisaglie più o meno ignorate da parte del Governo, decide di porre fine all’esperienza repubblicana e democratica spagnola. <15 Su questa dualità interna alla Spagna si polarizzarono tre paesi come Germania, Italia e Unione Sovietica e, di conseguenza, le opinioni pubbliche di tutto l’occidente. Nel momento in cui Mussolini ed Hitler, per ragioni diverse, decisero che era loro conveniente intervenire militarmente al fianco di Franco, Stalin si adoperò a inviare un aiuto logistico al Governo repubblicano, composto anche dal PCE. Quindi l’opinione pubblica di mezzo mondo ben presto vide nella Spagna il primo campo di battaglia su cui si sarebbero affrontati fascisti e antifascisti. Alla sua guida vi erano intellettuali e scrittori che misero in campo un profuso impegno – in termini letterari e di partecipazione attiva al fronte – nella difesa del proprio schieramento. Ben presto quello che era iniziato come un conflitto tra due idee di nazione divenne una vera e propria guerra tra due idee di mondo, contrastanti e inconciliabili. Le diplomazie di Francia, Inghilterra e Stati Uniti, invece, interpretarono la discesa in campo dell’Unione Sovietica come una minaccia: dal loro punto di vista la guerra di Spagna vedeva schierati fascisti e comunisti, ovvero due opzioni da evitare accuratamente, ma di cui almeno una più tollerabile dell’altra. <16 Quindi dalla prospettiva internazionale derivano due sotto-prospettive: una che vede la guerra civile come una prima occasione di lotta al fascismo e l’altra che la vede come una questione tra comunisti e fascisti, tra le due visioni estreme del mondo dell’epoca. <17
[…] Marín fa giustamente notare che il Governo repubblicano fu in qualche modo obbligato a ricorrere alla milizia volontaria di anarchici e sindacalisti. Ad essi bisogna aggiungere i comunisti che, grazie alla logistica fornita dall’Unione Sovietica, riuscirono a dare un’organizzazione e una disciplina all’esercito repubblicano. Senza l’una e l’altra, con tutta probabilità, Madrid non avrebbe potuto resistere ad oltre due anni di assedio. Ciononostante, l’intervento del Partito Comunista nella guerra civile non fu indolore. Ben presto si crearono importanti fratture all’interno del Frente Popular che portarono alla rivolta interna alle milizie repubblicane del maggio 1937, a Barcellona (Gallego, 2007). Quanto successe in quella primavera nella capitale catalana fu raccontato da George Orwell (1989) e poi ripreso da Ken Loach nel film del 1995 “Tierra y Libertad”, ispirato al resoconto inglese.
Il resto delle democrazie europee e gli Stati Uniti si mantennero su posizioni neutrali, paventando il timore di un allargamento del conflitto o di un trionfo della Rivoluzione comunista in Spagna. Com’è ben facile intuire, su ragioni di politica interna andò costruendosi una guerra internazionale che divise l’occidente tra interventisti e non-interventisti.
[NOTE]
13 Come afferma Binns (2009: 24): «En primer lugar, se trataba de una guerra ideológica y política, y la noción de estar luchando por una “Causa” la diferenciaba del difuso concepto de deber patriótico y obligación que predominaron en el conflicto anterior [la I GM]»
14 Si vedano alcuni tra i principali lavori sul conflitto: Preston (1999; 2006; 2011); Hugh (1976) e Schwartz (1999).
15 Su come si sia arrivati al conflitto esistono diverse ipotesi che suddividono le responsabilità tra destra e sinistra. Si veda Brenan (1960), la prima parte di Preston (2011) e Ranzato (2011).
16 Sulla politica del non-intervento di Francia, Inghilterra e Stati Uniti, e sulle ragioni che spinsero Unione Sovietica, Germania e Italia a intervenire, si faccia riferimento in primo luogo a Preston (1999) e Hugh (1976). In generale appare evidente una verità ormai conclamata: tra comunismo e fascismo, le democrazie occidentali preferivano mantenere in vita il secondo in quanto gli stati capitalisti potevano trattare con esso. La lunga vita della dittatura franchista ne è una prova eloquente.
17 Schwartz (1999: 28-29) enumera quattro punti di vista da cui guardare alla guerra civile, tre dei quali contenuti anche nella mia analisi. Aggiunge la lettura della guerra come un’ulteriore conseguenza nefasta dei trattati di Versailles successivi alla I Guerra Mondiale.
Alessio Piras, Dentro e fuori il labirinto: la guerra civile spagnola in Max Aub, Ernest Hemingway, André Malraux, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2014