E allora chi era Giulio Seniga, partigiano della prima ora?

L’episodio che però determina la possibilità di colpirlo e isolare le sinistre interne, emarginandone gli esponenti, è il ‘caso Seniga’ del 27 luglio 1954, che si inserisce nel parallelo processo di rinnovamento che si apre in Unione sovietica con il processo a Berija, che genera molti malumori negli esponenti della sinistra.
“L’accentuarsi della tendenza a risolvere tutta l’attività del partito nell’ordinaria amministrazione e il contemporaneo rifiuto della Segreteria di prendere atto di quanto sta accadendo in Urss, provoca a questo una reazione del tutto imprevista: il viceresponsabile della commissione nazionale di vigilanza del Pci, Giulio Seniga, che nei frequenti contatti con gli ambienti partigiani, con gli elementi di base più avanzati, e con gli stessi quadri dirigenti di formazione più marcatamente classista ha potuto constatare quanto diffusa sia l’insofferenza per la linea politica e i metodi di direzione togliattiani, tenta di sbloccare la situazione con una iniziativa che muova dal basso. […] Gli era stata affidata -quale principale collaboratore di Secchia -l’organizzazione di quello che teoricamente avrebbe dovuto essere l’apparato di riserva del Pci, destinato a funzionare in caso di emergenza, e di cui egli andava constatando la nessuna ragion d’essere e il progressivo dissolversi nel quadro di una politica precipuamente volta a evitare urti frontali sul terreno di classe”. <506
Seniga, operaio dell’Alfa Romeo di Milano, membro della prima Commissione interna dopo il 25 luglio 1943, partigiano in Val d’Ossola e uomo dell’apparato d’informazione del partito durante e dopo la guerra, fugge con cospicui fondi sovietici destinati al PCI e fonda, assieme ad ex militanti (quasi tutti milanesi) espulsi dal partito nel dopoguerra per atteggiamenti critici (tra tutti ricordiamo il comandante partigiano Luciano Raimondi, il bordighiano Fortichiari, Emilio Setti, responsabile del lavoro sindacale della Federazione milanese, allontanato l’ottobre precedente per aver criticato la linea moderata della CGIL) Azione comunista; gruppo politico marginale e minoritario, destinato negli anni successivi a scomparire senza lasciare traccia, esso appare però come un terremoto nell’immediato, in particolare con il documento che diffondono durante la IV Conferenza nazionale d’organizzazione del PCI e che rompe il clima di ottimismo conformista imposto dalla Direzione:
“A dieci anni dalla vittoria sul fascismo e dall’insurrezione partigiana, possiamo segnare il bilancio di questa politica: lo Stato italiano ricostruito sulle basi tradizionali di comitato di affari della borghesia capitalistica, il movimento operaio costretto ai margini della società, perseguitato dall’apparato poliziesco dello Stato […]. L’Italia […] partecipe di un’alleanza militare rivolta contro l’Unione Sovietica […], involuzione resa possibile da una disorganica resistenza del partito, come se a determinarla agisse una fatalità storica […]. I comunisti sanno che dalla competizione pacifica tra i due sistemi quello socialista prevarrà su quello capitalista. I risultati e le tappe concrete dell’azione politica dei popoli che lottano tenacemente per la pace, la libertà e il socialismo si chiamano: rivoluzione cinese, vittoria in Corea e in Indocina, conferenza di Ginevra, sconfitta della Ced […], movimenti di rivolta e liberazione in Tunisia, in Marocco, in Algeria, nel Kenya […]. Il nostro partito non si cura di spiegare alle masse il significato storico e rivoluzionario di questi avvenimenti, li sfrutta soltanto a fini interni di propaganda […]. In palese contraddizione con i successi delle lotte del proletariato internazionale, da noi si afferma che non ci è consentito allargare e condurre a fondo le lotte operaie in quanto non esisterebbero le “condizioni internazionali favorevoli”. È questa una teoria di comodo che serve unicamente a giustificare la politica temporeggiatrice e capitolarda del Pci e della Cgil. […] Da molti anni si è rinunciato all’azione frontale dello sciopero offensivo e a fondo […]. Questa pratica opportunistica ha creato profonda insofferenza nelle masse. L’astensionismo politico e sindacale è quasi generale in tutti gli stabilimenti italiani e la capacità di azione si indebolisce. […] L’organizzazione del partito, in tutte le sue istanze, mentre da una parte soffoca e rifiuta la discussione politica, dall’altra nonostante le esortazioni, i suggerimenti e gli esempi dei partiti fratelli nulla oppone al metodo della direzione personale, al culto della personalità, rifiutandosi di sottostare ai princìpi della direzione collettiva”. <507
Come possiamo notare anche solo da queste poche righe, il caso Seniga assume un significato ben più complesso rispetto a un ‘tradimento’. Il linguaggio rappresenta una cultura rivoluzionarista e internazionalista, non anti-sovietica ma con un occhio già rivolto ai nascenti movimenti di liberazione anti-coloniali; un frasario che rivolge contro la Direzione del partito le medesime accuse che, in altri tempi, venivano lanciati agli oppositori e al campo del sinistrismo: ‘attendismo’, ‘fatalismo’, ‘incapacità d’azione’, ‘opportunismo’ e così via.
Seniga voleva forse costringere Secchia a prendere apertamente posizione contro Togliatti e, nell’impossibilità di riuscirvi, decide allora di compiere un gesto estremo di rottura e denuncia? Non lo sappiamo con certezza. Ciò che però è certo è che il fatto diventa l’occasione per imbastire un lungo processo interno a Pietro Secchia, accusato non tanto di essere complice del furto, quanto di aver alimentato quella degenerazione politica e morale all’origine del gesto di Seniga. Dice Collotti, in riferimento ai documenti pubblicati assieme alle note autobiografiche degli Annali:
“L’ipotesi che l’episodio Seniga offrì l’occasione per privare Secchia di ogni responsabilità politica e di ogni posizione di potere all’interno del partito è quanto la documentazione oggi accessibile consente di convalidare, portando interamente alla luce l’asprezza dei contrasti politici che sarebbero emersi a margine del processo di rinnovamento, come fu chiamata la svolta operata nel Pci a cavallo tra il 1953 e il 1954”. <508
Nel corso della commissione interna presieduta da Scoccimarro vennero riesumati vecchi episodi di contrasto e divergenze di valutazione per rimettere in discussione tutto il passato politico di Secchia, dal ’45 in poi (il decennio in cui questi aveva ricoperto le più importanti cariche di dirigente). L’accusa che emerge implicitamente è quella di aver capeggiato una sorta di ‘fronda sinistra’ interna che rappresentava una minaccia di frazionismo e di disobbedienza alla linea del gruppo dirigente. Dice Amendola:
“La prospettiva del rinnovamento non era e non doveva essere un’indicazione puramente organizzativa, ma una rettifica politica complessiva della linea del partito”. <509
In quest’ottica, colpire Secchia significava colpire alla radice il principale esponente di una possibile opposizione interna.
“E ciò [isolare Secchia, nda] non soltanto per esautorare personalmente uno dei dirigenti che presumibilmente avrebbero opposto maggior resistenza a una scelta politica che non condivideva, ma principalmente per rimuovere quello che rappresentava pur sempre il punto di riferimento di una generazione di dirigenti, la generazione dei quadri medi provenienti dall’antifascismo della clandestinità, dalle carceri e dalla Resistenza, la generazione, tanto per limitarci ai nomi che ricorrono nelle stesse pagine di Secchia, dei Roasio, dei Cicalini, dei Gaddi, dei Bardini, degli Alberganti, dei Vaia […]. <510
‘La grave responsabilità del compagno Pietro Secchia’, come si legge nelle “Conclusioni e proposte” approvate dalla segreteria al termine del processo interno, che gli si rimprovera è molto vicina a un’accusa di frazionismo, la più grave che si poteva rivolgere all’interno del PCI. Infatti, oltre a non essersi accorto e, se accortosene, non essersi opposto a che, ad opera di N. S. [Seniga] e probabilmente anche di altri suoi collaboratori, si creasse sulla base di informazioni errate e di pettegolezzi, una artificiale e falsa contrapposizione tra lui stesso e altri dirigenti del partito […], <511 si rileva anche il distacco netto esistente tra la Sezione Organizzazione e tutto il resto dell’apparato, e la tendenza della Sezione Organizzazione ad agire come un gruppo chiuso, che si sovrappone all’apparato nel suo complesso”. <512
Il processo all’ex responsabile organizzatore del partito riguarda direttamente Milano e il suo gruppo dirigente; è l’evento che tira le fila di un processo di riassetto interno, più favorevole alla linea togliattiana della ‘lunga marcia nelle istituzioni’, che cerca di colpire a più riprese anche Alberganti e i suoi. Non a caso nell’VIII Congresso della Federazione milanese (non preparatorio di quello nazionale), che si svolge a maggio ’54 (quindi prima del caso Seniga), nella segreteria entra Armando Cossutta, uomo vicino ad Amendola.
A gennaio ’55 si chiude il “processo”, con l’autocritica e la rimozione dell’ex responsabile organizzativo da tutti i principali incarichi nazionali; egli verrà infatti nominato segretario regionale della Lombardia e, durante la seconda fase di rinnovamento nel ’56, sarà definitivamente escluso da qualsiasi incarico di rilievo, restando un punto di riferimento indiretto degli “epurati” di sinistra rimasti dentro il partito. Il Comitato centrale aveva bisogno di ottenere da Secchia la garanzia che non avrebbe rappresentato un ostacolo o il focolare di una possibile opposizione interna alla strategia generale del gruppo dirigente; ed egli la garantì: per disciplina e formazione personale, non riteneva possibile alcuna azione politica al di fuori del PCI. Uscirne significava condannarsi alla sterilità e all’inattività. Tuttavia ciò che né Secchia né i rinnovatori potevano controllare era la presenza di un’anima più estremista che, anche se costretta a un certo punto a nascondersi per fedeltà al partito, era comunque parte della sua costituzione storica e politica.
Alla base operaia del Nord -nel frattempo messa in guardia contro quella che viene definita “una provocazione” – non risulta chiaro se Secchia si trasferisce a Milano per potenziarvi il partito di cui si ammette la crisi, come viene anche detto, o se davvero egli sia in contrasto con la linea moderata di Togliatti, come molti hanno sempre ritenuto. Accolto con calorose manifestazioni al suo primo rapporto ai quadri di Milano e nel suo primo comizio pubblico, Secchia è più spaventato che incoraggiato dalla compromettente popolarità, e non fa nulla per avallare la supposizione che egli rappresenti un’alternativa alla linea politica del segretario del partito. <513
[NOTE]
506 G. Galli, op. cit., p. 208
507 Lettera ai compagni delegati alla IV Conferenza nazionale del Pci per una azione comunista, gennaio 1955, pp. 3-6,
cit. in G. Galli, op. cit., pp. 209-10
508 Collotti E., op. cit., p. 109
509 Amendola G., op. cit., p.112
510 Collotti E., op. cit., p. 110
511 In A. Agosti, Togliatti, op. cit., p. 421
512 Ivi
513 G. Galli, op. cit., p. 211
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017

Il libro di Giorgio Amico, Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966), appena pubblicato da Massari editore, si presta a vari livelli di lettura intersecati tra loro. Da un lato restituisce al lettore il clima politico e culturale degli anni Cinquanta svelando la dignitosa presenza di gruppi e partiti minori, che si collocano alla sinistra dei partiti del movimento operaio, dando respiro a esperienze di lotta e correnti politiche trascurate o cancellate da certa storiografia, tutta tesa a fare la storia dei partiti maggiori, in particolare di quello comunista, finché è esistito. Dall’altro entra nel merito di storie articolate e complesse di percorsi politici, di incontri e scontri, di scissioni, di figure autorevoli e di personaggi ambigui, sfiorando il rischio di conferire al tutto il sapore di una spy story, che avrebbe ridotto la valenza di quelle che furono militanze politiche serie e di elaborazioni di pensiero critico di un certo livello
[…] Nel 1963 il convegno nazionale del Movimento raccoglie una realtà di piccoli gruppi presenti in poche città dove nessuno supera i dieci militanti. Lo scontro avviene tra chi vuole un’apertura nei confronti delle tesi maoiste e chi caratterizza come massimalista il movimento marxista-leninista. Si va verso la divisione. Nel 1965 nel convegno che si tiene a Perugia, dopo l’abbandono polemico dei lavori da parte dei leninisti, prevale la tesi della componente filocinese propensa a confluire nel movimento marxista-leninista. Poco dopo a Roma la componente leninista promuove un suo convegno e annuncia la nascita dei Gruppi leninisti della sinistra comunista, meglio conosciuti col nome del loro giornale Lotta Comunista. Il giornale Azione comunista continua a uscire fino a maggio del 1966 su posizioni filocinesi per poi confluire nella Federazione marxista leninista d’Italia.
Diego Giachetti, Storia di Azione comunista, dalla parte del torto, 15 maggio 2020

[…] Storico delle sinistre a sinistra dei partiti comunisti, Giorgio Amico racconta la storia del gruppuscolo di Giulio Seniga, del giornale che ne diffondeva le opinioni estremiste, della sua evoluzione, dei personaggi piuttosto stravaganti» (l’espressione è del futuro sociologo e politologo Giorgio Galli, che all’epoca era uno di loro, stravagantissimo, e tale è rimasto) che giravano intorno a Seniga. Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966) è in buona sostanza una storia del goscismo pre-sessantottesco italiano. Storia che si legge con divertimento e vantaggio. Divertimento perché la storia è bella e i personaggi non soltanto stravaganti ma anche parecchio interessanti; vantaggio perché la dice lunga riguardo alla materia di cui sono fatti i sogni della sinistra più radicale nel crepuscolo dello stalinismo, e questa materia è lo stalinismo stesso.
Intorno a Seniga, proletario carismatico, si raccolgono agenti dei servizi segreti, il futuro storico dell’anarchismo italiano Pier Carlo Masini, il leader del gruppuscolo bordighista dissidente Onorato Damen, l’allora anarchico e in seguito leninista hard Arrigo Cervetto, Livio Maitan in rappresentanza della Quarta Internazionale trotzkista, gli amici di Edgardo Sogno (a cominciare da Luigi Cavallo, ex giornalista dell’Unità e capobastone di Pace e libertà, un sindacato giallo attivo alla Fiat di Torino) e Bruno Fortichiari, uno dei fondatori, nel 1921, del Partito comunista d’Italia.
[…] Intrigante, nel saggio di Amico, non è soltanto la ricostruzione dell’avventura pubblica di Seniga e di Azione comunista, già di per sé romanzesca. Sono avvincenti, ma non pubblici, anche e soprattutto gl’incontri inaspettati e le frequentazioni a rischio con personaggi poco raccomandabili (e ai tempi ancora ignoti) che incontreremo negli anni successivi a ridosso delle stragi e delle bande armate. Curioso anche il destino dei singoli personaggi: quando lo intervisto, molti anni dopo, Seniga è un craxiano di ferro; Pier Carlo Masini, negli stessi anni, scrive elzeviri per il Giornale di Montanelli, dove faccio lo stesso anch’io.
Diego Gabutti, Cominciò col furto del malloppo. Con l’occasione fu sottratto l’archivio segreto del Pci, ItaliaOggi, 7 marzo 2020

[…] E allora chi era Giulio Seniga, partigiano della prima ora e poi uomo responsabile dell’«apparato parallelo» del Pci, la struttura che doveva assicurare case sicure ai compagni in caso di repressione e la tenuta dell’archivio riservato del Partito, ma anche colui il quale rubò una ingente somma dai suoi fondi segreti (mai si è saputo quanto) per dare vita proprio ad Azione Comunista o, come fu insinuato dall’apparato togliattiano, un semplice ladro traditore? La vicenda personale di Seniga interroga così quella politica di Secchia, illumina i termini oscuri e sotterranei dell’aspra sua lotta all’interno del Pci contro Il Migliore, ma anche la fittissima rete di relazioni tra i servizi segreti americani ed esponenti del Partito, oltre alle contese ideologiche tra operaismo e socialdemocrazia, rivoluzione armata e via parlamentare al potere.
Lungo l’arco di una dozzina d’anni, dunque, si snoda un percorso tortuoso di Azione Comunista, metafora ed epitome di una sinistra certo molto ideologizzata, ma ancora capace di produrre una visione prospettica dell’umano e del suo divenire, degli strumenti per la liberazione concreta dal bisogno e dalle ingiustizie. Dalle pagine del saggio emerge allora un mondo quasi dimenticato, la Cina di Mao, l’Urss della destalinizzazione, le relazioni tra i partiti socialdemocratici e gli Usa, il grande affresco della Guerra Fredda, la galassia irredenta dei gruppuscoli dei duri e puri del marxismo leninismo, ma anche il corollario lessicale dell’epoca con il corteo di slogan capaci di racchiudere tutta una Weltanschauung fino alla nascita del ‘68. In sintesi un testo che dalla vicenda di un segmento del movimento comunista e dei suoi protagonisti, ricostruisce lo spirito di quei tempi, il genius loci di un periodo storico al quale siamo ancora debitori spesso inconsapevoli; almeno sinché non si leggono le sue pagine […]
Raffaele K. Salinari, A proposito di Azione comunista. Passioni, ambivalenze e l’ordito con il Pci, il manifesto, 25 febbraio 2020