I capi ribelli si sottrassero ad ogni ulteriore contatto con la confinaria

Alta Val Pellice – Fonte: inValpellice

[…] Nonostante questa attenzione dei centri di comando, che testimonia l’esistenza di numerose proposte di tregua e la gravità del problema per la Resistenza, alcune formazioni partigiane decidono di patteggiare con tedeschi e fascisti. Pur essendo ogni caso in sé unico, l’analisi della situazione che viene a crearsi in Val Pellice tra febbraio e marzo 1944, nella quale si rintracciano alcuni elementi tipici della conclusione di accordi fra partigiani e nazifascisti, può aiutarci a comprendere quali siano le modalità con cui si giunge ad una tregua d’armi e quali i motivi che spingono i partigiani a contravvenire agli ordini ricevuti.
Nella valle agiscono i gruppi partigiani comandati da Antonio Prearo e Mario Rivoir (ex ufficiali dell’esercito regio) e inquadrati nelle formazioni legate al Partito d’azione. All’inizio del ’44 i partigiani non sono molti, ma svolgono una attività piuttosto intensa <8 che colpisce soprattutto i fascisti, come nel caso dell’attacco alla caserma della Gnr di Bobbio Pellice, sferrato da un centinaio di uomini nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbraio 1944. Lo scontro dura fino al 3 febbraio quando i fascisti si arrendono e i partigiani occupano la caserma <9. I fascisti di stanza nel presidio sono fatti prigionieri; di rimando i nazifascisti prendono alcuni ostaggi tra la popolazione per cercare di scambiarli con i militi catturati <10. Nel pomeriggio del 6 febbraio 1944 in una località fra Torre Pellice e Villar avviene lo scambio, presenti i partigiani e i fascisti della milizia confinaria <11.
Secondo un documento prodotto dalla tenenza dei carabinieri di Pinerolo, tra la confinaria e i partigiani «All’atto dello scambio … era stata stipulata una tregua scadente il 9 andante poiché i partigiani pretendevano di avere territorio libero sino al ponte di Bibiana … Tale tregua è stata prolungata sino alle ore 15 di domani 10 corrente» <12.
Della conclusione di questa tregua non si trova traccia né nel racconto di uno dei civili liberati nello scambio, né nel testo di Donatella Gay Rochat che ripercorre le vicende della Resistenza in Val Pellice.
Sappiamo però che, al momento della cattura dei militi del presidio di Bobbio, i partigiani tramite «il delegato podestarile di Villar [comunicano ai fascisti] che i militi stessi [sono] sani e che [vengono] considerati prigionieri di guerra e tenuti in ostaggio senza che venga loro fatto alcun male purché tutta la Val Pellice venga lasciata tranquilla» <13.
Seguendo l’interpretazione di Gay Rochat questa è una richiesta avanzata per far desistere i nazifascisti da azioni di rastrellamento <14, ma forse l’espressione «purché la Val Pellice venga lasciata tranquilla» nasconde l’intenzione di giungere a una tregua e al controllo del territorio della vallata da parte dei resistenti, e del resto tale proposta viene lanciata in occasione dello scambio di prigionieri. Dal canto loro i fascisti offrono ai partigiani una divisione del territorio con una zona riservata alle bande <15.
Le reali intenzioni dei fascisti sono però altre e a rivelarcele sono i documenti redatti dall’Ispettorato dei reparti di frontiera della Gnr. In data 8 febbraio lo specchietto relativo alle formazioni partigiane della Val Pellice parla dei gruppi agli ordini di Prearo e Rivoir in questi termini: “Sono convinti di una prossima vittoria anglo-russa-americana, e pertanto ritengono inutile spargere altro sangue contro una inevitabile invasione. Si considerano un lembo del disciolto esercito più o meno riallacciato a formazioni volontarie italiane non-badogliane combattenti con “gli alleati”. Attendono la fine della guerra per agire nel mantenimento dell’ordine, dopo la ritirata germanica … affermano la piena libertà ideologica … Sono repubblicani. Sono anti-badogliani. Desiderano restare armati, mantenendo l’ordine nella vallata, pur non avendo contatti con gli altri gruppi. Non vogliono controllo tedesco e nemmeno dell’esercito repubblicano; ancor meno della G.N.R” <16.
E in un documento del 10 marzo si legge che «appurato [l’]atteggiamento anticomunista [di Prearo e Rivoir] i primi contatti avevano dato buon affidamento per una liquidazione della banda» <17.
Le trattative per lo scambio dei prigionieri forniscono, quindi, ai fascisti l’occasione per studiare le formazioni partigiane e stabilire dei contatti per raggiungere un accordo; ma il fine ultimo degli uomini della Gnr non è quello di ottenere una tregua temporanea, bensì quello di far sciogliere i gruppi al comando di Rivoir e Prearo.
Questo è, in linea di massima, lo scopo principale perseguito dai fascisti nei loro tentativi di concludere patti con il movimento partigiano.
Già nelle proposte di pacificazione avanzate subito dopo l’8 settembre 1943, sia a livello locale che nazionale, da alcuni settori di Salò, in nome dell’amor patrio e della tutela della popolazione e della nazione, si cela il tentativo di bloccare sul nascere la resistenza al fascismo repubblicano e all’occupazione nazista <18; successivamente diviene chiaro che i fascisti mirano a fomentare divisioni nel movimento resistenziale, allo scioglimento delle formazioni partigiane, alla consegna delle armi e al ritorno degli uomini alla vita civile per essere poi arruolati nei diversi gruppi militari di Salò o impiegati come manodopera.
In alcuni documenti salotini troviamo espliciti richiami ad un’attività di propaganda da svolgersi presso le formazioni dal colore politico più incerto o più moderate o che presentano divisioni interne: tali gruppi sarebbero più inclini a farsi convincere dell’assurdità di una lotta che oppone gli italiani fra loro e del pericolo degli estremismi, soprattutto del comunismo, e, a partire da questi punti, più facili da indurre allo scioglimento o a combattere contro i partigiani di altre formazioni <19.
Queste speranze fasciste sono abbattute riguardo alla Val Pellice, a metà febbraio, dall’arrivo in zona di un contingente tedesco e di due compagnie di Ss italiane al comando del generale tedesco Hansen.
L’ufficiale nazista mostra immediatamente un atteggiamento conciliante nei confronti dei partigiani, impegnandosi a non attaccare le bande, facendosi consegnare alcuni prigionieri catturati dai militi fascisti e liberandoli, restituendo ai partigiani anche le armi e i materiali in possesso dei prigionieri <20; inoltre chiede di potersi incontrare con i comandanti ribelli e, ottenuti i colloqui, palesa a Prearo e Rivoir il desiderio suo e dei suoi ufficiali di stipulare una tregua d’armi per creare una zona neutra <21. Secondo i resoconti di parte resistenziale su cui si basa il testo di Gay Rochat, la proposta tedesca viene nettamente respinta dai partigiani. Attilio Jalla, uno degli ostaggi liberati nello scambio di prigionieri, invece, descrive così la situazione di Torre Pellice e della vallata nel periodo febbraio-marzo ’44: “Sembrò … che si potesse stabilire un’intesa fra tedeschi e partigiani, che assicurasse una certa tranquillità al paese. Ne derivò una curiosa situazione di tregua armata e vigilante. I partigiani occupavano l’alta valle … con centro a Bobbio. Circolavano liberamente fino a pochi passi dal posto di blocco … ov’erano stabiliti i tedeschi. Questi, coi [fascisti] repubblicani, rimanevano nei limiti dell’abitato di Torre Pellice, estendendosi nel piano della valle … Ad un centinaio di metri dalle pattuglie dei militi, si scorgevano piccoli gruppi di partigiani in armi, appostati alla guardia. Un comandante di partigiani alloggiava tranquillamente a poche decine di metri dall’alloggio del generale tedesco. Anzi circolava la voce che fra dirigenti tedeschi e partigiani corressero relazioni cordiali” <22.
La testimonianza può avvalorare l’ipotesi, sostenuta dalle memorie partigiane, che siano i nazifascisti a non disturbare il territorio dei resistenti senza che vi sia stata la stipulazione di un accordo per la delimitazione di zone di influenza <23. I documenti fascisti intervengono però a chiarire la situazione, in particolare la già citata relazione, del 10 marzo 1944, dell’Ispettorato dei reparti di frontiera, nella quale leggiamo: “i … capi ribelli si sottrassero ad ogni ulteriore contatto con la confinaria, allacciando invece trattative col generale Hansen, e concludendo infine un accordo, in base al quale i ribelli sarebbero stati lasciati indisturbati a monte di Torre Pellice, impegnandosi a loro volta di non disturbare l’addestramento dei reparti delle S.S. italiane. I confinari dovevano restare a Torre Pellice” <24.
Questo brano evidenzia un altro tratto caratteristico delle tregue d’armi, ovvero la maggiore disponibilità dei partigiani ad accordarsi con i tedeschi piuttosto che con i fascisti. Sul totale di 29 patti rintracciati nel corso della ricerca circa i 2/3 sono siglati da partigiani e tedeschi.
Ciò si verifica non solo perché sono maggiormente i tedeschi a ricorrere all’uso di trattative e tregue per contrastare il movimento partigiano, ma probabilmente anche a causa dell’atteggiamento dei resistenti nei confronti degli appartenenti alla Rsi.
Forse i tedeschi sono considerati più pericolosi rispetto ai loro alleati e, perciò, può risultare maggiormente conveniente evitare un rastrellamento effettuato dalle truppe naziste. Non solo. Agli occhi dei partigiani i tedeschi appaiono sicuramente i detentori del potere decisionale nel regime di occupazione che vige in Italia e, quindi, ha più valore stringere patti con loro piuttosto che con i fascisti, i quali non sono in grado di offrire “reali garanzie”. Inoltre i resistenti non ritengono affidabile la parola data dai fascisti considerati «traditori al servizio dello straniero», spesso peggiori degli occupanti che combattono, «più o meno nelle regole internazionali, la guerra» e con i quali «si può anche trattare da belligerante a belligerante» <25.
Come ha sottolineato Claudio Pavone, in varie situazioni alla visione del tedesco come nemico principale, perché nazista e perché tradizionale avversario degli italiani, si affianca, e in certi casi prevale, l’idea del fascista come diretto antagonista nella lotta combattuta dai partigiani. La guerra non è solo patriottica, ma anche civile e il fascista repubblicano è ritenuto colpevole di aver tradito la patria e di essersi asservito ai nazisti, di aver scatenato una guerra fra italiani, di continuare a mantenere vivo il fascismo. È cioè il principale responsabile della situazione in cui si trova l’Italia nel 1943-45 e come tale è odiato dai partigiani a volte più delle forze di occupazione che permettono la sopravvivenza della Rsi.
Oltre a questo, a carico dei fascisti pesa ciò che Pavone definisce il di più di violenza che spesso costoro scatenano sui partigiani o sulla popolazione per emulare i più potenti alleati nazisti e per dimostrare, sia a questi, sia ai civili e ai resistenti, che la Repubblica sociale detiene ed esercita un potere effettivo <26.
La considerazione che i partigiani hanno dei fascisti si rivela nel tipo di trattamento loro riservato, a volte radicalmente difforme da quello destinato ai tedeschi. Questi ultimi sono interlocutori privilegiati per gli scambi di prigionieri, a volte non vengono neppure catturati dai partigiani e quando sono fatti prigionieri, in certi casi, non sono minacciati, pestati o uccisi come accade ai fascisti repubblicani <27. Ciò potrebbe però celare la paura della maggiore pericolosità dei tedeschi: forse per evitare rappresaglie, di solito più cruente quando ad essere colpiti sono gli appartenenti alle truppe occupanti, i partigiani si astengono dall’attaccare i tedeschi, ma non i fascisti più deboli e dunque meno pericolosi.
Dell’avversione che spesso i partigiani provano per i repubblicani di Salò si avvedono i tedeschi che in talune situazioni cercano di sfruttarla a proprio vantaggio. Non mancano, infatti, le proposte di tregua che escludono esplicitamente i fascisti lasciando alle formazioni resistenziali mano libera contro di loro. Ad esempio nella valle del Taro, in provincia di Parma, i nazisti chiedono una tregua che impegni solo partigiani e tedeschi a non compiere reciproci atti di ostilità, e episodi analoghi sono riportati dai notiziari Gnr per le zone di Sondrio o della Valdossola <28.
La tregua stabilita tra il generale Hansen e i resistenti non dura a lungo: nei primi giorni di marzo una serie di azioni partigiane provoca la reazione tedesca. Non sappiamo con certezza se a colpire i tedeschi siano gli uomini di Rivoir e Prearo o se le azioni siano da attribuire ad altri gruppi <29.
Dopo la ripresa dell’attività partigiana Hansen lascia Torre Pellice e i tedeschi si preparano al grande rastrellamento che verrà condotto alla fine di marzo <30.
Restano da considerare i motivi che portano partigiani e tedeschi a concludere un accordo.
Le formazioni della Val Pellice, dopo l’attacco alla caserma di Bobbio, quando i fascisti decidono di non porre un nuovo presidio nel paese, si trovano a gestire un territorio piuttosto esteso: i partigiani, pur lasciando in carica i funzionari salotini, amministrano la parte superiore della Val Pellice. Da un punto di vista strettamente pratico la necessità di far giungere nella zona partigiana approvvigionamenti per resistenti e abitanti impone di cercare la massima libertà di movimento per uomini, mezzi e merci, libertà che i nazifascisti, tramite i posti di blocco, possono facilmente negare, a meno che, per inattività dei resistenti o per accordi intervenuti, fascisti e tedeschi non vengano disturbati.
Inoltre controllare una porzione di territorio è importante per le forze partigiane per l’effetto psicologico sulla popolazione e sugli stessi combattenti, partigiani e nazifascisti, poiché rafforza l’immagine dei resistenti che riescono a sconfiggere il nemico e a ottenere la liberazione di intere aree.
La ricerca di un accordo può essere funzionale al mantenimento di tale situazione.
Un ulteriore motivo alla base della tregua è, probabilmente, la preoccupazione per la popolazione della zona, unita al desiderio di salvaguardarla da rappresaglie. Un accordo che garantisca ai nazisti di non subire attacchi da parte resistenziale, non offre ai tedeschi motivi per vendicarsi sui civili; stringere il patto significa quindi per i partigiani, che si presentano come difensori della popolazione, consolidare il loro legame con i civili o crearlo se esso non è presente.
Considerato ciò, e tenendo conto che in febbraio i resistenti della Val Pellice si stanno organizzando anche nelle valli Germanasca e Chisone, e possono vedere di buon occhio la prospettiva di non subire rastrellamenti, si può comprendere la propensione a scendere a compromessi.
Da parte tedesca invece l’iniziativa del generale Hansen sembra essere personale, a giudicare dalla reazione dei fascisti e del capo delle Ss e della polizia per l’Italia nordoccidentale Tensfeld. Dopo la liberazione dei partigiani catturati dai militi salotini, l’ispettore dei reparti di frontiera della Gnr informa Tensfeld del comportamento tenuto da Hansen, definendolo «incomprensibile e pericoloso in quanto serve a potenziare nello spirito e nella forza le formazioni dei fuori legge [minando il] prestigio [dei fascisti e] lo spirito di collaborazione con il quale [repubblicani e nazisti si] prodi[gano] per frantumare l’azione dei ribelli e portare la normalità nelle regioni» <31.
L’ispettore Romegialli specifica che l’azione intrapresa dalla milizia confinaria per far sciogliere le formazioni della Val Pellice ha l’approvazione dei comandi tedeschi, in particolare del diretto superiore di Tensfeld, il capo supremo della polizia e delle Ss in Italia Wolff, con cui la Gnr ha concordato le modalità per convincere i partigiani ad entrare nelle forze armate nazifasciste o nei servizi del lavoro <32. La risposta di Tensfeld conferma che i tedeschi intendono far sciogliere le bande partigiane e annuncia l’apertura di un’inchiesta per verificare cosa sia realmente accaduto in Val Pellice <33.
Le tregue d’armi per ora, forse, non fanno parte della strategia nazista per ridurre la portata della guerriglia partigiana: siamo all’inizio del mese di marzo, i tedeschi mantengono le posizioni al fronte, i partigiani non hanno dimostrato del tutto la loro forza e l’eliminazione dei gruppi resistenziali può essere raggiunta con l’invito a sciogliersi, offerto sotto minaccia di rappresaglie, o con i rastrellamenti.
D’altra parte non è solo Hansen a proporre un accordo: anche gli ufficiali che compongono il suo comando si dimostrano avversi ai fascisti e disponibili a stringere patti con i resistenti <34 e lo stesso Tensfeld, pur non facendone parola con i salotini, potrebbe considerare la tregua un’alternativa allo scioglimento delle formazioni partigiane, comunque utile per diminuirne l’attività.
I tedeschi, in genere, quando non riescono a debellare la presenza partigiana, sono disposti ad assicurarsi la passività dei resistenti attraverso gli accordi. Un patto in un’area può risultare utile ai nazisti per mantenere il controllo di altre zone; può permettere loro di riorganizzare le forze in seguito ai continui attacchi partigiani e di riattare strade e ferrovie colpite da sabotaggi; oppure la richiesta di una tregua può essere strumentale alla preparazione di azioni repressive da condurre anche contro le stesse formazioni che hanno concluso l’accordo.
Anche se ordini espliciti dei vertici del sistema di occupazione in merito ai patti con i partigiani sono reperibili solo per l’autunno del ’44 <35 e se documenti, sia fascisti che partigiani, suggeriscono che è a partire dall’estate del 1944, in concomitanza con l’aumento dell’attività resistenziale e l’avanzata angloamericana dal Sud, che i tedeschi moltiplicano le offerte di accordo, non si può escludere che anche all’inizio del ’44 i nazisti considerino positivamente la neutralizzazione di una zona di territorio.
L’ordine di concludere una tregua potrebbe, quindi, venire dall’alto.
In questo caso il generale Hansen probabilmente lascia la Val Pellice perché è fallito il tentativo di eliminare o ridurre la presenza partigiana attraverso la ricerca di accordi. Si apre la via all’azione di forza della fine di marzo.
La situazione della Val Pellice pone in luce anche il problema delle divisioni che si creano nello schieramento partigiano in seguito alla conclusione di una tregua d’armi.
I garibaldini della 4a brigata Garibaldi Cuneo, operanti in una zona vicina alla Val Pellice, accusano Prearo e Rivoir di collaborazione con il nemico e il patto è duramente condannato da una relazione del comandante e del commissario politico garibaldini, inviata al Cln piemontese il 15 marzo ’44.
“Questo Comando … ritiene sia di massima urgenza l’intervento del C.L.N. per porre fine all’attività dei due ufficiali, Prearo e Rivoir, di Torre Pellice, che … il mese scorso trattarono col Comando tedesco di quella Vallata, attività contraria agli interessi della lotta partigiana contro i tedeschi e che può essere foriera di gravi conseguenze politico-militari per tutta la lotta che le formazioni patriottiche di queste zone stanno conducendo. È necessario smascherare tali responsabilità dei due ufficiali Prearo e Rivoir, provvedere alla loro destituzione e sostituzione con ufficiali che realizzino le direttive e i compiti della lotta nazionale di liberazione” <36.
La conclusione di una tregua crea, dunque, nella zona interessata una situazione di instabilità per il fronte resistenziale. Se è vero che, in particolare per i nazisti, le tregue sono alternative valide alla resa delle formazioni partigiane e alle azioni di rastrellamento, è possibile che le stesse proposte vengano rivolte a più brigate presenti nello stesso territorio: chi accetta di trattare e accordarsi si mette al riparo dalle reazioni nemiche, mentre chi non è disposto a scendere a compromessi è, con ogni probabilità, sottoposto alla repressione. Per di più se un gruppo partigiano è in tregua non potrà, a meno di non contravvenire agli accordi ed esporsi a ritorsioni, intervenire in appoggio alle formazioni colpite da azioni antipartigiane. Le trattative pongono dunque in dubbio la lealtà delle formazioni che le accettano, sia nei confronti degli ideali resistenziali, sia verso gli altri partigiani della zona.
Certamente vi sono situazioni complesse nelle quali i partigiani che stipulano i patti non intendono danneggiare le unità vicine. Ad Omegna, per esempio, la zona neutra è circoscritta e fuori da essa l’attività partigiana continua; nel caso della Valle di Scalve le Fiamme verdi del C9 durante la tregua organizzano, in collaborazione con i giellisti della Val Seriana, delle azioni contro i tedeschi con i quali si sono accordati <37.
Nonostante le severe richieste dei garibaldini, i comandanti della Val Pellice non sono rimossi dal loro incarico: Rivoir lascerà la valle, ma a causa di un dissidio tra lui e Prearo, mentre quest’ultimo resterà a capo degli uomini dislocati in Val Pellice fino all’estate del ’44, quando la lotta dovrà spostarsi in pianura e il capitano, abituato alla guerriglia in montagna, sarà ritenuto inadatto a guidare i partigiani nelle nuove azioni; resterà comunque a combattere in valle e a febbraio del 1945 diverrà ispettore centrale del comando delle Gl piemontesi <38.
È stato sottolineato <39 che la particolare forma di guerra combattuta dai partigiani determina una certa autonomia delle formazioni. Si può ipotizzare, quindi, che di fronte alle proposte nemiche di patto ogni gruppo decida, in modo piuttosto indipendente dalle direttive impartite dal centro, in base alle sfaccettature politiche interne, alla personalità dei comandanti, alla particolare impostazione teorica e pratica data alla lotta, al tipo di relazioni che intrattiene con altre formazioni e con la popolazione e, motivi forse prevalenti, alle condizioni materiali e ai rapporti di forza con gli avversari presenti nel momento in cui si offre la possibilità di trattare.
Forse i partiti e gli organi dirigenti del movimento di Resistenza prendono in considerazione proprio le situazioni particolari delle formazioni nel giudicare chi ha accettato compromessi e, per questo, non giungono in genere a punizioni severe.
Un’eccezione è costituita dai casi di passaggio al fronte opposto. Nel Bergamasco il comandante della 86a brigata Garibaldi Issel, in seguito ad un rastrellamento dell’inizio di ottobre ’44, stipula una tregua con i tedeschi per delimitare una zona neutra e poco tempo dopo passa nel fronte avverso come capitano della Gnr. Per lui si prevede la condanna a morte <40.
Non si può dire che, paragonate ad avvenimenti come questo, le tregue, di breve durata e di solito portate a termine senza cambiamenti di fronte, come quella della Val Pellice, siano tradimenti veri e propri della causa resistenziale, ma non va negato che lo scendere a patti con il nemico può comportare pericoli per la stessa formazione che li accetta nonché per i gruppi partigiani confinanti.
8 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi (1943-1944), Torino 1969, pp. 23-66.
9 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., pp. 67-69. Un resoconto di parte fascista su questi avvenimenti ci è offerto dal telespresso con oggetto Operazione in Val Pellice. Operazione di Druogno (Val Vigezzo) e n. prot. 603/B/20, inviato il 5 febbraio 1944 dalla sezione B dell’Ispettorato dei reparti di frontiera della Gnr alla segreteria del comandante generale della Guardia: ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Operazioni nella Val Pellice. L’esperienza degli ostaggi è narrata da Attilio Jalla in «Bollettino della Società di studi valdesi», Torre Pellice dicembre 1945, A. JALLA, Distruzioni nella valle del Pellice 8 settembre 1943-27 aprile 1945, pp. 34-35: INSMLI, CVL, b. 25, fasc. 1, sfasc. 5.
10 Cfr. ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Operazioni nella Val Pellice, informativa del 5 febbraio 1944 della Tenenza di Pinerolo della Legione territoriale dei carabinieri di Torino, n. prot. 134/7 div. 3ª, oggetto Conflitto fra militi e partigiani.
11 Si vedano A. JALLA, Distruzioni nella valle del Pellice, cit., p. 35 e ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Operazioni nella Val Pellice, segnalazione della Tenenza di Pinerolo della Legione territoriale dei carabinieri di Torino, n. prot. 134/9 div. 3ª, oggetto Scambio di ostaggi e prigionieri fra milizia confinaria e partigiani, datata 6 febbraio 1944.
12 ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Operazioni nella Val Pellice, segnalazione datata 9 febbraio 1944 della Tenenza di Pinerolo della Legione territoriale dei carabinieri di Torino, n. prot. 134/11 div. 3ª, oggetto Conflitto fra militi e partigiani.
13 ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Operazioni nella Val Pellice, segnalazione della Tenenza dei carabinieri di Pinerolo, n. prot. 134/4 div. 3ª, oggetto Conflitto fra militi e partigiani del 5 febbraio 1944.
14 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., p. 70.
15 Cfr. ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Confinaria fascicolo II, sfasc. Confinaria. Comportamento Comando Militare germanico nei confronti di partigiani nella Val Pellice. Cattura e susseguente liberazione di partigiani, rapporto del Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera, n. prot. 108/4, oggetto Situazione della Val Pellice (Torino) inviato il 10 marzo al Servizio politico del Comando generale della Gnr: nel testo leggiamo che «dopo le operazioni del 3-4 febbraio … l’Ispettorato si era adoperato per risolvere la situazione in senso pacifico».
16 Cfr. ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Operazioni nella Val Pellice, doc. n. prot. 628/29 dell’8 febbraio 1944, oggetto Situazione della Val Pellice, redatto dal Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera. Non è chiaro quanto di questa relazione sia da ricondurre al reale atteggiamento dei partigiani, formalmente inquadrati nei gruppi facenti capo al Partito d’azione, e quanto ad interpretazioni dei fascisti repubblicani.
17 Dal rapporto del Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera, n. prot. 108/4 cit.
18 Sui patti di pacificazione si veda C. PAVONE, Una guerra civile, cit., pp. 231-234
19 Si vedano il rapporto del Gabinetto della Questura repubblicana di Torino, n. prot. 04752, oggetto Attività dei ribelli del 27 marzo 1944 in ACS, RSI, GNR, b. 12, fasc. Circolari aprile 1944 e l’Appunto per il Duce n. 1/207, del 26 luglio 1944 in ACS, RSI, SPD, CR, b. 9, fasc. 40, SID, sfasc.1 SID Informative.
20 Si vedano D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., pp. 80-81; fonogramma n. 172 dell’Ispettorato dei reparti di frontiera per il Comando generale Gnr, del 24 febbraio 1944; informativa della Tenenza di Pinerolo della Legione territoriale dei carabinieri di Torino, n. prot. 134/16 div. 3ª, oggetto Conflitto fra militi e partigiani del 25 febbraio 1944 in ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Operazioni nella Val Pellice; relazione del Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera per il Comandante delle Ss e della Polizia per l’Italia nordoccidentale Willy Tensfeld, redatta il 27 febbraio 1944, n. prot. 24/1/AF, oggetto Azione di Torre Pellice allegato al n. prot.
456/4/front. del 27 aprile 1944, con cui l’Upi dell’Ispettorato dei reparti di frontiera trasmette per la seconda volta (la prima volta l’ha inviata a fine febbraio) al Servizio politico del Comando generale della Gnr la relazione inviata a Tensfeld: ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Confinaria fascicolo II, sfasc. Confinaria. Comportamento Comando Militare germanico nei confronti di partigiani nella Val Pellice. Cattura e susseguente liberazione di partigiani.
21 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., p. 81.
22 A. JALLA, Distruzioni nella valle del Pellice, cit., p. 36.
23 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., p. 81.
24 Rapporto del Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera, n. prot. 108/4 cit.
25 C. PAVONE (ed), Le brigate Garibaldi, cit., doc. 505, lettera di Cecco a Livio e Cyrano del 20 dicembre 1944, pp. 118-120 in particolare p. 119.
26 C. PAVONE, Una guerra civile, cit., pp. 206-220, 248-271, 436-437.
27 Alcuni episodi di diverso trattamento per nazisti e fascisti sono denunciati dalla Gnr: cfr. notizia del 3 agosto relativa alla provincia di Como riportata nella sezione Attività dei banditi del «Notiziario del 6 agosto 1944», in ISRMO, GNR, Notiziari quotidiani, b. 99, fasc. 14, Notiziari 28-31 luglio e 1-8 agosto 1944; Verbale di interrogatorio del Milite Scelto Gallazzi Luigi del 28 settembre 1944, allegato al n. prot. 5019/2/S.I. del 29 settembre 1944, in ACS, RSI, GNR, b. 39, fasc. 29ª Legione Novara Categoria B-3-u-29 III cartella, sfasc. Mil. Sc. Gallazzi Luigi catturato dai ribelli.
28 Si vedano G. GIMELLI, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. I, Genova 1985, pp. 262-263; Isrmo, Gnr, Notiziari quotidiani, b. 104, fasc. 23, Notiziari 26, 28-31 marzo e 1-6 aprile 1945, notizia riguardante la provincia di Sondrio inserita nella sezione Ordine e spirito pubblico del «Notiziario del 30 marzo 1945»; b. 102, fasc. 19, Notiziari 9-21 ottobre 1944, Promemoria per il Duce e per il Capo di Stato Maggiore della GNR relativo alla Valdossola inserito nel «Notiziario del 9 ottobre 1944».
29 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., pp. 82; A. JALLA, Distruzioni nella valle del Pellice, cit., p. 36-37. Il rapporto del Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera, n. prot. 108/4, del 10 marzo 1944 cit. attribuisce l’azione agli uomini dislocati all’imbocco della valle, d’accordo con i gruppi che hanno siglato la tregua per attaccare i nazifascisti alle spalle. Nella lettera del comandante Barbato e del commissario politico Pietro della 4ª brigata Garibaldi Cuneo al Comitato militare del Cln piemontese, oggetto Caso Prearo e Rivoir, del 15 marzo 1944, conservata in ISRP, fondo Fausto Penati, b. CVL, si legge che i partigiani della Val Pellice rimproverano i garibaldini per l’uccisione di un soldato tedesco e chiedono un risarcimento per i danni provocati a Torre Pellice dalla rappresaglia nazista.
30 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., pp. 93-95.
31 Relazione del Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera, n. prot. 24/1/AF, del 27 febbraio 1944 cit.
32 Ibidem.
33 Cfr. il doc. intestato Der SS – U. Polizeiführer Oberitalien – West, oggetto Lettera relativa a quanto accaduto in Torre Pellice Servizio “I” n. 24/1/AF di prot., datata 18 marzo 1944 e inviata da Tensfeld all’Ispettorato dei reparti di frontiera e all’ispettore Romegialli, allegato al n. prot. 232/4, oggetto Azione di Torre Pellice, con cui, il 5 aprile 1944, l’Upi dell’Ispettorato dei reparti di frontiera trasmette la lettera di Tensfeld al Servizio politico del Comando generale della Gnr in ACS, RSI, GNR, b. 55, fasc. Confinaria fascicolo II, sfasc. Confinaria. Comportamento Comando Militare germanico nei confronti di partigiani nella Val Pellice. Cattura e susseguente liberazione di partigiani. Effettivamente un tenente della Gestapo di Torino viene inviato in valle per scoprire quali rapporti siano intercorsi tra i partigiani e il generale Hansen: cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., nota 2 p. 82. La lettera di Tensfeld risponde esplicitamente solo all’avviso relativo alla liberazione dei prigionieri, ma probabilmente egli è già al corrente anche della tregua, dato che Romegialli il 10 marzo afferma di averlo informato dei fatti: cfr. il rapporto del Servizio I dell’Ispettorato dei reparti di frontiera, n. prot. 108/4, del 10 marzo 1944 cit.
34 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., pp. 81-82.
35 Cfr. gli ordini dei giorni 7 e 13 settembre 1944 del comandante delle Ss e della polizia in Italia in M. FRANZINELLI, Popolazioni…cit., p. 257 e nota 5 e in ACS, RSI, GNR, b. 15, fasc. Circolari settembre 1944, doc. n. prot I c 39, oggetto Trattative con bande.
36 Lettera del comandante Barbato e del commissario politico Pietro, della 4a brigata Garibaldi Cuneo, al Comitato militare del Cln piemontese, datata 15 marzo 1944 cit. Torna su queste accuse un’altra lettera per il Comitato militare del Cln piemontese scritta dall’ispettore Barbano in data 18 marzo 1944: ISRP, Fondo Fausto Penati, b. CVL, lettera di Barbano «Al Comitato Militare del C. di L.N. La pericolosità della situazione…», del 18 marzo 1944.
37 Per il testo della tregua di Omegna si veda l’allegato al Promemoria per il Duce e per il Capo di S.M. della GNR del Servizio politico (Ufficio I) inserito nel «Notiziario della GNR del 31 agosto 1944», in ISRMO, GNR, Notiziari quotidiani, b. 100, fasc. 16, Notiziari 21-31 agosto 1944 e 1-4 settembre 1944; sul C9 cfr. B. LANFRANCHI, Testimonianza sulla brigata GL “Gabriele Camozzi”, in «Studi e ricerche di storia contemporanea », 1978, 11, pp. 58-60 in particolare p. 63.
38 Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle valli valdesi, cit., pp. 88-89 e 146.
39 Cfr. C. PAVONE, Una guerra civile, cit., p. 273.
40 Si vedano A. BENDOTTI – G. BERTACCHI, Il difficile cammino della giustizia e della libertà. L’esperienza azionista nella Resistenza bergamasca, Bergamo 1983, p. 149 e C. PAVONE (ed), Le brigate Garibaldi, cit., doc. 460, relazione di Maiocchi alla Delegazione per la Lombardia del 2 dicembre 1944, pp. 13-17 in particolare pp. 14-15 e nota 9 p. 17; doc. 526, lunga relazione che raccoglie varie notizie sulla Lombardia, s.d., pp. 169-180 in particolare p. 177; doc. 722, relazione del responsabile militare del Triumvirato insurrezionale lombardo sulle formazioni garibaldine datata 16 aprile 1945, pp. 626-636 precisamente p. 626.
Roberta Mira, Il caso della Val Pellice nel quadro delle tregue fra partigiani e nazifascisti, Annale 2000-2001, Università di Bologna, Dipartimento di Discipline storiche, Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna, 2003

La Valle del Pellice è famosa per le sue passeggiate, per la sua squadra di hockey e per i suoi tifosi, ma soprattutto per la sua peculiare bireligiosità, data dalla convivenza secolare tra cattolici e valdesi. Proprio grazie ai valdesi la Val Pellice è stata famosa, e lo è tuttora, in particolare per la sua Resistenza partigiana durante la seconda guerra mondiale.
Scrive G. Malan a proposito della lotta:
“Qui, proprio come accanto a Barge e sotto il Monviso, nella provincia di Cuneo, è nata – credo, ed è quel che chiamava un titolo di gloria – la prima resistenza in tutta Italia, preparata in anticipo, cosciente, con un collegamento tra il centro e la valle, e solo qui, con una piena, attiva partecipazione locale, sì che sì che non si può dire che sia stato più forte l’impulso locale o la spinta dei cospiratori intellettuali della città”[1].
“Forte l’impulso locale”. Infatti, un ruolo di grande importanza ha anche avuto la popolazione che ha preso parte, nel suo piccolo, alla lotta contro il “nemico” fascista. Essenziali, infatti, sono stati gli abitanti del posto, i quali hanno fornito alloggi, provviste o luoghi di ritrovo clandestini alle bande armate.
“Spinta dei cospiratori intellettuali della città”. Nuovi giornali, in effetti, sono stati fondati, tra cui “Gioventù Cristiana”; anche la chiesa locale, cattolica e valdese, ha avuto un ruolo importante, per quanto non sempre ben definito. Non molti furono i membri del clero che aderirono apertamente alle lotte. Alcuni, infatti, rimasero neutrali, altri addirittura andavano di casa in casa a convincere i giovani a non unirsi ai gruppi dei partigiani. Vi erano anche molti intellettuali, soprattutto professori, che, con la loro propaganda, alimentarono, soprattutto agli inizi, la lotta locale. Tra questi, come non ricordare il professor Mario Falchi, valdese di origine ligure insegnante al Collegio Valdese di Torre Pellice, o il pastore Francesco Lo Bue, altro insegnante del Collegio?[2]
Numerosi erano i gruppi partigiani valligiani[3]:
– Gruppo del Serre di Sarsenà (conosciuto anche come Gruppo di Bobbio): era situato sopra il comune di Bobbio Pellice e faceva a capo a Abele Bertinat e Giovanni Gay;
– Gruppi di Villar Pellice: situati nella cittadina di Villar Pellice, non erano un gruppo compatto, bensì un insieme di vari gruppetti indipendenti, i quali, però, presentavano caratteristiche comuni;
– Gruppo dei Chabriols (meglio conosciuto come “gruppo dei Ventuno”): era situato nella frazione dei Chabriols (tra Torre Pellice e Villar) e faceva a capo a René Poët;
– Gruppo della Sea: situato in una vasta pianura sul congiungimento tra le valli del Pellice e dell’Angrogna, faceva capo a Telesforo Ronfetto (a cui, successivamente, si affiancò Mario Rivoir). A questo gruppo avrebbe dovuto unirsi Sergio Coalova dopo il secondo attacco a Bobbio Pellice[4];
– Gruppo degli Ivert: situato nella omonima località sopra Rorà, che faceva capo a Gianni Chiambretto. A lui si affianca Sergio Coalova, “unico elemento politicizzante del gruppo”. Di questo gruppo così parla lo stesso Coalova:
“La “banda” degli Ivert è […] un gruppo di giovani valdesi e non valdesi, provenienti dalle migliori famiglie di Torre Pellice, si è riunito sotto la guida di “Gianni”, giunto da Torino dopo l’otto settembre. Conoscitore della zona […] aveva scelto, di comune accordo con gli altri ragazzi, gli Ivert perché era un posto isolato, lontano dalle vie di comunicazione, difficilmente raggiungibile in caso di rastrellamento e quindi facilmente difendibile”.[5]
– Gruppo Martina: situato a Luserna alta, faceva capo a Valentino Martina, a cui deve anche il suo nome;
– Gruppo del Sap: costituitosi sopra Pradeltorno, presso Sabin, si trasferì, poi, al Palai perché luogo di più difficile accesso. Faceva capo in un primo tempo a Sandro Delmastro (il quale venne poi richiamato a Torino). Dopo di lui si susseguirono al comando del gruppo diversi uomini, l’ultimo dei quali è stato Enzo Gambina.
– Gruppo del Bagnaou: situato sull’omonimo sperone roccioso che sovrasta Pra del Torno, faceva capo a Poluccio Favout.
Oltre ai numerosi gruppi locali, furono di grande importanza la lotta e l’operato dei Garibaldini e delle brigate GL (Giustizia e Libertà), le quali agirono in zone diverse di influenza, e alle quali molti dei gruppi citati si unirono.
Grande rilievo, quindi, hanno avuto i gruppi partigiani delle valli Valdesi. E i valdesi stessi hanno avuto un ruolo importante in tutta la Resistenza. Benché anche i loro “colleghi” cattolici abbiano avuto tanto coraggio quanto i valdesi (i quali, lungo i secoli, sono riusciti ad inserirsi perfettamente nella comunità della valle), questi ultimi hanno avuto un ruolo fondamentale nell’aiutare i giovani a sottrarsi all’influsso delle idee nazifasciste[6].
Per quanto il fascismo sia stato vissuto inizialmente senza entusiasmo, ma anche senza una aperta opposizione, è stata determinante, per l’atteggiamento dei valdesi, la secolare e cruenta lotta contro le persecuzioni e per la propria affermazione sul territorio. Tale lotta li ha resi più sensibili alle persecuzioni che stavano subendo gli ebrei in quel momento. I valligiani, quindi, forti di questa loro identità, si sono prodigati senza sosta, durante l’intero corso della seconda guerra mondiale, a lavorare per opporsi al regime. Ecco perché la maggior parte degli ebrei, se non tutti, che risiedevano a quel tempo in Valle non furono denunciati alle SS. Ed ecco perché qui, oltre che in Val Germanasca e nelle vicine zone della Provincia di Cuneo, sono nate le prime forze organizzate contro il regime nazifascista[7].
Bibiana, aprile 2007 Carla Manavella
Bibliografia
Sergio COALOVA, Un Partigiano a Mauthausen. La sfida della speranza, ed. L’Arciere, Cuneo, 2003;
Donatella GAY ROCHAT, La Resistenza nelle Valli Valdesi, Torino, Claudiana, 1985 (2^ed.);
Pierfrancesco Gili, La Guerra di Bastian, Pinerolo, Alzani, 1996.
[1] “L’Avvenire delle Valli”, 29 maggio 1964, articolo cit. in Donatella GAY ROCHAT, La resistenza nelle Valli Valdesi, Torino, Claudiana, 1985, p. 36.
[2] Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle Valli Valdesi, cit., sezione “Gioventù Cristiana” del cap. III.
[3] Cfr. D. GAY ROCHAT, La Resistenza nelle Valli Valdesi, cit., pp. 37 e ss.
[4] Cfr. Sergio COALOVA, Un Partigiano a Mauthausen. La sfida della speranza, ed. L’Arciere, Cuneo, 2003.
[5] S. COALOVA, Un Partigiano a Mauthausen. La sfida della speranza, cit., p. 15.
[6] Cfr. ciò che dice DONATELLA GAY ROCHAT in La Resistenza nelle Valli Valdesi, cit.
[7] Informazioni desunte da una conferenza del 27 gennaio 2002 a Bricherasio.
Redazione, Testimonianza sulle formazioni partigiane del Pinerolese in La Resistenza nelle Valli Valdesi, ITI “Ettore Majorana”, Grugliasco